S.a.l.i.g.i.a.
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Anteprima del libro
S.a.l.i.g.i.a. - Mattia Poddie
libro?
I
«Pronto?»
«Mamma! Un milione! Un milione Cristo!»
«Aspetta, non capisco… Che cosa significa?»
«Hai capito bene! Ho raggiunto il milione… di copie!»
«Mio Dio Matthew, sono così felice… »
«Sai cosa vuol dire, vero?»
Catherine non fece in tempo a rispondere. Il pensiero che presto si sarebbe tramutato in parola le rimase in gola, strozzato come se un cappio invisibile lo avvolgesse, non permettendogli di uscire.
«Diventerò schifosamente ricco! Ricco mamma! Non ci posso credere, il mio primo libro diventerà un best seller!»
«Matthew, non ho parole, sono così fiera di te… »
«Finalmente lascerò quello stupido lavoro in fabbrica e manderò tutti a quel paese… Oh, vedrai come me ne andrò. So già cosa dire a quel coglione del mio capo, nessuno sfuggirà alle mie parole!»
Catherine, dall’altra parte della cornetta, provava una gioia smisurata per il recente successo che stava investendo come un fiume in piena il proprio figlio, tuttavia era conscia che presto avrebbe dovuto placare quel suo impeto di euforia.
«Nemmeno Dio sa cosa dirò a Gregor, a John, e a quella testa di cazzo di Simon Sullivan! Mi vedo già, lì sulla… »
«Matthew».
«Sì?»
«Stavo per chiamarti io, prima che lo facessi tu».
«Ah, be’, l’ho fatto prima io, hai visto! Oltre ad essere un grande scrittore, ho anche un tempismo perfetto!»
«È morto il nonno Fergus. Probabilmente un infarto... Tuo padre è appena partito per Eindhoven».
Per un istante un silenzio interminabile intercorse tra i due capi della cornetta. Il respiro intriso di dolore di Catherine raggiunse Matthew, che nel frattempo era scivolato sul suo divano di finta pelle, fissando il soffitto e guardando il mondo al contrario.
«Matthew, dì qualcosa… Era tuo nonno! Il padre di tuo padre! Sangue del tuo sangue!»
«Lo so, cosa credi. Io, ad ogni modo non ci ho avuto quasi mai a che fare, era lontano, e in più mi ha sempre trattato di merda!»
«Ma che dici! Era sempre tuo nonno! Certo, aveva la sua visione della vita, ma sono sicura che ti volesse un gran bene. Tu non sai quanti sacrifici ha compiuto per farci vivere dignitosamente, i suoi sforzi hanno aiutato anche te Matt! Per favore chiama tuo padre… »
«No! Non lo farò! E grazie per aver gettato alle ortiche la mia felicità! Ora se vuoi scusarmi, devo pensare a firmare le copertine dei miei libri, ciao mamma».
«Matthew!»
Il giovane lanciò il telefono sul divano. Il dispositivo rimbalzò sulla morbida superfice e scomparve oltre le tende che davano sull’anonimo paesaggio di Milverton road, prima che l’effetto elastico del cavo lo facesse tornare indietro.
Subito dopo fu distratto dall’irritante musichetta che la lavatrice emetteva al termine del proprio ciclo di lavaggio e, infuriato, si precipitò nel piccolo antro adibito a lavanderia.
Con ancora le mani infilate nell’umido oblò, il trillo del telefono riecheggiò di nuovo nel piccolo monolocale.
«Merda! E chi cazzo è adesso?» imprecò, scaraventando i panni lavati sul pavimento.
«Pronto?»
«Matthew! Sono Giuly, come va tesoro? Ho saputo che il tuo libro si appresta a sfiorare il milione di copie vendute!»
«Sì, e allora?»
