Ricordi di un giovane ufficiale dei bersaglieri. Dalla guerra di Spagna, a Tobruk, El Alamein, la prigionia fino alla Liberazione
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Anteprima del libro
Ricordi di un giovane ufficiale dei bersaglieri. Dalla guerra di Spagna, a Tobruk, El Alamein, la prigionia fino alla Liberazione - Fulvio Augusto Marcoz
9788899735906
Nota del curatore
Oggi, finalmente, possiamo sfogliare il vecchio diario
di quelle lontane conversazioni in veste di libro e ritrovare il sottile fascino di quelle serate.
Era rimasto dimenticato per tanto tempo, dopo l’improvvisa morte del vecchio generale, quando la figlia, che aveva curato la regia di quelle lunghe sedute, ha ripreso in mano lo spesso quaderno nero e con amore, attenzione e perseveranza ha riletto, corretto, riordinato il testo aggiungendo fotografie, che solo lei poteva avere, fino a portarlo nella versione attuale.
Senza la sua intelligente determinazione e il suo amore filiale non si sarebbe arrivati alla conclusione; quindi a lei, che non vuole apparire, andrebbe dato il merito del risultato finale di quella lontana fatica che rischiava di restare nascosta e quindi parzialmente inutile.
F.A. M.
I. Ricordi di prigionia. Tunisia (maggio 1943 – maggio 1945)
Premessa
Il generale, ormai quasi novantenne, e il suo interlocutore, ben più giovane, anche se non giovanissimo, si incontravano a cena due volte la settimana a casa della figlia. Il generale, di statura superiore alla media, conservava intatto il suo bel portamento, lo sguardo diritto, la voce ben impostata, solo qualche difficoltà di udito, che peraltro nascondeva. Si spostava con i mezzi pubblici e aveva sempre qualche commento da fare sui passeggeri che incontrava, su ciò che vedeva, su ciò che leggeva, alternando curiosità a prudenza.
Ormai alle cene erano solo loro tre da quando le nipoti del generale, divenute autonome, erano andate a vivere da sole. La più grande era negli Stati Uniti, come ricercatrice, e la seconda viveva con degli amici. Per quanto fossero sempre presenti nelle cronache della madre, mancavano le fresche esposizioni dei loro progetti, dei loro desideri e gli adulti rimasti soli erano più riflessivi. Una casa senza giovani, si sa, favorisce i ricordi.
Così, dopo cena, mentre la figlia riordinava, i due uomini conversavano da soli. Gli argomenti del giorno si esaurivano in fretta e i due interlocutori si ritrovavano sovente a parlare – per la curiosità del più giovane e per una necessità del generale – delle sue esperienze di guerra e di prigionia.
Il generale aveva una memoria straordinaria. Era un affabulatore nato, dotato della capacità di raccontare gli eventi come se fossero accaduti il giorno prima, in modo asciutto, senza fronzoli o divagazioni, attento a narrare gli accadimenti con un linguaggio che rifletteva la lunga abitudine ai resoconti militari. Ne nasceva una prosa da documento ufficiale, in cui gli eventi erano sempre ordinati secondo il tempo degli accadimenti, le persone citate con precisione, nome, qualifica e attitudini militari. Come prevedibile, i commenti erano ridottissimi e riservati per un indistinto dopo e le emozioni tendevano a essere rimosse.
Lo aiutava in questo l’interlocutore: buon ascoltatore, curioso e interessato alla realtà di quelle storie di vita
, affascinato da quella memoria così intatta, dalla capacità di ripetere i racconti ripartendo dalle stesse parole, nello stesso modo, con la stessa intonazione di voce, come solamente i narratori di razza sanno fare. Gli episodi, ripetuti sempre uguali a se stessi, assumevano così una dimensione mitica
, come quei ricordi familiari condivisi e rivissuti nelle riunioni dei parenti.
Sull’entusiasmo della continuità una sera il più giovane disse: «Ho comprato un quaderno, con la copertina nera e le pagine bianche e, da oggi, prendo appunti per avere un racconto completo e ordinato degli eventi come fossero un diario. Poi ne potremo riparlare e discutere».
Il vecchio generale, incuriosito e forse un poco lusingato, accettò il gioco e cominciò a raccontare, mentre le serate trascorrevano più rapide.
Il primo racconto risale al 31 maggio 2001, quando il più giovane, ormai intervistatore, disse: «Prendiamo una data fatidica, non so, l’8 settembre del ’43 per esempio. Lei dov’era in quel giorno così importante per i soldati italiani?».
Quelle che seguono sono quindi le trascrizioni delle sedute serali in cui il narratore seguiva il flusso dei ricordi come venivano, con l’inserimento di alcune considerazioni o precisazioni richieste da chi trascriveva.
Per il più giovane si apriva così una stagione, sulla scorta di quelle forse mai chiuse del più anziano. Una parziale sovrapposizione dei fili generazionali dell’unica matassa della storia umana. Sovrapposizione che è l’anima del libro e che si è voluta difendere nell’impostazione editoriale: un parziale conforto all’inesorabile scorrere del tempo che tutti accomuna.
