Seduzione ad alta velocità (eLit)
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Info su questo ebook
Serena Scott sa perfettamente che Finn St George sarà per lei un problema con la P maiuscola. È uno dei piloti più veloci al mondo, è affascinante e abituato ad avere qualunque donna ai suoi piedi. Ma, soprattutto, ha sempre fatto di testa sua, infischiandosene delle conseguenze. Adesso però ne ha combinata una di troppo, e anche se questa è l'ultima cosa che vorrebbe fare, Serena non ha alternative: sarà lei a doverlo riportare sulla retta via, per il bene suo e della loro scuderia. Il problema è che, sulla retta via, non è più certa di volerci restare nemmeno Serena...
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Anteprima del libro
Seduzione ad alta velocità (eLit) - Victoria Parker
Immagine di copertina
Depositphotos / mochak
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
The Woman Sent to Tame Him
Harlequin Mills & Boon Modern Romance
© 2014 Victoria Parker
Traduzione di Cristina Proto
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
© 2015 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-3052-816-1
Frontespizio. «Seduzione ad alta velocità» di Parker Victoria1
Monte Carlo, maggio
Attenzione al cuore, care signore: il pilota Lothario Finn St George è tornato tra i ricchi e famosi.
Dopo aver attraccato nel porto di Monaco la sera prima con uno stuolo di bellezze al seguito, Il Più Bello del Mondo ha indossato uno smoking su misura e il suo sorriso da mascalzone e si è pavoneggiato nel Grand Casinò: sfoggiando un fascino carismatico, il sei volte campione del mondo si è fatto strada tra la folla entusiasta, a dispetto degli avvertimenti di Michael Scott, in lotta con gli sponsor che stanno minacciando di ritirare il finanziamento di quaranta milioni di sterline per la squadra.
Finn St George aveva sempre viaggiato sul filo del rasoio, ma negli ultimi tempi si era spinto un po’ troppo oltre per i gusti dei suoi sponsor: solo la settimana prima era stato fotografato con quattro donne in un club di Barcellona.
Anche se, a soli due giorni dall’inaugurazione della gara da parte del principe di Monaco, la spericolata vita sociale di Finn era l’ultimo dei pensieri: se il terzo posto in Australia era stato un fiasco, in Malesia e in Bahrein St George era riuscito faticosamente a strappare una vittoria. Dopo lo spettacolare incidente in Spagna il mese precedente, che non gli aveva permesso di finire la gara, i tifosi lo avevano soprannominato lo sfidante della morte, e aveva anche perso diversi punti.
St George ha veramente smarrito il suo smalto? O il tragico incidente in barca dello scorso settembre, che ha coinvolto il compagno di squadra Tom Scott, lo ha colpito così duramente?
Abituato a dominare la scena, il nostro amato dongiovanni sembra aver bisogno di migliorare la propria condotta. Una cosa è sicura: Monaco attende con il fiato sospeso la grande corsa di domani, ma Michael Scott spera in un miracolo.
Un miracolo...
Serena Scott gettò il giornale spiegazzato sulla scrivania del padre, colpendo il bicchiere; poi gli unici suoni nell’ufficio di lusso sullo yacht furono il respiro corto e il battito del cuore di Serena.
«Nessun miracolo. Per ora» bofonchiò il padre, abbassando il mento per fissarla negli occhi.
Serena ebbe l’inquietante sensazione che, dopo ore di riflessione sul vero motivo della telefonata delle tre di notte che l’aveva svegliata, stava per scoprire esattamente perché era stata buttata giù dal caldo letto di Londra per correre in Costa Azzurra. E se il brivido che le correva lungo la schiena era giusto, non le sarebbe piaciuto.
«Non capisco perché sei preoccupato» mormorò incrociando le braccia sulla maglietta sgualcita color verde mela. «È il solito comportamento di Finn, se vuoi la mia opinione: fraternizzare con dio-sa-chi mentre passa la notte a festeggiare, bere, giocare, ad avere avventure con qualche stellina e a distruggere una macchina per il gran finale. Nulla di strano. Lo sapevi anche due anni fa, quando lo hai ingaggiato.»
