Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

La ricerca della sposa perfetta
La ricerca della sposa perfetta
La ricerca della sposa perfetta
E-book238 pagine2 ore

La ricerca della sposa perfetta

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Inghilterra, XIX sec. - Bennet Montague, Duca di Aveley, sta cercando la sposa perfetta seguendo le indicazioni del padre defunto. Come lui, sente il dovere di servire la patria e ha bisogno di una donna che sia all'altezza di essere la moglie di un Primo Ministro. Peccato che nessuna delle potenziali fanciulle inserite nella sua lista gli susciti il minimo interesse o la minima emozione. La sola donna che ha quell'effetto su Bennet è l'improbabile dama di compagnia di sua zia, Miss Amelia Mansfield, una brunetta impertinente e deliziosa, che osa sfidare le sue opinioni radicate e tormenta i suoi sogni. Abbandonata dal padre aristocratico, Amelia odia tutti nobili, che ritiene responsabili della povertà e dell'ingiustizia che anche lei ha subito. L'ultimo uomo che vorrebbe sposare è uno di loro ma quando è costretta a...
LinguaItaliano
Data di uscita19 lug 2017
ISBN9788858968000
La ricerca della sposa perfetta

Leggi altro di Virginia Heath

Correlato a La ricerca della sposa perfetta

Ebook correlati

Narrativa romantica storica per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Recensioni su La ricerca della sposa perfetta

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    La ricerca della sposa perfetta - Virginia Heath

    successivo.

    1

    In viaggio per Londra, novembre 1816

    La scelta di una moglie non è compito da intraprendere alla leggera. Troppi gentiluomini lasciano che sia il cuore a comandare la ragione e si buttano a capofitto nel matrimonio senza alcuna considerazione, ma ricordate: chi si sposa in fretta e furia, avrà tutto il tempo di pentirsene!

    Dovete dedicare del tempo alla scelta della moglie ideale, perché lei è il riflesso di voi stessi. E se non fosse una brava padrona di casa? Se fosse troppo diretta nell'esprimere le proprie opinioni? O incline a sbalzi d'umore o attacchi di melanconia?

    Una moglie simile finirebbe per esservi d'intralcio e vi farebbe rimpiangere il giorno in cui avete suggellato il Sacro Vincolo.

    Questa raccolta di consigli, tratti dalla saggezza del mio defunto padre e dalle follie dei miei pari, è intesa a mettervi in guardia dalle insidie che potrebbero spingervi a fare una scelta infelice e a guidarvi nella scelta della sposa ideale.

    «Quante idiozie!» Amelia Mansfield gettò il libro sul sedile della carrozza e lo fissò come se l'avesse appena morsa. «Vostro nipote dev'essere un uomo molto pomposo per aver scritto questa spazzatura. Dopo aver letto un solo paragrafo, sono già terrorizzata all'idea di trascorrere un mese intrappolata in sua compagnia.»

    Lady Worsted sorrise, chiaramente divertita dalla sua reazione. «Bennett non è così male, Amelia. A volte tende a essere un po' arrogante, ma è un politico, e i politici sono inclini a dirci ciò che dobbiamo fare. E poi è un duca. Di conseguenza ci si aspetta che sia un po' pomposo. Tutti i duchi sono allevati per esserlo.»

    Nei suoi ventidue anni di vita Amelia non aveva mai incontrato un solo uomo titolato che non fosse insopportabile, compreso suo padre. Anzi, suo padre, o il visconte veleno, come preferiva chiamarlo, era probabilmente il più odioso e sgradevole di tutti. Il solo pensiero la metteva di cattivo umore. «È un peccato che vostro nipote non ci abbia invitate al castello» replicò. «Mi sarebbe piaciuto. Non ci sono mai stata. Credete che ci condurrà a visitarlo?»

    «Forse potremo andarci per un paio di giorni, se Bennett riesce a liberarsi. Aveley Castle è solo a un'ora da Londra, e mia sorella lo adora.» La sorella di Lady Worsted era la madre del duca. «In questi tempi difficili, però, Bennett deve stare vicino al Parlamento. È uno dei consiglieri più fidati del reggente, dopotutto.» Un altro elemento a suo sfavore, a parere di Amelia. «Sono sicura che ci divertiremo molto in città. La Stagione è in pieno svolgimento. Credo che vi piacerà.»

