Azzardo in maschera: Harmony Destiny
Di Kat Cantrell
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Anteprima del libro
Azzardo in maschera - Kat Cantrell
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
Pregnant by Morning
Harlequin Desire
© 2014 Kat Cantrell
Traduzione di Giuseppe Biemmi
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.
© 2015 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-3052-387-6
1
Matthew Wheeler si era tuffato nella ressa del Carnevale non per mangiare, bere o divertirsi un po’, ma per diventare un altro.
Venezia attirava gente da ogni parte del globo per la sua bellezza, per la sua storia e per un certo numero di altre ragioni, ma dubitava che fra coloro che festeggiavano in Piazza San Marco ci fosse qualcun altro venuto per la sua stessa ragione.
Meccanicamente, si aggiustò la maschera che gli copriva la metà superiore del viso. Era scomoda, ma necessaria. Tutti indossavano dei costumi, alcuni uomini portavano lo smoking con delle semplici maschere come lui, mentre molte donne sfoggiavano abiti d’epoca e copricapi di piume facendo il verso a Maria Antonietta e a chissà quale altra dama. Senza contare che tutti quanti sfoderavano dei luminosi sorrisi, ma quella era una cosa alla quale non riusciva ad adeguarsi.
«Vieni, amico mio.» Vincenzo Mantovani, suo vicino di casa, gli diede una pacca sulla spalla. «Raggiungiamo gli altri al Florian.»
«Va bene» rispose Matthew, guadagnandosi un sogghigno da parte dell’italiano che quella sera si era autonominato guida ufficiale del Carnevale di Matthew.
Vincenzo si autonominava un sacco di cose, a condizione che fossero divertenti, frivole o addirittura sconsiderate, il che lo rendeva il compagno ideale di chiunque volesse trovare tutto questo non avendo idea di come farlo.
In effetti, Matthew sarebbe stato ben felice di poter dimenticare Amber per qualche ora, ma il fantasma di sua moglie lo seguiva ovunque, perfino in Italia, a migliaia di miglia dalla sua tomba.
Vincenzo chiacchierava in un inglese dall’accento particolare mentre insieme a Matthew si faceva largo fra la folla lungo il perimetro di Piazza San Marco e si infilava nel Caffè Florian, dove c’era troppo frastuono per conversare. Il che a Matthew stava bene. Certo, non era sicuro che la stessa cosa valesse per Vincenzo.
Vivendo da solo nell’edificio accanto al suo, Vincenzo gli si era subito affezionato, dimostrandosi simpatico e disponibile. Erano diventati vicini di casa perché, soffiandolo per il rotto della cuffia a un principe arabo, Matthew era riuscito ad acquistare il palazzo che si affacciava sul Canal Grande come regalo di nozze per Amber, anche se negli undici mesi successivi al matrimonio non erano mai riusciti a venire in Italia. Era troppo impegnato a lavorare.
E poi era stato troppo tardi.
Matthew sorseggiò il cappuccino che l’amico gli aveva procurato come per incanto e si sforzò di manifestare un minimo di entusiasmo. Se aveva in programma di pensare a qualcosa che non fosse Amber, continuare a indugiare con la mente su di lei non lo avrebbe di certo aiutato. Amber non avrebbe approvato questo comportamento, avrebbe voluto che guardasse avanti, e Matthew ci stava provando. Il suo unico scopo quella sera era di diventare qualcuno che non si sentisse in lutto, qualcuno che non avvertisse sulle proprie spalle il peso della responsabilità e delle aspettative della famiglia. Qualcuno che si abbandonasse alla fantastica atmosfera edonistica del Carnevale.
Ma era dura fingersi un altro quando si era un Wheeler fin dalla nascita.
Matthew, insieme al fratello, al padre e al nonno, costituiva l’ossatura della Wheeler Family Partners, una società da diversi milioni di dollari che si occupava di compravendite immobiliari nel Texas settentrionale da quasi un secolo. Matthew aveva creduto fermamente nel potere della famiglia e della tradizione, fino a quando aveva perso prima la moglie, quindi il nonno. Il dolore lo aveva attanagliato al punto che andarsene era stata l’unica soluzione.
Era sostanzialmente in fuga dalla vita, ma si rendeva conto che doveva assolutamente trovare il coraggio di tornare a Dallas, per essere di nuovo l’uomo che era stato.
Le spiagge del Messico non erano riuscite a porre rimedio al suo malessere. Machu Picchu non aveva fatto altro che svuotarlo di energie. E gli altri luoghi visitati lo avevano lasciato in una situazione di apatia, tanto che nemmeno ne ricordava i nomi. Così aveva capito che doveva fare qualcosa di diverso.
