Eneide: Aeneis
Di Virgilio e Andrea Cornalba
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Info su questo ebook
Questo libro contiene il testo latino originario dell'Eneide di Virgilio, preceduto da una privatizzazione e da brevi note.
La vicenda è sicuramente interessante ma va ricordato che si tratta di un poema epico che seppur contiene riferimenti storici comprovati è comunque ricco fantasie poetiche. Del resto il poema è funzionale alla volontà di Augusto e in generale di Roma, di darsi un'origine mitica diversa da quella tirrenica in orbita Etrusca. A tal proposito ricordo che l'imperatore Claudio era un sostenitore dell'origine Tirrena di Roma cosa che negli anni sta prendendo sempre più consistenza.
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Eneide - Virgilio
Virgilio
Eneide
Aeneis
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Indice dei contenuti
Contenuto del libro
Eneide
Autore
Sulle vere origini di Roma e il mito
Eneide
Liber I
Liber II
Liber III
Liber IV
Liber V
Liber VI
Liber VII
Liber VIII
Liber IX
Liber X
Liber XI
Liber XII
Note veloci
GBL eBook
Contenuto del libro
Il libro contiene il testo originale latino della famosa opera di Virgilio che narra la mitica origine di Roma. L’opera è divisa in 12 libri, corrispondenti ai 12 rotoli di papiro su cui era originariamente scritta ed è preceduta da una breve prefazione e da alcune note utili.
Museo di Bologna
Eneide
Aeneis
Publius Vergilius Maro
Publio Virgilio Marone
Testo in Latino
eBook
10
Foro Latino
GBL Grande Biblioteca Latina
Sito web: www.grandebibliotecalatina.com
email: grandebibliotecalatina@gmail.com
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In copertina una copia digitale dell'opera. Enea alla corte di Didone di un ancora sconosvciuto p ittore lombardo anno 1510/1515 circa esposto al Museo Civico di Bologna
http://www.museoborgogna.it/opere/pittore-lombardo/
Autore
Virgilio
Publio Virgilio Marone in latno Publius Vergilius Maro, nasce a Mantova il 16 ottobre del 70 a.C. e muore a Brindisi il 21 settembre del 19 a.C. fu un poeta romano molto famoso autore di tre fra le più importanti opere latine, Le Bucoliche, Le Georgiche ed appunto l’Eneide.
Sul luogo esatto della sua nascita vi sono diverse versioni ma è certo che il padre possedesse una tenuta nell'agro mantovano e che era dedito all’agricoltura. Studiò a Cremona e poi a Napoli, prima di affinare le sue competenze a Roma, dove provò ad esercitare la professione avvocatizia con scarso successo, cosa che lo riporto all'amata Napoli dove, dopo aver ottenuto una certa fama con Le Bucoliche, incontrerà Mecenate, stretto amico dell'imperatore Augusto. Entrato nell'orbita dei protetti da Mecenate, assurgerà a fama imperitura che non lo abbandonerà mai più divenendo sostanzialmente l'esempio da seguire nella letteratura latina e indirettamente per quella italiana essendone uno dei maggiori ispiratori. In vita Virgilio attraversò uno dei periodi più turbolenti della storia Romana con lo scontro tra Cesare e Pompeo, quello dei secondi trionfi contro i cesaricidi e la resa dei conti tra Ottaviano e Marco Antonio, diventerà infine uno degli strumenti di propaganda di Augusto che in sostanza gli chiederà di inserire nell'Eneide I suoi concetti di giusta moralità dei cittadini. Inutile dire che nonostante la forte committenza Virgilio riuscì ad esprimere concetti ben più profondi tanto che non mancherà di influenzare tutta la cristianità, non è un caso che Dante lo usa come guida nella prima parte della sua Divina Commedia. Un'ultima cosa da menzionare è il fatto che pare abbia dato ordine ti distruggere la sua opera più famosa, ovvero l’Eneide prima di morire in quanto era incompiuta e per lui non degna di essere consegnata ad Augusto, per nostra fortuna il suo ordine non venne eseguito permettendo a innumerevoli generazioni di lettori di apprezzare il suo magnifico stile che ha avuto non poca influenza sulla nostra bella lingua italiana. Virgilio morì a Brindisi di ritorno da un viaggio in Grecia, fu sepolto a Napoli e per molti anni venne considerato una sorta di divinità protettrice della città testimoniata da una corposa documentazione storica.
