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Destino Vincolato
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E-book181 pagine2 ore

Destino Vincolato

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Info su questo ebook

Eamon e Layamon sono due fratelli affascinanti, di nobili origini druidiche e futuri eredi al titolo di Sommo Druido del regno magico. Tutto potrebbe andare per il meglio, ma allora perché i due si ritrovano privi di poteri, esiliati e senza un soldo a vivere di espedienti a Roma? Come mai Eamon ha le sembianze di un bambino di quattro anni? E come ha fatto Layamon a vincolarsi ad una ribelle lepricana di nome Jabez da cui non può allontanarsi per più di cinque chilometri e di cui avverte ogni ferita se lei si ferisce, ogni turbamento, ogni possibile fine per effetto dell’incanto proibito Destino Vincolato?
Con l’aiuto di una strega e di un furetto duende ispanico, riusciranno i nostri eroi a scoprire la verità su se stessi, sul potere, sul loro casato e soprattutto… a sciogliere Layamon e Jabez una volta per tutte dal Destino Vincolato?
LinguaItaliano
Data di uscita6 mag 2020
ISBN9788835822134
Destino Vincolato

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    Anteprima del libro

    Destino Vincolato - Alessia Ranieri

    casuale.

    CAPITOLO UNO - SIAMO QUEL CHE SIAMO

    Le fronde dell’albero fuori dalla finestra dell’angusta stanzetta dove Jabez sedeva si scossero, tormentate dal vento, e lei non poté fare a meno di sorridere: l’autunno stava infine giungendo anche su quella caotica e caldissima città di nome Roma in cui lei dimorava ormai da tre anni. Guardandosi attorno, Jabez tornò alla sua consueta espressione accigliata e scosse il capo: quanto detestava quella stanza! La sola fonte di luce (e di frescura, per la pelle irlandese di Jabez, abituata a ben altro clima di quello italiano), era costituita da una finestra che si apriva su via Flaminia, in pieno centro città, e qualora un normale individuo tormentato dal caldo avesse voluto cercare di ricevere un soffio d’aria servendosi di essa, si sarebbe solo ritrovato stordito dai rumori del traffico e semiasfissiato dallo smog, essendo tale apertura al primo piano di un assai sporco palazzo. Tuttavia, quel posto era essenziale agli affari, e Jabez lo sapeva bene: il suo pseudocapo, Layamon, si spacciava per mago e cartomante e proprio in quel momento stava seduto al suo scranno, nella stanza adiacente a quella di Jabez, a rivelare ad una donna ciò che lei stessa gli aveva in precedenza raccontato. Il compito di Jabez era vendere qualche sacchetto di sabbia colorata ai clienti dello studio magico di cui faceva parte, smistare la posta, controllare le mail e rispondere alle telefonate di uomini e donne infelici e sole che speravano nei poteri del grande mago irlandese per risollevare le proprie sorti. Pur sapendo che poco o nulla era in loro potere e che quella che mettevano in atto era, per vari aspetti, una truffa, Jabez, Layamon ed Eamon, il fratello maggiore del chiromante, non avevano rimorsi: era un lavoro come tanti altri, e poi non ingannavano nessuno che non volesse esserlo, giacché erano le persone a cercarli e non viceversa.

    La ringrazio, Magic Layamon, le sue parole mi hanno davvero confortata disse la cliente del mago uscendo dalla stanza dove era rimasta chiusa con lui per quaranta minuti.

    Non deve ringraziare me, signora Scaco, sono stati gli arcani a consentire la pronuncia di quelle frasi le rispose, sorridendo, Layamon.