Un mese prima, era finito a Venezia. Fino al momento in cui non si fosse sentito pronto per tornare alla vita reale, era lì che sarebbe rimasto.
Verso le undici, Vincenzo indirizzò un centinaio di suoi amici, Matthew compreso, alla volta di casa sua, dove si sarebbe tenuto un ballo in maschera. Le strette calli richiedevano di procedere praticamente in fila indiana, così quando Matthew arrivò a destinazione in fondo al corteo, il palazzo accanto al suo era già illuminato a giorno e risuonava di festose risate. In netto contrasto, la dimora di Matthew era immersa nel buio.
Lui le diede la schiena e salì i gradini di pietra che portavano all’ingresso sul retro della casa di Vincenzo. I suoni del Carnevale riecheggiavano dal palazzo, coprendo il tranquillo sciabordio dell’acqua del canale contro la darsena e l’attracco di accesso sulla facciata.
All’interno, un addetto in costume si premurò di prendergli il mantello.
Nell’atrio, un antico tavolo intagliato sbarrava l’accesso all’area principale e su di esso era posto un enorme vaso di vetro soffiato pieno di telefoni cellulari.
«È un phone party.»
Dato che la voce ruvida come carta vetrata gli giunse proprio dalle spalle, Matthew si voltò per vedere a chi appartenesse.
A una donna. Che, mascherata, indossava un raffinato e riccamente ricamato abito azzurro e bianco, con un’ampia gonna plissettata. La scollatura non era profonda come quella della maggior parte delle donne presenti ma, abbinata a un vestito così sontuoso, attirava lo sguardo su quei seni che parevano premere contro il tessuto che li imprigionava. A completare il costume, un paio di stravaganti ali argentate le spuntavano dalla schiena.
«Era così evidente la mia confusione?» chiese lui, mantenendo con fermezza lo sguardo sul volto coperto della sconosciuta.
Lei sorrise. «Sei americano.»
«È la tua spiegazione del perché non so cosa sia un phone party?»
«No, è una mia considerazione, dato che, a differenza degli altri, non ti ho mai visto prima.»
Dunque, conosceva gli altri ospiti. Fatta eccezione per Vincenzo, Matthew non conosceva nessuno. Be’, questa deliziosa farfallina era un primo incontro decisamente interessante.
Se il viso era in gran parte nascosto, la bocca generosa era evidenziata da un rossetto rosa. I lunghi capelli di un biondo caramellato le ricadevano sciolti sulle spalle scoperte. Sbalorditiva. Ma era la sua voce, profonda e passionale, con quella punta di ruvidezza, che gli rimescolava le viscere.
Era in cerca di distrazioni. Forse ne aveva trovata una.
«Adesso sono curioso. Ti spiace illuminarmi?» le domandò.
Lei scrollò impercettibilmente le spalle. «Le donne lasciano il cellulare nel vaso di vetro. Gli uomini ne prendono uno... e voilà! Il rimorchio è bell’e servito.»
Le sopracciglia gli si inarcarono. Vincenzo organizzava feste assai diverse da quelle che si era aspettato Matthew. «Sinceramente, sono un po’ sconcertato.»
«Quindi non ne pescherai uno alla fine della serata?»
Domanda insidiosa. Il vecchio Matthew avrebbe detto di no. Non si era mai concesso un’avventura di una notte in vita sua, né mai aveva considerato di poterla avere. Questo genere di cose erano più per suo fratello Lucas, che sarebbe stato capace di pescare due cellulari e magari anche di convincere le due proprietarie che potevano fare una cosa a tre. Questo, però, sarebbe successo nel passato perché, data la bizzarra svolta presa dagli eventi, suo fratello adesso era felicemente sposato e con un bambino in arrivo.
Matthew non condivideva il talento del fratello in fatto di donne. Sapeva come portare a termine la mediazione per la compravendita di un grattacielo da milioni di dollari a Dallas ed era un maestro nello sfruttare il privilegio datogli dal navigare in un ambiente sociale esclusivo, ma niente di più. In pratica, ritrovandosi vedovo all’età di soli trentadue anni, non sapeva cosa fare.
Quando aveva lasciato Dallas, con l’intento di cambiare aria dopo la scomparsa di Amber, Matthew aveva avuto una vaga idea di diventare com’era Lucas prima di sposare sua moglie Cia. Lucas aveva sempre amato il divertimento, infischiandosene delle conseguenze. Matthew, come suo padre e suo nonno prima di lui, si era invece sobbarcato volentieri l’onere di portare avanti l’azienda di famiglia, non vedendo l’ora che arrivasse il giorno in cui la moglie gli avrebbe sfornato il primo rampollo di una nuova generazione di Wheeler.
