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I sopravvissuti della battaglia di Teutoburgo: Storia di un (tribuno) romano  alla ricerca della fede Da Teutoburgo a Cafarnao
I sopravvissuti della battaglia di Teutoburgo: Storia di un (tribuno) romano  alla ricerca della fede Da Teutoburgo a Cafarnao
I sopravvissuti della battaglia di Teutoburgo: Storia di un (tribuno) romano  alla ricerca della fede Da Teutoburgo a Cafarnao
E-book241 pagine3 ore

I sopravvissuti della battaglia di Teutoburgo: Storia di un (tribuno) romano alla ricerca della fede Da Teutoburgo a Cafarnao

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L’autore racconta la storia dell’impero romano sfruttando con genialità tutte le zone d’ombra dei più importanti avvenimenti storici. Lo fa attraverso Appio Claudio Sestilio, un personaggio complesso, ricco di sfumature interiori, capace di distinguersi prima in battaglia e poi in Senato. Appio Claudio, figlio del senatore Appio Giulio, fa parte della XVII^ legione di stanza in Germania che insieme a oltre 25 mila soldati viene spazzata via dai Ceruschi a Teutoburgo. Solo il Tribuno Appio Claudio e pochi uomini delle sue centurie, tra cui due suoi amici centurioni, Caio e Marco, riescono a salvarsi. Il Tribuno durante la battaglia conosce, per le invocazioni fatte dai due centurioni, il Dio degli ebrei. Da quel momento le vicende della vita di Appio si incrociano di continuo con questo Dio.
Ritornato a Roma e nominato senatore condurrà una dura lotta in senato contro Seiano che farà condannare alla pena capitale. Una serie di lutti lo inducono però ad abbandonare Roma per andare alla ricerca dei suoi due amici centurioni. Giunto ad Alessandria, apprende la presenza in Palestina di un nuovo predicatore della dottrina ebraica di nome Gesù, notizia che lo induce ad andare in Giudea.
LinguaItaliano
EditoreKubera
Data di uscita31 mar 2018
ISBN9788894287295
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    I sopravvissuti della battaglia di Teutoburgo - Fernando Fuschetti

    Note

    LA DISFATTA DI TEUTOBURGO

    Appio Claudio Sestilio figlio del Senatore Appio Giulio nasce nell’anno 737 ab Urbe condita (16 a.C.) a Pompei dove la famiglia possiede una domus situata alle pendici del Vesuvio e immersa nella lussureggiante vegetazione di ginestre e lecci. La domus è ricca di affreschi, sui muri del peristilio, che rappresentano scene di caccia e cesti di frutta con i classici colori pompeiani. Al centro del peristilio, nell’impluvium, una bellissima statua di Diana cacciatrice che arricchisce l’ingresso alla casa. Qui la famiglia trascorre gran parte dell’anno, in particolare nei mesi freddi.

    Il padre, senatore Appio Giulio sposato con Lavinia, della stessa famiglia dell’imperatore Augusto, è un uomo di grande cultura e di appassionati studi sulla storia e tradizioni della Grecia.

    Claudio è il primo e unico figlio del senatore. All’epoca è impegnato principalmente nella cura del patrimonio paterno e partecipa con grande passione alla vita politica di Roma essendo un assiduo frequentatore del foro.

    Suo grande amico e maestro è Licinio Valerio, senatore e grande oratore e avvocato difensore nei processi più famosi che vedono patrizi coinvolti nelle più disparate vicende processuali.

    Generalmente in compagnia di Valerio e anche di altri amici partecipa anche alle assemblee dove si discute di politica e di costumi e porta il suo contributo con oratoria ricca di proposte.

    Si fermano spesso a mangiare sulle numerose bancarelle che arricchiscono il contorno del foro e che cucinano le più disparate vivande ricche di spezie profumate e irrorate da vini prelibati.

    Altro luogo di ritrovo suo e dei suoi amici sono le terme dove

    Giulio trova anche l’occasione per trattare affari e vendita dei prodotti delle sue numerose proprietà.

    Spesso ama anche visitare e sostare a lungo in una delle numerose biblioteche di Roma dove si immerge nella lettura dei classici greci e latini per arricchire il suo desiderio di conoscere gli usi e i costumi delle altre civiltà del tempo.

    Anche la sua casa è ricca di testi sui quali passa lunghe ore quando riesce a resistere al richiamo degli amici.

