Il diavolo non abita qui
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Il diavolo non abita qui - Giorgio Simoni
Giorgio Simoni
IL DIAVOLO NON ABITA QUI
Prima Edizione Ebook 2020 © Damster Edizioni, Modena
ISBN: 9788868104085
Immagine di copertina su licenza
Adobestock.com
Damster Edizioni è un marchio editoriale
Edizioni del Loggione S.r.l.
Via Piave, 60 - 41121 Modena
http://www.damster.it e-mail: damster@damster.it
Il nostro catalogo completo lo trovi su
www.librisumisura.it
Giorgio Simoni
IL DIAVOLO
NON ABITA QUI
Romanzo
INDICE
Prefazione
Nota
Personaggi
Prologo
1 – Prima il dopo
Prima parte
2 – Larderello
3 – La fabbrica sul lago
4 – Il perforatore
5 – Il sopralluogo
6 – La caccia
7 – Lago Boracifero
8 – Le Zuccantine
9 – L’ambasciata
10 – La reazione di Fusini
11 – Il ministro
12 – Il barbiere
13 – Vi devo delle spiegazioni
14 – L’invito a casa Thibault
15 – Ricercato
16 – Incontro casuale
Seconda parte
17 – La spifferata
18 – La verifica
19 – Il consenso
20 – I Regi Carabinieri
21 – La cena
22 – L’agguato
23 – Prime considerazioni
24 – Un funerale tormentato
25 – L’ultimo saluto
26 – Visita notturna
27 – Mattina dubbiosa
28 – Loretta
29 – Arriva Luise
30 – In lontananza
Epilogo
31 – Prima della fine
32 – La fine
33 – Dopo la fine
RINGRAZIAMENTI
L’AUTORE
CATALOGO
A Diego e Corinna
Un battito eterno nell’oltre…
Come tutti gli uomini grandi aveva una grande ombra.
E quando questa, per la sera imminente, si fece lunga,
sembrò dovesse sopraffare l’uomo.
Federigo G.C.
Prefazione
Inserire una prefazione in un romanzo di genere Mistery
come "Il Diavolo non abita qui" è certamente inusuale.
Per affrontare la lettura di un racconto di fantasia, non dovrebbero servire chiarimenti, approfondimenti storici, curiosità, aneddoti o altre informazioni.
Tuttavia, la storia in questione, anche se completamente immaginata, si sviluppa in un contesto storico realmente esistito e per sua natura così particolare da porsi il dubbio se svelarlo o meno al lettore.
Dunque i contenuti storici e fotografici oggetto delle prossime pagine si prefiggono di dimostrare al lettore che gli ambienti, i luoghi e le attività descritti si ispirano a una ben documentata realtà storica.
Il Lettore che volesse preservare intatto l’imprinting col romanzo può saltare queste pagine, per posticiparne la lettura a racconto ultimato… a Voi la scelta.
Dove ci troviamo
Tutto è accaduto, e sta ancora accadendo, nel luogo dove s’incontrano le mediane del triangolo toscano. Là, nel punto d’equilibrio di questa mite, laboriosa e preziosa regione italica, c’è da sempre un luogo magico chiamato La valle del Diavolo
.
Lontano dalle blasonate città capoluogo, protetto da ettari di boschi e incastonato nelle colline metallifere, pulsa il cuore caldo della Toscana. Un immenso crogiuolo sotterraneo che respira e sbuffa umori vaporosi provenienti dalle viscere della Terra.
Un luogo dove l’intraprendenza e l’ingegnosità dell’uomo hanno trovato e trovano da sempre materia per confrontarsi. E se agli albori, il mistero della fabbrica di nuvole
si alimentava di leggende mirabolanti infarcite di diavoli e streghe, col progredire del pensiero e delle tecniche ogni arcano è stato svelato. La sfida tecnologica per godere al meglio dell’energia naturale sprigionata in questi luoghi è ancora aperta e questo rende Larderello e le altre località geotermiche ambienti unici e affascinanti.