Sulle vere origini di Roma e il mito
Per quanto riguarda la leggenda narrata da Virgilio si deve dire che si tratta per l'appunto di un poema epico e che quindi va letto come tale. Questo non significa che tutto ciò che vi è narrato non possa essere realmente accaduto ma semplicemente che gli eventi sono stati piegati alle necessità narrative che in questo caso sono anche propagandistiche di uno Stato autoritario e di un potere assoluto. In sostanza Augusto volle dare un mitico natale alla città che dominava gran parte del mondo allora conosciuto. Comunque prove archeologiche dimostrano che l'area era già frequentata in tempi molto precedenti alla fondazione della città essendo sostanzialmente uno dei tanti luoghi di commercio tra popoli greci, Latini, ed Etruschi. In seguito l'area finirà sotto il sostanziale controllo Etrusco e vi sono molti storici ed archeologi che parlano di Roma come di una città Etrusca a tutti gli effetti. La questione è dibattuta e controversa perché i Romani furono attenti a cancellare tutti gli indizi che portavano in Etruria in modo poco degno. Si noti che lo stesso Virgilio vantava origini Etrusche e che questo non era cosa rara a Roma, il periodo dei mitici sette Re di Roma mostra una certa alternanza tra Latini ed Etruschi, con quest'ultima componente più propensa ad un dispotismo monarchico rispetto ad una propensione più democratica delle altre componenti etniche. Un altro riferimento agli Etruschi è nella stessa Eneide dove notiamo gli etruschi venire in soccorso dei Troiani, oltre a quel riferimento arcaico che porta a Tarquinia.
Per quanto riguarda la leggenda della componente Troiana, vi sono alcuni scarni indizi che lasciano presupporre qualche possibile interazione tra un gruppo di profughi provenienti dall’Egeo, ma in assenza di prove certe è giusto lasciare sospesa, limitandosi a notare che fu sempre costante la migrazione di popoli ellenici dal Mediterraneo orientale verso quello occidentale, dove si vedono sorgere numerose colonie, soprattutto originarie de Peloponneso nella Magna Grecia, inframmezzate da colonie rivali ma sempre rimandabili alla Grecia propriamente detta, mentre Marsiglia risulta essere colonia Ionica, e non fu la sola, come se, l'area nord occidentale del Mediterraneo, più difficile e pericolosa, forse stata lasciata libera per avventure più temerarie che comunque ebbero una certa fortuna. Tornando alle foci del Tevere, si trattava sicuramente di un luogo strategico ma forse anche di un confine tra mondo Greco ed Etrusco che potrebbe, un giorno, regalarci un arcaica sorpresa che già oggi non risulterebbe incongruente con la datazione dei primi insediamenti su alcuni dei sette colli.
Del resto non sarebbe la prima volta che uno Stato va a ricercare in mitici antenati la legittimità del suo dominio, pratica comune presso le Polis greche, in questo l'Eneide non fa altro che ripetere un'operazione già effettuata precedentemente dai Greci che proprio in quel periodo stavano fortemente influenzando gli usi e costumi della società romana, ormai ben lontana dalla moralità latina del periodo monarchico e repubblicano. Si potrebbe quasi dire che quest'opera volesse ricordare ai Cittadini Romani le loro origini determinate dalla fusione di più componenti etniche italiche e della loro moralità familiare e civile, dove la componente esterna si collega agli eroi omerici di campo troiano quale Ettore ed Enea, ligi al dovere verso la patria e la famiglia. Potremmo concludere dicendo che l'Eneide è a tutti gli effetti più adatta ad educare i giovani Romani rispetto all’audacia, anche spregiudicata, dei due poemi omerici.