    I suoi maestri di infanzia e di gioventù, entrambi di origine greca, lo hanno avviato alla conoscenza e stimolato ad arricchire continuamente la sua cultura ricordandogli sempre che il sapere fa l’uomo libero e questo è sicuramente la stella polare della sua vita.

    D’altro canto la sua giovinezza coincide anche con il periodo aureo della letteratura latina con i grandi uomini di cultura della scuola di Orazio, re della satira e della lirica, e ancor più Virgilio a cui Giulio si lega apprendendone la poesia che compete con quella greca che gli è così cara.

    I suoi studi riguardano i maggiori autori greci dell’epoca, sono i cultori dell’epica e della poesia come Esiodo e Teocrito e lo stesso Omero.

    Nonostante la sua appartenenza all’aristocrazia romana, Appio è conquistato dalla fazione politica che fa riferimento alla teoria dell’Homus novus[1] di Mario che aveva, sia pure soccombendo, contrastato la teoria di Silla.

    Questa sua scelta gli crea molti nemici che cercano anche di metterlo in difficoltà nella sua vita privata, ma Giulio sa ben districarsi nelle vicende della vita pubblica romana, grazie anche al costante sostegno e insegnamento del padre, senatore molto stimato anche dall’im-peratore.

    Si ritira spesso nella pace nella sua villa a Pompei dove ospita numerosi patrizi romani che come lui amano godere delle cose belle della vita quali le terme, il vino e le donne.

    A Pompei trova sempre la possibilità di partecipare alle

    numerose feste accompagnate da spettacoli del circo che coinvolgono tutti nelle fantastiche ricostruzioni di battaglie o di caccia ad animali esotici.

    Qui Giulio conosce Lavinia, figlia del Senatore Marco Giulio Quirino, una ragazza bellissima capace di domare gli ardori del giovane Giulio che alla fine, pur essendo un giovane gaudente e alieno al matrimonio, cede alle richieste della bella romana e convola a nozze.

    Dopo il matrimonio e la nascita del figlio, Giulio, come da antica tradizione familiare, entra a far parte dell’esercito romano impegnato in questo periodo nelle campagne di ampliamento del confine germanico.

    Lascia la moglie e il figlio e inizia la sua esperienza di militare con la carica di Tribuno della XVII Legione, che con le altre dieci formano l’esercito schierato sul fronte germanico–occidentale agli ordini di Druso.

    In queste terre si combatte con ardore per respingere l’invasione dei Sigambri e delle altre tribù alleate. Dopo le prime vittorie contro queste tribù, inizia il percorso che porterà l’esercito romano, all’ampliamento del confine dell’impero a nord.

    Il Tribuno Giulio dimostra subito di essere un tenace combattente e un trascinatore dei suoi uomini, infatti le centurie a lui assegnate si mettono in evidenza nelle operazioni contro Usipeti [2] e Sigambri [3].

    Di tutte le battaglie che lo vedono coinvolto con le altre legioni la più difficile è quella che avviene nella foresta dei Marsi [4], dove le truppe romane si trovano a combattere in condizioni difficili per le asperità del territorio e perché infilatisi in una stretta gola.

    Giulio combatte con grande furore trascinandosi dietro tutte le sue centurie e contribuendo a disorientare i germani che

    credevano, in un primo tempo, di aver avuto ragione dei romani.

    La forza con cui l’esercito di Druso reagisce finisce per far perdere coraggio ai germani che cominciano ad allontanarsi permettendo a Druso e ai suoi uomini, di costruire due fortini che portano alla sconfitta finale dei germani, trasformando così una probabile disfatta in una grande vittoria.

    Gran parte del merito deve essere ascritto a Druso che ha saputo utilizzare le migliori strategie per respingere e sconfiggere i germani, però un significativo elogio va alla legione di Giulio perché le sue centurie sono state le più valorose nella dura battaglia.

    Per questi successi vengono tributati a Druso gli onori trionfali e Sestilio ritorna a Roma e può indossare il laticlavio di Senatore.

    È molto legato al figliolo che da piccolo è affidato, durante la sua assenza come consuetudine, alla cura della madre. A sette anni inizia la fase di educazione scolastica a opera di un gramaticus[5] molto severo ed esigente.

    Claudio è avviato alla conoscenza del greco e del latino attraverso lo studio degli autori classici con approfondimenti anche di aritmetica.

