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Dal «Paese dei Balocchi» alle borgate: itinerari di formazione. Collodi - De Amicis - Vamba - Pasolini - Bernardini
Dal «Paese dei Balocchi» alle borgate: itinerari di formazione. Collodi - De Amicis - Vamba - Pasolini - Bernardini
Dal «Paese dei Balocchi» alle borgate: itinerari di formazione. Collodi - De Amicis - Vamba - Pasolini - Bernardini
E-book198 pagine2 ore

Dal «Paese dei Balocchi» alle borgate: itinerari di formazione. Collodi - De Amicis - Vamba - Pasolini - Bernardini

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Lo studio di Alberico Guarnieri si propone il compito, rilevante e originale, di individuare un doppio piano di lettura in testi letterari importanti esaminandoli in prospettiva analogico-comparativa (formale-) letteraria che in prospettiva (sostanziale-) pedagogica.
La scelta dei testi e il contesto di lettura, a cui l’Autore volge il suo sguardo, si collocano interamente all’interno dell’ampio ambito di riflessione che conosciamo sotto il titolo
di romanzo di formazione (Bildungsroman). Le figure analizzate, quella simbolica-disfunzionale di Pinocchio o quella normativo-funzionale di Cuore o reale dei Ragazzi di vita di Pasolini o di Pietralata, fanno emergere una rottura strutturale interna al logos pedagogico. Un logos che non si piega più ai canoni positivistici dell’imposizione di saperi, conoscenze e verità sul modello delle scienze dello spiegare largamente assurto, nel contempo, a mezzo e fine nella didattica nelle nostre scuole.
Il recupero di questa complessità antropologica non è questione di apprendimento di più cognizioni, piuttosto questione di esperienza di vita legata a percorsi estetici a cui le nostre scuole non sono affatto preparate, chiuse come sono nella morsa della trasmissione di saperi e sempre più saperi. In questa morsa cognitivistica viene meno la riflessione, l’auto-riflessione, quel percorso di vita che solo rende possibile l’auto-appropriazione di se stessi non solo come scoperta dell’umano che è in noi ma anche come partecipazione umana allo sviluppo di una convivenza sempre più umana. In tutto ciò la razionalità ha un ruolo importante, ma un ruolo ancora più importante lo svolge il cuore (Pascal), perché senza la cura dei sentimenti (senza il cuore) nessun burattino diventa uomo e l’uomo (smembrato della sua parte più sostanziale: l’anima) rischia, facilmente, di trasformarsi in burattino.
LinguaItaliano
Data di uscita4 apr 2016
ISBN9788868224141
Dal «Paese dei Balocchi» alle borgate: itinerari di formazione. Collodi - De Amicis - Vamba - Pasolini - Bernardini

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    Anteprima del libro

    Dal «Paese dei Balocchi» alle borgate - Alberico Guarnieri

    8

    Collana Crocevia

    diretta da

    Aldo Maria Morace

    ALBERICO GUARNIERI

    Dal «Paese dei balocchi»

    alle borgate:

    itinerari di formazione

    Collodi - De Amicis - Vamba

    Pasolini - Bernardini

    Prefazione di Michele Borrelli

    Proprietà letteraria riservata

    © by Pellegrini Editore - Cosenza - Italy

    Edizione eBook 2016

    ISBN: 978-88-6822-414-1

    Via Camposano, 41 - 87100 Cosenza

    Tel. (0984) 795065 - Fax (0984) 792672

    Sito internet: www.pellegrinieditore.com - www.pellegrinilibri.it

    E-mail: info@pellegrinieditore.it

    I diritti di traduzione, memorizzazione elettronica, riproduzione e adattamento totale o parziale, con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche) sono riservati per tutti i Paesi.

    A Emma,

    ai giorni trascorsi,

    ai giorni che verranno.

    Nota introduttiva

    La raccolta di scritti di Alberico Guarnieri si propone il compito, rilevante e originale, di individuare un doppio piano di lettura in testi letterari importanti[1], esaminandoli, cioè, sia in prospettiva analogico-comparativa (formale-) letteraria che in prospettiva (sostanziale-)pedagogica. La scelta dei testi e il contesto di lettura, a cui l’Autore volge il suo sguardo, si collocano interamente all’interno dell’ampio ambito di riflessione che conosciamo sotto il titolo di romanzo di formazione (Bildungsroman).

