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La storia Eur: Dalla preistoria ai giorni nostri
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E-book424 pagine4 ore

La storia Eur: Dalla preistoria ai giorni nostri

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Info su questo ebook

Dove oggi sorgono i grattacieli, si nascondono tracce di vita dell’Età del Ferro. Nella Riserva di Decima, vive l’uomo di Neanderthal. Nel Medioevo e poi nel Rinascimento l’Eurè un rifugio da Roma.
Nel castello della Cecchignola, Benedetto Pamphili apre le danze del Seicento frequentando “stravaganti compagnie” poco consone alla disciplina di un cardinale. Fra le discusse costruzioni del Laurentino 38, nel 1832 la duchessa di Sermoneta va a caccia di reperti archeologici.
Ma per cominciare a guardare all’Eur così com’è oggi, bisogna aspettare il 28 aprile 1937. Mussolini scava una buca per piantare un pino: è questo l’inizio dei lavori per l’Esposizione Universale del 1942, che non si farà mai. Il laghetto, il Palazzo della Civiltà italiana, o il Palazzo dei Congressi non ci sono ancora, al loro posto solo un terreno brullo. Ma di lì a poco sorgerà il quartiere, ideale prosecuzione di Roma verso il mare di Ostia.
Il cinema diventa protagonista, usando come scenario le architetture metafisiche dell’Eur, quinta ideale per Federico Fellini, per Gian Maria Volontè e Gianfranco Rosi, per Paolo Sorrentino.
Insieme alla bellezza c’è anche la cronaca. Le Brigate Rosse e i familiari di Piero Costa; i sommozzatori che cercano il corpo di Emanuela Orlandi nelle acque del laghetto; la famigerata Banda della Magliana.
La Storia dell’Eurè un libro appassionante che ripercorre gli eventi e racconta i protagonisti che hanno reso epico il quartiere.
LinguaItaliano
Data di uscita5 lug 2021
ISBN9788836260591
La storia Eur: Dalla preistoria ai giorni nostri

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    Anteprima del libro

    La storia Eur - Michela Micocci

    Copertina-StoriaEur-eBook.jpg

    CommunityBook - La Storia di Roma

    Credits

    CommunityBook – La Storia dell’Eur

    Edizione Ebook marzo 2021

    Un’idea di: Luigi Carletti - Edoardo Fedele

    Progetto di: Typimedia editore

    Curatore: Michela Micocci

    Project manager: Simona Dolce

    Progetto grafico: Chiara Campioni

    Impaginazione: Giada Patrizi

    Foto: Sara Serpente

    Organizzazione generale e controllo qualità: Serena Campioni

    Product manager: Melania Tarquini

    In copertina: Statua del Palazzo della Civiltà Italiana

    ISBN: 978-88-3626-059-1

    CommunityBook online: www.typimediaeditore.it

    Direttore responsabile: Luigi Carletti

    Crediti fotografici: © Mary Evans è concessa da Archivi Alinari, Firenze, Beatrice Cenci (nobildonna romana) e la matrigna Lucrezia Petroni, mentre spostano il corpo del padre di Beatrice, Francesco, da loro assassinato nel 1598; Archivio Bruni/Gestione Archivi Alinari, è concessa da Archivi Alinari, Firenze, Alessandro Torlonia durante un’escursione nella campagna romana; AF archive / Alamy Foto Stock, Boccacio ‘70 - episodio Le tentazioni del Dottor Antonio" con Anita Ekberg.

    L’editore si rende disponibile al pagamento dell’equo compenso per l’eventuale utilizzo di immagini di cui non vi è stata possibilità di reperire i titolari dell’avente diritto.

    © COPYRIGHT

    Tutti i contenuti di CommunityBook e degli altri prodotti editoriali della società Typimedia in essi citati sono di proprietà esclusiva e riservata della medesima Typimedia e sono protetti dalle vigenti norme nazionali e internazionali in materia di tutela dei diritti di proprietà intellettuale e/o industriale.