    A dodici anni con il ritorno del padre viene da questi affidato ad un Rhetor[6] greco che lo affascinerà con lo studio della retorica e della filosofia greca, così come era già avvenuto per Giulio.

    Durante l’adolescenza Appio Claudio con il suo maestro Aristippe si reca in Grecia e visita sia Atene che le altre città più importanti e si ferma a Salonicco dove resta per circa un anno e mezzo.

    Qui viene anche addestrato all’arte della guerra dal cugino del suo maestro che ne cura anche lo sviluppo armonico del corpo nella sua palestra dove vengono allenati anche atleti che partecipano alle olimpiadi che si tengono periodicamente in Grecia.

    Da Salonicco ritornano ad Atene dove il giovane continua nello

    studio delle teorie Aristoteliche, dei poemi omerici e della

    mitologia greca, che lo affascinano tanto.

    La visita del Partenone e degli altri templi dedicati agli dei greci affascinano il giovane Appio allo stesso modo che le discipline e lo studio degli autori greci.

    La bellezza delle statue presenti nei templi e nelle piazze dà al

    giovane Claudio la dimensione del livello di capacità creativa che gli scultori greci hanno raggiunto.

    Ad Atene è ospite della sorella di Aristippe che ha due figli un maschio, Teofilo, e una donna, Elena, molto bella, di cui Claudio si innamora perdutamente.

    Elena è di qualche anno più grande di lui e non si sottrae alle sue attenzioni, anzi le sollecita con grande astuzia e con l’uso disinvolto delle sue grazie. Ed è proprio con Elena che Claudio conosce ed esplora le vie del sesso che non lo lasciano assolutamente indifferente e anzi lo stimolano e lo affascinano.

    Giunge però il momento, dopo circa un altro anno trascorso ad Atene, di ritornare a Roma dove lo attende con grande ansia il padre che vuole verificare quali sono i risultati del percorso educativo che il suo unico figlio ha intrapreso.

    Per il ritorno del figliuolo Giulio organizza una grande festa nella sua domus[7] sul Viminale. Gli ospiti distesi sui triclini, disposti nel giardino della casa, vengono serviti con abbondanti libagioni dai tantissimi servi che si affannano a correre tra gli ospiti e a servire vini prelibati. Ancelle vestite con tuniche che lasciano trasparire le proprie grazie si muovono con destrezza tra gli ospiti arricchendo le tavole con frutta esotica e formaggi di pregio. Tra gli ospiti Appio ritrova gran parte dei suoi amici d’infanzia ai quali racconta, con dovizia di particolari, le avventure dei quasi tre anni trascorsi in Grecia.

    Gli piace però anche discorrere con gli amici del padre, cultori della filosofia e della retorica greca e latina, che trovano il giovane Appio molto agguerrito e pronto nel rispondere a tono ai quesiti che gli vengono posti.

    Il padre ascolta di nascosto questi dialoghi e si rende conto dell’ottimo lavoro che Aristippe ha compiuto con il figlio.

    Nonostante questi aspetti positivi della sua maturazione, Claudio avverte in fondo al proprio animo qualcosa che lo lascia insoddisfatto, come se sentisse la mancanza di un tassello necessario per completare la sua ricerca di verità.

    Forse lo studio della filosofia gli ha stimolato una visione problematica dell’esistenza che lo porta a cercare una risposta continua negli avvenimenti e nelle scelte della vita.

    Entra nell’esercito di Roma sotto l’imperatore Augusto all’età di ventuno anni e sceglie, come aveva fatto suo padre, la XVII legione, di stanza lungo il fiume Reno, confine germanico dell’impero.

    ***

    Dal suo arrivo in Germania Appio Claudio vive tra la fortezza legionaria di Marktbreit[7] lungo il fiume Meno e Maguntiacum[8], dove le Legioni XVII^, XVIII^ e XIX^ sono sotto il comando di Senzio Saturnino.

    Lo sorprende vedere quanta attività c’è nelle vie della fortezza dove uomini e mezzi si muovono in continuazione, con gruppi di legionari fermi a discutere e a parlare animatamente, mentre altri sono impegnati in attività di esercitazione e preparazione alle tattiche di guerra.

    La vita scorre abbastanza tranquilla e Appio Claudio ha tutto il tempo di conoscere i propri uomini e in particolare due dei suoi Centurioni che hanno, tra l’altro, l’alloggio vicino al suo.