«Allora non era così male» fu la risposta ironica. «Non è solo questo. Lui...»
«Lui cosa?»
«Non riesco nemmeno a spiegarlo. Si comporta come se non fosse successo niente, ma è come se desiderasse morire.»
Lei scoppiò in una risata incredula. «Lui non desidera morire. È solo così arrogante da pensare di essere indistruttibile.»
«È più di questo. C’è come... un’ombra su di lui.»
Un’ombra? Il passato tornò a graffiare, riaprendo una ferita. Purtroppo Finn St George le tirava fuori la parte peggiore – fin dalla prima volta in cui l’aveva visto quattro anni prima...
Serena tornò col pensiero a una delle esperienze più umilianti della sua vita. Subito dopo aveva lavorato come ingegnere nella squadra del progettista di automobili di fama mondiale a Londra, e grazie alla sete di pubblicità di Finn, che lei invece detestava, i contatti tra loro erano diventati sporadici.
Fino alla sfortunata occasione della presentazione formale di benvenuto in squadra, quando lui le aveva distrutto ogni difesa, sfoggiando un’espressione di sfida e compiacimento. Uomo odioso. Non aveva bisogno che un Casanova da quattro soldi le ricordasse che non era una femme fatale.
Fin dall’inizio avevano fatto scintille, si erano accapigliati e scontrati, ancora prima che lui le rubasse la cosa più importante del mondo.
«Ascolta» iniziò suo padre, tirandosi il polsino della maglia bianca a collo alto della squadra. «So che voi due non andate molto d’accordo...»
Wow, un vero eufemismo.
«Ma ho bisogno del tuo aiuto qui, Serena.»
Incredula squadrò la figura d’acciaio di Michael Scott, la schiena appoggiata alla poltrona di pelle nera.
Vicino ai cinquanta, l’ex campione di corse le ricordava un attore del cinema, con i capelli brizzolati spettinati a incorniciare una faccia scolpita, più bella di quando era all’apice della carriera. Non esattamente una figura paterna, ma un ottimo amico. Almeno di solito.
«Credi di essere spiritoso, vero?» Era difficile essere ironica con quel nodo in gola. «Perché, lascia che te lo dica, ho più possibilità di essere il peggior incubo di Finn St George che la sua... salvatrice.»
L’idea era ridicola!
Visibilmente demoralizzato, lui scosse la testa. «Lo so. Ma mi stavo chiedendo se eri in grado di farlo aprire. Perché onestamente sono a corto di idee. E di piloti. E di automobili.» Sollevò esasperato il braccio e la penna che teneva in mano volò sopra le pile di scartoffie. «Hai visto l’incidente dello scorso mese? Nessun istinto di conservazione. Il ragazzo sta cercando di uccidersi.»
«Lasciaglielo fare.» Le parole le uscirono di bocca prima che riuscisse a pensare: uno dei tratti del suo carattere non particolarmente positivi che l’avevano messa spesso nei guai...
«Non puoi dire sul serio» rispose lui con un tono brusco di rimprovero.
Lei chiuse gli occhi, cercando di contenere il vortice di emozioni che le si agitava nel petto. No, non diceva sul serio. Quell’uomo poteva non piacerle, ma non voleva che gli capitasse qualcosa di brutto.
«Inoltre mi rifiuto di perdere un altro ragazzo.»
Per la prima volta da quando era arrivata, Serena osservò bene le ombre grigie dietro gli occhi di suo padre e si chiese come stesse affrontando la perdita del suo unico figlio. Si chiese anche se aveva sentito la sua mancanza quando lei se ne era andata. Ma Serena e suo padre non avevano mai approfondito il loro rapporto, così lei aveva soffocato l’amore e il dolore, nascondendoli dietro un muro invisibile che aveva costruito con la forza fiera di una mente giovane.
Sì, lei era il tipo tosto del gruppo. Lei non urlava per le ingiustizie del mondo, era cresciuta come una del gruppo. Non c’era spazio per emozioni o per un sentimentalismo tutto femminile: anche se Tom le aveva lasciato un vuoto nel cuore, doveva reagire come un uomo, tirarsi su, darsi da fare.