Eneide
Aeneis
Publius Vergilius Maro
Publio Virgilio Marone
Testo in Latino
Liber I
Libro 1
Arma virumque cano, Troiae qui primus ab oris
Italiam fato profugus Laviniaque venit
litora, multum ille et terris iactatus et alto
vi superum, saevae memorem Iunonis ob iram,
multa quoque et bello passus, dum conderet urbem
inferretque deos Latio; genus unde Latinum
Albanique patres atque altae moenia Romae.
Musa, mihi causas memora, quo numine laeso
quidve dolens regina deum tot volvere casus
insignem pietate virum, tot adire labores
impulerit. tantaene animis caelestibus irae?
Urbs antiqua fuit (Tyrii tenuere coloni)
Karthago, Italiam contra Tiberinaque longe
ostia, dives opum studiisque asperrima belli,
quam Iuno fertur terris magis omnibus unam
posthabita coluisse Samo. hic illius arma,
hic currus fuit; hoc regnum dea gentibus esse,
si qua fata sinant, iam tum tenditque fovetque.
progeniem sed enim Troiano a sanguine duci
audierat Tyrias olim quae verteret arces;
hinc populum late regem belloque superbum
venturum excidio Libyae; sic volvere Parcas.
id metuens veterisque memor Saturnia belli,
prima quod ad Troiam pro caris gesserat Argis -
necdum etiam causae irarum saevique dolores
exciderant animo; manet alta mente repostum
iudicium Paridis spretaeque iniuria formae
et genus invisum et rapti Ganymedis honores:
his accensa super iactatos aequore toto
Troas, reliquias Danaum atque immitis Achilli,
arcebat longe Latio, multosque per annos
errabant acti fatis maria omnia circum.
tantae molis erat Romanam condere gentem.
Vix e conspectu Siculae telluris in altum
vela dabant laeti et spumas salis aere ruebant,
cum Iuno aeternum servans sub pectore vulnus
haec secum: «mene incepto desistere victam
nec posse Italia Teucrorum avertere regem!
quippe vetor fatis. Pallasne exurere classem
Argivum atque ipsos potuit summergere ponto
unius ob noxam et furias Aiacis Oilei?
ipsa Iovis rapidum iaculata e nubibus ignem
disiecitque rates evertitque aequora ventis,
illum exspirantem transfixo pectore flammas
turbine corripuit scopuloque infixit acuto;
ast ego, quae divum incedo regina Iovisque
et soror et coniunx, una cum gente tot annos
bella gero. et quisquam numen Iunonis adorat
praeterea aut supplex aris imponet honorem?»
Talia flammato secum dea corde volutans
nimborum in patriam, loca feta furentibus Austris,
Aeoliam venit. hic vasto rex Aeolus antro
luctantis ventos tempestatesque sonoras
imperio premit ac vinclis et carcere frenat.
illi indignantes magno cum murmure montis
circum claustra fremunt; celsa sedet Aeolus arce
sceptra tenens mollitque animos et temperat iras.
ni faciat, maria ac terras caelumque profundum
quippe ferant rapidi secum verrantque per auras;
sed pater omnipotens speluncis abdidit atris
hoc metuens molemque et montis insuper altos
imposuit, regemque dedit qui foedere certo
et premere et laxas sciret dare iussus habenas.
ad quem tum Iuno supplex his vocibus usa est:
«Aeole (namque tibi divum pater atque hominum rex
et mulcere dedit fluctus et tollere vento),
gens inimica mihi Tyrrhenum navigat aequor
Ilium in Italiam portans victosque penatis:
incute vim ventis submersasque obrue puppis,
aut age diversos et dissice corpora ponto.
sunt mihi bis septem praestanti corpore Nymphae,
quarum quae forma pulcherrima Deiopea,
conubio iungam stabili propriamque dicabo,
omnis ut tecum meritis pro talibus annos
exigat et pulchra faciat te prole parentem.»
