Ti tengo d'occhio, baby
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Maureen Child
Maureen Child ha al suo attivo più di novanta tra romanzi e racconti d'amore. È un'autrice molto amata non solo dal pubblico ma anche dalla critica, infatti è stata nominata per ben cinque volte come migliore autrice per il prestigioso premio Rita.
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Anteprima del libro
Ti tengo d'occhio, baby - Maureen Child
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
Man Beneath the Uniform
Silhouette Desire
© 2004 Harlequin Books S.A.
Traduzione di Elisabetta Elefante
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.
© 2005 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-3052-661-7
Frontespizio. «Ti tengo d'occhio, baby» di Child Maureen1
«Hai detto pesci?» Hawaiano di nascita e marine per passione, Danny Akiota rivolse al collega un’espressione costernata prima di scoppiare a ridergli in faccia.
Per quanto irritato, Zack non poté dargli torto. Se le loro posizioni si fossero invertite, anche lui si sarebbe sganasciato dalle risate.
Trangugiò l’ennesima sorsata di birra, fingendo di ignorare le canzonature dell’amico, e si appoggiò allo schienale della poltroncina di vinile rossa, lasciando scivolare lo sguardo sugli altri clienti che affollavano il bar.
Negli altri tavoli sedevano diverse coppie, mentre alcuni giovani soli, bicchiere in mano, si spostavano da un gruppetto all’altro cercando di attaccare bottone con qualche ragazza. La musica che faceva da sottofondo proveniva da un vecchio jukebox. Zack ci aveva dato un’occhiata prima. C’era di tutto: dai classici del jazz, al reggae, ai più recenti rap.
Le cameriere, i fianchi fasciati da minuscole minigonne di pelle nera e gli ombelichi lasciati in vista da corti top di lycra rosso lacca, ondeggiavano pericolosamente su vertiginosi tacchi a spillo, tenendo in bilico i vassoi colmi delle ordinazioni da consegnare ai tavoli.
Zack sospirò, guardando con malcelato interesse una barista bionda china sul banco. Una quinta abbondante di reggiseno strizzata in una quarta striminzita. Se fosse stato un uomo libero, sarebbe andato subito a scambiare due chiacchiere con lei. Tuttavia, la consapevolezza dei trenta giorni d’inferno che lo aspettavano lo deprimeva al punto da inibire la sua consueta intraprendenza.
«Scusami, amico» riprese Danny, che continuava a ridere. «Proprio non ce la faccio a frenarmi.»
Zack si incupì. «Mi fa piacere che qualcuno trovi la cosa così divertente.»
«No, dico, è davvero il colmo.» Gli occhi scuri del giovane scintillavano di malizia. «Per la prima volta da non so quanto tempo abbiamo un intero mese di licenza e per evitare la consegna ti tocca fare da balia a una scienziata.» Sollevò il suo boccale, proponendo un brindisi. «A tutte le donne che riuscirò a soffiarti ora che ti togli dai piedi per qualche tempo.»
Altro che togliersi dai piedi! Quello che l’aspettava era un intero mese di clausura. Trenta lunghi giorni in cui sarebbe dovuto stare appiccicato a una viziata figlia di papà con il pallino dei pesci.
«Sarebbe stato meglio farmeli in prigione» borbottò Zack, mentre i suoi occhi si spostavano sull’ampia vetrata del locale che si affacciava sulla strada trafficata.
Anche in quella gelida serata di febbraio, Savannah pullulava di turisti. Le telecamere appese al collo e le guide in mano, svariate decine di visitatori percorrevano a passo rilassato le viuzze tortuose e il marciapiede che costeggiava il fiume. I negozi di souvenir erano aperti tutto l’anno e i ristoratori della zona, come i proprietari dei bar, potevano contare su un flusso costante di clienti, che si facevano più numerosi soprattutto d’estate.
Savannah era una graziosa e operosa cittadina del Sud con la mentalità aperta e i ritmi di una grande città. Possedeva un grande porto, case antiche bellissime e un discreto numero di locali interessanti. In altre circostanze, Zack se li sarebbe girati tutti, per poi concludere la serata in compagnia di qualche bella ragazza compiacente.
Ma era lì per svolgere una missione.
O meglio, per scontare una pena.
«Be’, che cosa ti aspettavi?» riprese Danny. «Era chiaro che, una volta rientrato alla base, ti avrebbero fatto il pelo e il contropelo.»
Zack giocherellò con il boccale, facendoselo scivolare da una mano all’altra sul ripiano del tavolino. «Quindi, secondo te, ho fatto male.»
«Neanche per sogno!» replicò Danny, rizzandosi a sedere. «Se non fossi tornato indietro a riprendere Hunter...» Lasciò in sospeso la frase e scosse il capo. «No, guarda, nessuno di noi se la sarebbe mai perdonata. Dovevamo riportare a casa anche lui. E al diavolo gli ordini.»
«Giusto.» I due uomini sollevarono i boccali e li fecero tintinnare.
Zack non aveva mai avuto dubbi al riguardo. Sapeva che non avrebbe potuto comportarsi diversamente, ma era bello sapere di avere l’appoggio del suo più caro amico.
Ubbidire agli ordini dei superiori era fondamentale per un agente speciale della Marina. Ma c’era una regola alla quale lui si atteneva rigorosamente: si partiva in missione in squadra e si tornava tutti quanti insieme. Mai lasciare indietro un collega in difficoltà. Mai. A costo di rimetterci la pelle.
