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ISIS. Storia segreta della milizia islamica più potente e pericolosa del mondo
ISIS. Storia segreta della milizia islamica più potente e pericolosa del mondo
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E-book398 pagine6 ore

ISIS. Storia segreta della milizia islamica più potente e pericolosa del mondo

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Info su questo ebook

Lo Stato Islamico, il cosiddetto ISIS, gioca un ruolo di primo piano nel mediterraneo ormai da diversi anni

Vincitore del Premio Cerruglio, il Concorso Letterario Nazionale di Saggistica d'Attualità​

Nonostante le svariate sconfitte che ne hanno notevolmente ridotto il territorio (fondamentale per importanza quella di Raqqa, in Siria), la sua pericolosità non è diminuita, anzi. I miliziani noti come foreign fighters, dotati di documenti europei, sono mine vaganti nel cuore dell’Europa. Ma per comprendere la portata dell’ISIS bisogna capire il modo in cui la guerra è cambiata: si è arrivati a forme di conflitto ibrido, nelle quali un sistema terroristico riesce a ottenere risultati eclatanti con un investimento molto ridotto. Guidati attraverso l’analisi geopolitica e tattica da un esperto del settore, alcuni degli stereotipi più comuni sul terrorismo lasceranno il posto a una visione completa e approfondita di un fenomeno che rischia di modificare radicalmente il nostro modo di vivere e percepire la “paura”.

Il libro più completo per capire l’origine e lo sviluppo dell’ISIS

Cos’è e come funziona lo stato islamico?
Come ha fatto a guadagnare tanto peso nell’equilibrio geopolitico mondiale?
Cosa determina l’efficacia della sua strategia?
Qual è lo scopo politico dietro gli attentati e i fatti di sangue più oscuri dell’ultimo decennio?
Andrea Beccaro
È assegnista di ricerca presso l’Università del Piemonte Orientale di Vercelli, docente a contratto di relazioni internazionali presso la SUISS di Torino ed è stato Research Fellow presso la Freie Universität di Berlino e il College of Europe di Varsavia. Le sue tematiche di ricerca si concentrano sui conflitti contemporanei, sul concetto di guerra irregolare e sul terrorismo. Ha pubblicato diversi saggi accademici su riviste, sia italiane sia internazionali, libri (tra cui La guerra in Iraq) e la prima traduzione italiana di C.E. Callwell, Small Wars. Teoria e Prassi dal XIX secolo all’Afghanistan.
LinguaItaliano
Data di uscita17 mag 2018
ISBN9788822719096
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    Anteprima del libro

    ISIS. Storia segreta della milizia islamica più potente e pericolosa del mondo - Andrea Beccaro

    Introduzione

    isis è apparso quasi improvvisamente sui media nostrani nella tarda primavera del 2014 e in questi ultimi anni è stato un protagonista della politica internazionale dell’intera area del Mediterraneo oltre che un rischio per la sicurezza di tutti noi. Ha conquistato e difeso importanti città, come Raqqa in Siria, Mosul in Iraq e Sirte in Libia, ha operato con successo in Sinai, è stato in grado di attaccare ripetutamente, anche con complesse operazioni, il cuore dell’Europa con una serie di attentati. Ha sfruttato i vuoti geopolitici creatisi in questi anni nella regione del Mediterraneo affrontando anche direttamente attori regionali e globali, cercando di eroderne l’influenza politica.

    Ciò ha prodotto una vasta pubblicistica sul gruppo che vede, da un lato, volumi che in modo più o meno agiografico ricostruiscono le storie individuali di persone protagoniste di eventi in qualche modo legati a isis (come l’interessante Il cacciatore di terroristi), dall’altro libri che cercano di delineare la storia e le vicende del gruppo. Il presente volume si inserisce in quest’ultima categoria che annovera importanti autori come Molinari o Napoleoni, ma se ne discosta profondamente in almeno tre aspetti cruciali.

    Primo, i testi dedicati a isis si soffermano sull’analisi del gruppo a partire dal 2014 o poco prima facendo solo sporadici riferimenti agli anni precedenti che invece furono cruciali ed estremamente formativi per il gruppo stesso. Al contrario nelle pagine seguenti isis viene inserito nella sua reale dimensione storica che parte dallo scoppio della guerra in Iraq nel 2003 a seguito dell’operazione americana Iraqi Freedom, lanciata nel quadro della guerra globale al terrorismo. Questa più lunga prospettiva storica spiega anche il perché il gruppo sia stato denominato nel corso del tempo in svariati modi: Jama’at al-Tawhid wal-Jihad, al-Qaeda in Iraq (aqi), isi (Stato islamico dell’Iraq), isil (Islamic State of Iraq and the Levant), Daesh e anche solo is.