Aeolus haec contra: «tuus, o regina, quid optes
explorare labor; mihi iussa capessere fas est.
tu mihi quodcumque hoc regni, tu sceptra Iovemque
concilias, tu das epulis accumbere divum
nimborumque facis tempestatumque potentem.»
Haec ubi dicta, cavum conversa cuspide montem
impulit in latus; ac venti velut agmine facto,
qua data porta, ruunt et terras turbine perflant.
incubuere mari totumque a sedibus imis
una Eurusque Notusque ruunt creberque procellis
Africus, et vastos volvunt ad litora fluctus.
insequitur clamorque virum stridorque rudentum;
eripiunt subito nubes caelumque diemque
Teucrorum ex oculis; ponto nox incubat atra;
intonuere poli et crebris micat ignibus aether
praesentemque viris intentant omnia mortem.
extemplo Aeneae solvuntur frigore membra;
ingemit et duplicis tendens ad sidera palmas
talia voce refert: «o terque quaterque beati,
quis ante ora patrum Troiae sub moenibus altis
contigit oppetere! o Danaum fortissime gentis
Tydide! mene Iliacis occumbere campis
non potuisse tuaque animam hanc effundere dextra,
saevus ubi Aeacidae telo iacet Hector, ubi ingens
Sarpedon, ubi tot Simois correpta sub undis
scuta virum galeasque et fortia corpora volvit!»
Talia iactanti stridens Aquilone procella
velum adversa ferit, fluctusque ad sidera tollit.
franguntur remi, tum prora avertit et undis
dat latus, insequitur cumulo praeruptus aquae mons.
hi summo in fluctu pendent; his unda dehiscens
terram inter fluctus aperit, furit aestus harenis.
tris Notus abreptas in saxa latentia torquet
(saxa vocant Itali mediis quae in fluctibus Aras,
dorsum immane mari summo), tris Eurus ab alto
in brevia et Syrtis urget, miserabile visu,
inliditque vadis atque aggere cingit harenae.
unam, quae Lycios fidumque vehebat Oronten,
ipsius ante oculos ingens a vertice pontus
in puppim ferit: excutitur pronusque magister
volvitur in caput, ast illam ter fluctus ibidem
torquet agens circum et rapidus vorat aequore vertex.
apparent rari nantes in gurgite vasto,
arma virum tabulaeque et Troia gaza per undas.
iam validam Ilionei navem, iam fortis Achatae,
et qua vectus Abas, et qua grandaevus Aletes,
vicit hiems; laxis laterum compagibus omnes
accipiunt inimicum imbrem rimisque fatiscunt.
Interea magno misceri murmure pontum
emissamque hiemem sensit Neptunus et imis
stagna refusa vadis, graviter commotus, et alto
prospiciens summa placidum caput extulit unda.
disiectam Aeneae toto videt aequore classem,
fluctibus oppressos Troas caelique ruina;
nec latuere doli fratrem Iunonis et irae.
Eurum ad se Zephyrumque vocat, dehinc talia fatur:
«Tantane vos generis tenuit fiducia vestri?
iam caelum terramque meo sine numine, venti,
miscere et tantas audetis tollere moles?
quos ego - sed motos praestat componere fluctus.
post mihi non simili poena commissa luetis.
maturate fugam regique haec dicite vestro:
non illi imperium pelagi saevumque tridentem,
sed mihi sorte datum. tenet ille immania saxa,
vestras, Eure, domos; illa se iactet in aula
Aeolus et clauso ventorum carcere regnet.»
Sic ait, et dicto citius tumida aequora placat
collectasque fugat nubes solemque reducit.
Cymothoe simul et Triton adnixus acuto
detrudunt navis scopulo; levat ipse tridenti
et vastas aperit Syrtis et temperat aequor
atque rotis summas levibus perlabitur undas.
ac veluti magno in populo cum saepe coorta est
seditio saevitque animis ignobile vulgus
iamque faces et saxa volant, furor arma ministrat;
tum, pietate gravem ac meritis si forte virum quem
conspexere, silent arrectisque auribus astant;
ille regit dictis animos et pectora mulcet:
sic cunctus pelagi cecidit fragor, aequora postquam
prospiciens genitor caeloque invectus aperto
flectit equos curruque volans dat lora secundo.