«Be’, sono molto felice per te! E stavo pensando anche a una cosa… »
Giuly era un’attraente trentenne di Glasgow che aveva frequentato l’istituto superiore nella stessa classe di Matthew, e che ora era impiegata nella reception della fabbrica dove lavorava anche lui. Prima che il giovane venisse investito dal successo non si era mai degnata di rivolgergli lo sguardo; non tanto perché il suo aspetto fisico fosse poco appetibile – infatti lo stesso Matthew poteva vantare diversi anni di militanza nelle giovanili dei Celtic di Glasgow, ed il suo fisico era sempre rimasto asciutto e scolpito anche dopo il brutto infortunio al ginocchio che sancì anzitempo la fine della sua carriera –, bensì perché il giovane, ai tempi della scuola, era entrato in un giro di amicizie che avrebbe scoraggiato qualsiasi ragazza normale con l’intento di avvicinarsi.
Faceva infatti parte di una banda chiamata le Aquile di Glasgow
, le cui attività serali e notturne erano volte a provocare risse da bar e tafferugli vari. Sfortuna volle che la notte del 15 Gennaio 1985, in un esclusivo club di Glasgow, e in circostanze del tutto misteriose, Gaëlle Tolland, una ballerina del club, perse la vita, con il cranio sfondato e segni evidenti di molestie. Nel parapiglia generale tutti i membri della banda, sotto l’effetto di stupefacenti, furono arrestati ed interrogati e un’indagine fu avviata. Ci vollero otto mesi per identificare il colpevole di quel crimine. Le poche ma schiaccianti prove in possesso degli inquirenti portarono ad un giovane: Carl Kidman, che fu dichiarato colpevole, ed il caso chiuso. Tuttavia un alone di mistero avvolgeva ancora la tragica morte della giovane, anche dopo due anni.
Matthew preferiva non parlare di quello che era accaduto quella sera. Lui, come gli altri, aveva ricordi oltremodo vaghi e confusi, che si limitavano alla faccia da fanciullo di Cliff, il barman, e all’odore dei cespugli nei quali era stato trovato dalla polizia il giorno dopo.
Conosceva bene Carl e, non appena l’amico fu incarcerato, aveva deciso di cambiare vita, ricacciando i demoni di quella brutta esperienza all’interno della sua anima.
Una volta terminato il processo, nell’estate del 1985, Matthew si era tirato fuori dal giro e aveva confidato a Lisa che erano alcuni mesi che stava lavorando in gran segreto alla stesura del suo primo romanzo. In tempi brevissimi terminò la prima bozza, e già dopo otto mesi le buste contenenti il prezioso manoscritto erano state spedite alle svariate case editrici. Ciò che aveva scritto era un thriller poliziesco ispirato alla natura dell’uomo, a tutto ciò che immaginava guidasse la mente umana in certe situazioni, alla sua debolezza.
Cercando la tranquillità in se stesso aveva scritto una storia che conteneva tutta la sua incoscienza, studiata fin nei minimi dettagli, e che sapeva rapire le persone, trasportarle all’interno di essa, infondendo, come se lo vivessero in prima persona, il freddo alito della morte e la sensazione di essere impotenti dinanzi agli eventi. Terminato il libro, aveva anche deciso di troncare definitivamente con Lisa, unico suo aggancio con quel mondo infettato, e dove il loro rapporto, fatto di alti e bassi, non aveva di certo impedito al suo ego smisurato di farsi spazio tra i vari club e incontri segreti. Sentiva di aver tra le mani la storia che lo avrebbe reso celebre, e voleva gustarsela in tutta libertà, senza vincoli. Non che ne avesse mai avuti.
Danny Zieker, il protagonista della sua storia, era in un certo senso, e per certi versi, una distorsione irreale del suo pensiero, un’appendice che collegava due mondi altrimenti inavvicinabili. E che talvolta sembrava voler esprimere le sue sensazioni, i suoi pensieri a colui che lo muoveva come una marionetta in quel profondo fiume di concetti sovrastato da un cielo scuro di segreti.