    Secondo, i testi che si occupano di isis lo considerano un unicum, e in parte lo è, ma esso è anche il risultato di un processo storico e di un’ideologia che ha radici precise che devono essere prese in considerazione se si vuole comprendere pienamente la minaccia. Per questo il volume affronterà brevemente sia i teorici del jihadismo globale precedenti a Daesh sia la storia del Medio Oriente dalla fine del xx secolo, per mettere in luce dinamiche ed eventi cruciali per la situazione attuale. In particolare, il tema dell’ideologia è importante in quanto aiuta a comprendere anche come la minaccia di isis non possa in alcun modo essere considerata sconfitta solo perché militarmente il gruppo è stato quasi del tutto debellato.

    Terzo, raramente ci si sofferma su cosa sia in realtà isis (un semplice gruppo terrorista o qualcosa di più e di diverso?), qui si cercherà di offrire una preliminare risposta attraverso sia l’analisi delle sue operazioni sia uno studio dei concetti utilizzati. Sui media, così come in ricerche scientifiche più pregnanti, isis viene quasi sempre definito come gruppo terroristico, ma questo è un grave errore prospettico perché, guardando alla sua evoluzione e a come si impose in Iraq, Siria e in parte in Libia e Sinai, esso andrebbe più correttamente definito come una milizia o un gruppo insorgente. Un problema risiede sicuramente nel fatto che non esiste una definizione condivisa di terrorismo, sia perché le tattiche terroristiche possono essere utilizzate per i più svariati scopi politici, sia perché l’impiego del termine terrorismo è spesso un espediente politico per sminuire chi lo impiega. Se però si osserva il terrorismo da una prospettiva storico-teorica si può almeno notare come i gruppi definiti terroristici (dagli anarchici del xix secolo fino al terrorismo rosso delle br in Italia o a quello della raf in Germania negli anni Sessanta e Settanta) siano sempre stati di ridotte dimensioni e non abbiano mai controllato porzioni di territorio. Al contrario isis è un qualcosa di diverso sebbene non di unico nella Storia.

    Al-Qaeda in Iraq e isi, ovvero i precursori di Daesh, già nei primi anni 2000 riuscirono a controllare alcune città irachene, e dunque già all’epoca si delinearono come un qualcosa di altro rispetto a un semplice gruppo terroristico. isis andrebbe più correttamente definito come una milizia insorgente che controlla il territorio, lo amministra politicamente, gode dell’appoggio della popolazione (sia perché ne ha conquistato i cuori e le menti sia perché è stata costretta) e può svolgere operazioni militari ben più complesse di semplici attacchi terroristici. Storicamente ciò non rappresenta una novità perché è facile trovare gruppi guerriglieri o milizie che hanno controllato spazi di territorio per poi essere sconfitti o diventare eserciti convenzionali e vincere lo scontro. Questo è stato per esempio il caso di Mao Tse-Tung in Cina, dove la guerriglia comunista si impose fino a conquistare l’intero Paese. L’aspetto su cui forse isis si è dimostrato più originale è il fatto che all’interno della sua strategia operativa la tattica terroristica ha sempre giocato un ruolo centrale, mentre in passato altre milizie impiegarono gli attacchi terroristici in modo meno massiccio e più selettivo, utilizzandoli soprattutto nelle prime fasi della lotta o per colpire obiettivi sensibili. Esempio di questo processo è indubbiamente l’attacco suicida, che isis, nella sua lunga esperienza operativa irachena, ha trasformato in un vero marchio di fabbrica pur declinandolo in vari modi (singolo, in appoggio a un assalto, ondate di vari attacchi, impiegando veicoli corazzati guidati dall’attentatore).

    Grazie a queste capacità operative e sfruttando una serie di congiunture politiche favorevoli, isis è riuscito a ritagliarsi uno spazio politico importante tra Siria e Iraq e anche, seppur in modo minore, in Libia e nel Sinai. Malgrado ormai Daesh controlli solo piccole frazioni di quei territori, esso opera tutt’ora in alcune aree della regione del Mediterraneo e non solo. Questo è un aspetto da tenere a mente quando si fanno delle valutazioni sul gruppo, poiché queste ultime rischiano di essere alquanto imprecise proprio perché basate su fatti in divenire o non ancora verificati.

    isis agisce in un contesto politico e militare estremamente complesso, in cui entrano in gioco dinamiche e alleanze politiche che vanno necessariamente prese in considerazione se si vuole avere un’idea più precisa sia del gruppo in sé, sia della realtà politica internazionale in cui quel gruppo si è imposto con la forza delle sue armi e della sua violenta e sanguinosa propaganda. Ne consegue che Daesh si inserisce in una serie di conflitti regionali e anche globali che verranno necessariamente presi in esame nelle pagine seguenti. isis, infatti, è figlio di situazioni politiche e conflittuali locali che devono essere necessariamente studiate per descrivere il gruppo e analizzarne le dinamiche e il radicamento. Allo stesso tempo però Daesh si inserisce in dinamiche globali più complesse e articolate che vanno oltre il suo orizzonte politico.

