L'Oyster ed i perpetual
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Anteprima del libro
L'Oyster ed i perpetual - Michelangelo Peticca
Michelangelo
Introduzione
Questo è un racconto tratto da una probabile storia vera, quasi tutti gli avvenimenti ed i luoghi citati nel racconto sono accaduti ed esistiti realmente ma i personaggi, i protagonisti e quant'altro sono frutto della fantasia, perché chi non vive di fantasia...non può immaginare la realtà!
Acido, desossiribonucleico o deossiribonucleico, informazioni genetiche, biosintesi, RNA, proteine, molecole, sono solo alcune delle parole che i genetisti usano per descrivere il dna, ma il dna non è altro che un libro, il libro della nostra vita che ognuno di noi custodisce gelosamente nei più remoti angoli del nostro essere, dove c’è scritto chi eravamo, chi siamo e chi saremo, nessuno è in grado di leggere appieno questo libro, scritto in una lingua per molti versi incomprensibile, ma colui che imparerà a leggere questi sacri testi
, molto probabilmente sarà anche in grado di riscrivere il nostro futuro.
Boris
25 gennaio 1995, nave mercantile SS Submariner in transito sull'Oceano Indiano, ad est del Corno d'Africa a circa 270 Km dalla costa Somala in piena notte e nel buio più totale, il mercantile si imbatté in uno strano fenomeno: il mare luminescente.
Il fenomeno si estese per circa 15.500 Km quadrati, dapprima iniziando come una flebile luce che indicava un punto ben preciso del fondo dell'oceano, incutendo timore e nello stesso tempo stupore di tutto l'equipaggio della nave.
Lo stesso capitano Shreder descrisse lo strano fenomeno come se la nave stesse navigando su un campo di neve o scivolando fra le nuvole, in mezzo a quello strano bagliore che si perdeva da orizzonte a orizzonte.
Questo fenomeno se pur bellissimo, incuteva un certo timore all'equipaggio, tanto che il capitano Shreder ordinò a tutto l'equipaggio non necessario di ritirarsi nei propri alloggi, ma solo una persona presente sulla nave non ne era impaurita, anzi sollevata, finalmente era riuscita a trovare quello che cercava da una vita.
Boris, giovane ragazzo venticinquenne, non si trovava sulla Ss Submariner solo per lavorare, ma bensì per saziare quell'impulso di scoprire le sue origini, di colmare il vuoto che avvertiva dentro di se, che fin da quanto ha memoria questo irrefrenabile impulso lo ha spinto a girovagare per il mondo in lungo ed in largo alla ricerca incessante di un qualcosa di indefinito.
Cosa spingeva Boris a cercare qualcosa o qualcuno che nemmeno lui riusciva a definire nei suoi pensieri?
Fin da piccolo Boris è stato sempre un bambino strano, sia per il suo comportamento quanto per l'aspetto, dalle origini sconosciute, figlio di nessuno che è stato adottato più volte da famiglie misericordiose, ma sempre fuggito, sempre alla ricerca dell'ignoto, per inseguire quell'impulso o quelle voci che sentiva solo lui nella sua testa.
Quella strana notte del 25 gennaio del 1995, mentre la SS Submariner attraversava quell'anomalia luminescente, quell'impulso e quel richiamo composto per lo più da sequenze infinite di numeri che spaziavano dall'uno al dodici, tutte quelle combinazioni di numeri dozzinali che Boris sentiva interiormente si fecero molto più marcate, quasi come volessero sopraffare la sua lucidità mentale, tanto che tali voci lo spinsero a uscire sopracoperta, ignorando gli ordini del capitano.
Il suo istinto o la sua curiosità lo spinsero a poppa della nave, affacciandosi all’estremità del natante, dove la scia luminescente che lasciava la nave si fondeva col nero assoluto dell'orizzonte, quando qualcosa di impetuoso echeggiava nella sua testa fece accadere l'indicibile.