Peccato che nella realtà non andasse proprio così. Certi giorni il cuore era così addolorato che riusciva a malapena a far sì che non andasse in pezzi. Non essere ridicola, Serena, puoi tenere il mondo in una mano. Scuotiti!
«A ogni modo, non puoi rimanere a Londra per sempre, giocherellando con il prototipo. Io credo che sia pronto.»
«È pronto. Questa settimana facciamo le prove finali.»
«Bene, perché ho bisogno di te qui. Le prove possono finirle i progettisti.»
Ho bisogno di te. Davvero furbo: sapeva esattamente cosa dire e quando.
«No. Hai bisogno di me per tenere sotto controllo il tuo ragazzaccio, ma io non intendo rivederlo.»
«Non è stata colpa sua, Serena» replicò il padre, esausto.
«È quello che continui a ripetere.»
Finn aveva portato Tom a Singapore a ubriacarsi, tornando poi in prima classe con il suo aereo privato da venti milioni di sterline mentre suo fratello tornava in una bara: di cosa non aveva colpa? Finn lo aveva portato fuori in barca anche se Tom non sapeva nuotare ed era quindi annegato: poteva non avere colpa? Non aveva avuto nemmeno la decenza di partecipare al funerale!
Ma Serena non aveva voglia di riaccendere vecchie discussioni che l’avrebbero solo portata lungo l’impervia strada verso il nulla.
«Così vuoi che... lo perdoni? Lo faccia stare meglio? Io non sto meglio. E allora perché dovrebbe stare meglio lui?»
«Perché questa squadra sta andando male. Vuoi questo?»
Lei sospirò. «Sai che non lo voglio.» La squadra era la sua famiglia. La sua vita. Un’accozzaglia colorata e vibrante di amici e di zii adottivi di cui sentiva la mancanza. Ma l’intera scena le aveva fatto tornare alla mente troppi ricordi che in quel momento non riusciva a sopportare.
«Allora pensa a tutta la situazione. Leggimi le labbra quando dico, per l’ultima volta, che non è stata colpa di Finn. È stato un incidente. Dimentica. Non stai facendo un favore a nessuno continuando a discutere.»
Si pizzicò il naso come per arginare una delle sue terribili emicranie, presa dal senso di colpa.
Lui stava soffrendo. Tutti stavano soffrendo. In silenzio. Dimentica...
Ma perché era così ogni volta che parlavano di quel tragico giorno in cui il telefono aveva squillato nel loro van, lei aveva la brutta sensazione di essere tenuta all’oscuro? E lei odiava il buio.
Per quanto avesse chiesto chiarimenti al padre, lui l’aveva sempre liquidata.
«Tom non vorrebbe vederti così» le disse irritato. «A maledire Finn. Isolata a Londra. Con la testa solo sul lavoro. Hai fatto tutto quello che potevi alla base, è tempo di tornare in campo. Smettila di nasconderti.»
«Io non mi sto nascondendo!»
Lui sbuffò incredulo.
Va bene, forse si stava nascondendo. Per leccarsi le ferite bisogna avere un po’ di tranquillità, ma in effetti la solitudine quanto l’aveva aiutata a guarire?
Chiuse gli occhi. Si sentiva esausta.
Aveva perso suo fratello, il suo migliore amico, e continuava a dimenticare che si aspettavano che lei andasse avanti nonostante tutto. Così era stata allevata: ti serviva una corazza spessa per viaggiare dieci mesi all’anno in compagnia di uomini. Non era il modo migliore per crescere due figli, ma lei aveva veramente amato quella vita.
Guardando gli altri bambini con le loro madri, chiedendosi come sarebbe stato averne una, vivere in una casa normale e andare tutte le mattine in una scuola fatta di mattoni con altri bambini, aveva sempre ricordato a se stessa che la sua vita era eccitante. E se aveva pregato di avere una mamma negli ultimi anni, mentre la sua adolescenza veniva distrutta, lasciandola a pezzi e disorientata, si era confortata al pensiero di avere Tom. Tom era stato la sua roccia.
Ma ora se n’era andato: non c’era nessuno a tenerle la mano