    Le figure analizzate, quella simbolica-disfunzionale di Pinocchio o quella normativo-funzionale di Cuore o reale dei Ragazzi di vita di Pasolini o di Pietralata, fanno emergere una rottura strutturale interna al logos pedagogico. Un logos che non si piega più ai canoni positivistici dell’imposizione di saperi, conoscenze e verità sul modello delle scienze dello spiegare largamente assurto, nel contempo, a mezzo e fine nella didattica nelle nostre scuole. La domanda pedagogica non si gioca più sulla quantità dei saperi da acquisire, ma sull’esperienza di vita che deve (dovrebbe) strutturare il percorso di formazione dell’uomo. E come l’Autore mette a fuoco, lo scontro tra il comportamento morale (Cuore) e il comportamento immorale (Pinocchio) è uno scontro classico all’interno del logos pedagogico, se si tiene conto che, già per Rousseau, si trattava di educare l’uomo alla vita. Ed è, infatti, il percorso di vita (ciò vale, peraltro, tanto per il romanzo di formazione che per ogni riflessione pedagogica seria e per i testi qui presentati) ad aprire alle analogie e alle comparazioni dell’Autore che ha fatto bene a confrontare la costruzione simbolica con la vita reale di ragazzi di borgata. Analogie e comparazioni che non sfuggono alla dialettica pedagogica classica tra auctoritas e libertas, autonomia ed eteronomia.

    La scuola ha il compito di educare e preparare alla vita? Ma chi decide a quale modello di vita bisogna educare? Dobbiamo permettere a Pinocchio che giochi e consumi il tempo in trastulli e divertimenti di ogni genere o dobbiamo pensare a una sua formazione come preparazione alla vita secondo le regole e i principi della società borghese? Le figure letterarie ripresentate portano il segno di questo conflitto nelle sue antiche e anche radicali lacerazioni. Come sappiamo, il conflitto chiama in causa il concetto stesso di uomo.

    Vogliamo un uomo che costituisca se stesso attraverso percorsi auto-formativi o un uomo costituito da processi di socializzazione imposti socialmente e, quindi, tout court? Come sviluppare l’umano dell’umanità e quali passaggi formativi permetteranno il passaggio da condizioni infantili e adolescenziali a condizioni di presa di coscienza sempre più autonoma, responsabile e moralmente condivisibile? La comparazione dei modelli proposti si dispiega all’interno dello scontro tra educazione socialmente funzionale (Cuore) ed educazione socialmente disfunzionale (Pinocchio), mettendo a nudo la sostanza stessa del logos pedagogico, ossia il contrasto, oggi sempre più acceso, tra educazione e istruzione. E la scuola si dimostrava e si dimostra tuttora, da un lato, istituzione arida di apprendimento che spinge Pinocchio a disertarla e, dall’altro, come una presa rigida e soffocante all’insegna della moralità (Cuore).

    Il conflitto costituisce un nodo fondamentale del pensiero pedagogico: la scuola serve a trasmettere saperi o a preparare alla vita? Se vale l’ipotesi educare alla vita, le figure che l’Autore mette in rilievo presentano un contrasto pedagogico interessante che si risolve nella dialettica istruzione-educazione e che vedono, in ultima analisi, il monello (Pinocchio) trasformarsi in persona responsabile. In fondo Pinocchio è buono e ha cuore. Quel cuore di cui si è fatto carico anche se, in modo diverso, De Amicis e che non manca ai ragazzi pasoliniani (nonostante la violenza) e di Pietralata.

    Il nodo pedagogico si risolve nell’essenza stessa dell’antropologia di cui tutte le figure letterarie e reali qui comparate sono portatrici. L’essenza antropologica di ogni educazione è la complessità stessa dell’uomo, e la figura del ragazzo monello, in modo diverso ma non meno insistente del ragazzo socializzato alle norme sociali, la richiama nella trasgressione come nella presa d’atto della gioia, in presenza del dolore o della morte. La complessità antropologica dell’educazione trova, da sempre, espressione nel concetto di estetica e le figure letterarie che l’indagine comparativa dell’Autore ripropone al pensiero sono tutte figure estetiche. Sia quelle reali che quelle figurativo-simboliche sono figure, sostanzialmente, in carne e ossa. Anche il burattino (come tutte le altre figure letterarie o quelle prese dalla realtà delle borgate) ha sentimenti e soffre e gioisce secondo le situazioni. L’estetica è, non a caso, l’ambito dei sentimenti. E sono i sentimenti a strutturare il senso della vita.

    Quel senso che Collodi, De Amicis, Pasolini hanno cercato di riportare alla luce come tracce di formazione. Ma non è un formare, un puro socializzare, piuttosto un avviare alla presa di coscienza dei propri sentimenti, nel senso freudiano di appropriazione e riappropriazione del (e l’Autore, anche in questo caso, bene ha fatto a rinviare più volte alla psicoanalisi di Freud).