Ogni racconto o sessione
è dunque contrassegnato da due date: quella del giorno o periodo del passato cui il ricordo si riferisce e quella del giorno del racconto, richiamata in nota. Si è voluto così mettere in relazione, sull’asse dei tempi, due serie di punti, quelli del racconto e quelli dei ricordi: da un lato il generale e il suo intervistatore, dall’altro ancora il generale da giovane e una folla di altre persone, i compagni d’armi e i nemici incontrati in prigionia, tutte sullo sfondo, spesso indistinte, talvolta precise, che riaffioravano dai ricordi collegate al tempo e agli eventi raccontati, a chi li raccontava come a chi li ascoltava. Alcune di queste persone suscitavano altri ricordi, di tempi precedenti o successivi a quello specifico della storia narrata, creando nuove connessioni temporali e spaziali che insieme facevano emergere una rete complessa di eventi-ricordi costituenti un sottoinsieme della memoria complessiva del narratore.
Gli incontri andarono avanti per diversi mesi fino alla fine del racconto della prigionia. Un rapporto particolare si era andato stabilendo tra i due. Infatti, poco per volta, il gioco diventò un compito
, quasi un dovere che li impegnava in modo sottile, complesso e diverso per ciascuno di loro. Il generale, per carattere più diretto e abituato al comando, spesso, quando l’altro lo accompagnava a casa in macchina, lo interrogava sul senso di questo rimembrare, forse per sottolineare la stravaganza di tutto quello sforzo. La volta successiva tuttavia arrivava con nuovi ricordi, con fotografie o altro materiale di quel periodo, abbandonato nei cassetti e ricercato per l’occasione.
Di seguito sono trascritte le sessioni come narrate, con i nomi delle persone, le date e i luoghi come tornavano in mente al momento della narrazione. Non c’è stata ricerca di esattezza perché è sembrato più importante privilegiare la memoria piuttosto che la precisione storica. Talvolta ci sono riferimenti a episodi e ricordi di altri periodi, anche molto recenti, che si è preferito lasciare come testimonianza dello sviluppo del racconto orale. L’esito ci è parso affascinante per la sua vivacità, anche se i toni di voce, le canzoni cantate, la modulazione dell’umore del narratore, l’interloquire dello scrivente sono andati in gran parte perduti nella trascrizione. Il lettore saprà scusare queste imperfezioni, inesattezze e imprecisioni.
F.A. M.
1. 6 settembre 1943 (Conversazione del 31 maggio 2001)
Quanto segue risponde alla richiesta di raccontare dove e cosa
fosse successo al protagonista in occasione del giorno fatidico dell’8 settembre, quando i soldati italiani si trovarono in grossa difficoltà a causa dell’inaspettato armistizio.
Eravamo prigionieri, internati nel campo di concentramento di Chanzy, a sud di Sidi bel Abbes (posto più noto come centro di reclutamento della Legione Straniera). La mattina del 6 settembre fummo prelevati, tre o quattromila ufficiali italiani, e portati con autocarri scoperti a Orano, che distava circa settanta chilometri. Sulle banchine erano ancorate delle navi USA tipo Liberty, che avrebbero dovuto portarci in Texas, in attesa della fine della guerra.
A bordo venimmo accolti da una piacevole sorpresa. Fummo alloggiati in cabine da otto o dieci cuccette e, dopo le notti passate sulla sabbia, stesi sopra un bandone ondulato, dormimmo finalmente come dei cristiani. La mattina successiva fu ancora più piacevole. Ci venne servito del caffè americano con vero pane bianco in cassetta, marmellata e uova al tegamino con bacon. Ci sembrava di sognare.
Da circa un anno e mezzo, prima e durante la prigionia, la razione giornaliera consisteva in una scatoletta di carne, due gallette, due litri d’acqua; la mattina, caffè con pane. A volte ci veniva fornito anche un limone e qualche apprezzata cipolla, che mangiavamo cruda. Ricordo che nel periodo della ritirata in Tunisia, per assumere qualche vitamina, mangiavamo le fave fresche, raccogliendole direttamente nei campi.
La colite e le infezioni intestinali erano il maggiore tormento. Si alternavano in continuazione: una settimana di diarrea e una di stitichezza. I gabinetti erano organizzati in modo spartano, un fosso con delle tavole di legno messe di traverso. Quando eravamo particolarmente malati ci passavamo tutta la notte. Durante il periodo di prigionia la situazione era ovviamente peggiorata, ma anche prima le cose non erano allegre.
Durante la seconda notte, la notte dell’8 settembre, la radio trasmise il comunicato dell’avvenuto armistizio. Alcuni erano contenti, altri piangevano. Cominciò in quel momento la divisione tra noi prigionieri che, fino ad allora, eravamo stati invece solidali. Io stesso piansi ed era la prima volta nella mia vita di adulto.
Al mattino successivo, evidentemente a fronte di nuovi ordini, ci fecero scendere per portarci di nuovo a Chanzy, dove ricominciò la vita di sempre.
2. La resa (Conversazione del 12 giugno 2001)
Il racconto che segue riprende il filo del discorso a partire dal giorno della resa delle truppe italiane e tedesche in Tunisia.
Il 13 maggio 1943, per ordine del