Boris tutto d'un tratto si arrampicò sulla ringhiera più estrema e si lasciò cadere verso l'ignoto, attraverso quelle acque gelide dove quella voce che sentiva nella sua testa gli ordinava di andare.
Mentre la Ss Submariner si allontanava inesorabilmente con Boris immerso nelle acque gelide, l'anomalia luminescente iniziava pian piano a ritirarsi, nessuno dell'equipaggio si accorse dell'accaduto, tutti impegnati ad ammirare l'evolversi dell'anomalia e Boris, ormai solo in mezzo a quell'oceano gelido, si rese conto di essersi cacciato in un bel guaio, quell'impulso che lo aveva spinto dentro l'acqua era svanito, le voci che gli tormentavano la mente improvvisamente sparirono, per la prima volta Boris riuscì ad ascoltare il silenzio ed in quel silenzio poté ascoltare lo sciabordio dell'acqua.
Quel gorgoglio iniziò a farsi più intenso, più impetuoso, intorno a lui iniziò a formarsi un qualcosa di simile ad una tromba d'aria solo che era un fenomeno sottomarino, che con impeto e forza iniziò a trascinarlo verso gli abissi.
Boris iniziò a scivolare giù, verso il buio più intenso, attraverso quell'ascensore cilindrico fatto di sola acqua marina, non sentiva più freddo, non si sentivano più rumori, mentre cadeva verso il basso come se attratto da una forza sovrannaturale, nel silenzio più assoluto riusciva ad ascoltare i battiti del proprio cuore, ed ormai lucido di mente e consapevole di quello che gli stava accadendo, senza preoccuparsi della sua sorte, il suo pensiero era per Giaco che era rimasto chiuso nelle stive della Ss Submariner.
Giaco, cane randagio e compagno inseparabile del suo incessante girovagare ormai da quasi un decennio e sempre al suo fianco, ormai separati da quell'abisso gelido entrambi avvertivano paura, lontani l'uno dall’altro si sentivano incompleti, e soprattutto insicuri.
Boris stava arrivando sul fondo dell'abisso a velocità impressionante, sembrava che dovesse schiantarsi ma ad un certo punto si accorse che la sua corsa non finiva in quel punto, bensì il vortice si protrasse anche nel sottosuolo e, cadendo ancora per alcune decine di centinaia di metri si accorse che qualcosa stava cambiando, la caduta verso il baratro iniziò a rallentare copiosamente e senza rendersene conto arrivò alla fine del tunnel, ritrovandosi dentro una strana, ampia e spaziosa camera metallica di circa 80 metri quadrati.
Quel posto bensì dall'aspetto lugubre, era altamente tecnologico, una tecnologia non conosciuta sul pianeta Terra, o almeno, cose che Boris non aveva mai visto, tutto l'ambiente che lo circondava era costituito da uno strano minerale ferroso, dal pavimento alle pareti, quelle che sembravano consolle e strumentazioni, erano collocate in più posti e tutto di colore nero opacizzato, poroso e grezzo al tatto, molto freddo anche se l'ambiente era assurdamente caldo.
Pochissime note di colore spezzavano quell'ambiente tetro e crepuscoloso, non erano altro che strani ideogrammi olografici con cadenza intermittente, di un colore rosso spento, incomprensibili e quasi impercettibili alla vista umana.
Altre strane luci verdi, di un verde molto scuro si muovevano in quello strano posto, tante luci verdi che si muovevano in coppia, come fossero tante paia di occhi, l'ambiente pullulava di queste strane presenze ma Boris non era affatto impaurito, bensì era ammaliato o stupefatto da questa strana situazione, rimase inflessibile quando un paio di questi occhi iniziarono ad avvicinarsi verso di lui senza emettere alcun rumore e quando ormai erano abbastanza vicino a lui, riuscì a vedere in quella semioscuritá uno degli strani esseri che abitavano quella caverna metallica.