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    Per informazioni o richieste: info@typimedia.i

    Dove oggi sorgono i grattacieli, si nascondono tracce di vita dell’Età del Ferro. Nella Riserva di Decima, vive l’uomo di Neanderthal. Nel Medioevo e poi nel Rinascimento l’Eur è un rifugio da Roma.

    Nel castello della Cecchignola, Benedetto Pamphili apre le danze del Seicento frequentando stravaganti compagnie poco consone alla disciplina di un cardinale. Fra le discusse costruzioni del Laurentino 38, nel 1832 la duchessa di Sermoneta va a caccia di reperti archeologici.

    Ma per cominciare a guardare all’Eur così com’è oggi, bisogna aspettare il 28 aprile 1937. Mussolini scava una buca per piantare un pino: è questo l’inizio dei lavori per l’Esposizione Universale del 1942, che non si farà mai. Il laghetto, il Palazzo della Civiltà italiana, o il Palazzo dei Congressi non ci sono ancora, al loro posto solo un terreno brullo. Ma di lì a poco sorgerà il quartiere, ideale prosecuzione di Roma verso il mare di Ostia.

    Il cinema diventa protagonista, usando come scenario le architetture metafisiche dell’Eur, quinta ideale per Federico Fellini, per Gian Maria Volontè e Gianfranco Rosi, per Paolo Sorrentino.

    Insieme alla bellezza c’è anche la cronaca. Le Brigate Rosse e i familiari di Piero Costa; i sommozzatori che cercano il corpo di Emanuela Orlandi nelle acque del laghetto; la famigerata Banda della Magliana.

    La Storia dell’Eur è un libro appassionante che ripercorre gli eventi e racconta i protagonisti che hanno reso epico il quartiere.

    L’autore

    Michela Micocci è autrice di documentari. Ha realizzato per il canale di viaggi Marcopolo alcune delle serie più apprezzate, come Campanili, Di Santi e D’Eroi e Italia Segreta. Un lavoro che le ha permesso di viaggiare e raccontare gli angoli più nascosti d’Italia alla ricerca di storie, luoghi e riti spesso dimenticati. Dal 2015 si è specializzata nella scrittura e regia di documentari storici di grande rigore scientifico, tra i quali una serie sui campi di internamento fascista in Italia; Colleferro 1938 sullo scoppio del polverificio Bombrini Parodi Delfino; e Il sequestro Moro. Gli altri testimoni. Per Typimedia editore ha anche pubblicato La storia della Garbatella.

    Prefazione

    Ogni quartiere di Roma è diverso dagli altri. Anche in questo risiedono la forza e la grandezza della Capitale, metropoli fatta di quartieri ognuno dei quali – per popolazione, estensione, peculiarità architettoniche e comunità sociale – potrebbe essere paragonato a un capoluogo di provincia (o anche di regione) del Paese. La diversità, quindi, come elemento di ricchezza e di fascino, specie se poi qualcuno è più diverso dagli altri. Questo è certamente il caso dell’Eur, nato negli anni ’30 del secolo scorso per attuare un ideale urbanistico fortemente innovativo per l’epoca, frenato poi nella sua realizzazione da quella guerra che i suoi stessi artefici (Mussolini in primis) avevano voluto e provocato, e infine portato a termine per volontà dei primi governi del Dopoguerra.

    Chiunque oggi arrivi all’Eur per la prima volta, si sorprende al punto da dire: Non sembra neanche di essere a Roma. Dimenticando, forse, che la Capitale raccontata da milioni di immagini, siano esse film o documenti giornalistici, è molto di più della comunicazione spesso stereotipata alla quale il mondo è abituato. Ci sono sì il Colosseo e i Fori, il Pantheon e il Parlamento, piazza di Spagna e Villa Borghese, ma ci sono anche i quartieri di cui non si parla frequentemente, le periferie di alveari umani senza servizi e le minicittà satellite di cui ci si occupa solo quando la cronaca (nera, di solito) costringe a posarvi lo sguardo. Ecco, in questo complesso scenario, l’Eur fa storia a sé. Completamente. Non è né centro né periferia, non è fiore all’occhiellovergogna da nascondere. È semplicemente l’Eur, un pezzo della Capitale che per i suoi spazi e le sue strade potrebbe sembrare Milano, o Boston, o una città del Nord-Europa, mentre invece sopra di sé ha il cielo di Roma e ne è la porta verso sud: certamente il suo ingresso più suggestivo.