Le manifestazioni naturali e la geologia
Fig.1 - Lagone naturale nel parco di Sasso Pisano
La chiamano anomalia termica
: il movimento del magma che dal nucleo del pianeta risale fino agli strati superficiali della crosta terrestre. Il calore emanato dal fluido incandescente, dalla profondità di circa novemila metri, si propaga attraverso strati di rocce impermeabili raggiungendone altri, più superficiali, di natura permeabile. L’irregolarità di questi strati consente all’acqua meteorica di penetrare in profondità e, una volta surriscaldata dalle rocce calde, di trasformarsi nel vapore endogeno che va a occupare i vuoti naturali. Le sacche di vapore, una volta formatesi, sono trattenute nel sottosuolo da ulteriori strati di rocce impermeabili presenti in superficie. Nei punti in cui le rocce permeabili riescono ad affiorare, avviene il fenomeno dei lagoni e delle fumarole
(Fig. 1). Incamminarsi lungo i percorsi naturalistici, allestiti nei parchi dei lagoni, tra le fumarole ancora esistenti, è un’esperienza sensoriale da non perdere; un viaggio al limite del fiabesco che sembra preludere alla porta dell’Inferno. Il suolo assume le colorazioni ocra e rossicce del terreno riarso. L’acqua fumante che vi scorre è pesante, ferrigna, s’insinua tra le rocce fangose e i profondi crepacci. Densi vapori scaturiscono dalle crepe del terreno e i laghetti ricolmi di una poltiglia opalescente gorgogliano vigorosi. L’elemento più piacevole a vedersi sono le croste chiare, disseminate di creste gialle e verdastre che si formano attorno alle putizze
come leziosi merletti da ricamo.
È sopra a queste terre, solo apparentemente inospitali che, sin dagli albori dell’umanità, sono iniziati i primi insediamenti umani.
Il termalismo e gli impianti termali
Fig. 2 - Veduta dell’impianto Termale del Bagno a Morbo, nei pressi di Larderello. Anno 1900.
Il Bagno a Morbo
(Fig. 2) è un antico impianto termale le cui origini si possono far risalire con certezza al periodo etrusco e romano. Questo grazie alla testimonianza offerta dalla Tabula Peutingeriana
- carta militare redatta nel III secolo d.C. raffigurante l’Impero Romano - dove compare con il primitivo nome di Aquae Volaterranae
, affiancato all’altro impianto termale nominato Aquae Populoniae
tornato alla luce grazie a uno scavo archeologico effettuato nei pressi del paese di Sasso Pisano. Il Bagno a Morbo
sul finire del Quattrocento, acquisisce una grande rilevanza nella Signoria Fiorentina grazie all’interesse di Lorenzo de’ Medici che, sofferente di gotta, ogni estate vi soggiorna con il governo al seguito per curarsi con le miracolose proprietà di queste acque termali. L’impianto, dopo aver subito importanti ristrutturazioni negli ultimi anni dell’Ottocento, ha cessato la propria attività negli anni Settanta del Novecento.
I Sali di Allume, Vetriolo, Nitro Volterrano e Zolfo e la scoperta dell’acido borico
L’attività termale non è la sola risorsa messa a disposizione dai lagoni geotermici. Nelle loro acque gorgoglianti sono disciolte generose quantità di sali minerali quali: l’allume, il vetriolo, il nitro volterrano e lo zolfo. Queste sostanze, già utilizzate dagli stessi Etruschi e Romani per vetrificare le porcellane e tinteggiare le stoffe, nell’epoca medioevale e comunale acquistano un’importanza notevole, dimostrata dai cospicui scambi che compaiono nei libri di gabella
dei dazi volterrani dell’epoca.
Ma il vero inizio della storia industriale e sociale della Valle del Diavolo
avviene con la scoperta dell’acido borico nelle acque dei lagoni.