Era uno strano animale meccanico fatto dello stesso metallo dell'ambiente in cui si trovava, dalle sue forme ricordava fortemente un granchio della fattispecie granchio reale della grandezza di una testuggine, di forma tozza, più largo che lungo, di forma ellittica e decapode.
Nonostante avesse dieci arti ne usava solo sei per deambulare, due arti situati sulla fronte del granchio meccanico si ergevano come qualcosa di simile a due antenne che fungevano anche da braccia in quanto munite di incomprensibili utensili e strumentazioni alle estremità, altri due piccoli arti molto simili a quelli frontali erano situati sotto l'addome la cui funzione Boris non era in grado di spiegarselo.
Boris stava ancora nello stesso preciso punto in quel luogo dove il vortice lo aveva depositato e mentre il granchio meccanico avvicinatosi ulteriormente a lui quasi sfiorandolo, protrasse le sue antenne irrorandolo con una specie di raggio di colore rosso ed emanando piccoli e quasi impercettibili suoni, nello stesso tempo migliaia di quei strani ideogrammi olografici presero vita ad una velocità di intermittenza impressionante, dando vita a quasi tutta una parete situata al di sopra di enorme consolle piena di strani comandi.
Tutti quei strani simboli presero vita perché le onde cerebrali di Boris erano compatibili con tutta la struttura, come se la struttura avesse un cervello, le onde cerebrali di Boris avevano la stessa lunghezza d'onda e si muovevano quasi con la stessa frequenza delle onde cerebrali di tutti gli abitanti della struttura.
Tutto d'un tratto si intensificò la luce, come se tutto l'insieme avesse riconosciuto il suo ospite, finalmente era possibile per Boris guardare dove si trovava, e notò immediatamente che non si trovava dentro una semplice stanza, o come aveva pensato dall'inizio in una caverna sottomarina, ma aveva tutto l'aspetto di un evoluto laboratorio scientifico, indescrivibile, con cose che non aveva mai visto prima.
Si guardò tutt'intorno e notò che tutte quelle centinaia di lucine verdi non erano altro che decapodi molto simili al mostro che aveva di fronte ma ognuno de loro aveva qualcosa di diverso dagli altri, ognuno di loro era unico, diversi anche in dimensioni, ce ne erano dai piccolissimi grossi come un piccolo ragno, a quelli enormi delle stesse dimensioni dello stesso che aveva di fronte.
Quello stesso granchio emanò un altro fascio di luce in direzione di Boris, questa volta il fascio di luce colpì la sola la sua testa, un fascio di luce molto diverso da quello precedente, di colore verde ed avuto origine dalle luci verdi che erano riconducibili all'apparato visivo della macchina, quel raggio verde gli provocò una dolorosa emicrania tanto da farlo accasciare a terra con le mani che stringevano le sue tempie ma, quando il breve ma intenso dolore svaní gli fu tutto più chiaro, quel fascio di luce riallineò la frequenza delle onde cerebrali di Boris con la frequenza d'onde cerebrali di tutti quei esseri, in pratica Boris da quel momento in poi, riusciva a capire e a comunicare con i decapodi.
A Boris finalmente erano chiare tutte quelle voci confuse che per anni lo avevano tormentato, quell'impulso che lo ha spinto oltre i confini da lui conosciuti non erano altro che il richiamo di questa colonia di decapodi meccanici, quel richiamo molto simile ad un radiofaro che si estendeva per tutto il globo ed oltre, impercettibile per gli esseri umani e per tutte le sue apparecchiature, ma nello stesso tempo molto intenso per Boris.
Ma chi erano questi decapodi meccanici, da dove sono arrivati, ma soprattutto, cosa cercavano in Boris?
