La città tra cinema e pittura
Di Silva Nironi
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Anteprima del libro
La città tra cinema e pittura - Silva Nironi
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INTRODUZIONE
Attraverso un’analisi comparata tra l’opera del regista Wim Wenders e il pittore Edward Hopper, La città tra cinema e pittura cercherà di sviluppare la tematica predominante della loro opera: gli spazi urbani. Vari autori hanno tratteggiato similitudini e reciprocità fra i due artisti e Wenders stesso ha pubblicamente dichiarato il proprio debito verso il pittore americano ma, dato che l’analisi non è mai stata condotta fino alle sue estreme conseguenze, questo testo la approfondisce toccandone i punti salienti e le divaricazioni lungo una delle sue principali direttrici: i nonluoghi dell’urbanizzazione e della contemporaneità, spazi di una transitorietà, sia fisica che esistenziale.
Il rapporto interno/esterno, mediante l’utilizzo di finestre/quinte, svela la relazione tra architettura e condizione umana mentre le concezioni dello spazio dei due autori s’incontrano nel mettere in scena desolazione e solitudine del paesaggio americano, equivalente spaziale di discrepanze interiori, quella vastità che Wenders, pur mostrandosene affascinato, sempre racchiude entro un rigore introspettivo, di matrice europea.
Anche il viaggio è uno dei motivi dominanti dell’intera opera di Wenders e, anzi, è il movimento stesso a fondare il suo concetto di cinema e questo testo sottolinea analogie e differenze relative al tema dell’errare, segno che trascrive spazialmente il disagio dei protagonisti e quello del linguaggio che, se nei film wendersiani è ricerca d’identità, nelle figure contratte e immobili di Hopper, coi loro sguardi protesi al di là delle finestre, diviene desiderio di fuga, dalla città e da sé stessi.
La riflessione sullo spazio e sul tempo parte dalla tematica centrale del film Il cielo sopra Berlino, relativa agli spazi del tempo e al tempo della storia che, nelle varie epoche, ha trovato espressione sia nel cinema che nella pittura, dove sono le peculiarità stesse dei due linguaggi, cinematografico e pittorico, a definire il rapporto spazio-tempo lungo differenti traiettorie.
Silva Marina Nironi ha frequentato l’Accademia di Belle Arti di Bologna e si occupa di arti visive. Ha preso parte a esposizioni collettive e personali in Italia e all’estero e ad eventi multidisciplinari in collaborazione con artisti, scrittori e musicisti.
1. GLI SPAZI URBANI IN WENDERS E HOPPER
1.1 I nonluoghi in Edward Hopper e in Wim Wenders
Nell’America degli anni trenta, all’interno di una corrente regionalista, che in più casi si colorava di accenti nazionalistici e antiavanguardistici, è da collocare l’opera di un artista solitario e schivo, Edward Hopper. Il suo mondo poetico fatto di strade vuote, città anonime, case solitarie è abitato da figure umane immobili. Le periferie sono gli spazi urbani privi di solennità e di eroi che Hopper privilegia decantando l’orrida bellezza
di questo ibrido di stili architettonici, in una sorta di apologia della mediocrità americana.
L’America anonima e impersonale dei sobborghi radunava i difetti sia della metropoli che del microcosmo nostalgico e rurale alla Grant Wood, ma proprio in questo suo essere ordinaria risiedeva, in un certo qual modo, il suo fascino kitsch, dal quale l’artista non era esente e che, anzi, contribuì ad alimentare l’ambiguità e l’originalità della sua poetica. Ambiguità che consisteva, paradossalmente, nel non riuscire ad odiare questo caos di brutte cose
(1) come lui stesso definì il suo paese.
La situazione degli anni Trenta raccoglieva al suo interno sia tendenze artistiche impegnate nella polemica sociale, sia artisti che, con intenzioni critiche, davano grande rilievo agli aspetti quotidiani della vita americana ed è proprio all’interno di quest’ultima compagine che l’opera di Edward Hopper si può annoverare. Tuttavia, egli fu sempre piuttosto scevro e attento a non cadere, stilisticamente, in una rappresentazione caricaturale dell’America come fecero, al contrario, molti artisti coevi dell’American Scene.
Quelli di Hopper sono i suburbi dove, dopo la depressione degli anni trenta, la piccola e media borghesia si trasferisce ed è in questa uniformità culturale che gli anonimi e scialbi personaggi di Hopper mettono in scena le loro esistenze prive di slanci, ma conformi ai dettami dei rotocalchi. All’interno di questa poetica di base, Hopper crea, attraverso una distanza, una posizione voyeristica che lo mantiene sempre al di fuori della scena, una molteplicità di lettura direttamente imparentata alle stratificazioni di senso tipiche dell’astrattismo, sebbene Hopper contrapponga all’invenzione, fondamentale nella pittura astratta, la forza dell’immaginazione.
Ed è attraverso di essa che, come una macchina del tempo, egli registra oggettivamente le mutazioni del paesaggio urbano che, a seguito dell’incremento dell’industrializzazione, ha prodotto una divaricazione tra città e campagna e, di conseguenza, una metamorfosi etica ed estetica dei luoghi. Vi è uno stacco netto, una soluzione di continuità tra la rappresentazione della periferia e quella della città.
Questo cambio di registro, che dalle ariose case dei sobborghi, da quello spazio della memoria, conduce lo spettatore nel chiuso e nel notturno della metropoli, somiglia ad una discesa nell’inconscio. In questa epica del quotidiano quindi, assumono rilevanza quegli spazi urbani che, in questi ultimi anni, l'etnologo Marc Augè ha poi ridefinito come nonluoghi, spazi in cui nulla si può leggere né della propria identità, né del rapporto con gli altri e dove vuoto e libertà convivono in conflittuale sintesi. Una libertà che riporta alla mente le parole dello scrittore Peter Handke: gli uomini sono liberi come i posti a sedere
.(2)
Stanze d’albergo impersonali e fredde, squallidi interni di uffici, bar notturni e stazioni di rifornimento sono i luoghi comuni del paesaggio americano che rivelano la psicologia di chi vi transita. I colori di Hopper, quando si sofferma su questi paesaggi cittadini, sono tersi e abbaglianti, ormai completamente privi di quel tonalismo, basato sui chiaroscuri, utilizzato dall’artista negli anni della sua formazione.
Egli decise di abbandonare la pittura tonale soprattutto in seguito al lungo e incisivo soggiorno parigino, dal quale rimase fortemente affascinato. Entrare in contatto con l’opera degli impressionisti e con la loro analisi del colore e della luce, fu di fondamentale importanza per l’artista, essendo anch’egli profondamente coinvolto in questo tipo di ricerca espressiva e formale.
Il periodo parigino e l’incontro con la pittura francese alleggerì il suo sguardo dalla precedente pesantezza chiaroscurale alla Rembrandt, dando nuova linfa vitale anche alla sua opera successiva.
Fu attraverso la dolcezza della luce dell’Ile de France e della Normandia che si riconciliò, in quel periodo, con la vita, come ebbe modo di osservare il poeta e critico Yves Bonnefoy in un suo