Hubert Franz Hoefer, nato a Colonia nel 1728, dopo aver conseguito il diploma di speziale, nel 1765 giunge a Firenze al seguito del granduca Pietro Leopoldo d’Asburgo-Lorena. Dall’inizio degli anni Settanta si dedica, oltre al suo lavoro di speziale, all’analisi chimica delle acque della Toscana. Il risultato che gli darà la notorietà è certamente la scoperta dell’esistenza dell’acido borico naturale nelle acque del lagone Cerchiaio a Monterotondo Marittimo (a sud dell’attuale Larderello). L’acido borico era stato scoperto nel 1702 da G. Homberg, (da cui il nome di sale sedativo di Homberg). La scoperta, oltre al valore scientifico, ha anche un notevole interesse economico; l’importazione del borace, molto utile in alcune lavorazioni industriali (saldatura, ceramica, lenti di precisione, vetreria, farmaceutica, ecc.) è costosissima in quanto il minerale, al tempo, era reperibile solo in Tibet col nome di Tinkal.
Negli stessi anni un altro grande uomo
studia il fenomeno delle fumarole: è Paolo Mascagni. Nato a Pomarance da famiglia agiata. Laureato in filosofia e medicina dal 1778, diviene uno dei più grandi anatomisti e fisiologi di tutti i tempi. Dopo numerose ricerche sull’anatomia umana, è il primo a rivelare le strutture dei vasi linfatici del corpo umano. Ma oltre alla predilezione per gli studi medici, dimostra interesse anche per il fenomeno dei lagoni e, seguendo la strada della morfologia cristallografica, conferma la presenza dell’acido borico. Il Mascagni nei Commentari
descrive anche le tecniche di estrazione per il possibile utilizzo industriale del sale sedativo
.
Sulla scorta delle esperienze del Mascagni, i primi tentativi industriali per estrarre i sali di borace hanno un andamento burrascoso. Vista la dislocazione dei Lagoni
in aree distanti le une dalle altre, le concessioni di sfruttamento vengono assegnate a diverse imprese di pionieri. Dopo vari tentativi falliti e alcune dispute risolte solo nelle aule dei tribunali, - la più significativa e controversa è quella tra il chimico livornese Giuseppe Guerrazzi e François Jacques Larderel - inizia lo sfruttamento industriale delle acque boriche. Nel 1818 dopo essersi aggiudicato le concessioni dei Lagoni di Montecerboli, François Larderel, un commerciante originario del Delfinato trasferitosi a Livorno nel 1799 seguendo le conquiste di Napoleone, impianta una fabbrica nei pressi di Montecerboli e, grazie alla tenacia e alle capacità imprenditoriali, amplia l’impresa costruendo altre fabbriche a Castelnuovo Val di Cecina, Sasso Pisano, Serrazzano, Lustignano e Monterotondo Marittimo (Fig. 3). Nei pressi del Lago Boracifero installa due fabbriche: Sant’Edoardo (Fig. 4) e Lago Boracifero (Fig. 5), mentre una terza, San Federigo, di proprietà della ditta Durval, dopo numerose dispute giudiziarie, verrà acquisita nei primi anni del Novecento.
Fig. 3 - Veduta della zona delle Biancane e della fabbrica di Monterotondo Marittimo. Anno 1910
Fig. 4 - Veduta Panoramica del Lago Boracifero, con al centro la fabbrica di Sant’Edoardo e in alto la Villa di Vecchienne. Anno 1917
Fig. 5 - Veduta della fabbrica del Lago Boracifero. Anno 1917
L’invenzione di nuove tecnologie per l’estrazione dell’acido borico, negli anni, permette un incremento continuo della produzione. È il caso del lagone coperto
che viene introdotto nel 1828. Tale tecnica prevede la costruzione di una cupola in muratura che, avvolgendo completamente la putizza, va a captarne il vapore, in modo da incanalarlo sotto alle caldaie di evaporazione per sfruttarne il calore. L’interruzione dell’uso della legna da ardere per scaldare le caldaie rende notevolmente più economica la produzione. Nel 1835 si passa alla perforazione artesiana (Fig. 11) che agli inizi era eseguita con sistemi del tutto manuali. La nuova tecnica consente di reperire vapore nelle vicinanze di altre putizze per crearne di nuove artificiali. Nel 1842 vengono installate le caldaie Adriane
(Fig. 9) - così chiamate dal nome del loro ideatore Adriano De Larderel, figlio di Francesco, che con il loro sistema a cascata, abbreviano moltissimo il processo di evaporazione. Si giunge così al 1846, anno in cui l’allora Granduca Leopoldo II, riconosce a Francesco Larderel il titolo di Conte di Montecerboli. È da questo momento che il cognome di Francesco si fregia del De
nobiliare. Inoltre, alla fabbrica sorta presso Montecerboli il Granduca assegna il nome di Larderello
(Fig. 6) in onore del suo creatore.