La casa editrice Newave writing, una realtà internazionale che poteva contare dalla sua un’imponente campagna pubblicitaria e d’immagine, aveva accettato di pubblicare la storia di Matthew, rimanendo oltremodo colpita dalla chiarezza dei dettagli e della trama, che esaltava tutte le peculiarità dei migliori psyco–thriller polizieschi, nonché un appetitoso potenziale per una futura pellicola da sala cinematografica.
Dopo la firma del contratto, che peraltro prevedeva una misera remunerazione in termini economici per l’autore, Matthew non aveva neanche lontanamente immaginato che le copie del suo romanzo avrebbero in breve tempo infranto il muro delle centinaia di migliaia di unità. I frutti di quella brutta storia, della sua dedizione nella scrittura, dell’aiuto di pochi – ma buoni – amici, e dell’imponente pubblicità ad opera della casa editrice, convogliarono nella decisione di mettere la testa a posto, di tagliare con il passato. In breve tempo i termini del contratto cambiarono, le ristampe del libro si susseguirono a un ritmo forsennato, e anche i privilegi dell’autore si modificarono in positivo.
Tutto di guadagnato per Matt. Il successo era ormai una cosa accertata, e Giuly si era avvicinata a lui percependo il suo cambiamento. La ragazza, dai capelli color rame e dagli occhi marini, alcuni mesi prima, aveva deciso di rompere quel muro fatto di pregiudizi, eretto negli anni passati. E Matt ricordava bene il giorno che chiese il numero del telefono.
Era un giorno come un altro, e il turno di lavoro nella fabbrica di pezzi meccanici di Giffnock stava per volgere al termine. Giuly si trovava dietro il bancone della reception, affiancata dalla collega Igrid, una signora prossima alla pensione, che le avrebbe lasciato in eredità le redini della non certo impegnativa incombenza di aprire e chiudere il cancello d’ingresso, e della compilazione dei moduli per la registrazione dei fornitori che regolarmente facevano visita in azienda.
Matthew apparve una volta che le porte dell’ascensore si furono aperte, e il profumo del suo bagnoschiuma all’essenza di pino silvestre raggiunse il suo piccolo naso alla francese quasi immediatamente.
«Ciao Matt», esordì lei, scostandosi da davanti gli occhi una ciocca di capelli.
Lui non rispose, si limitò ad abbozzare un sorriso forzato.
Giuly l’osservò mentre si lasciava alle spalle quel mondo fatto di rumorosi macchinari e puzza di metallo bruciato, ed entrava nel parcheggio. Così uscì di corsa dalla reception e lo chiamò mentre stava per salire sulla sua piccola utilitaria rossa.
«Ehi Matt!» urlò.
«Cosa vuoi?» rispose lui, scagliando con violenza la borsa con le scodelle sporche del pranzo all’interno dell’Opel rossa.
«Sai, mi chiedevo… Sì, insomma… Ti andrebbe di lasciarmi il tuo numero di telefono?» si scostò sempre la stessa ciocca di capelli dietro l’orecchio.
Matthew scandì ad alta voce le cifre che componevano il suo numero, poi si girò e avviò il motore della macchina. In pochi istanti fu davanti alla sbarra, che Igrid prontamente alzò premendo il pulsante, e che con un cenno della mano salutò mentre s’immetteva nella carreggiata.
«E che cosa avresti pensato? Sentiamo», chiese spazientito Matthew, finendo di raccattare i panni lavati dal pavimento.
«Niente, pensavo che, se ti può fare piacere, potrei cucinare qualcosa per stasera e… » fu interrotta dalla voce del ragazzo, che da dentro l’asciugatrice pareva distorcersi e riecheggiare come in una gola rocciosa.
«Cioè dovrei venire da te? È questo che vuoi dirmi?»
«Sì, esatto. Sono già diversi mesi che ci frequentiamo e, siccome abbiamo sempre e solo mangiato fuori, pensavo che variare un po'… »
«Vieni qui, subito», e riagganciò la chiamata.