Il grande impatto
In un futuro remoto e più precisamente nell'anno 2390, nel centro della galassia conosciuta come Nana Grande Nube di Magellano sistema 16713, c’era un gigantesco sole rosso con 4 pianeti rocciosi ed un pianeta gassoso molto simile a Saturno che vi orbitano intorno, a 500.000 chilometri al di fuori di questo inesplorato sistema solare si manifestò un immenso bagliore seguito da accecanti lampi e, irradiando di luce quell'oscuro fazzoletto di spazio, nel bel mezzo di questa stupefacente singolarità si materializzò una gigantesca astronave dalla forma non convenzionale, enorme quanto un campo di calcio, centinaia di decapodi che vi camminavano sopra intenti a fare apparenti riparazioni, ognuno dei quali occupava un settore diverso, la forma dell'astronave stessa ricordava tanto un gigantesco decapode, molto ma molto simile ai decapodi rinvenuti sulla terra da Boris.
All'interno di quell'astronave denominata Masterspace, c'erano ugualmente centinaia di questi decapodi intenti a fare innumerevoli riparazioni, molto probabilmente per riparare i danni causati da quell'insolito moto di propulsione, ma, non esistevano solo decapodi, infatti sulla Masterspace c'erano altri esseri meccanici dotati di intelligenza propria e, diversi fra di loro ed altrettanto diversi dai decapodi.
Quella gigantesca astronave tutta di colore nero, sembrava che stesse in difficoltà o in avaria per cedimenti su tutta la sua struttura anche se era costruita con uno dei materiali più resistenti dell'universo e, mentre tutti i decapodi superstiti erano intenti a fare riparazioni tutti coordinati come un complesso meccanismo di orologeria dal computer centrale, nella sala comandi il computer elencava su un gigantesco monitor virtuale una ad una tutte le perdite ed i danni subiti dalla Masterspace a causa del burrascoso viaggio.
Con simboli e ideogrammi sconosciuti su quell'immenso monitor virtuale venivavo elencati uno per volta tutti i danni ed i rispettivi tempi di ripristino, le perdite subite, ossia le unità di decapodi andati persi, lo stato strutturale del reattore ad antimateria, lo stato dei loculi ed i parametri vitali dei suoi ospiti.
Sullo sfondo di quel gigantesco monitor virtuale, oltre che agli ideogrammi olografici, era possibile ammirare quasi tutto il panorama che c'era all'esterno, come fosse una gigantesca finestra affacciata nell’oscurità dello spazio, infatti era ben visibile ad occhio nudo una delle più belle meraviglie che neanche l'immaginazione di un sognatore potesse concepire, era ben visibile il gigante gassoso del sistema 16713 e molto più lontano era visibile un immenso buco nero che vorticava su se stesso attirando in se tutto quello che gli orbitava intorno.
Anche le entità meccaniche che si trovavano in sala comandi avevano subito danni ed anche su di loro minuscoli decapodi erano intenti a ripristinare le funzioni primarie dei loro meccanismi.
Il loro leader denominato Mosis, strano automa di concezione umanoide, era in grado di comandare e comunicare con l'astronave attraverso una sorta di telepatia artificiale, tramite onde neurali di cui era dotata L'astronave stessa.
Mosis esteriormente incuteva terrore, fatto della stessa materia di cui era costruito tutto il resto, fatto dello stesso minerale dell'astronave e dei decapodi stessi, alto circa due metri, con una testa che sembrava quella di un diavolo e con due occhi di colore verde quasi fluorescenti, il lungo collo fatto di tubi con componenti mobili che si fondevano nel busto e, dove si fondevano nel busto era visibile uno strano ma flebile bagliore di color arancio.
Gli arti gli conferivano la forma di un umanoide, anche se quelli superiori erano assai lunghi e non avevano delle mani vere e proprie, ma una serie di strumentazioni multifunzione che potevano fungere anche da mani.
Mentre Mosis e gli altri due componenti dell'equipaggio stavano subendo le riparazioni da quei minuscoli decapodi che gli camminavano addosso come fossero