Racconti per un anno (Ranello e altre favole)
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Racconti per un anno (Ranello e altre favole) - Michele Città
633/1941.
Ranello
( metà rana e metà uccello )
Nel lontano pianeta di Groellopoli, abitato tutto quanto da animali che sulla Terra non esistono, c’era pure Ranello, così chiamato perché era metà rana e metà uccello.
A Ranello piaceva tanto giocare nello stagno e anche volare da un albero all’altro perché, appunto, per sua natura era rana ed era uccello. Ma ahimè, il suo pianeta era troppo piccolo e pieno di tanti animali e i più grandi e grossi facevano da padrone.
Nelle grandi pozze d’acqua sguazzavano gli ippofanti e sugli alberi nidificavano i becchiritorti, uccelli verdi e neri che non volevano intrusi e cacciavano via Ranello, beccandolo malamente.
Un giorno Ranello vide cadere una piccola stella su dal cielo, chiuse gli occhi e pensò intensamente esprimendo il suo più grande desiderio: trovarsi in un luogo con tanti stagni e tanti alberi dove poter vivere e giocare tranquillamente. E fu così forte il desiderio che, quando riaprì gli occhi, si ritrovò sulla Terra, in mezzo a quella natura che lui aveva fortemente desiderato.
Ranello non crede ai suoi occhi: davanti a lui c’è proprio uno stagno con tante piccole ranocchie che saltellano di foglia in foglia che macchiano con il loro verde intenso lo specchio d’acqua.
Entusiasta del nuovo luogo e da gran giocherellone qual è, volando sullo stagno lancia sassolini dall’alto con l’intenzione di attirare l’attenzione delle ranocchie, stando bene attento a non colpirle, perché non vuole fargli male e perché intende fare amicizia. I sassolini finiscono nell’acqua mettendola localmente in movimento in cerchi che progrediscono smorzati e raggiungono alcune ranocchie, che, già all’erta per il tonfo causato dal sassolino, si impettiscono all’arrivo dell’onda. Guardano intorno ma non vedono nessuno. Poi una di loro, con gli occhi sbarrati verso l’alto, osserva Ranello che fa dei ghirigori nell’aria, e avvisa le altre ranocchie dicendo:
-- Uno strano tipo ci vola sopra. Assomiglia a noi, ma ha le ali e dev’essere stato lui a bombardarci.
E un’altra:
-- Se scende qua fra noi, gli daremo il benservito.
Ranello, essendosi accorto di essere stato notato, si lancia giù facendo un bel tuffo dall’alto, come da un trampolino.
Gracida a mo’ di cinguettio, il placido Ranello, cercando di chiarire la sua natura e la sua posizione, ma le ranocchie dello stagno, unite in un unico intento, gli saltano addosso, sprofondandolo nell’acqua. Ranello capisce ben presto, così, che anche qui l’alloggio non è facile e, allorquando l’azione punitiva delle ranocchie ha fine, profferisce loro queste parole:
-- Care ranocchie che abitate questo stagno, io lanciando i sassolini volevo soltanto farmi notare da voi, prima di render per me casa il vostro stagno. Ho notato che non avete le ali, ma mi somigliate tanto. Nel mio pianeta gli ippofanti non mi consentivano di sguazzare nello stagno. Mi avrebbero schiacciato senz’altro, ma voi, voi care ranocchie siete come me ed io sono come voi. Datemi spazio nel vostro stagno ed io volando sugli alberi qui intorno farò da vedetta e vi avviserò quando arrivano i serpenti mangiatori di rane.
Un gracidio di consulto ed ecco la risposta:
-- D’accordo, sarai la nostra vedetta e questo stagno sarà la tua casa e noi i vicini con cui giocherellare. Affare fatto, qua la zampa!
E così Ranello ora salterella da un punto all’altro del suo stagno, incrociandosi con le ranocchie che sbuffettando giocano con lui. Il suo sesto senso - perché Ranello ha un sesto senso, dato che proviene da un’altro pianeta - lo avverte dell’imminente pericolo: serpenti in arrivo e allora lui allunga, stropicciandole, le ali e fa un giro di ricognizione, poi si poggia su un ramo dell’albero più alto lì vicino e, appena individua quei maledetti mangiatori di ranocchie, lancia un gracidio d’allarme. Tutte le ranocchie, allora, van giù sul fondo più profondo dello stagno dentro la nicchia di una roccia e stanno lì ad aspettare taciturni e trepidanti fin quando Ranello non le raggiunge avvisando dello scampato pericolo. E tutte su, fra le larghe foglie a far festa.
Ma ecco che una volta, uno dei serpenti più furbo degli altri, facendo finta d’andar via, si era celato fra l’erba e non appena le ranocchie ripopolano le acque superficiali è lì lì per fare un bel ghiottone di una di esse. Ranello, più svelto del vento, raccoglie con le zampe un grosso sasso e svolazzando in aria, prende la mira e giù sulla testa del malefico serpente che rimane totalmente intontito e, dolorante, fugge via tralasciando la preda.
Le ranocchie, tempo dopo, riunitosi in consulta, decretano che l’azione fatta da Ranello è degna di essere premiata con la massima carica prevista: capo della comunità del piccolo laghetto.
In occasione della nomina di Ranello a capo della comunità, viene bandita una festa, durante la quale avverrà il simbolico incoronamento.
La consulta delle ranocchie, per voce delle più anziane dà l’annuncio a Ranello, che in quel momento assiso su una ninfea, si specchiava mimando vari atteggiamenti, con l’espressione della faccia, da assumere, ora che era il capo, nelle varie circostanze: allegro, impettito, serio, stupefatto, inorridito, alterato, dimesso, comprensivo.
-- Gra, gra. Sono lieto di annunciarti che tutta la comunità dello stagno, per festeggiare la tua nomina, vuole fare una grande festa. Questa festa è per te e tocca a te, ora che sei il capo, organizzarla.
-- Gracip, gracip. Sono molto lieto che volete fare una festa. È giusto che tutti coloro che praticano lo stagno e tutti coloro che vivono nei