    Non avendo fatto il debutto in società a causa del tradimento del padre, Amelia si era consolata da tempo dicendosi di non essere interessata a quei divertimenti puerili. Balli e feste erano per le ragazze sciocche, senza altra ambizione che fare un buon matrimonio e vivere una vita all'ombra di un marito aristocratico. Quando era più giovane, come figlia di un visconte avrebbe almeno potuto partecipare alle danze. Ora che era solo una dama di compagnia, invece, sarebbe stata condannata a guardare da lontano, ascoltando i pettegolezzi delle gentildonne più anziane. Non era così che aveva sognato di trascorrere la sua prima visita a Londra dopo quasi un anno.

    Aveva già un lungo elenco di cose che desiderava fare. Le era mancata la città, e soprattutto aveva sentito la nostalgia delle numerose associazioni politiche e dei gruppi riformisti che sostenevano le cause in cui credeva. Purtroppo un buon numero di queste organizzazioni erano state ingiustamente etichettate come radicali dagli aristocratici, che si sentivano minacciati dalle loro opinioni di buonsenso. Per troppo tempo si era limitata a leggere del loro lavoro senza potervi partecipare. Quell'inverno avrebbe ripreso a dare il suo contributo alla campagna che chiedeva i cambiamenti necessari ad alleviare la povertà. E soprattutto sarebbe tornata a lavorare alla mensa gestita dalla chiesa di St. Giles. Era un'istituzione alla quale doveva molto e che avrebbe avuto sempre un posto speciale nel suo cuore. Anche se aveva sempre donato a essa la metà del suo stipendio da quando aveva lasciato Londra, sentiva la mancanza del contatto diretto. La soddisfazione che provava aiutando altri sfortunati era la sua ricompensa, e le dava un senso di appartenenza.

    Purtroppo Lady Worsted non avrebbe visto di buon occhio tutte quelle cause mentre erano ospiti del duca, e le avrebbe impedito di andare, se l'avesse saputo. L'anziana gentildonna aveva insistito sul fatto che, come membro del gabinetto di Sua Maestà, il duca dovesse restare lontano da qualsiasi sospetto di scandalo. La vita di Amelia era già abbastanza scandalosa, quindi era meglio che dimenticasse tutte le buone cause mentre erano presso di lui. Lady Worsted l'aveva anche ammonita a evitare ogni accenno alle sue sfortune passate, per lo stesso motivo.

    Per fortuna il suo impiego le lasciava parecchie ore libere. Lady Worsted non era affatto esigente ed era un mistero perché sentisse il bisogno di avere una dama di compagnia. Aveva molti amici e conoscenti che venivano a farle visita e non rinunciava mai al suo sonnellino pomeridiano. Il che significava che Amelia avrebbe avuto il tempo di fare lunghe passeggiate mentre era ospite del Duca di Aveley e ne avrebbe approfittato per riprendere i contatti con le associazioni politiche. A differenza di Bath, dove i gruppi non erano molto organizzati, Londra era il centro di tutto, il cuore pulsante di ogni cambiamento, e Amelia aveva intenzione di recuperare il tempo perso. Non vedeva l'ora.

    Notando che Lady Worsted si era assopita sul sedile di fronte, riprese con riluttanza il libro e studiò la copertina. Guida dell'accorto gentiluomo alla scelta della sposa ideale. Probabilmente il duca si era sentito molto arguto nell'apporre quel titolo. Dava l'idea di essere mortalmente noioso, con il suo tono paternalista, troppo pieno di sé per vedere oltre il suo naso aristocratico. Gli uomini di quello stampo erano tutti uguali. Non avendo altro da fare per passare il tempo, Amelia aprì il libro a caso e cominciò a leggere.

    Bennett Montague, XVI Duca di Aveley e membro del Consiglio privato di Sua Maestà, consultò l'orologio da tasca con aria contrariata, prima di riporlo nel gilet. Erano già le sei e zia Augusta avrebbe dovuto essere arrivata. Non la incolpava del ritardo – sapeva che negli ultimi tempi poteva essere difficile viaggiare – ma la cena veniva sempre servita alle sette. A quel punto avrebbe dovuto essere rimandata.

