Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Un amore in panchina (eLit): eLit
Un amore in panchina (eLit): eLit
Un amore in panchina (eLit): eLit
E-book154 pagine2 ore

Un amore in panchina (eLit): eLit

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Durante una notte memorabile in riva all'oceano, Kendra Locke ha offerto a Deuce Monroe tutta se stessa, credendo ingenuamente che lui l'avrebbe amata per sempre. Deuce, però, aveva già deciso di abbandonarla e andarsene per inseguire i propri sogni e cercare fortuna. A distanza di anni ritorna nella sua città natale, con il desiderio di riavere Kendra fra le braccia e concludere quel che avevano lasciato in sospeso. Ma lei non ha alcuna intenzione di lasciarsi sedurre una seconda volta, perché è convinta che quel che Deuce può offrirle sia solo una notte di passione. Eppure la tentazione è forte, e spesso contrastare il destino non serve.
LinguaItaliano
Data di uscita31 ago 2017
ISBN9788858973615
Un amore in panchina (eLit): eLit

Leggi altro di Roxanne St. Claire

Correlato a Un amore in panchina (eLit)

Titoli di questa serie (5)

Visualizza altri

Ebook correlati

Narrativa romantica per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Categorie correlate

Recensioni su Un amore in panchina (eLit)

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Un amore in panchina (eLit) - Roxanne St. Claire

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    The Sins of His Past

    Silhouette Desire

    © 2006 Roxanne St.Claire

    Traduzione di Giuseppe Biemmi

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    © 2007 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-5897-361-5

    1

    Deuce Monroe ricordava di essere rimasto senza parole in un’unica occasione prima di allora. Quando aveva incontrato Yaz. Aveva stretto la mano a quell’omone e aveva cercato di spiccicare una parola, invece era rimasto ammutolito alla presenza del suo eroe, Carl Yastrzemski.

    Ma, in piedi nel caldo sole di aprile nella via principale di Rockingham, Massachusetts, impegnato a fissare un edificio che gli era stato familiare tanto quanto il monte di lancio del campo di baseball della sua squadra, rimase praticamente senza parole per lo shock.

    Dov’era finito il Monroe’s?

    Scrutò l’insegna sopra la porta d’ingresso. Be’, in effetti, c’era scritto a chiare lettere Monroe’s. Senza maiuscole e con disegnato un computer portatile con accanto una tazza di caffè. Ma l’intero posto pareva essere stato rivoltato come un guanto. Oltre a occupare più spazio di quanto non ricordasse, le assicelle del rivestimento esterno erano sparite per lasciar posto a una facciata di mattoni a vista coperta in parte dall’edera, e adesso tre stucchevoli bovindi si protendevano sul marciapiede.

    Se non altro, la vecchia porta di mogano non era cambiata. Lui strinse la familiare maniglia di ottone, la tirò con decisione a sé ed entrò.

    Una volta all’interno del locale, si sentì raggelare e dovette reprimere un’imprecazione. Invece del consueto comfort di un bar di paese immerso in un’atmosfera soffusa, si trovava in un grande open space pieno di divani e di luce solare, oltre che di... di computer?

    Dove diavolo era finito il buon, vecchio Monroe’s?

    Il vero Monroe’s... non questo... questo cyber café.

    Esaminando il locale con estrema attenzione, cercò disperatamente qualcosa di familiare, qualche ricordo, un qualsiasi profumo che lo abbracciasse come un amico per la pelle perso di vista da tanto tempo.

    Ma l’unica cosa che gli riuscì di fiutare fu l’aroma del... caffè.

    Non servivano caffè nel bar dei suoi genitori. Piuttosto una bella Bud ghiacciata alla spina. O fiumi di whisky, rum e perfino tequila, ma niente caffè. Non qui, dove la gente del posto si riuniva dopo gli incontri della squadra locale, la Rock High, per rivivere ognuno degli imprevedibili quanto letali lanci di Deuce.

    Non qui, dove tutto lo spazio disponibile alle pareti era pieno di istantanee degli incontri più importanti, di magliette dei vari team incorniciate e di ritagli di giornali che decantavano le sue imprese e il suo talento. Non qui, dove...

    «Posso aiutarla, signore?»

    Deuce sbatté le palpebre, cercando ancora di adattarsi all’accecante luce solare laddove non avrebbe dovuto essercene alcuna, e mise a fuoco una giovane donna che gli si era posta di fronte.

    «Le andrebbe una postazione informatica?» gli domandò lei.