    La riflessione del Bilsungsroman è auto-riflessione, quel percorso di vita che prepara alla vita e che è, allo stesso tempo, sempre già vita (vissuta). Le analogie e comparazioni, che l’Autore degli scritti qui presentati ha portato avanti attraverso tutta una serie di rimandi e riflessioni, non lasciano dubbi sul necessario recupero della dimensione estetica dell’educazione. Nulla togliendo all’importanza dell’ambito dei saperi, l’educazione ai sentimenti gioca, però, un ruolo determinante nella formazione dell’uomo.

    È attraverso i sentimenti che rendiamo possibile a noi stessi e agli altri la conduzione di una vita moralmente condivisa e condivisibile; ed è sempre ancora attraverso i sentimenti che siamo portatori di solidarietà e umanità. L’estetica nulla toglie all’importanza dei saperi, ma come aveva ben visto Kant l’uomo non è solo sapere (Critica della ragion pura); è soprattutto moralità (Critica della ragion pratica) e non da ultimo è estetica (Critica del giudizio).

    Il recupero di questa complessità antropologica non è questione di apprendimento di più cognizioni, piuttosto questione di esperienza di vita legata a percorsi estetici a cui le nostre scuole non sono affatto preparate, chiuse come sono nella morsa della trasmissione di saperi e sempre più saperi.

    In questa morsa cognitivistica viene meno la riflessione, l’auto-riflessione, quel percorso di vita che solo rende possibile l’auto-appropriazione di se stessi non solo come scoperta dell’umano che è in noi ma anche come partecipazione umana allo sviluppo di una convivenza sempre più umana. In tutto ciò la razionalità ha un ruolo importante, ma un ruolo ancora più importante lo svolge il cuore (Pascal), perché senza la cura dei sentimenti (senza il cuore) nessun burattino diventa uomo e l’uomo (smembrato della sua parte più sostanziale: l’anima) rischia, facilmente, di trasformarsi in burattino.

    Michele Borrelli

    [1]De Amicis, Cuore / Un dramma nella scuola; Collodi, Le avventure di Pinocchio; Pasolini, Ragazzi di vita; Bernardini, Un anno a Pietralata; Il Giornalino di Gian Burrasca.

    Capitolo I

    Biblioteche, archivi e altre collezioni

    ne Le avventure di Pinocchio e Cuore

    Nel XXXII capitolo de Le avventure di Pinocchio il protagonista, dopo aver già attraversato una considerevole quantità di vicissitudini iniziate dal momento in cui «Maestro Ciliegia» dona a Geppetto un «pezzo di legno» che, nel suo intento, dovrà trasformarsi in «un bel burattino di legno: ma un burattino meraviglioso, che sappia ballare, tirare di scherma e fare i salti mortali»,[1] viene coinvolto, suo malgrado, in uno scontro con alcuni compagni di scuola, destinato a sortire conseguenze piuttosto drammatiche in quanto, nel corso della contesa, ad uno dei ragazzi è inferta una grave ferita, e la responsabilità dell’incidente è, ingiustamente, addebitata allo stesso Pinocchio.

    Il «Gran combattimento», secondo la definizione umoristicamente altisonante formulata dal narratore poiché, in realtà, si tratta di una comune zuffa fra ragazzini, si svolge su una «spiaggia» poco distante dal luogo in cui era situata la scuola che, da qualche tempo, il burattino sta frequentando con profitto. L’origine di questa, peraltro ancora provvisoria ‘redenzione’ scolastica, è da ricercarsi nel fortuito incontro fra Pinocchio e la Fata nell’«isola delle Api industriose»,[2] circostanza determinante l’ennesimo proposito positivo di abbandonare la vita errabonda fino ad allora condotta, volto a superare l’«infanzia» intesa «come età transitoria, stagione di passaggio dalla puerizia ad una adolescenza che già prelude alla maturità», obiettivo, questo, perseguito dai «racconti per i ragazzi italiani» laddove è presente una tensione costante tra l’essere infantile e il divenire adulto».[3]

    La spiaggia in questione, a detta dei condiscepoli del protagonista, sarebbe stata eletta a suo provvisorio domicilio da «un Pesce-cane, grosso come una montagna», presumibilmente, immagina il burattino, «il medesimo Pesce-cane di quando affogò il […] povero babbo»[4], mentre stava per intraprendere un viaggio a bordo di un’imbarcazione di fortuna, finalizzato alla ricerca del figlio. Cosicché, Pinocchio che, sin dal principio del suo itinerario ha dato «prova vittoriosa della sua umanissima generosità»,[5] accetta di seguire i «compagnacci di scuola», come sono definiti sia dal «maestro» che dalla «buona fata»,[6] sostenuto dalla speranza di ritrovare il padre, al quale, nonostante l’innata tendenza ad infrangere ogni norma, è legato da grande affetto, come si può riscontrare in vari luoghi del romanzo.