Solo che tutto gli era crollato addosso.
Calarsi nei panni di Lucas era sempre meglio che rimanere il Matthew attuale, visto che pareva che niente riuscisse a tirarlo fuori dalla depressione in cui era piombato.
Dunque, cosa avrebbe fatto Lucas al posto suo?
«Dipende.» Matthew indicò il vaso di vetro con un cenno del capo. «Il tuo è lì dentro?»
Con una risatina di gola, lei scosse la testa.
«No, non è il mio stile.»
Stranamente, ne fu sollevato e deluso al contempo. «Neanche il mio. Anche se in questo caso avrei potuto fare un’eccezione.»
Il sorriso le si allargò e lei gli si avvicinò, facendo frusciare le ali. La parte anteriore del suo costume gli sfiorò il petto mentre si protendeva per sussurrargli con voce accattivante: «Anch’io».
Poi se ne andò.
Matthew la osservò mentre si tuffava nel salone principale del palazzo di Vincenzo e veniva inghiottita dalla calca. Era intrigante sentirsi così attirato da una donna per via della sua voce. Doveva seguirla? Come poteva non farlo dopo una così palese manifestazione di interesse?
Forse, però, lei aveva flirtato senza fare veramente sul serio. Matthew imprecò sottovoce. Era passato troppo tempo dall’ultima volta che era stato impegnato in un corteggiamento per ricordarne le regole. Per la verità, le regole non le aveva mai capite, il che la diceva lunga per un uomo che prosperava grazie alle regole. Ma qui era a Venezia, non a Dallas, e lui era un altro.
Non c’erano regole.
Matthew seguì la donna farfalla fra la ressa.
La musica elettronica strideva con i costumi d’epoca, ma nessuno sembrava curarsene. I fanatici del ballo avevano già preso d’assalto la pista al livello inferiore del palazzo. Nessuna delle donne, però, aveva le ali.
Ai bordi della pista, i partecipanti alla festa tentavano la fortuna alla roulette, ma lui non perse tempo a cercare la sua donna misteriosa lì. L’azzardo era per chi non sapeva nulla di probabilità, logica o buonsenso e, se lei rientrava in quella categoria, avrebbe preferito un’altra distrazione.
Un lampo argentato attirò il suo sguardo e riuscì a scorgere la punta delle ali mentre lei scompariva in un’altra stanza.
«Scusate.» Matthew si aprì un varco in mezzo ai ballerini e si lanciò alla caccia dell’unica cosa cui ricordava di essere stato interessato in diciotto lunghi e freddissimi mesi.
Quando giunse sotto un grande passaggio a volta fra due ambienti, la vide. Se ne stava in piedi ai margini di un gruppetto di persone impegnate in qualcosa che non gli riusciva di scorgere. Ed ebbe la netta impressione che si sentisse sola nella folla quanto lui.
I fanatici dei tarocchi si accalcavano attorno a Madame Wong come se conoscesse i numeri vincenti della lotteria. Evangeline La Fleur non era appassionata di chiromanzia, né acquistava biglietti delle lotterie, ma la gente la divertiva sempre. Madame Wong girò un’altra carta e dalla folla si alzarono delle esclamazioni di stupore. Evangeline alzò gli occhi al cielo.
Quindi si sentì solleticare la nuca, come se qualcuno la stesse osservando.
Il tizio dell’atrio.
Intrecciarono gli sguardi attraverso la sala e, per una frazione di secondo, lei si sentì attraversare da un brivido caldo. Delizioso. C’era qualcosa nel modo in cui l’aveva ascoltata, come se fosse stato sinceramente interessato da quello che aveva da dirgli sullo stupido phone party di Vincenzo.
Ultimamente, nessuno si interessava più a ciò che diceva, a meno che non dovesse rispondere alla domanda: Che cosa farai adesso che non puoi più cantare? Tanto valeva che le chiedessero cosa avrebbe fatto una volta che le avessero inchiodato il coperchio della bara!
L’abito del tizio dell’atrio era di ottimo taglio e quello che racchiudeva sembrava un fisico degno di qualcosa più di una semplice sbirciatina, senza contare che le labbra sotto alla maschera di velluto nero erano piene e carnose e le mani dell’americano parevano forti e... capaci. Più che un uomo, era un programma.
La musica svanì in sottofondo mentre