Defessi Aeneadae quae proxima litora cursu
contendunt petere, et Libyae vertuntur ad oras.
est in secessu longo locus: insula portum
efficit obiectu laterum, quibus omnis ab alto
frangitur inque sinus scindit sese unda reductos.
hinc atque hinc vastae rupes geminique minantur
in caelum scopuli, quorum sub vertice late
aequora tuta silent; tum silvis scaena coruscis
desuper, horrentique atrum nemus imminet umbra.
fronte sub adversa scopulis pendentibus antrum;
intus aquae dulces vivoque sedilia saxo,
Nympharum domus. hic fessas non vincula navis
ulla tenent, unco non alligat ancora morsu.
huc septem Aeneas collectis navibus omni
ex numero subit, ac magno telluris amore
egressi optata potiuntur Troes harena
et sale tabentis artus in litore ponunt.
ac primum silici scintillam excudit Achates
succepitque ignem foliis atque arida circum
nutrimenta dedit rapuitque in fomite flammam.
tum Cererem corruptam undis Cerealiaque arma
expediunt fessi rerum, frugesque receptas
et torrere parant flammis et frangere saxo.
Aeneas scopulum interea conscendit, et omnem
prospectum late pelago petit, Anthea si quem
iactatum vento videat Phrygiasque biremis
aut Capyn aut celsis in puppibus arma Caici.
navem in conspectu nullam, tris litore cervos
prospicit errantis; hos tota armenta sequuntur
a tergo et longum per vallis pascitur agmen.
constitit hic arcumque manu celerisque sagittas
corripuit fidus quae tela gerebat Achates,
ductoresque ipsos primum capita alta ferentis
cornibus arboreis sternit, tum vulgus et omnem
miscet agens telis nemora inter frondea turbam;
nec prius absistit quam septem ingentia victor
corpora fundat humi et numerum cum navibus aequet;
hinc portum petit et socios partitur in omnis.
vina bonus quae deinde cadis onerarat Acestes
litore Trinacrio dederatque abeuntibus heros
dividit, et dictis maerentia pectora mulcet:
«O socii (neque enim ignari sumus ante malorum),
o passi graviora, dabit deus his quoque finem.
vos et Scyllaeam rabiem penitusque sonantis
accestis scopulos, vos et Cyclopia saxa
experti: revocate animos maestumque timorem
mittite; forsan et haec olim meminisse iuvabit.
per varios casus, per tot discrimina rerum
tendimus in Latium, sedes ubi fata quietas
ostendunt; illic fas regna resurgere Troiae.
durate, et vosmet rebus servate secundis.»
Talia voce refert curisque ingentibus aeger
spem vultu simulat, premit altum corde dolorem.
illi se praedae accingunt dapibusque futuris:
tergora diripiunt costis et viscera nudant;
pars in frusta secant veribusque trementia figunt,
litore aëna locant alii flammasque ministrant.
tum victu revocant viris, fusique per herbam
implentur veteris Bacchi pinguisque ferinae.
postquam exempta fames epulis mensaeque remotae,
amissos longo socios sermone requirunt,
spemque metumque inter dubii, seu vivere credant
sive extrema pati nec iam exaudire vocatos.
praecipue pius Aeneas nunc acris Oronti,
nunc Amyci casum gemit et crudelia secum
fata Lyci fortemque Gyan fortemque Cloanthum.