    Questi legami tra il fenomeno isis e altri conflitti regionali è evidente sin dalla nascita del gruppo con il nome di Jama’at al-Tawhid wal-Jihad. Infatti, Daesh è il frutto amaro della guerra in Iraq scoppiata nel 2003 a seguito dell’operazione a guida americana Iraqi Freedom. All’epoca l’amministrazione Bush stava conducendo la cosiddetta War on Terror per rispondere agli attacchi dell’11 settembre 2001 e, dopo aver colpito l’Afghanistan nell’ottobre 2001, nella primavera del 2003 l’attenzione era ormai focalizzata sull’Iraq di Saddam, accusato, a seconda delle versioni dell’epoca, di sovvenzionare il terrorismo o di portare avanti un progetto per la costruzione di armi di distruzione di massa. La guerra non finì con il crollo del regime di Saddam, poiché si svilupparono vari gruppi di combattenti irregolari che costellarono il teatro iracheno che da lì in poi non conoscerà più pace. Quelli che all’inizio erano attacchi continuativi ma ancora disorganizzati si trasformarono poi in una vera insorgenza che a sua volta venne affiancata da una sanguinosa guerra civile tra la minoranza sunnita e la maggioranza sciita.

    In questo quadro di caos e violenza nacque isis, che si affermò come uno dei gruppi sunniti più violenti e attivi, pur essendo a livello numerico piuttosto ridotto. Fu il momento delle decapitazioni, dei primi video e della leadership di al-Zarqawi. Il gruppo guidò la rivolta sunnita contro gli americani e gli occidentali presenti in Iraq, si erse a paladino della comunità sunnita che si percepiva in pericolo a seguito del cambio di regime con cui si imposero gli sciiti. Proprio in questa dinamica conflittuale tra sciiti e sunniti si inserì un secondo conflitto che riguarda isis. Sotto la guida di al-Zarqawi il gruppo si rafforzò e si ampliò, ma soprattutto intraprese una strategia di scontro aperto con la componente sciita. L’obiettivo era quello di scatenare una guerra intestina tra sunniti e sciiti per riuscire a ottenere il controllo dei primi e sconfiggere i secondi visti come apostati dell’Islam. aqi quindi si presentò come il fautore di un conflitto settario e identitario all’interno del teatro iracheno.

    Qui però si innesta un terzo conflitto. A difesa degli sciiti, e sfruttando l’occasione del caos iracheno per ampliare la propria sfera di influenza, l’Iran iniziò ad armare e addestrare alcune milizie sciite e ad appoggiare i politici sciiti iracheni. Con il tempo la lotta si trasformò da interna tra sunniti e sciiti in una sorta di proxy war in cui l’Iran iniziò a giocare un ruolo centrale. Per tutta risposta gli Stati sunniti dell’area, prima fra tutti l’Arabia Saudita, finanziarono gruppi sunniti, tra cui anche isis.

    Questo è quindi il quarto e ultimo conflitto in cui si inserisce Daesh. Lo scontro tra potenze sunnite, spesso appoggiate dagli Stati Uniti, e Iran si ripercosse a livello regionale nell’intero Medio Oriente. Questo scontro non fu subito evidente in Iraq, ma lo divenne con lo scoppio delle cosiddette Primavere arabe e in particolare del conflitto in Siria nel 2011. Quest’ultimo apparve fin da subito come una proxy war oltre che una guerra civile, in cui potenze regionali e globali, come Stati Uniti e Russia, presero le parti dei rispettivi alleati. L’asse sciita guidato dall’Iran appoggiò il presidente Assad anche attraverso le milizie di Hezbollah, il quale venne poi supportato dalla Russia, da sempre alleata della Siria. Dall’altro lato gli Stati Uniti appoggiarono la minoranza curda che però a sua volta fu osteggiata dalla Turchia, alleata degli Stati Uniti e membro della nato, e alcuni gruppi sunniti non estremisti. Mentre tra i gruppi sunniti estremisti troviamo al-Nusra, emanazione di al-Qaeda, e ovviamente isis.

    Per capire Daesh è dunque necessario tenere a mente questa serie di complesse alleanze e linee di conflitto che in parte evolvono in base al teatro e al periodo storico, ma in parte restano come sfondo per lo sviluppo di isis.