    Gli alloggi degli ufficiali sono distribuiti lungo la via principale dove ha anche sede il comando delle legioni.

    I centurioni Marco Valerio e Caio Massimo, pur potendo contare su un alloggio singolo, hanno deciso di stare insieme, e Claudio suole ritrovarsi con loro alla fine della giornata per discutere dei problemi della Legione e dell’organizzazione delle centurie.

    Marco Valerio e Caio Massimo, gli parlano a lungo della difficile situazione ambientale delle legioni

    – Qui siamo costretti a operare su un territorio molto inospitale – lo ammoniscono – e contro popolazioni belligeranti e aggressive.

    L’area occupata è praticamente l’intera parte settentrionale e centrale della Germania con le immense foreste che si estendono ininterrottamente tra i fiumi Elba e Reno.

    Per poter conquistare tutti questi territori ci sono voluti oltre venti anni e tante battaglie ad alcune delle quali i due Centurioni hanno partecipato acquisendo una grande esperienza.

    Il padre di Appio ha parlato al figlio con dovizia di particolari della situazione in Germania, mettendolo in guardia sulle difficoltà che avrebbe incontrato e suggerendogli di prestare molta attenzione a quanto può apprendere da militari che hanno già operato su quel territorio.

    Il confine germanico è da sempre quello che dà maggiori problemi all’esercito di Roma, sia per il territorio, costituito da boschi densi e di difficile attraversamento e da acquitrini e paludi, sia per le intemperanze delle numerose tribù germaniche residenti lungo il Reno e l’Elba.

    È da tempo che Roma tenta di estendere i suoi confini più ad est, spostandoli dal fiume Reno all’Elba, ed è per questo che lo stesso Augusto con il figlio adottivo Tiberio si reca in Germania.

    Occupata l’intera Germania settentrionale e centrale fino all’Elba, manca ormai solo la parte meridionale per completare l’opera di conquista.

    L’ultimo baluardo da abbattere è il potente regno dei Marcomanni di Maroboduo.

    Nel 759 ab Urbe condita (6 d.C.) Tiberio inizia la campagna ritenuta finale.

    Con le sue legioni, compresa la XVII^ di Appio, risalendo il Danubio, si deve congiungere con il resto dell’esercito romano, ma purtroppo cinque giorni prima dell’incontro scoppia la rivolta in Pannonia e Dalmazia.

    Tiberio deve correre con le sue legioni a sedare la rivolta scoppiata in quella zona. La rivolta in Pannonia e Dalmazia dura tre lunghi anni con una serie di battaglie che vedono impegnati

    centinaia di migliaia di uomini dei due schieramenti.

    Intanto le legioni di stanza in Germania ritornano ai propri accampamenti in attesa che si delinei una nuova strategia per la conclusione della campagna germanica.

    Appio con la collaborazione dei due centurioni continua a conoscere gli uomini delle sue coorti, sfruttando la tregua concessa dalla sospensione delle operazioni militari.

    La vita scorre abbastanza tranquilla e Appio non perde occasione per parlare con i nuovi amici della vita di Roma, così diversa da quella degli accampamenti e delle fortezze tedesche, con grande tristezza dei suoi commilitoni, che sono lontani dall’Urbe da molto tempo.

    In particolare Appio descrive con dovizia di particolari i pranzi luculliani che si svolgono nella sua bella domus sul Viminale con la partecipazione di numerose matrone con i loro vestiti sfarzosi che ne mettono in mostra le grazie.

    Questi racconti colpiscono particolarmente la compagnia che sente molto la mancanza delle romane, anche se le germaniche non sono disprezzabili in quanto a bellezza.

    Gli alti gradi del comando delle legioni aspettano con impazienza le decisioni dell’imperatore che deve nominare il nuovo responsabile dell’amministrazione dei territori.

    E così nell’anno 760 ab Urbe condita (7 d.C.) Augusto ritiene opportuno inviare in Germania, per amministrare i territori conquistati nell’ultimo ventennio, Publio Quintilio Varo, uomo a digiuno di qualsiasi formazione militare e con scarse doti diplomatiche.

    La scelta di Varo è fatta proprio perché l’Imperatore ritiene, ma

    a torto, che un uomo con scarsa fama militare possa accelerare l’integrazione dei germani ai costumi e alle leggi di Roma.