Fig. 6 - Veduta di Larderello. Anno 1900
Fig. 7 - Veduta della Piazza Leopolda di Larderello, sullo sfondo
la Caserma dei Regi Carabinieri. Anno 1902
Fig. 8 - A destra veduta del Palazzo De Larderel, a sinistra la colonna con L’aquila donata all’esposizione internazionale di Parigi nel 1855. Sullo sfondo il fabbricato detto il Ringhierone
. Anno 1906: Convegno Internazionale di Chimica.
Fig. 9 - Piazza di Larderello, particolare del foro San Francesco e delle Caldaie Adriane per l’essiccazione dell’acqua borica. Anno 1906.
L’anno 1870 vede l’entrata sul mercato del borace proveniente dallo sfruttamento dei giacimenti boraciferi californiani scoperti nella Death Valley. Questi si avvalgono di tecnologie più avanzate e di prezzi assai più economici di quelli offerti dall’impianto toscano, determinano una grave crisi nell’impresa boracifera. Il Conte Florestano, nipote del capostipite Francesco, si rende conto che mantenendo le tecniche tradizionali non può contrastare la concorrenza estera. A risolvere la situazione arriva il brillante genero, il Principe Piero Ginori Conti (1865-1939), che mette in campo le sue non comuni qualità imprenditoriali. Ginori comprende che l’azienda può essere salvata solo con l’innovazione e la diversificazione dell’offerta. Per riuscire in quest’impresa intuisce l’importanza di investire sulla ricerca, per questo dà inizio a una collaborazione tra l’impresa e l’Università. Stringe quindi rapporti di stretta collaborazione con scienziati e tecnici italiani; fra questi Raffaello Nasini (1854-1931), allora docente di chimica all’Università di Padova, che lo sostiene nei suoi studi sull’utilizzo dei soffioni boraciferi, e il dottor Ferdinando Raynaut, nato a Nizza e arrivato nel 1884 col ruolo di direttore tecnico dell’industria boracifera. Le sperimentazioni di Raynaut permettono nel 1895 la messa in marcia della prima raffineria dell’acido borico da potersi definire moderna
e concorrenziale con le tecnologie americane
. Un altro grande risultato del Raynaut sono gli esperimenti sull’uso diretto del vapore come fonte di energia meccanica. Nel 1897 riesce ad azionare una ruota palettata alimentata direttamente col vapore di un soffione chiamato Foro Forte
(Fig. 10), dimostrando così che il vapore dei soffioni, una volta incanalato, può arrivare a una pressione superiore a quella atmosferica senza disperdersi per altre vie nel sottosuolo. Grazie alle sue sperimentazioni, si costruisce la prima caldaia tubolare della potenza di 8 CV alimentata da fluido endogeno e si adibisce all’azionamento di macchine operatrici quali: molini, centrifughe e agitatori per gli impianti chimici. Vengono realizzati importanti miglioramenti tecnologici. Si inizia a utilizzare il vapore per azionare argani e pompe a cavallino progettate e costruite appositamente. Così si facilitano le operazioni di perforazione del terreno, permettendo di raggiungere profondità maggiori e getti di vapore sempre più potenti. Col progredire dell’impiantistica, la produzione e gli scambi commerciali si incrementano. La gamma dei prodotti derivati dal borace e dalle sostanze ammoniacali si amplia in maniera considerevole, facendo acquistare fama internazionale all’industria chimica di Larderello. Questi sono gli anni nei quali la ricerca del vapore - che fino a quel momento era concentrata solo nelle vicinanze delle manifestazioni naturali – con l’utilizzo di impianti di trivellazione tecnicamente sempre più perfezionati, viene estesa a tutta la regione boracifera.