Et iam finis erat, cum Iuppiter aethere summo
despiciens mare velivolum terrasque iacentis
litoraque et latos populos, sic vertice caeli
constitit et Libyae defixit lumina regnis.
atque illum talis iactantem pectore curas
tristior et lacrimis oculos suffusa nitentis
adloquitur Venus: «o qui res hominumque deumque
aeternis regis imperiis et fulmine terres,
quid meus Aeneas in te committere tantum,
quid Troes potuere, quibus tot funera passis
cunctus ob Italiam terrarum clauditur orbis?
certe hinc Romanos olim volventibus annis,
hinc fore ductores, revocato a sanguine Teucri,
qui mare, qui terras omnis dicione tenerent,
pollicitus - quae te, genitor, sententia vertit?
hoc equidem occasum Troiae tristisque ruinas
solabar fatis contraria fata rependens;
nunc eadem fortuna viros tot casibus actos
insequitur. quem das finem, rex magne, laborum?
Antenor potuit mediis elapsus Achivis
Illyricos penetrare sinus atque intima tutus
regna Liburnorum et fontem superare Timavi,
unde per ora novem vasto cum murmure montis
it mare proruptum et pelago premit arva sonanti.
hic tamen ille urbem Patavi sedesque locavit
Teucrorum et genti nomen dedit armaque fixit
Troia, nunc placida compostus pace quiescit:
nos, tua progenies, caeli quibus adnuis arcem,
navibus (infandum!) amissis unius ob iram
prodimur atque Italis longe disiungimur oris.
hic pietatis honos? sic nos in sceptra reponis?»
Olli subridens hominum sator atque deorum
vultu, quo caelum tempestatesque serenat,
oscula libavit natae, dehinc talia fatur:
«parce metu, Cytherea, manent immota tuorum
fata tibi; cernes urbem et promissa Lavini
moenia, sublimemque feres ad sidera caeli
magnanimum Aenean; neque me sententia vertit.
hic tibi (fabor enim, quando haec te cura remordet,
longius et volvens fatorum arcana movebo)
bellum ingens geret Italia populosque ferocis
contundet moresque viris et moenia ponet,
tertia dum Latio regnantem viderit aestas
ternaque transierint Rutulis hiberna subactis.
at puer Ascanius, cui nunc cognomen Iulo
additur (Ilus erat, dum res stetit Ilia regno),
triginta magnos volvendis mensibus orbis
imperio explebit, regnumque ab sede Lavini
transferet, et Longam multa vi muniet Albam.
hic iam ter centum totos regnabitur annos
gente sub Hectorea, donec regina sacerdos
Marte gravis geminam partu dabit Ilia prolem.
inde lupae fulvo nutricis tegmine laetus
Romulus excipiet gentem et Mavortia condet
moenia Romanosque suo de nomine dicet.
his ego nec metas rerum nec tempora pono:
imperium sine fine dedi. quin aspera Iuno,
quae mare nunc terrasque metu caelumque fatigat,
consilia in melius referet, mecumque fovebit
Romanos, rerum dominos gentemque togatam.
sic placitum. veniet lustris labentibus aetas
cum domus Assaraci Pthiam clarasque Mycenas
servitio premet ac victis dominabitur Argis.
nascetur pulchra Troianus origine Caesar,
imperium Oceano, famam qui terminet astris,
Iulius, a magno demissum nomen Iulo.
hunc tu olim caelo spoliis Orientis onustum
accipies secura; vocabitur hic quoque votis.
aspera tum positis mitescent saecula bellis:
cana Fides et Vesta, Remo cum fratre Quirinus
iura dabunt; dirae ferro et compagibus artis
claudentur Belli portae; Furor impius intus
saeva sedens super arma et centum vinctus aënis
post tergum nodis fremet horridus ore cruento.»
Haec ait et Maia genitum demittit ab alto,
ut terrae utque novae pateant Karthaginis arces
hospitio Teucris, ne fati nescia Dido
finibus arceret. volat ille per aëra magnum
remigio alarum ac Libyae citus astitit oris.
et iam iussa facit, ponuntque ferocia Poeni
corda volente deo; in primis regina quietum
accipit in Teucros animum mentemque benignam.
At pius Aeneas per noctem plurima volvens,
ut primum lux alma data est, exire locosque
explorare novos, quas vento accesserit oras,
qui teneant (nam inculta videt), hominesne feraene,
quaerere constituit sociisque exacta referre.
classem in convexo nemorum sub rupe