    Gli uomini di stanza nei territori non accolgono di buon grado questa nomina. Per loro sarebbe stato molto meglio poter avere un capo che conosca bene le tecniche del comando militare, data la zona particolarmente pericolosa e che sia anche un esperto diplomatico.

    Varo dimostra tutta la sua incompetenza trattando i popoli germani come dei sudditi e non dei provinciali in via di romanizzazione, cosa che fa crescere il rancore nei confronti dell’invasore. I Germani non tollerarono il clima che si sta perpetrando e cominciano a tramare la rivolta, poiché i capi delle tribù tedesche vogliono anche ripristinare il loro vecchio costume rispetto a quello romano.

    Nei primi due anni di comando di Varo alcuni reparti delle legioni sono chiamati a sedare piccole rivolte che fanno salire il livello di tensione e di allerta che però è sempre sottovalutato.

    Appio ha avuto il tempo di conoscere bene le problematiche dei territori, la loro complessa struttura e la estrema pericolosità delle tribù e non condivide, come anche i suoi più stretti collaboratori, il clima di fiducia che Varo dimostra di avere nei confronti dei germanici.

    Un personaggio che attira sospetti per il suo comportamento molto ambiguo è sicuramente Arminio, capo dei Cheruschi, popolo alleato di Roma a cui Varo dà molta fiducia.

    Molte sono le perplessità che anche Appio ha sulla affidabilità di questo cherusco e di suo padre Sigimero e ciò grazie alle informazioni assunte in giro dai suoi uomini. Sono proprio i due centurioni che riportano al tribuno alcuni movimenti sospetti segnalati dai propri uomini che hanno rapporti con donne cherusche.

    Anche a Varo arrivano notizie contro Arminio da un altro cherusco, Segeste, rimasto fedele a Roma che più volte gli suggerisce addirittura di arrestare Arminio e suo padre.

    Testardamente Varo ritiene affidabile Arminio al punto di mettere sotto accusa di fomentare tensione proprio coloro che lo avvisano del pericolo.

    Senza alcuna precauzione pertanto a settembre dell’anno 762 ab Urbe condida (9 d.C.) Varo, come consuetudine, finita la stagione di guerra, decide di portarsi verso i campi invernali, seguendo il percorso abituale attraverso il passo di Doren[9] scendendo il fiume Weser fino ad arrivare ad Halten[10] sul Reno.

    Varo si trasferisce con le tre Legioni di stanza nel nord Germania: la XVII di Appio Claudio, la XVIII^ e la XIX^ oltre a unità ausiliarie per un totale di circa 15.000 legionari e 5.000 ausiliari.

    La lunga colonna, formata oltre che dai legionari da carri con provviste e intere famiglie che seguono l’esercito, si muove attraverso i sentieri appena abbozzati che rallentano molto la velocità di movimento.

    Il percorso lungo e complesso suggerito dagli indigeni sembra

    fatto apposta per poter favorire un’imboscata, ma una tale ipotesi non è presa in considerazione da Varo e dal suo stato maggiore, creando molte perplessità nei tribuni e centurioni, che ben conoscono quelle insidiose terre e i loro abitanti.

    Dopo alcuni giorni di marcia Arminio, che con i suoi uomini scorta la colonna romana, chiede a Varo di potersi allontanare per organizzare le forze alleate che stanno sopraggiungendo.

    Questa mossa mette in ulteriore allarme alcuni tribuni che decidono di far pressione perché si mettano in atto delle precauzioni per essere pronti a ogni evenienza, in particolare consigliano di studiare bene il percorso da compiere.

    Appio Claudio e Marco Valerio, entrambi tribuni della XVII^ legione, decidono di accordo con i loro centurioni di mandare in avanscoperta alcuni uomini.

    Varo, venuto a conoscenza dell’iniziativa la blocca e ordina a tutti di attenersi alle indicazioni di Arminio, ma i Tribuni di nascosto fanno partire egualmente gli uomini.

    Intanto Arminio raggiunge le truppe germaniche nascoste nella selva di Teutoburgo[9] e ne assume il comando per procedere all’attuazione del piano prestabilito di agguato alla colonna romana.

    Gli uomini mandati in avanscoperta dai tribuni e quelli lasciati a

    presidio dei territori sono aggrediti e uccisi dagli uomini di Arminio che hanno così facile gioco nel preparare al meglio l’agguato.

    I romani procedono molto lentamente per la asperità del percorso e per la complessa formazione della colonna. La fitta vegetazione

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