    E proprio questo suo essere rivolto a sud, fa dell’Eur (e dei suoi dintorni) un’area di Roma ricchissima di storia, fin dalla preistoria ai giorni nostri. Il libro curato da Michela Micocci con il coordinamento editoriale di Simona Dolce e le foto di Sara Serpente, costituisce un racconto appassionante e denso di vicende che vanno dalle primissime testimonianze umane al periodo romano, dal medioevo alle epoche successive fino alle drammatiche vicende legate alla Seconda Guerra Mondiale, con i sanguinosi combattimenti e i sacrifici umani, le deportazioni e le nuove comunità come, per esempio, quella Giuliano-Dalmata. In tutto questo, alcune autentiche perle storiche antiche e recenti, come la presenza dei Templari o la nascita della famigerata banda della Magliana, che nel quartiere ebbe appunto una delle sue basi operative.

    Oggi l’Eur, tra nuovi, prestigiosi insediamenti e importanti progetti di riqualificazione, è certamente uno dei quartieri di Roma con le maggiori potenzialità, naturalmente proiettato verso il futuro, forte com’è di spazi e di infrastrutture ma anche di monumenti e altri luoghi di attrazione. Questo libro, edito da Typimedia nella collana storica CommunityBook: La Storia di Roma, oltre a una modesta funzione divulgativa, ha anche il pregio di ricordare che là sotto, dove oggi scorrono strade a sei corsie e svettano torri scintillanti, ci sarebbe ancora molto da recuperare e valorizzare. Potrebbe essere un modo ulteriore per far conoscere e apprezzare un quartiere romano che non sembra neanche Roma.

    Buona lettura a tutti.

    Luigi Carletti

    CRANIO DEL CIRCEO. Il cranio dell’uomo di Neanderthal, ritrovato in una grotta al Circeo nel febbraio del 1939, presenta un foro sulla nuca come se qualcuno gli avesse succhiato il cervelletto.

    Capitolo 1

    Il lago rosso, le antiche necropoli e i riti magici dei primi uomini

    1.1 UNA COLATA DI LAVA SULL’EUR

    Colate laviche al posto dell’asfalto in zone come Acqua Acetosa, Vallerano, Casal Brunori, Cecchignola. Il clima cambia, i ghiacciai si ritirano, e la Terra si appresta a vivere la più recente delle sue ere geologiche: il Quaternario. Dove per recente si intende un periodo che va da 600mila a un milione di anni fa. È in questo arco di tempo che il globo terrestre e gli oceani assumono il profilo odierno. In Italia, per esempio, si formano le isole maggiori: la Sicilia si stacca dall’Africa e dalla Calabria; la Sardegna si separa dalla Francia (così come la Corsica) e l’isola d’Elba si allontana dalla Toscana. Mentre tutto questo accade, succede qualcosa di assolutamente nuovo: l’uomo fa la sua comparsa sul palcoscenico della storia.

    Nella penisola, l’attività eruttiva è senza sosta.

    Il Vulcano Laziale, nell’odierna area dei Castelli Romani, è l’elemento geografico di maggiore rilevanza.

    La città di Roma è costruita in massima parte su un suolo fatto di materiali fuoriusciti dal vicino vulcano. Il territorio dell’Eur ne porta ancora i segni. E trovarli non è difficile: la Cava Covalca è uno di questi. Lo sanno bene i ricercatori che fin dagli anni Settanta setacciano la zona. I minerali qui raccontano la storia delle ere geologiche che hanno attraversato.

    Percorrendo, oggi, la Laurentina direzione fuori Roma, dopo aver superato il Grande Raccordo Anulare, e poco oltre via di Vallerano, bisogna girare a sinistra lungo una stradina asfaltata.