    La donna, non più nel fiore dell’età e assai più bassa dell’uomo che aveva davanti, sussultò, come molte altre prima di lei avevano fatto, al sorriso del chiromante. In effetti, Layamon aveva un discreto fascino: alto quasi un metro e novanta, aveva fini capelli d’oro che sotto il Sole di Roma si erano schiariti ulteriormente, e li portava lunghi, ribelli e mossi, fino alla base del collo; i suoi occhi erano lievemente rivolti all’insù e contenevano in sé tutto l’azzurro di un cielo d’Irlanda, le sottili labbra rosate si schiudevano di rado nei sorrisi quando lui era solo con i suoi assistenti, ma davanti alle clienti quella si era spesso rivelata un’arma micidiale per far sì che esse prenotassero un altro appuntamento e, dato che la tariffa per ogni consulto era di sessanta euro, Layamon aveva capito che sorridere un po’ di più conveniva a tutti. Le perle perfette dei suoi denti erano l’invidia di tutti i fumatori e di numerose donne, e la sua pelle chiara lo rendeva solo ulteriormente attraente. Nonostante questo, egli era solo, non aveva una compagna né la cercava e Jabez, che ne conosceva la ragione, sogghignò al sussulto della cliente. Layamon notò il suo sogghigno e le lanciò un’occhiata minacciosa che fu subito seguita da una piccola ma efficace scossa elettrica alla tempia destra della ragazza, che smise di avere quell’espressione che tanto turbava il suo capo per tornare alla seria facciata professionale di tutti i giorni. Dopo pochi secondi, però, la stessa scossa fu avvertita alla tempia destra del mago, che si portò una mano ad essa ed iniziò a massaggiarla.

    Magic Layamon, si sente bene? gli domandò, con tono preoccupato, la cliente.

    Sì, signora, è solo la solita stanchezza che mi travolge dopo aver lavorato tanto le rispose, senza guardarla negli occhi, il giovane.

    "Pagliaccio!" fu il pensiero di Jabez che saettò nella mente del mago.

    "Smettila, cretina, vuoi forse destare sospetti?" le rispose telepaticamente il chiromante.

    "Sospetti? Ciccio, quella tipa lì ancora non ha capito che il marito si fa la vicina di casa da sei anni e vuoi che si accorga di noi?" pensò ironicamente Jabez.

    Allora ci vediamo la settimana prossima disse ad alta voce la signora Scaco, in modo tale che Jabez l’udisse ed annotasse l’appuntamento per lo stesso giorno e la stessa ora della settimana ventura.

    Certamente, signora, la mia segretaria l’ha già segnato, non è vero Jabez? disse Layamon, aiutando la donna ad infilarsi il cappotto.

    Certo, certo, è tutto a posto disse la giovane, sorridendo, ma senza enfasi (e senza gli stessi risultati del suo capo) alla signora.

    Dopo che la cliente se ne fu andata Layamon si girò inferocito verso Jabez e le gridò: Non ci riesci proprio, eh?.

    A fare che? gli domandò di rimando la ragazza, alzandosi dalla sua scrivania, pronta alla lotta.

    A rassegnarti! disse lui, sospirando tristemente.

    Jabez, con la leggerezza tipica e strabiliante dei lepricani, gli fu davanti in un attimo e, sebbene fosse almeno venti centimetri più bassa di lui, gli sferrò un pugno nello stomaco, col solo risultato di piegarsi assieme a lui quando l’eco del suo colpo le tornò indietro.

    Jabez… pezzo… di… cretina… ansimò Layamon, tenendo entrambe le mani sul ventre.

    Nonostante avesse le lacrime agli occhi, Jabez gli soffiò contro come una gatta, e appena ebbe fiato a sufficienza gli disse: Io sono una lepricana, stupido druido senza palle, e riuscirò a liberarmi di questa stupida cosa, ci dovessi lasciare le penne!.

    Layamon aveva smesso da tempo di credere che sarebbero riusciti a liberarsi dall’incantesimo del Destino Vincolato che lui stesso aveva scagliato su entrambi tre anni addietro, e le parole di Jabez, che ancora credeva… ancora osava credere… che sarebbe tutto tornato alla normalità, ebbe solo l’effetto d’irritarlo ancora di più.

    Ma allora come te lo devo dire? In gaelico? Questo incantesimo è permanente! strillò Layamon.

    Tsk! Sarebbe la prima cosa permanente della tua vita! gli rispose la lepricana, sogghignando nuovamente.