    Il maggiordomo, Lovett, si presentò alla porta dello studio. «La carrozza è in arrivo, Vostra Grazia.»

    «Grazie al cielo!» In fin dei conti non sarebbe stato necessario un rinvio. Bennett si recò nell'ingresso per accogliere la zia, consapevole di avere ancora della corrispondenza da sbrigare e un discorso da scrivere prima della fine della serata. Sua madre e zio George erano già lì. Mentre aspettavano notò qualcosa di strano nel suo domestico, solitamente dritto come un fuso. Pendeva leggermente a sinistra.

    «Lovett» sibilò, «ti sei servito ancora del mio Porto?» Personalmente non gliene importava, ma avevano ospiti, un evento raro negli ultimi mesi, a causa del suo enorme carico di lavoro.

    Il maggiordomo ebbe la finezza di mostrarsi imbarazzato. «Mi dispiace, Vostra Grazia. Ho avuto un momento di debolezza.»

    Uno dei tanti. Se non fosse stato un servitore leale e pieno di risorse, con un eccellente tempismo quando si trattava di fornirgli una via di fuga, Bennett l'avrebbe licenziato anni prima. Ma in realtà gli era piuttosto affezionato, nonostante tutto. «Ancora problemi con Mrs. Lovett?» A detta del maggiordomo, era lei il motivo per cui beveva, anche se Bennett sospettava che fosse una comoda scusa.

    «Proprio così, Vostra Grazia. Ho appena scoperto che è ancora incinta.»

    «Di nuovo! È evidente che non avete abbastanza da fare, Lovett. Quanti figli avete?» Bennett conosceva bene la risposta e ricordava tutti i loro nomi, ma si trattava di un vecchio gioco tra loro.

    «Questo sarà il decimo, Vostra Grazia, sempre che Mrs. Lovett non abbia un altro parto gemellare.»

    Per fortuna in quel momento la porta d'ingresso si aprì, sollevando Bennett dal riprendere ulteriormente il domestico. Uscendo per andare incontro ai nuovi arrivati, esclamò: «Zia Augusta, siete in gran forma! È evidente che l'aria di Bath vi giova».

    L'anziana gentildonna sorrise al complimento e gli porse la guancia incipriata. «Farebbe bene anche a te un po' d'aria ristoratrice, Bennett. Sei troppo serio per un giovane della tua età. Sono qui da meno di un minuto e già vedo che vorresti essere altrove.»

    Bennett non si diede la pena di protestare, perché aveva molte cose più importanti da fare che stare lì in piedi a parlare del più e del meno.

    La zia sorrise alla sua espressione assente. «Permetti che ti presenti la mia nuova dama di compagnia, Miss Amelia Mansfield.»

    Una donna minuta, con gli occhi più scuri che Bennett avesse mai visto, fece un passo avanti. Di solito non dedicava molto interesse alle dame di compagnia della zia. Ce n'erano state così tante, nel corso degli anni, che i loro volti insignificanti avevano cominciato a confondersi in uno solo, e lui le degnava appena di un'occhiata. Miss Mansfield, tuttavia, era molto diversa, così stavolta indugiò con lo sguardo. Per cominciare, anche se indossava un cappellino orribile, non c'era niente di ordinario in lei. Gli occhi scuri, tagliati a mandorla, erano incorniciati da ciglia lunghissime, le sopracciglia disegnavano un arco perfetto e la bocca piena era di un rosso impertinente. Se fosse stato appropriato – il che non era – e se Bennett avesse avuto questa tendenza – e decisamente non era così – era il tipo di viso che l'avrebbe spinto a corteggiare l'adorabile proprietaria. Invece inclinò educatamente il capo come volevano le convenienze. «Miss Mansfield.»

    Anche lei piegò leggermente il capo. «Vostra Grazia.»

    Poi, come ripensandoci, accennò una riverenza. Era usanza che, così facendo, la donna abbassasse gli occhi in ossequio all'illustre persona che aveva davanti. Miss Mansfield, invece, sostenne lo sguardo di Bennett in modo sconcertante prima di voltarsi verso gli altri. Sicuramente non c'era alcuna deferenza in quell'occhiata penetrante. Anzi, Bennett era quasi sicuro di avervi colto un lampo di qualche emozione nascosta, anche se non avrebbe saputo dire quale. Nonostante il palese disprezzo per l'etichetta, non riusciva a smettere di guardarla mentre veniva presentata a sua madre e allo zio George.