    Queste sono le indicazioni per raggiungere il luogo in cui c’è un lago, anzi c’era. Perché il piccolo bacino in questione oggi non esiste più. Nel 2015 infatti il lago di Cava Covalca è scomparso. Se n’erano occupati il WWF e i comitati di quartiere Laurentina segnalando che l’esistenza del lago costituiva un patrimonio per l’ecosistema. Già alcuni anni prima del 2015, il WWF aveva proposto di tutelare l’area inglobandola alla Riserva Naturale di Decima. Ma così non è accaduto. Il lago è stato prosciugato e trasformato in una discarica utilizzata per smaltire terra e detriti.

    La cava invece c’è ancora: 150 metri di larghezza, 250 metri di lunghezza, le pareti di leucitite (un tipo di roccia vulcanica) alte fino a 20 metri. L’acqua sorgiva, quando c’era, era profonda quasi tre metri e proveniva da una falda sotterranea.

    Tra 600.000 e 300.000 anni fa il Vulcano Laziale vive una fase di intensa attività che si alterna a periodi di calma. In una di queste fasi di fervore – intorno ai 480mila anni fa – da una fessura laterale dello stesso Vulcano fuoriesce una colata di lava che forma la cava visibile tutt’oggi vicino all’attuale via di Vallerano.

    Se si salta al XX secolo, in questo stesso luogo, la scena che si vede è molto diversa.

    È il 1972. Il cadavere di un uomo viene trovato senza testa. A prima vista si direbbe si sia trattato di un incidente: una ruspa lo ha decapitato. Ma quando anche l’operaio che lo ha causato viene trovato senza vita, il commissario che indaga sospetta ci sia ben altro da scoprire. Seguono altri intrecci e altre morti. La musica di sottofondo è firmata da Ennio Morricone. Sì, perché la trama descritta non è quella di un fatto di cronaca, bensì di un film girato agli albori degli anni Settanta in cui il regista, Tonino Valerii, subisce l’influenza – oltremodo visibile – di un Dario Argento primo stile. Non è un film di successo. Non è uno di quei film che si ricordano. Eppure Mio caro assassino ha il piccolo vanto d’aver immortalato su pellicola la Cava Covalca così com’è negli anni Settanta, ormai quasi cinquant’anni fa.

    È evidentemente una location adatta per un thriller: le pareti sono a picco sull’acqua, è un posto solitario e abbandonato con poche sparute gru al lavoro. Questi elementi, immortalati nella pellicola, lo inchiodano all’immagine di un perfetto fondale da omicidio. Il laghetto rimane più o meno uguale a quello del film fino al 2015, quando la scena cambia di nuovo. Stavolta però il cambiamento è reale.

    Nel 2015 il lago sparisce.

    Rimane certo la cava, rimangono le pareti di roccia a picco e i minerali antichissimi, ma l’acqua non c’è più. Negli anni precedenti il WWF si era mobilitato per tentarne la salvaguardia, ma inutilmente. La cava si trova in una proprietà privata. E chi la gestisce decide di prosciugarla per farvi scaricare da camion terra e detriti, senza tener conto che è in zone come questa che l’uomo ha compiuto i suoi primi passi.

    1.2 PRIMI PASSI A DECIMA MALAFEDE

    La luce del sole si alterna al buio della notte, la vita è scandita solo dal mutare dei chiarori e delle tenebre, e l’uomo impara a usare strumenti ancestrali in quella che è una primissima forma di tecnologia. È l’età della pietra: il Paleolitico. Gli uomini si spostano, non conoscono ancora la vita stanziale. Cercano luoghi dove la sopravvivenza sia meno difficoltosa. Vanno a caccia, e qualcuno sperimenta la pesca nelle acque di fiumi e laghi. Raccolgono quello che il terreno offre loro spontaneamente. Non hanno il sapere dell’agricoltura, non sanno ancora che la terra può essere piegata con la fatica e l’aratro ai propri fini, che se ne può ricavare cibo, lavorandola.