    Il libro mira dunque a dare uno sguardo complessivo e di lungo periodo sul fenomeno di isis. Nelle pagine seguenti una particolare attenzione verrà dedicata alle dinamiche politico-militari che consentirono a Daesh di nascere e di prosperare nel corso degli ultimi anni, fino alle operazioni militari guidate dagli Stati Uniti che, invece, ne minarono la forza. A questo fine il testo è diviso in nove capitoli disposti in ordine cronologico e focalizzati ognuno su specifiche dinamiche.

    Il Capitolo 1 ha un compito più generale e di inquadramento, poiché offre uno sguardo della situazione politico-militare dell’area mediorientale prendendo in considerazione alcuni passaggi chiave che posero le basi per gli sviluppi successivi. Il riferimento è alla rivoluzione iraniana (1979), all’invasione sovietica dell’Afghanistan (1979) e al conflitto tra Iraq e Iran (1980-1988). Soprattutto la rivoluzione iraniana rappresentò un punto di rottura fondamentale delle alleanze locali, poiché l’Iran da alleato storico e centrale degli Stati Uniti nella regione si trasformò nel loro peggiore nemico e li costrinse a rivedere le loro politiche regionali, a cercare nuovi alleati e ad aumentare la loro presenza nella zona. La rivoluzione iraniana, con la sua ideologia legata all’esportazione della rivoluzione islamica sciita, e il conflitto tra Iran e Iraq diedero poi il via alla lotta identitaria e settaria tra la comunità sciita e quella sunnita su cui isis costruì le sue fortune. A seguito del conflitto in Afghanistan si sviluppò l’idea di una sorta di jihad globale per combattere i nemici occidentali, all’epoca era l’Unione Sovietica, poi diventarono gli Stati Uniti e i loro alleati. I primi foreign fighters, le reti di finanziamento, le collusioni con governi compiacenti e i rifornimenti di armi si svilupparono tutti nel quadro di quel conflitto per poi fare da supporto ad al-Qaeda e ripresentarsi in altre forme con isis. Al contempo quei conflitti posero le basi per alcune idee tattiche riprese da gruppi jihadisti successivi come l’attacco suicida e alcune operazioni di fanteria. Il capitolo prende poi in considerazione gli anni Novanta e l’operazione Desert Storm attraverso cui gli Stati Uniti penetrarono pesantemente nella regione con basi militari in Arabia Saudita. Ciò produsse come risposta la volontà di bin Laden di scacciare gli infedeli dai luoghi sacri dell’Islam. Questo sguardo alla politica americana nell’area serve per comprendere meglio il conflitto in Iraq scatenato nel 2003, da cui poi isis prese le mosse, e che seguì gli attacchi dell’11 settembre 2001, che spinsero l’amministrazione americana a un maggiore interventismo a livello globale. Verrà quindi brevemente analizzata la prima grande operazione della guerra globale al terrorismo, ovvero l’operazione Enduring Freedom in Afghanistan, descrivendone i suoi aspetti militari (fondamentali per comprendere le origini del controterrorismo moderno) e il nuovo quadro geopolitico dei primi anni 2000. In questo modo i legami tra al-Zarqawi, fondatore di isis, e al-Qaeda verranno maggiormente messi in luce.

    Il Capitolo 2, invece, si propone di offrire al lettore un quadro complessivo dell’ideologia jihadista moderna entro cui si inserisce il fenomeno isis con la sua propaganda. Verranno quindi affrontate le idee dei principali teorici moderni, i loro legami ideologici con autori del passato e con i gruppi che operano nel mondo odierno.

    I Capitoli 3 e 4 entrano nel vivo della storia e dell’evoluzione di isis inserendolo nel conflitto iracheno scatenato dall’intervento americano nel 2003 e conclusosi nel 2011. Si prenderanno in esame le varie fasi dell’operazione Iraqi Freedom che portò alla caduta del regime di Saddam in Iraq, al collasso del Paese e al suo lento scivolare verso nuove forme di guerriglia che crearono l’ambiente ideale per lo sviluppo del primo nucleo di Daesh, ovvero Jama’at al-Tawhid wal-Jihad. Ci si focalizzerà poi sulla guerra civile, sul cambio di nome del gruppo che divenne aqi, al-Qaeda in Iraq, poi isi, Islamic State of Iraq, e conquistò anche terreno nella provincia di al-Anbar e, infine, verrà dato ampio spazio alla dottrina di controinsorgenza e all’impiego delle Forze speciali americane che dopo il 2007 portarono a importanti risultati sul campo, degradando efficacemente isi pur senza riuscire a sconfiggerlo definitivamente.