Fig. 10 - Esplosione foro Forte. Anno 1897
Fig. 11 -Lavori durante la perforazione di un pozzo. Anno 1908.
Se nel 1899 il direttore Raynaut non fosse stato ucciso in un agguato perpetrato da ignoti, sarebbe riuscito a concludere le sue sperimentazioni sull’energia termodinamica dei soffioni, applicandole alle macchine elettriche.
L’utilizzo del vapore geotermico per la produzione di energia elettrica
A proseguire le applicazioni di Raynaut, nel 1902 è chiamato l’ing. Fabaro, già direttore delle Reali Saline di Volterra. Il principe Piero Ginori Conti, coadiuvato dall’ing. Fabaro e da numerosi operai, specialisti, ingegneri e chimici di Larderello, nel 1904 sperimenta l’accensione di cinque lampade a incandescenza, alimentate da una dinamo spinta da un motore a vapore. Così facendo, apre alla Larderello
l’era dell’energia elettrica.
Con il reperimento di maggior vapore nel 1905 viene installato un motore di tipo Cail
da 40 CV a una dinamo di 20 kW, che dimostra la possibilità di produrre corrente elettrica in quantità. Nei primi anni del Novecento, anche grazie alla genialità dell’ing. Bringhenti, la produzione geotermoelettrica di Larderello raggiunge una potenza installata di 126.800 kW. Nel 1944, durante la Seconda Guerra Mondiale, prima i bombardamenti alleati, poi la distruzione di rappresaglia dei tedeschi in fuga distruggono completamente gli impianti industriali di Larderello e solo grazie al Piano Marshall
, attorno al 1950, avviene la ricostruzione. Nel 1955 fa parallelo la centrale Larderello 3
, a quel tempo la più moderna e potente centrale geotermoelettrica al mondo.
Nel 1959, la ricerca geotermica si estende alle pendici del Monte Amiata, dove vengono scoperti i campi produttivi di Bagnore e di Piancastagnaio, che garantiscono ulteriore sviluppo all’azienda elettrica.
Gli anni Sessanta sono gli anni delle nazionalizzazioni, la Larderello
, dopo l’ingresso delle Ferrovie dello Stato avvenuto negli anni Trenta, viene definitivamente assorbita dall’ENEL per le attività elettriche e dall’ENI per le attività chimiche.
La ricerca della risorsa da parte dell’ENEL ad ogni modo prosegue e nel 1971 la poderosa eruzione di vapore presso il pozzo Travale 22
, che sarà ribattezzato Il soffionissimo
, sancirà il progressivo sviluppo dell’area geotermica di Radicondoli, Travale e Montieri.
Conclusioni
Attualmente l’industria geotermica costituisce un grande patrimonio della regione Toscana, non solo dal punto di vista energetico, ma anche da quello economico, turistico e culturale. Dunque la Toscana si contraddistingue come lo scrigno di un sapere tecnologico e ambientale che qui è nato e da qui è stato esportato nel mondo. Oggi la società Enel Green Power gestisce la gran parte della risorsa geotermica Toscana e si distingue come centro di eccellenza per lo sviluppo delle energie da fonte rinnovabile, con risultati innovativi e incoraggianti, che vedono sperimentare sistemi ibridi tra fonti rinnovabili diverse. La gestione della risorsa geotermica permette oggi, dopo anni di sviluppo tecnologico e ambientale, di risparmiare oltre un milione di tonnellate annue equivalenti di petrolio. Consente minori emissioni di anidride carbonica per oltre tre milioni e mezzo di tonnellate, garantisce il riscaldamento ambienti di novemilacinquecento famiglie residenti nei comuni dalle terre calde e cede il calore necessario