    Un giorno di 300mila o di 40mila anni fa – questo è l’arco temporale del Paleolitico Medio – gli uomini cacciatori-raccoglitori si inoltrano in un’ampia zona ricca di fauna, attirati da quel che offre loro la natura: gran quantità di animali, che significa possibilità di caccia e quindi maggiori probabilità di sopravvivenza. Sono loro i primi a metter piede nel territorio di Decima Malafede, oggi riserva naturale a sud di Roma, in parte nel quartiere Eur. Sono uomini che appartengono alla "famiglia delle teste piatte" come si dirà di loro nell’Ottocento: vale a dire gli uomini di Neanderthal. Quegli strani fossili scoperti per la prima volta nel 1856 in Germania in una grotta vicino a Dussendorf, sono così descritti in una rivista scientifica del 1864, il Quarterly Journal of Science, a firma del professore irlandese William King: il cranio dell’uomo di Neanderthal presenta una somiglianza solo approssimativa con il cranio umano ed è piuttosto simile invece a quello di uno scimpanzé. I frammenti di scheletro rinvenuti hanno uno spessore inusuale. Le costole hanno forma arrotondata e una brusca curvatura: sembrano in sostanza più le costole di un animale carnivoro che di un uomo.

    La valle di Neander, dunque, come la Riserva di Decima Malafede. E come accade nella valle tedesca, anche qui gli uomini vanno a caccia e accendono il fuoco; anche qui, all’Eur, si siedono pazienti a lavorare e levigare ossa di mammut per farne frecce appuntite; si addormentano in rifugi naturali offerti dal territorio. E anche qui parlano.

    Ricercatori italiani in collaborazione con colleghi australiani hanno scoperto che l’osso ioide dell’uomo di Neanderthal è identico a quello dell’uomo contemporaneo. Lo ioide è in pratica l’osso che lega la lingua alla laringe e permette di articolare suoni. Lo studio, pubblicato sulla rivista scientifica Plos One nel numero di dicembre 2013, evidenzia come la struttura architettonica di quell’osso nell’uomo del Paleolitico sia compatibile con la capacità di emettere suoni. A far da cavia è stato un reperto trovato nel 1983 nella grotta di Kebara, in Israele.

    Come parlano gli uomini dalle teste piatte , come utilizzano i suoni che escono dalle loro bocche, quale forma di comunicazione hanno raggiunto è difficile capirlo.

    È lecito però immaginare che in quel giorno lontano in cui i primi gruppi di cacciatori-raccoglitori arrivano a Decima Malafede, in quest’area per la prima volta si sente un’eco umana.

    Là dove prima c’erano solo versi di animali, adesso qualcosa cambia: il passo di un uomo, lo strofinio di una pietra contro l’altra, e il suono – il primo – di una voce.

    A Decima Malafede non sono mai stati trovati resti umani, che altrimenti avrebbero reso la zona di gran lunga più famosa. Sono stati invece rinvenuti utensili di selce utilizzati da questa prima umanità del Paleolitico. Il fatto che si trattasse di oggetti in pietra ne ha facilitato la conservazione pur attraverso i millenni che ci separano dall’uomo di Neanderthal, il quale conosceva sì altri materiali per costruire i suoi strumenti primitivi – ossa, legno, pelli – ma la loro deperibilità ha impedito che arrivassero fino a noi, se non in rarissime eccezioni.

    Questa industria litica ha come base proprio la selce. E non è un caso. Non è un caso che proprio la Riserva Naturale di Decima Malafede sia riuscita a conservare e a farci pervenire attraverso il tempo tracce della quotidianità neanderthaliana. La roccia silicea, infatti, si trova lungo i fiumi e sulle spiagge. La morfologia tipica di questo territorio presenta un intreccio di piccolissimi corsi d’acqua che corrono giù dai Colli Albani. Facile dunque trovare qui – in una terra di passaggio dai colli al mare, a poca distanza dalla foce di un grande fiume, il Tevere – frammenti di oggetti che l’uomo di allora ha l’abilità e la pazienza di scheggiare ad arte.