    «Vi piace leggere, Miss Mansfield?» si informò la madre di Bennett.

    «Amelia divora tutto quello che le capita sotto mano» rispose per lei zia Augusta. «Ed è molto brava a leggere ad alta voce. Possiede il talento di portare in vita i personaggi.»

    «Allora farete una gran figura nel mio salotto di lettura» replicò la padrona di casa. «Mi auguro vi unirete a noi. Ogni mercoledì sera un gruppo selezionato si riunisce per leggere e discutere dei libri che ci hanno colpiti. Ci occupiamo di tutto, romanzi, poesie e saggi. Siamo un gruppo eclettico, ed è un modo piacevole di trascorrere la serata. È l'unica occasione che ho di ricevere, ora che mio figlio è così occupato in Parlamento.»

    Quando Miss Mansfield sorrise, Bennett notò che i suoi occhi singolari sembravano ancora più belli.

    «Mi piacerebbe molto» rispose lei.

    Forse era solo la sua immaginazione, ma Bennett aveva l'impressione che avesse riservato maggior entusiasmo a sua madre che a lui, anche se non capiva perché la cosa lo disturbasse. Zio George era stato immediatamente stregato da lei, e non mancò di manifestarlo. «Sono affascinato, Miss Mansfield, e sarei onorato se sedeste accanto a me, a cena. È molto tempo che non godo della compagnia di una creatura così incantevole.»

    «State in guardia, Miss Mansfield» l'avvisò la madre di Bennett, sorridendo affettuosamente all'uomo che per tanti anni era stato come un padre putativo per lui. «Temo che George pensi di essere ancora giovane. Vi corteggerà per tutta la cena, o vi racconterà storie scandalose, del tutto inadatte alle vostre giovani orecchie.»

    «Tu mi ferisci, Octavia!» Zio George si finse offeso, facendo ridere le signore. Bennett aveva sempre invidiato la sua disinvoltura con il gentil sesso, ma stavolta trovò irritante il suo talento. Purtroppo, a giudicare dall'espressione di Miss Mansfield, anche lei era rimasta incantata.

    «In tal caso, non vedo l'ora» replicò infatti, ricambiando il sorriso della vecchia canaglia. Guardarla era come essere accecati da un raggio di sole, considerò Bennett fra sé. Tutto in lei irradiava luce. Le labbra si curvavano maliziose, facendola apparire di una bellezza assoluta, due adorabili fossette comparivano sulle guance e i grandi occhi castani si facevano caldi e invitanti. «È troppo tempo che non sento una storia davvero scandalosa nel corso di una cena» aggiunse lei.

    Una cena che sarebbe stata gravemente ritardata, a meno che Bennett non intervenisse a mettere fine a tutte quelle sciocchezze. Tirò fuori di nuovo l'orologio e lo guardò aggrottando la fronte. «Dirò a Lovett di mostrarvi subito le vostre stanze, dato che il pasto sarà servito tra meno di un'ora.» Gli restava giusto il tempo di smaltire la piccola montagna di scartoffie che si era accumulata sulla scrivania. «Se volete scusarmi.»

    Il tono suonò troppo brusco perfino alle sue stesse orecchie, ma, per qualche strana ragione, si sentiva decisamente di cattivo umore. Fece un sorriso educato prima di girare i tacchi e ritirarsi nel suo studio. Sentendo un prurito alla nuca, si guardò intorno e vide che Miss Mansfield lo stava fissando apertamente.

    Bennett non era incline alla vanità. Non aveva mai avuto il tempo necessario per indulgervi, ma sapeva di essere considerato piuttosto attraente dalla maggior parte delle donne. Era abituato all'ammirazione femminile e, di tanto in tanto, anche a essere palesemente corteggiato. Era un duca, dopotutto, e di conseguenza un ottimo partito. Miss Mansfield, però, lo stava osservando come se fosse un reperto scientifico che la lasciava perplessa. Era sconveniente. O, perlomeno, le buone maniere volevano che non lo si facesse apertamente. Scuro in volto, Bennett marciò verso lo studio perché, per la prima volta da quando riusciva a ricordare, non si sentiva a suo agio con se stesso ed era anche un po' offeso.