    Ciò che gli sarebbe andato era qualcosa di molto forte con del ghiaccio. Lanciò un’occhiata in direzione del banco del bar.

    Almeno quello era ancora dove l’aveva lasciato. Ma l’unica persona che vi era seduta stava bevendo qualcosa da una tazza... Con tanto di piattino.

    «È qui Seamus Monroe?» Non che si aspettasse veramente che suo padre fosse nei paraggi del bar al martedì mattina, ma aveva già provato a casa e non aveva trovato nessuno. Per la verità, gli era sembrata addirittura deserta. Un leggero senso di colpa minacciò di affiorare, ma lui lo scacciò prontamente.

    «Il signor Monroe oggi non c’è» lo informò con un sorriso sfavillante la giovane. «È il nuovo rappresentante di software?»

    No, sono Babbo Natale, avrebbe voluto replicare, ferito nell’orgoglio per non essere riconosciuto in quello che era stato il luogo in cui erano decantate le sue lodi.

    Lui lanciò un’occhiata di sfuggita alla parete sulla quale sua madre aveva appeso la sua prima maglia dei Nevada Snake Eyes autografata alla fine della sua stagione da rookie. Invece del familiare numero due rosso, faceva bella mostra di sé in una cornice d’argento una fotografia in bianco e nero che ritraeva una montagna innevata.

    «Ha un numero al quale possa contattarlo?»

    Lei scrollò il capo. «Quello non glielo posso dare, mi spiace. La nostra manager comunque è nel retro. Vuole che gliela chiami?»

    Gliela? Papà aveva assunto un manager donna?

    Tirando un lungo sospiro, scrollò il capo, sconcertato. Poi un po’ della tensione che aveva avvertito nelle ultimissime settimane si allentò. Stava facendo la cosa giusta. C’era voluto un infortunio che aveva messo fine alla carriera, provocato per giunta da una colossale leggerezza, ma tornare a casa per rilevare il bar era decisamente la cosa giusta da fare.

    Ovviamente, qualcuno aveva già approfittato della mancanza di interesse di suo padre nel locale per apportare qualche modifica di troppo. Deuce ci avrebbe messo un attimo a rimettere tutto quanto in ordine.

    «Sì, me la chiami. Parlerò volentieri con lei» accettò Deuce.

    La ragazza gli indicò il banco del bar con un ampio gesto della mano. «Si senta libero di servirsi una tazza di caffè mentre vado a chiamare la signorina Locke.»

    Locke?

    Quella era la prima parola familiare che gli giungeva all’orecchio da quando era arrivato a Rockingham. Conosceva tutti i Locke che avessero vissuto nella cittadina.

    In effetti, Deuce aveva appena ricevuto una mail da Jackson Locke, suo vecchio compagno dei tempi del liceo. Una tipica missiva del genere che-razza-di-idiota-sei in cui comunque si capiva chiaramente che Jack era addolorato per la fine prematura di una carriera stellare nel baseball ad appena trentatré anni. Dato che i genitori di Jack si erano trasferiti in Florida alcuni anni prima, non rimaneva che Kendra, la sorella di Jack.

    Deuce deglutì a fatica. L’ultima volta in cui aveva visto Kendra era stata la settimana in cui era tornato a casa per il funerale di sua madre, circa nove anni prima. La sorellina di Jack era... be’, non era più tanto piccola allora.

    Deuce era stato un individuo spregevole e non l’aveva più chiamata, nemmeno una volta, dopo quello che c’era stato fra loro. Anche se avrebbe voluto farlo.

    Avrebbe voluto veramente farlo.

    Oh, ma non poteva trattarsi di Kendra, decise mentre la cameriera scivolava via. A quei tempi, a Kendra mancavano poche settimane perché iniziasse il suo primo anno ad Harvard. Sicuramente la ragazza di Hahvahd dal cervello fine e dalla lingua tagliente non poteva essere finita a gestire il Monroe’s. All’epoca era letteralmente infiammata dall’ambizione.

    E non solo dall’ambizione.

    Deuce si sentì pervadere da un brivido caldo al ricordo, ricordo stranamente molto vivido per il tempo trascorso.

    Questa Locke doveva essere una cugina, oppure una semplice omonima.

    Si appoggiò contro una specie di stand riservato alla cassa, altra aggiunta inopportuna al Monroe’s, e studiò il semicerchio formato dalle postazioni informatiche che occupavano esattamente il punto in cui un tempo c’era stato il tavolo da biliardo.

    Chiaro come il sole che qualcuno aveva maledettamente incasinato quel posto.