    Il Capitolo 5, invece, rompe in parte l’ordine cronologico del testo ma ne amplia l’orizzonte geografico, poiché prende in considerazione il tema delle Primavere arabe analizzandone le cause e affrontando i vari teatri dove ebbero luogo. In particolare, si sofferma sulla questione siriana, poiché essa è centrale per comprendere sia come isi riuscì a rinsaldarsi dopo le sconfitte in Iraq sia come il gruppo poté prosperare e ampliarsi fino a conquistare ampi spazi della Siria e dell’Iraq. Infatti, con lo scoppio delle cosiddette Primavere arabe lo scenario politico regionale mutò radicalmente e si creò un doppio vuoto in Siria e Libia che diede la possibilità a gruppi come isis di incunearsi. La Siria di Assad conobbe dopo il 2011 un lento deterioramento della situazione fino alla guerra civile dove, a partire dal 2012, occupò un ruolo importante Daesh che fondò il gruppo gemello Jabhat al-Nusra, da cui poi si distaccò separandosi definitivamente anche da al-Qaeda. La possibilità di agire in Siria, inoltre, permise al gruppo di rinforzarsi in Iraq, dove nel 2012 lanciò la campagna Breaking the walls grazie a cui non solo liberò svariati elementi di rilievo dalle prigioni irachene, ma affinò le proprie tattiche e aumentò il suo radicamento locale. In questo quadro isi tornò a operare in modo più massiccio e continuativo sul territorio iracheno riconquistando spazio geografico e politico specie nella provincia di al-Anbar e nel Nord intorno a Mosul.

    Il Capitolo 6 analizza proprio quegli anni a partire dalla conquista di Mosul in Iraq da parte del gruppo che ormai si faceva chiamare isis e che nel giugno del 2014 si autoproclamò Stato islamico e Califfato. Si studieranno quindi i movimenti militari della milizia, i suoi successi e di conseguenza le operazioni militari americane e irachene che lentamente riconquistarono il territorio perso ed eliminarono la presenza di Daesh pur non cancellandone la minaccia.

    isis, però, non si limitò ai soli teatri iracheno e siriano, ma dimostrò ottime capacità operative, seppur non omogenee e variamente declinate, in altri contesti politico-sociali. Per questa ragione i Capitoli 7 e 8 prenderanno in considerazione il tema delle province di isis, principalmente in Libia, dove conquistò e tenne per diversi mesi la città costiera di Sirte e si inserì nei traffici criminali locali in particolar modo in quello di migranti, e Sinai dove permane una situazione di conflitto aperto con le forze di sicurezza. Il Capitolo 8, invece, prende in considerazione gli attacchi terroristici di isis in Europa e i legami politico-sociali che il gruppo può vantare sul continente mettendo così in luce la persistenza e gravità della minaccia.

    Il Capitolo 9 si concentra, invece, su uno studio più approfondito del fenomeno isis dal punto di vista delle sue capacità operative. In questo modo si metteranno in luce aspetti salienti del gruppo come la sua capacità di impiegare i moderni mezzi di comunicazione, moderne armi come carri armati e droni e si farà chiarezza sugli aspetti organizzativi e finanziari.

    Le conclusioni sono dedicate a una valutazione finale di isis alla luce delle sconfitte militari, che nel corso del 2017 ne hanno sostanzialmente azzerato il controllo del territorio, e degli elementi che, invece, continuano a rappresentare una seria minaccia sia per le nostre società sia per la stabilità regionale nell’intera area del Mediterraneo. Il testo poi si conclude con un’Appendice dedicata all’approfondimento della tattica per eccellenza di Daesh, ovvero l’attacco suicida, e con una nota bibliografica che raccoglie studi e analisi utilizzati per la stesura di questo lavoro.

    Strutturato in questo modo il libro si prefigge quindi di raggiungere quattro obiettivi principali. Per prima cosa il testo vuole essere una storia di isis nel senso di presentare una quanto più possibile completa disamina dell’evoluzione del gruppo partendo dalla sua genesi a seguito dell’operazione Iraqi Freedom nel 2003 fino ad arrivare alle più recenti operazioni che mirano a combatterlo. Da questo obiettivo discende la struttura il più possibile cronologica del testo e gli approfondimenti sul quadro politico e sulle idee relative al jihadismo.