    Oggi questa è un’area protetta: la Riserva Naturale viene costituita nel 1997 e comprende oltre seimila ettari di campagna. Stretto tra la tenuta di Castel Porziano da una parte e la Laurentina dall’altra, il parco è nel territorio Municipio Roma IX. Una escursione che vale sempre la pena di fare per lo stesso motivo che ha condotto qui l’uomo di Neanderthal: la natura, la varietà di piante e animali. 120 specie di uccelli, 14 di rettili, 21 di mammiferi, 13 di pesci, 8 di anfibi. E più di un migliaio di specie vegetali. Numeri certificati dal WWF.

    1.3 AL MUSEO PIGORINI IL GIALLO DEL CRANIO DEL CIRCEO

    Com’era esattamente il cranio dell’uomo di Neanderthal?

    C’è un posto preciso all’Eur dove poterlo vedere da vicino e rendersi conto delle dimensioni e delle linee della testa dei primi uomini che camminano a Decima Malafede. Questo posto è il Museo Nazionale Preistorico Etnografico Luigi Pigorini, in piazza Guglielmo Marconi, quella dell’obelisco.

    Quel cranio è al centro di una lunga storia. Iniziata cinquantamila anni fa e non ancora terminata.

    MUSEO PIGORINI. Il Museo Nazionale Preistorico Etnografico, in piazza Guglielmo Marconi all’Eur, è dedicato a Luigi Pigorini, archeologo e Senatore del Regno d’Italia ai primi del Novecento.

    La storia di un delitto irrisolto e della sua scoperta.

    Il 24 febbraio 1939 alcuni operai sono al lavoro alla base del colle Morrone, estremità orientale del monte Circeo. Il terreno in cui sono impiegati appartiene al proprietario di un piccolo albergo, il signor Guattari. Il quale pensa di utilizzare le pietre della parete montuosa per ricavare materiale da costruzione.

    Mentre è intento a svolgere il proprio lavoro, l’operaio Vittorio Ceci scopre un’apertura della parete della collina. È una grotta.

    Va dall’albergatore e gli racconta quel che ha visto. I due tornano assieme sul luogo della scoperta. Stavolta entrano. La grotta si articola in diverse cavità. Ci sono degli antri secondari. I due avanzano anche se a fatica. È un piccolo labirinto. Arrivati a un’ultima cavità, estrema, senza uscita, fanno una scoperta sensazionale.

    GROTTA GUATTARI. L’entrata della grotta Guattari all’estremità orientale del monte Circeo. Al suo interno viene ritrovato il cranio dell’uomo di Neanderthal al centro di un giallo preistorico.

    Per terra c’è un cranio. Attorno al cranio delle pietre disposte in forma circolare. Il signor Guattari lo prende in mano. Lo osserva, poi le mette giù. Probabilmente non lo riappoggia nella stessa identica posizione in cui lo ha trovato.

    È il primo inquinamento della scena del delitto. Sì, delitto, perché il giorno dopo casualità vuole che arrivi al Circeo un paletnologo. L’operaio e l’albergatore lasciano la grotta. Ciascuno torna alle proprie occupazioni. Ma Guattari, nell’albergo, pensa e ripensa a quel cranio.

    Alberto Carlo Blanc è uno studioso. È nato nel 1906. Giovane, ma già esperto. Conosce bene l’agro pontino: ne fa oggetto di continue ricerche. Nel 1935 scopre il secondo cranio di Saccopastore, nella campagna romana vicino all’Aniene, che già nel 1929 aveva regalato i resti un primo cranio appartenente a una donna, dai caratteri più primitivi rispetto all’uomo di Neanderthal. Blanc nel febbraio del 1939 è in viaggio di nozze.

    Quando Vittorio Ceci scopre la grotta, lo studioso è a Napoli con la moglie. Ma il giorno dopo, di ritorno a Roma, si ferma nell’albergo del suo amico, il signor Guattari.