    «Deuce?» Gli occhi le scintillarono, riflettendo un certo shock non appena lo riconobbe.

    Lui dovette fare uno sforzo per impedirsi di accusare la stessa reazione.

    Possibile che avesse dormito con questa fantastica donna, avesse baciato la sua bocca sensuale che adesso era socchiusa per lo stupore e avesse passato le dita in quei biondi capelli setosi... per poi sparire nel nulla e non chiamarla mai più?

    Il termine idiota all’improvviso gli sembrò assumere un significato assolutamente nuovo.

    «Kendra.» Lui scoprì di non avere più alcun controllo sul proprio sguardo, che improvvisamente descrisse un lungo quanto lento percorso su quella pelle color alabastro, per poi scivolare dritto verso l’ampia e profonda scollatura di una maglietta bianca e aderente fino a soffermarsi sui caratteri della scritta Monroe’s stampata all’altezza dei seni. Tutti rigorosamente minuscoli.

    I caratteri, perché i seni, quelli erano decisamente maiuscoli.

    Una sfumatura rosa le salì alle gote, mettendo ancora più in risalto la sua carnagione delicata. Il mento le si sollevò e gli occhi azzurri divennero gelidi per la diffidenza. «Che cosa ci fai tu qui?»

    «Sono tornato a casa» disse lui. Le sue parole probabilmente suonarono incredibili anche a lei, a giudicare dal sopracciglio inarcato per l’incredulità.

    Lui si concesse un’altra rapida escursione visiva, e stavolta lasciò che il suo sguardo proseguisse, scendendo verso la vita sottile e i jeans fascianti che sottolineavano un paio di fianchi davvero notevoli.

    Alla fine, le rivolse il suo sorriso più abbagliante. Forse lo aveva perdonato per non essersi più fatto vivo. Forse sarebbe perfino rimasta e avrebbe accettato di lavorare per lui una volta che avesse rilevato il bar.

    Forse...

    Meglio andare per gradi. «Sto cercando mio padre.»

    Lei si sistemò una ciocca di quei capelli biondissimi dietro all’orecchio. «Perché non provi a fare un salto a casa di Diana Lynn?»

    A casa di Diana Lynn? Cosa diamine significava? Che suo padre si era trovato una badante?

    «Sta prendendosi cura lei di papà?»

    La domanda suscitò una risatina pungente.

    «Puoi dirlo forte. Diana Lynn Turner è la fidanzata di tuo padre» chiarì Kendra guardandolo negli occhi.

    «La sua cosa?» Gli uomini a cui è stato impiantato un pacemaker da meno di un anno non vanno a caccia di fidanzate. Vedovi compresi.

    «La sua fidanzata. O, se preferisci, la sua futura sposa, Deuce.» Lei si posò una mano su un fianco come a voler sottolineare il sarcasmo del suo tono. «Tuo padre trascorre la maggior parte dei suoi giorni, nonché tutte le sue notti, a casa di Diana. Ma domani mattina partiranno per un viaggio, quindi se vuoi vederlo, è meglio che ti dia una mossa.»

    Deuce manteneva con il suo vecchio dei contatti piuttosto saltuari da diversi anni, non vi era alcun dubbio. Ma possibile che suo padre si fosse fidanzato senza nemmeno dirglielo?

    Evidentemente, sì. Con ogni probabilità pensava che Deuce non gradisse l’idea che si risposasse.

    E non si sbagliava.

    «Allora, dove abita questa Diana Lynn?»

    Lei fece un cenno con la mano verso la sua sinistra. «Nella vecchia magione degli Swain.»

    Lui corrugò la fronte. «Quel rudere fatiscente sulla spiaggia?»

    «Non è più tanto fatiscente da quando Diana Lynn ci ha messo sopra le sue manine di fata.» Lei allungò la mano verso una mensola e prese alcuni menu plastificati, che batté sul ripiano di legno della cassa per allinearli. «Ha la capacità innata di rianimare qualsiasi cosa.»

    Oh, dunque era questo che stava accadendo: una specie di arrampicatrice sociale aveva preso di mira il suo vecchio. Deuce non sarebbe potuto tornare a casa con un tempismo migliore.

    «Non dirmelo» affermò, dando una rapida occhiata al settore riservato allo schieramento dei computer alla sua destra. «Indovino io. È lei la mente che sta dietro alla radicale trasformazione del bar.»

    «Il bar?» Kendra rimise al loro posto i menu e guardò nella direzione opposta... verso il banco del bar allineato contro una parete. «Be’, non siamo ancora riusciti a chiudere abbastanza a

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1