    Layamon era sempre molto paziente con lei, cercava di capire che Jabez era stata la persona che ci aveva maggiormente rimesso in quella spiacevole situazione, ma alle volte rimpiangeva la perdita dei suoi poteri a cui il suo stesso padre, il Sommo Druido Damon, lo aveva condannato nell’esiliarlo dalla sua tribù, e sognava di friggere la lepricana con una sola, letale scarica d’energia. Sapeva, infatti, che le piccole scosse elettriche che riusciva ancora a creare erano solo momentaneamente fastidiose e che non avrebbero ucciso neanche una mosca.

    Fa come ti pare! disse lui, ed uscì sbattendo la porta.

    Una volta in strada Layamon rabbrividì sotto lo sferzare del vento, ma non volle risalire a prendersi una giacca, temendo un proseguimento della discussione con Jabez.

    "Quella stupida lepricana!" pensò il druido, prendendo a calci una lattina di birra che il vento gli aveva fatto rotolare davanti. Come tante altre volte prima d’allora, il giovane tornò con la mente a quella dannata sera in cui suo fratello lo convinse che il solo modo per fermare il ladro che si era intrufolato nella tesoreria della comunità druida era pronunciare le parole dell’incantesimo proibito, il Destino Vincolato. Tale incanto aveva il potere di rendere un individuo totalmente assoggettato ad un altro, nessuno dei due poteva ferirsi né morire senza che l’altro lo avvertisse e morisse o si ferisse a sua volta, la loro capacità di pensiero si sarebbe mescolata quasi a formare un unico calderone pieno di ricordi e pensieri, e non si sarebbero potuti allontanare l’uno dall’altro per più di cinque kilometri. Layamon all’epoca aveva ventitré anni, era ancora un apprendista druido e sognava di ottenere gli stessi poteri del padre, Sommo Druido da oltre tre secoli ma conservato in sembianze giovanili da un incantesimo refrigerante, sognava di vedere quell’uomo a cui doveva la sua stessa vita fiero di lui, sperava di ottenere il rispetto degli altri druidi con un gesto eroico e, spalleggiato dal fratello maggiore Eamon, che all’epoca aveva già cinquant’anni (ma che, essendo abile con gli incanti refrigeranti, ne dimostrava a malapena venti), corse ad affrontare colui che aveva osato entrare nella loro fortezza per trafugare ciò che i druidi avevano accumulato in secoli di fatiche e, una volta che lo ebbe trovato, non perse un solo secondo di tempo e pronunciò quel maledetto incanto. Fu con stupore che egli si rese conto che il ladro era in realtà una lepricana, innanzitutto perché credeva che essi fossero solo uomini e poi perché nessun lepricano era mai stato così stupido da avventurarsi nei loro terreni. Ma la sua gioia fu di breve durata. Quando suo padre scoprì come i due apprendisti druidi avevano risolto la situazione s’infuriò: nessuno, infatti, aveva il diritto di violare la legge e l’incanto Destino Vincolato era fuorilegge (i druidi difendevano le creature viventi e non le usavano come servi, perciò chiunque osasse avere un servo vincolato a sé sarebbe stato immediatamente bandito dalla comunità druida). Tuttavia, su consiglio del caro zio Ammon, il Sommo Druido aveva anche maledetto i suoi figli, in modo da dare a tutti gli altri un esempio della sua potenza, a cui persino i suoi eredi dovevano sottomettersi: non avrebbero più potuto utilizzare i loro poteri magici e mentre Layamon avrebbe vissuto per sempre sotto l’influsso del Destino Vincolato con quella lepricana che aveva avuto l’ardire di pensare a derubare i druidi, Eamon, colpevole d’avere indotto il fratello a commettere un atto fuorilegge, ebbe una pena a sua volta… fu al pensiero della pena di Eamon che, come al solito, Layamon sorrise.

    Lo vedi che sei scemo? Ridi da solo! fu la voce tagliente di Jabez a rompere il filo delle riflessioni di Layamon.

    La lepricana era sul marciapiede accanto a lui. Evidentemente, Layamon doveva essere arrivato al limite dei cinque kilometri imposto dal Destino Vincolato e chissà per quanto tempo aveva continuato a muovere i piedi pensando di camminare ma restando in realtà fermo a muoversi inutilmente sullo stesso posto.