    Un secondo obiettivo è quello di far comprendere al lettore come isis, pur con tutte le sue diversità e specificità, non sia in realtà un unicum nel quadro del jihadismo globale. Infatti, la milizia di al-Baghdadi si inserisce nel più ampio contesto della storia del jihadismo contemporaneo e dei sommovimenti geopolitici che stanno interessando la regione del Medio Oriente. Ciò spiega il perché ci si sofferma sia sulla disamina della centralità del 1979 sia sull’ideologia del jihadismo globale. Questo è un aspetto importante perché sconfiggere militarmente il gruppo non è difficile, ma sradicare la sua ideologia e la sua propaganda è, invece, qualcosa di estremamente più complesso e arduo da realizzare, ma di certo capire le radici e i legami ideologici è il primo passo per uscire dalla mera soluzione militare.

    Siccome la definizione di gruppo terrorista va un po’ stretta nel caso di isis, il terzo obiettivo del libro è quello di mettere in evidenza, attraverso il suo sviluppo, le sue tattiche, la sua strategia, quegli elementi volti a dimostrare al lettore come il gruppo sia stato una milizia strutturata in grado di conquistare e controllare territori, governare città e affrontare in modo semiconvenzionale le forze armate nemiche. Il tema è centrale perché comprendere la natura di Daesh è il primo passo per attuare delle contromisure valide.

    Infine, attraverso lo studio e la ricostruzione di alcune battaglie e operazioni di isis, soprattutto nel teatro iracheno, il libro si soffermerà a studiare le modalità operative di Daesh dalle autobombe agli attacchi suicidi; dall’impiego dei cecchini a quello dei droni. Ciò serve sia per dare un’immagine più dettagliata e precisa del gruppo sia per offrire al lettore uno spaccato della realtà dei conflitti moderni da molti definiti come ibridi, ovvero conflitti che si caratterizzano per la commistione di elementi delle guerre convenzionali e di quelle non convenzionali; per un impiego sia della tattica guerrigliera che di quella terroristica con un accento su quest’ultima; per un uso importante della moderna tecnologia e dei moderni sistemi di comunicazione di massa come social network; per un campo di battaglia principalmente urbano e non limitato a una specifica area.

    Nota dell’autore e ringraziamenti

    Come già accennato il gruppo che qui chiamiamo isis ha avuto in realtà una lunga storia durante la quale ha cambiato nome svariate volte. Il gruppo originario fu Jama’at al-Tawhid wal-Jihad, poi si trasformò in aqi (al-Qaeda in Iraq, 2004-2006), in isi (Islamic State of Iraq, 2006-2013), isis o isil (Stato islamico dell’Iraq e della Siria/Levante), infine is (Islamic State). Per una maggiore chiarezza espositiva nei capitoli centrali e più legati allo sviluppo del gruppo si utilizzerà per quanto possibile la denominazione in senso cronologico. Nei capitoli più generali, o quando per vari motivi non si seguirà un rigido ordine cronologico, si è preferito invece uniformare i riferimenti al gruppo impiegando esclusivamente l’indicazione di isis, sostituito, per non appesantire eccessivamente la lettura, a volte con la locuzione Daesh. Il termine indica semplicemente Stato islamico dell’Iraq e dello Sham (ovvero la regione che comprende Siria, Libano, Giordania e Palestina), ma siccome ha un’assonanza negativa in arabo è un termine poco apprezzato dagli islamisti. Tale scelta semantica è stata dettata dalla volontà di non dare eccessiva rilevanza al gruppo e, per la stessa ragione, si è cercato di impiegare il meno possibile i termini Califfato, califfo e Stato islamico, anche se per il periodo successivo al 2014 non è sempre stato possibile. Di conseguenza ai fini di questo libro i vari termini usati, da isis a Daesh, da Stato islamico a Califfato, vanno interpretati come sinonimi e riferiti tutti allo stesso gruppo.

    Il volume vuole essere un’analisi e una storia di isis, scritto in modo che possa essere letto e compreso anche da un pubblico di non specialisti, per questo si è cercato di impiegare un linguaggio semplice. Allo stesso tempo, però, lo studio che sta alla base dei contenuti qui presenti è di carattere accademico e deriva da varie ricerche che ho condotto negli ultimi anni. L’interesse per l’Iraq nasce ai tempi del dottorato in Scienze Strategiche dove mi occupai dell’operazione Iraqi Freedom e del pensiero strategico americano, da quel momento in poi ho sempre mantenuto forte l’attenzione per gli eventi dell’area. Ed è così che ho pubblicato diversi articoli accademici su isis (come per esempio Modern Irregular Warfare: The isis Case Study, in «Small Wars & Insurgencies», 2018, e isis in Sirte and Mosul: Differences and Similarities, in «Mediterranean Politics», 2017); sul problema del moderno terrorismo di cui isis è il caso più emblematico (Guerra e terrorismo: due fenomeni distinti?, in «Rivista di Politica», 2016; I conflitti del xxi secolo tra passato e futuro, in «Nuova Rivista Storica», 2015); varie analisi geopolitiche sulla regione del Mediterraneo per importanti think tank (che ringrazio per lo spazio che mi hanno offerto e la possibilità di confronto) come l’ispi di Milano e il Centro Einaudi di Torino.