    L’arrivo alla meta prefissata coincide, però, con una brutta sorpresa, peraltro del tutto inattesa, consistente in una ritorsione consumata ai danni del burattino proprio da quei «monelli» dei quali si era fidato, a reiterare l’esperienza negativa vissuta qualche tempo prima con il Gatto e la Volpe, scambiati addirittura per esseri salvifici, senza comprendere la reale entità dei loro intenti furfanteschi. Tale errata percezione è imputabile alla «leggerezza» peculiare del «monello, vera ossessione della pedagogia toscana del tempo», che si traduce nell’«incapacità di calcolare la portata e la conseguenza delle proprie azioni: dunque, la tendenza ad accondiscendere senza riflessione agli impulsi profondi del proprio desiderio».[7]

    La rivelazione dell’inganno, allestito invero con grande abilità, avviene tramite un breve ma intenso scambio di battute che ha luogo fra Pinocchio e i suoi interlocutori, fondato sull’espressione della loro insofferenza nei suoi riguardi: tale antipatia è causata dallo zelo manifestato dal burattino nello studio, donde discende la ferita inferta all’«amor proprio» di un manipolo di mediocri, nel cui ritratto, pur se abbozzato appena, si possono cogliere i sensi della ben nota ironia collodiana.

    Una volta apprese le ragioni determinanti una simile messinscena, Pinocchio replica assumendo un atteggiamento improntato da una degnazione talmente marcata da suscitare la reazione dei «compagnacci», dapprima minacciosa, e, subito dopo, violenta:

    In verità mi fate quasi ridere – disse il burattino con una scrollatina di capo.

    Ehi, Pinocchio! – gridò allora il più grande di quei ragazzi andandogli sul viso. – Non venir qui a fare lo smargiasso: non venir qui a far tanto il galletto!... perché se tu non hai paura di noi, neanche noi abbiamo paura di te! Ricordati che tu sei solo e noi siamo sette.

    Sette come i peccati mortali – disse Pinocchio con una gran risata.

    Avete sentito? Ci ha insultati tutti! Ci ha chiamato col nome di peccati mortali!...[8]

    Dalle parole ai fatti il passo è breve: ecco, allora, iniziare una tenzone davvero singolare in quanto combattuta con i «libri di scuola», trasformati, per l’occasione, in «proiettili», dei quali il narratore offre un elenco dettagliato:

    Allora i ragazzi, indispettiti di non potersi misurare col burattino corpo a corpo, pensarono bene di metter mano ai proiettili; e sciolti i fagotti de’ loro libri di scuola, cominciarono a scagliare contro di lui i Sillabari, le Grammatiche, i Giannettini, i Minuzzoli, i Racconti del Thouar, il Pulcino della Baccini e altri libri scolastici.[9]

    La trasformazione del «catalogo della Biblioteca scolastica della casa editrice Paggi» in «un vero e proprio campionario ironico e autoironico della letteratura per l’infanzia dell’Ottocento»,[10] autorizza a «pensare a maliziose riserve di Collodi» a riguardo di questa produzione, così come ha notato René Claude Lachal.[11] Nondimeno, l’intento dell’autore non consiste certamente nel sollevare polemiche astiose dirette contro i suoi colleghi e le loro opere, semmai nel voler accordare a questa ideale biblioteca destinata ai ragazzi un carattere itinerante inteso a privare i libri che la compongono della loro funzione precipua.

    Difatti, sottrarre i testi alla naturale collocazione in polverosi scaffali, portarli su una «spiaggia» piuttosto fuori dell’ordinario in quanto dimora presunta del temibile «Pesce-cane», e residenza effettiva di un improbabile «Granchio» dotato, ad accentuarne la singolarità,[12] di «una vociaccia di trombone infreddato»[13] adoperata dall’animale per richiamare alla ragione quel manipolo di esagitati, nel tentativo di assolvere la medesima «funzione ammonitoria» interpretata all’inizio del romanzo dal Grillo-parlante, ripetizione «di una medesima voce, che al limite potrebbe essere quella dell’autore o, forse più esattamente, di un anonimo soggetto astratto, che è il super-ego morale del racconto»,[14] appare come un’invenzione interessantissima per il

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