I ricordi affiorarono, scene sincopate che si susseguivano nella sua mente, in rapida sequenza. Ricordava tutto in ogni dettaglio.
La missione, due settimane prima, era andata male fin dall’inizio. Bisognava liberare un ostaggio. Era stata scelta la sua squadra, cinque uomini in tutto. Una cosa rapida. Lo avevano fatto altre volte. Gli ordini erano semplici: entrare, liberare l’ostaggio, sgombrare in fretta.
Tuttavia, le informazioni arrivate non si erano rivelate corrette. L’ostaggio non era dove avrebbe dovuto trovarsi. Avevano perso tempo a cercarlo, a rivedere i piani per l’evacuazione. E durante la fuga, si erano ritrovati a schivare diverse raffiche di mitra. Hunter Cabot era stato colpito. Zack e gli altri tre erano riusciti a raggiungere il motoscafo che li avrebbe portati in salvo e solo allora si erano accorti che un uomo mancava all’appello.
Zack aveva informato i superiori e aveva ricevuto l’ordine di ripartire immediatamente, senza preoccuparsi del collega.
Un moto di collera tornò ad assalirlo, la stessa che aveva provato allora, di fronte alla facilità con cui i capi giocavano con la vita dei loro uomini. Ma lui no, non si sarebbe mai sognato di lasciare uno dei suoi nei guai. Perciò aveva affidato l’ostaggio ai colleghi ed era tornato indietro, da solo, deciso a riportare a casa anche la pellaccia di Hunter.
Ora il collega era ricoverato in ospedale, circondato da dozzine di graziosissime e sorridenti infermiere. E a lui invece toccava sorbirsi quella umiliante punizione: stare alle costole di una milionaria svitata.
«Sì, ma che tipo di pesci?» gli domandò l’amico, riportandolo di colpo alla realtà.
«Come?» Zack guardò Danny, accigliandosi.
«Hai detto che fa la ricercatrice ed è un’esperta di pesci, giusto? No, dico, magari studia qualcosa di interessante. Prendi gli squali, per esempio. Una volta, dalle mie parti, ne hanno catturato uno talmente grande da...»
«No, per favore.» Zack alzò una mano. «Oggi risparmiami.»
Era il passatempo preferito di Danny decantare la bellezza delle Hawaii, descrivergli le onde gigantesche, le ragazze del suo villaggio... soprattutto quelle che erano pazze di lui. Ma, quella sera, Zack proprio non era in vena.
Danny ridacchiò. «Come vuoi. Allora sentiamo, quand’è che devi presentarti da questa donna?»
«Sono un uomo libero fino a domattina alle otto.»
«Ehi!» Danny alzò e riabbassò le sopracciglia. «Allora abbiamo tutta la notte per noi.»
Sulle labbra di Zack si delineò un accenno di sorriso. Mancavano ancora diverse ore allo scoccare della sentenza. Perché comportarsi come un carcerato se la porta della prigione non gli era stata ancora sbattuta in faccia? «Hai ragione.»
«Puoi dirlo forte.» Danny fece cenno a una cameriera di portare altre due birre. «Allora facciamo una cosa. Cerchiamoci un paio di belle ragazze e scialacquiamoci un mese di stipendio in una notte sola. Visto che è l’ultima, almeno per te, rendiamola indimenticabile. Non sei d’accordo?»
Un mese di stipendio in una notte. Lo avevano fatto altre volte, in passato. Notti brave da sballo. Lui e Danny si divertivano un sacco a passare al setaccio i locali di mezza città, sbronzandosi e facendo a gara a chi si portava a letto la ragazza più carina. O semplicemente aspettando, ubriachi, lo spuntare del sole.
Perché no? Il nuovo incarico, quello che cominciava l’indomani, non era di quelli per cui lui aveva bisogno di presentarsi lucido e concentrato.
Kimberly Danforth, così si chiamava la donna. Che razza di nome, poi. Era sicuramente una con la puzza sotto il naso. La classica snob antipatica, di quelle che ti guardano dall’alto in basso se ti azzardi ad avvicinarti o a rivolgere loro la parola.
Be’, non avrebbe avuto il piacere di conoscerla fino all’indomani. E come tutti gli agenti speciali della Marina, anche lui viveva la vita un minuto alla volta, perché non poteva sapere se il giorno dopo sarebbe stato ancora vivo.
«Sai una cosa, Hula?» disse all’amico, usando il soprannome assegnato a Danny in squadra. «Ogni tanto succede anche a te di avere delle idee niente male...»
Kim allontanò il ricevitore dall’orecchio e, per un istante, fu tentata di scaraventarlo contro il muro. Si sforzò di tenere a bada la frustrazione che le ribolliva dentro mentre si rendeva conto che tanto non sarebbe servito: era una battaglia persa. «E che cosa dovrei farmene di questa guardia del corpo? Andiamo, papà, è ridicolo.»
La voce profonda di Abraham Danforth risuonò dall’altro capo. «Fallo per me, Kimberly. Queste minacce non vanno prese alla leggera.»
«Quali minacce? Stiamo parlando di una stupida e-mail, papà. Una soltanto. Ed era diretta a te, per giunta, non a me. Magari si è trattato di uno scherzo.»
Seguì una lunga pausa.
Kim contò fino a dieci, sapendo che suo padre stava facendo altrettanto.
Abraham Danforth era un uomo che raramente agiva d’impulso.