    In questi anni mi sono confrontato sui temi del terrorismo internazionale e di isis con molti amici e colleghi che mi hanno stimolato e aiutato. A tutti loro va il mio più profondo ringraziamento. Un grazie alla professoressa Gabriella Silvestrini e al Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università del Piemonte Orientale di Vercelli per avermi dato tempo e modo di lavorare a questo progetto.

    Alla mia famiglia e a Luana dedico un pensiero per la pazienza e il supporto.

    cartina1

     La strategia globale di ISIS.

    cartina2

     Estensione massima raggiunta da ISIS.

    1. Il quadro storico del Medio Oriente: da Khomeini al 2003

    La milizia di isis o Daesh ha una storia molto recente visto che con questo nome comparve solo intorno al 2014 e conquistò poi le prime pagine dei giornali di tutto il mondo con la presa della città irachena di Mosul. Tuttavia, isis è il frutto di processi e conflitti che hanno cause e radici ben più lontane. Al contempo però si devono tenere presenti due aspetti. Da un lato, Daesh è figlio di una milizia dell’insorgenza attiva in Iraq sin dal 2003, quando gli Stati Uniti invasero il Paese aprendo un vaso di Pandora etnico e religioso che ancora oggi fatichiamo a gestire. Dall’altro lato i movimenti estremisti, che impiegano come tattica principale il terrorismo e di cui isis rappresenta solo l’ultima sigla in ordine di tempo, sono il risultato di un lungo processo storico che ha coinvolto l’intero Medio Oriente e ha posto le basi per la competizione geopolitica di oggi, da cui Daesh ha tratto appoggio e aiuti. Questo capitolo mira proprio a mettere in luce questi radicali mutamenti geopolitici che hanno influenzato in modo profondo le percezioni arabe e in generale il mondo politico della regione e di conseguenza i suoi rapporti con l’Occidente.

    Breve storia del Medio Oriente nel xx secolo

    È impossibile ripercorrere qui la storia del Medio Oriente nell’ultimo secolo, ma è comunque importante sottolineare alcuni aspetti che ebbero una profonda ripercussione sugli eventi successivi che maggiormente ci interessano.

    Il Medio Oriente come lo conosciamo noi oggi, diviso in Stati nazionali, nacque alla fine della prima guerra mondiale dopo che per secoli era rimasto sotto il controllo dell’Impero ottomano, che però all’inizio del xx secolo era ormai nel suo periodo decadente. Infatti, già nei decenni precedenti le terre sotto il suo dominio si erano ridotte costantemente: aveva perso i territori europei nei Balcani, il controllo dell’Egitto e della Libia a seguito della conquista italiana (anche se questa fu difficile, parziale, e solo con le campagne fasciste successive l’Italia ottenne un totale controllo del Paese). Durante i primi anni della prima guerra mondiale l’Impero ottomano si schierò con la Germania e l’Impero austroungarico, venendo di conseguenza in conflitto con Gran Bretagna e Francia che da decenni cercavano di accaparrarsi porzioni importanti dei suoi territori. La sconfitta nella guerra divenne l’occasione per smantellare definitivamente l’Impero ottomano. Tre eventi ci interessano qui in modo particolare: l’accordo Sykes-Picot (16 maggio 1916), la dichiarazione di Balfour (2 novembre 1917) e la nascita della Turchia moderna.

    L’accordo Sykes-Picot prende il nome dai due delegati (il britannico Mark Sykes e il francese François Georges-Picot) che tra il 1915 e il 1916 condussero i negoziati che definirono le sfere d’influenza di Francia e Gran Bretagna in Medio Oriente, nella probabile ipotesi della sconfitta dell’Impero ottomano. Si trattò di una spartizione del Medio Oriente in pieno stile coloniale, con linee di confine tracciate sulle mappe senza tenere in considerazione diversità etniche, culturali o religiose. L’accordo prevedeva la creazione di Stati nazionali di stampo occidentale in Medio Oriente e controllati dalle due potenze europee. La Francia ottenne l’attuale Siria e il Libano, che venne separato dal territorio siriano per dare maggior peso politico ai cristiani lì residenti, ma così facendo si creò sia uno Stato molto frammentato dal punto di vista religioso sia il desiderio siriano di ricreare una Grande Siria. La Gran Bretagna, invece, si impossessò dell’attuale Iraq, della Giordania e della Palestina. Questo trattato quindi diede forma alla struttura politica del Medio Oriente fino al xxi secolo, ma fu sempre percepito dalla parte più estremista del mondo musulmano come un’imposizione e un’enorme umiliazione sia perché le terre dell’Islam venivano spartite e governate da infedeli sia perché veniva divisa la comunità islamica secondo linee nazionali che nulla avevano a che vedere con la storia, la cultura e la società della regione. Non è quindi un caso che nella propaganda di isis il trattato Sykes-Picot venisse più volte ricordato e che nel 2014 il gruppo diffondesse poi un video in cui abbatteva il confine tra Siria e Iraq proprio come simbolo della fine di quell’imposizione occidentale.