    Amelia aveva due abiti buoni che sarebbero stati passabili per la cena, ma nessuno dei due la entusiasmava. Per puro gusto di sfida scelse quello più scollato, prese lo scialle più fine e si pizzicò le guance per darvi un po' di colore e sentirsi più sicura. La residenza di Aveley in Berkeley Square era la casa più grande in cui avesse mai messo piede e, anche se detestava ammetterlo, la intimidiva. Dal momento in cui aveva salito gli scalini di marmo verso l'imponente portone d'ingresso, lo sfarzo del posto l'aveva lasciata senza fiato, e l'interno era ancor più incredibile.

    Il pavimento del corridoio era una suggestiva scacchiera di marmo bianco e nero. Un'elegante scala ricurva attirava l'occhio verso un soffitto dipinto che l'aveva affascinata con la sua bellezza. L'artista l'aveva trasformato in una finestra sul cielo, con i cherubini che si libravano tra le nuvole, guardando verso il basso con angelica serenità. Amelia non aveva mai visto niente di simile. Come se l'opulenza dell'ambiente non fosse sufficiente, era rimasta ancor più colpita quando aveva visto il proprietario di tutto quello splendore. Il Duca di Aveley non assomigliava affatto all'aristocratico altezzoso, dagli occhi porcini e il ventre rigonfio, che si era immaginata.

    Al pari degli angeli che la fissavano dall'alto, sembrava uscito dal pennello di un pittore di talento. Alto, con le spalle larghe, non aveva niente della supponenza che traspariva dai suoi scritti. L'unica parola che le veniva in mente per definirlo era... dorato. Folti capelli biondi con riflessi bronzei e dorati, occhi azzurro cobalto che brillavano di intelligenza e una bocca invitante che attirava il suo sguardo come faceva lo splendido soffitto. La sua parte più femminile, che cercava sempre di ignorare, aveva reagito in modo insolito. Il polso aveva accelerato i battiti, un volo di farfalle si era librato nello stomaco e le ginocchia erano state sul punto di cedere. Se non fosse stato ridicolo, avrebbe detto che era tutta un fremito, perché era così che si sentiva. Aveley era esattamente il tipo di uomo che un tempo aveva sognato di sposare, prima che le avversità della vita le avessero insegnato che non bisognava credere alle favole.

    Poi il duca l'aveva guardata come se la vedesse esattamente per ciò che era – poco più di una domestica – e lei si era sentita ricadere sulla terra con un tonfo. Per un brevissimo istante Amelia aveva avvertito una fitta di delusione, prima di riscuotersi dicendosi che era stata una sciocca ad aspettarsi qualcosa di diverso. Non era così ingenua da giudicare un libro dalla copertina, per quanto splendida potesse apparire a prima vista, e di solito non era incline a sognare a occhi aperti, né tanto meno a immaginare un aristocratico nel proprio futuro.

    In un primo momento quella reazione insolita l'aveva preoccupata, ma poi, dopo una breve pausa di riflessione nella lussuosa camera da letto, aveva capito di essere stata semplicemente sopraffatta da tutto quello che la circondava e dalla prospettiva di frequentare la buona società per un periodo di tempo prolungato. Il viaggio era stato lungo ed era stanca. Non c'era da stupirsi che fosse stata colta di sorpresa vedendo che il duca non era affatto come l'aveva immaginato. Non poteva certo aspettarsi un uomo che sembrava un Adone, quindi poteva ben perdonarsi quel breve momento di smarrimento. Ristabilito l'equilibrio, quindi, raddrizzò le spalle e camminò a passo sicuro.

    Un valletto la scortò lungo il corridoio che conduceva alla sala da pranzo e la fece accomodare al centro di un grande tavolo apparecchiato per cinque. Sir George fu il primo ad arrivare e sedette di fronte a lei, facendo cenno a un cameriere di versare il vino nei bicchieri.

    «È davvero splendido avervi tutta per me, Miss Mansfield» l'apostrofò. «Scommetto che state bruciando di curiosità e che avete un centinaio di domande su questa casa e sulla famiglia che vi abita. Purtroppo per voi...» Sorseggiò il vino e le rivolse un sorriso di complicità,

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1