    Spesso Alberto Carlo Blanc ha camminato nelle vigne del Circeo di proprietà di Guattari con gli occhi bassi a cercare e trovare microscopiche testimonianze del Paleolitico. Così quando arriva in albergo gli viene subito raccontato della grotta, del cranio e delle pietre disposte attorno a quest’ultimo. Blanc non resiste vuole andare a vedere. Chiede al Guattari di accompagnarlo subito nel posto dove è stata fatta la scoperta.

    Nel frattempo però anche qualcun altro ha visitato la grotta del Circeo accorgendosi del cranio.

    Damiano Bevilacqua fa di mestiere l’elettricista. È impiegato alla SRE, la società romana di elettricità. Ed è incaricato di svolgere un lavoro nei dintorni della grotta. Anche lui s’accorge della grotta. Ci entra dentro e vede il cranio. Anche lui esce con la voglia di raccontare la scoperta a qualcuno. Parla infatti del ritrovamento a un ragazzo, Ajmone Finestra. Questi, incuriosito, inforca la bicicletta e corre verso la grotta. Entra nel piccolo ingresso dell’antro. Percorre qualche metro. Vede il teschio a terra. Vicino ci sono delle pietre. Anche lui nota che le pietre sono disposte a cerchio attorno al cranio. Non sembrano capitate lì per caso. Danno l’idea che dietro ci sia la mano dell’uomo. Non può rendersi conto subito dell’importanza di quel cranio.

    L’elettricista Damiano Bevilacqua a sera, quando torna a casa, ne parla anche con la moglie. Quel che si dicono i due coniugi lo scrive Antonio Pennacchi che dedica alla vicenda due libri: Le iene del Circeo e Camerata Neanderthal. La moglie lo sollecita: andiamo là, prendiamo il teschio e portiamocelo a casa. Chi lo vuole, poi, dovrà fare i conti con noi. Ci possiamo ricavare dei soldi. Ma il marito, l’elettricista, preferisce di no. Meglio far le cose in modo giusto.

    Tra i primi a vedere il cranio, il 24 febbraio 1939, ci sono dunque Damiano Bevilacqua, Ajmone Finestra, Vittorio Ceci e il proprietario dell’albergo, Guattari.

    Il 25 febbraio la grotta è invece visitata per la prima volta da qualcuno che percepisce l’eccezionalità della scoperta: Alberto Carlo Blanc.

    Il professore cammina all’interno della cavità. Deve stare attento a non calpestare qualcosa di strano che giace sul terreno. Miste al pietrame ci sono delle ossa: resti di cervo, bue primigenio, daino, capriolo, iena. Cammina ancora. Sulla sinistra, passando sotto un arco, penetra in un antro piuttosto basso. Il teschio è lì. Quando lo studioso lo vede, il cranio giace sulla sua calotta con la base rivolta verso l’alto. Ma Guattari l’aveva già preso in mano e rimesso per terra. Potrebbe averlo posato in una posizione diversa da quella in cui si trovava in origine. La scena del crimine è già largamente inquinata.

    Blanc prende il teschio. Non si fida a lasciarlo lì. Già troppe persone erano entrate nella grotta. Non può fare fotografie. Ma disegna su un foglio l’esatta posizione del cranio e il cerchio di pietre. Dentro la grotta è come se il tempo si fosse fermato a cinquantamila anni prima. Blanc consegna il cranio all’istituto di Antropologia dell’Università di Roma. Dove si mette a esaminarlo. Quel che scopre è ancora più eccezionale.

    Il cranio appartiene all’uomo di Neanderthal. Presenta due mutilazioni. Ha l’orbita sopraciliare fracassata e ha un foro alla nuca. Cosa può significare? Dove ha già visto qualcosa di simile? È come se qualcuno avesse succhiato il cervelletto di quell’uomo preistorico dopo averlo ucciso con un colpo di pietra alla base dell’orecchio destro.

    Blanc, tra le altre cose, studia anche gli indigeni della Melanesia, una regione

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