    La dichiarazione di Balfour prende, invece, il nome dall’allora ministro degli Esteri britannico, Arthur Balfour, il quale scrisse una lettera a Lord Rothschild, rampollo di una ricca famiglia ebrea di banchieri, già membro del parlamento inglese tra le file dei liberali e uomo particolarmente attivo nel movimento sionista, che mirava a creare uno Stato ebraico in Medio Oriente. Balfour scrisse a Rothschild in quanto principale rappresentante della comunità ebraica inglese e affermò di guardare con favore alla creazione di un focolare ebraico in Palestina dove già era attiva una piccola colonizzazione ebraica. Il problema fu che questa lettera venne poi inserita nel trattato di Sèvres che stabiliva la fine delle ostilità con la Turchia e assegnava, in linea con l’accordo Sykes-Picot, la Palestina alla Gran Bretagna. Da qui si sviluppò tutta la problematica palestinese e il terrorismo ebraico degli anni Quaranta che portò alla nascita di Israele e a tutte le guerre che si sono succedute. Il problema dei palestinesi diventò un elemento centrale della politica dei Paesi arabi della regione e venne poi ripreso anche dai gruppi jihadisti, isis compreso, anche se è stato progressivamente lasciato sullo sfondo di uno scontro più generale con gli Stati Uniti e l’Occidente. Non è un caso però che molti teorici del jihad siano originari della Palestina o si siano rifatti a quel conflitto per dare forza ideologica alle loro teorie.

    La Turchia, invece, conobbe una rivolta interna che portò al potere il movimento riformista dei Giovani turchi, guidato da Mustafa Kemal Atatürk. Quest’ultimo non solo diventò il primo presidente della Turchia moderna, ma iniziò una profonda opera di riforme sociali, politiche e istituzionali oltre che un radicale tentativo di occidentalizzazione del Paese. Con la Turchia moderna e Atatürk venne anche abolita un’istituzione centrale per il pensiero jihadista e per isis: ovvero il Califfato che rappresentava l’unità della umma (comunità) islamica. Questo fu un vero e proprio shock per molti dei giovani del tempo, che videro crollare sotto i loro occhi ciò che ritenevano un aspetto essenziale della loro cultura. Va però ricordato che il Califfato del tempo era ben lungi dal rappresentare realmente l’unità della comunità dei credenti, visto che il califfo non aveva un controllo né politico né un’autorità di tipo religioso sui credenti fuori dall’Impero ottomano ed era piuttosto limitata anche al suo interno. Ciò non toglie però che l’idea del Califfato sia un topos dell’ideologia jihadista e che in forme e modalità diverse rappresenti l’obiettivo finale di al-Qaeda e di isis.

    La fine della seconda guerra mondiale non portò sostanziali modifiche all’assetto del Medio Oriente se non per il fatto che venne istituito Israele, ma con la guerra fredda il mondo si polarizzò intorno ai due blocchi, quello americano e quello sovietico. Ciò si ripercosse anche sul Medio Oriente che vide alcuni Paesi – Siria, Iraq, Egitto (seppur in modo più incostante) – prendere parte al blocco sovietico, mentre altri – Israele e Arabia Saudita – schierarsi con gli Stati Uniti o addirittura entrare a far parte della nato come la Turchia. L’Iran, invece, allineatosi al blocco americano va preso in esame in modo più accurato, il che porta ad analizzare in maniera più approfondita la data centrale del 1979.

    Il 1979 una data fondamentale. La rivoluzione islamica in Iran e il capovolgimento delle alleanze locali

    Il 1979 è cruciale nella politica del Medio Oriente e poi nello sviluppo di movimenti jihadisti per due ragioni principali che analizzeremo nel dettaglio. Primo, la rivoluzione in Iran non solo capovolse completamente le alleanze regionali imponendo nuovi equilibri, ma diede anche il via a un’idea rivoluzionaria basata sui dettami dell’Islam che fu poi cruciale nello sviluppo dei gruppi irregolari. Secondo, a dicembre l’Unione Sovietica intervenne in Afghanistan lanciando

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