    Stai tranquillo, nessuno ti ha visto disse Jabez in risposta ai pensieri di Layamon.

    Come al solito, con lei non occorrevano parole.

    Ne sei certa? chiese lui per sicurezza.

    A differenza dei tuoi, i miei poteri esistono ancora e nelle menti di questi umani non scorgo niente che mi metta in allarme rispose lei.

    Carina come al solito! pensò lui.

    Il vento soffiò forte e Layamon tremò. Girandosi verso Jabez, notò che lei indossava il suo spolverino rosso che metteva ancora più in risalto le lentiggini che ella aveva sul viso ed il rosso dei suoi lunghi capelli, che ora non portava legati come quando era in servizio allo studio magico, ma ricadevano sciolti lungo la sua schiena.

    "Però pensò Layamon ha avuto il tempo di pettinarsi e di scegliersi lo straccetto da indossare, ma non ha mica pensato a portare qualcosa pure a me onde evitare che morissi di freddo".

    Non sono la tua serva, e poi che razza d’irlandese sei se temi di morire per un alito di vento? gli rispose Jabez a voce alta.

    Basta così disse lui a denti stretti.

    Basta che? chiese lei, inarcando un sopracciglio e guardandolo con quei curiosi occhi grigio-verdi di cui era dotata.

    Basta leggermi nei pensieri rispose lui, sbuffando per il freddo mentre aspettavano che un semaforo diventasse verde.

    Ok, ma ascoltami un momento: sono quasi le tredici, non credi che dovremmo andare da Eamon? chiese lei.

    Sì, stavo proprio andando da lui scattò Layamon, innervosito dal fatto che Jabez fosse stata più accorta di lui. Ultimamente ciò accadeva troppo spesso, ed egli temeva che ciò potesse portarlo ad essere lui quello vincolato maggiormente dall’incantesimo. Era solo, senza il conforto dei suoi poteri, costretto a condividere i suoi pensieri con una lepricana che lo detestava, e come se ciò non bastasse, lei aveva visto nei suoi ricordi quanto scarsi siano sempre stati gli effetti dei suoi incantesimi e forse era questo a mantenere viva la sua fiducia nel potersi liberare. Si sentiva umiliato, un mezz’uomo, incapace di farsi rispettare da una cosetta minuta e più bassa di lui. Inoltre, era grazie a lei se ora aveva una sorta di lavoro che gli consentisse di mangiare senza cadere nell’illegalità e un tetto sopra la testa. Prima di lasciare l’Irlanda, infatti, Jabez aveva lasciato un regalo d’addio nelle case di molti esseri umani svaligiandole da capo a piedi e così facendo aveva accumulato un discreto gruzzolo che aveva permesso ai tre esiliati di acquistare una casetta nel centro di Roma e di metterci anche uno studio di chiromanzia. In fondo, i guai degli umani erano sempre gli stessi: cuori infranti, corna, desiderio di soldi. Per capirli non occorrevano poteri magici e a Layamon bastava essere gentile e impostare un solitario irlandese sul tavolo per far credere ai suoi clienti che stesse leggendo i loro malanni nelle carte. Quella vita non soddisfaceva Layamon, lui aveva altre ambizioni, ma ormai cosa avrebbe potuto fare?

    Eamon sbuffò e sbatté la fronte sul banco: per tutte le ninfe quant’era frustrato!

    Dai, Eamon, non fare così, vedrai che tutto si risolverà gli disse la maestra, accarezzandogli i corti capelli castani.

    "Accarezzami altrove e allora sì che mi si risolve tutto" pensò il druido, sorridendo mentre rialzava la testa e guardava la sua insegnante.

    Avanti, Piero, fai pace con Eamon disse la ragazza, rivolgendosi a un bimbetto imbronciato che teneva le braccia conserte e piangeva in un angolo dell’aula.

    No rispose Piero.

    Suvvia, Piero, siamo tutti amici, no? insistette la maestra, avanzando con cautela verso il bimbo.

    Lui non è amico mio disse Piero.

    "E chissenefrega!" pensò Eamon, ghignando a Piero che, nel vedere quella

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