Giuly rimase per qualche secondo ad ascoltare il tu tu della linea telefonica ormai sprofondata nel nulla.
«Che stronzo», sussurrò riagganciando con veemenza la cornetta sull’apposita base.
II
Il citofono suonò un paio di volte prima che Matthew aprisse gli occhi, ritornando in quel mondo in cui era immerso e che talvolta lo soffocava, opprimendolo. Erano anni che aveva smesso con la cocaina, ed era stata dura per lui ammettere a se stesso che l’astinenza dalla nivea polvere bianca avesse richiesto più energie di quello che avrebbe mai immaginato. La scrittura, per esempio, era stata una valida amica, un sostegno per superare quei momenti difficili. Per sfuggire a quella pressione, allo stress, oltre ad alcuni farmaci per l’ansia, il più delle volte tirava fuori dalla palla di pezza sul tavolo del soggiorno un sacchettino contente un po’ di quell’erba che tanto lo faceva felice. Era l’unico appiglio al mondo che aveva abbandonato. Aveva deciso di mantenere solo quello.
Spense il mozzicone nel posacenere a forma di stadio che gli aveva regalato Lisa, la sua precedente fidanzata, e scrutò da sotto le sopracciglia aggrottate la lettera che aveva trovato sotto l’uscio della porta alcuni minuti prima. Poi ancora il citofono. Si alzò barcollando.
«Giuly? Sei tu?» disse con una voce alterata.
«Sì, sono io».
«Sali».
Pochi istanti più tardi la ragazza era davanti al pianerottolo del monolocale di Matthew. I tre piani di scale che aveva affrontato di corsa le avevano fatto venire il fiatone, e rimase alcuni secondi in attesa prima che Matt si degnasse di aprire la porta.
Si presentò in boxer, null’altro. Una birra nella mano e gli occhi leggermente velati di rosso.
«Be’, che fai lì? Entra».
«Sì, ovviamente».
Giuly era sempre imbarazzata quando si trovava davanti a lui. L’attrazione verso quel ragazzo dalla cattive abitudini era sbocciata fin da subito e, benché fosse solo trentenne, sentiva che era destinata ad aumentare sempre più. Anche il fatto che avesse tratto dalla lettura del suo libro una forte spinta emotiva aveva contribuito al suo avvicinamento, e non a caso era solita chiedere delucidazioni riguardo certe situazioni presenti nel romanzo, anche con una certa insistenza. Si considerava la sua fan numero uno.
Così entrò nel piccolo monolocale e subito l’odore della marijuana s’insinuò nel suo naso.
«Ma Matt, mi avevi promesso che avresti smesso!»
«Che cazzo vuoi? Sto affrontando un periodo piuttosto stressante».
La ragazza si precipitò verso le piccole finestre e le spalancò, Matthew la fissava con gli occhi socchiusi.
«Ma si può sapere che cazzo ti passa per la testa? Non vedi che sono in mutande? Vuoi farmi prendere una polmonite? Ti rendi conto che è novembre?»
«Volevo solo far cambiare un po’ l’aria, non si respira qui dentro, e comunque potresti sempre vestirti, tanto per cominciare».
«Non me ne frega un cazzo, chiudi quella merda di finestra!» Giuly si era subito accorta che l’effetto che l’erba aveva avuto sul suo ragazzo era tutto il contrario del rilassamento, quindi eseguì l’ordine senza battere ciglio. Poi con la tipica espressione di chi portava il broncio, lo raggiunse sul divano–letto.
«Perché mi tratti sempre male? Cosa ti ho fatto?»
«Semplicemente perché io non sto tutto il giorno a sollevare una sbarra. Io mi sbatto per tutto il turno di lavoro, io torno a casa e mi dedico ai miei manoscritti, io mi sorbisco le lamentele di gente come te. E ora dimmi, Giuly, non dovrei essere nervoso?» mentre discorreva su quell’elenco di cose,