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Per una notte o per sempre
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E-book439 pagine6 ore

Per una notte o per sempre

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Info su questo ebook

Numero 1 del passaparola

Dall’autrice del bestseller Tra di noi nessun segreto

Wyatt Walker è un ambizioso studente che frequenta l’ultimo semestre alla Columbia University di New York. La sua è una vita quasi perfetta: ha una famiglia che lo ama, una compagna che tollera le sue scorribande amorose e un futuro assicurato come avvocato. Un giorno però, durante la simulazione di un processo, incontra la giovanissima Kaelee Connery. Wyatt ne rimane affascinato e decide di concedersi con lei una notte di passione che potrebbe anche essere l’inizio di una bella storia d’amore, se Kaelee non scomparisse senza lasciare traccia di sé. Qualche mese dopo Wyatt torna in Arizona per fare visita alla famiglia, rivede Kaelee e così scopre chi è veramente. Combattuto tra attrazione e odio, tenterà di cancellarla dalla propria vita. Ma quando l’amore decide di farsi strada nel cuore niente può fermarlo. 

Una storia straordinaria, in bilico tra passione, odio e vero amore.

Hanno scritto di Tra di noi nessun segreto:

«L’ho letto tutto d’un fiato. È una storia avvincente, ci sono proprio tutti gli ingredienti: passione, amore, paura, suspense.»

«Dopo due notti insonni passate a leggere, sono rimasta senza parole. Sconvolta da ciò che sono stata in grado di sentire, provata dagli innumerevoli sentimenti contrastanti che si sono insinuati con prepotenza dentro di me. Un libro che consiglio tantissimo.»
Robin C.
è lo pseudonimo di una scrittrice che ha scalato le classifiche sul web e ha ottenuto recensioni entusiastiche dai suoi lettori. Con la Newton Compton ha pubblicato Tra di noi nessun segreto, diventato un bestseller, È solo colpa tua e Per una notte o per sempre.
LinguaItaliano
Data di uscita27 giu 2018
ISBN9788822724342
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    Anteprima del libro

    Per una notte o per sempre - Robin C.

    Capitolo 1

    5 luglio 2007, New York, Columbia University, simulazione di processo

    Il professor Foster era seduto accanto ai banchi della giuria e osservava i suoi studenti: George Debrett sullo scranno del giudice, l’ambiziosa Megan Stone di fianco al suo finto cliente accusato di furto d’auto, Daniel Keaton nel ruolo di commesso d’aula e Wyatt Walker, in piedi, piegato in avanti con i palmi delle mani appoggiati alla superficie in legno scuro della scrivania e gli occhi puntati sulle notazioni che riguardavano il caso. Sul viso l’espressione concentrata che sempre lo caratterizzava durante un esame.

    Megan, con indosso un elegante tailleur blu scuro, gli stava accanto. I capelli raccolti, le gambe messe in evidenza da scarpe con il tacco insolitamente alto anche per lei. Tra loro soltanto un piccolo corridoio largo poco più di cinquanta centimetri.

    Wyatt alzò lo sguardo, si voltò, squadrò da capo a piedi la compagna, e poi le sorrise. «Stone», si sporse sulla sua sinistra per poterla avvicinare, «sarebbe questa la tua strategia per vincere oggi? Distrarmi con un vestito mozzafiato?».

    Megan scosse la testa e le sue gote si colorarono di un rosa acceso. «Non ho bisogno di trucchi per batterti in aula, Walker».

    «Eppure ti sei vestita così...».

    «L’ho fatto per ciò che seguirà, ovviamente», sussurrò con voce seducente, sporgendosi in avanti per fornirgli una visuale migliore della scollatura.

    «Allora spero che tu non lo abbia pagato una fortuna, considerando che conto di fargli fare una brutta fine».

    Megan rispose con tono basso e suggestivo. «Sono lieta di notare che non scherzavi ieri».

    L’uomo sentì contrarsi di riflesso il basso ventre: non vedeva l’ora di strapparle di dosso quell’abito così sensuale e prendersi ciò che lei gli aveva promesso il giorno prima, mentre si godevano una piccola pausa durante il ripasso per l’esame.

    Non era innamorato di lei. In realtà non aveva mai provato un sentimento che si avvicinasse all’amore per nessuno. Infatuazioni fugaci, attrazioni violente, affinità elettive, quelle sì, ma un sentimento romantico mai. Eppure la loro era una delle relazioni più significative che avesse intrattenuto in vita sua; l’unica in cui il rapporto includesse stima, affetto e amicizia, oltre che un’ottima intesa fisica.

    Per Megan la situazione era diversa. Era innamorata di Wyatt. Lo era stata sin dal primo anno di specializzazione, e durante tutto il tempo passato insieme aveva sopportato ogni sua scorribanda, ogni temporaneo sbandamento, ogni dolorosa confidenza sulle sue avventure senza significato, solo per non perderlo. Non gli aveva mai confidato i propri sentimenti, era troppo intelligente per non sapere che se lo avesse fatto le cose tra loro sarebbero cambiate e non in meglio. Si era quindi accontentata del ruolo di amica particolare. In fin dei conti, si consolava, aveva visto passare un numero indecente di ragazze nel letto di Wyatt Walker e l’unica ancora in circolazione era lei. Detto questo, non si sarebbe risparmiata in aula, avrebbe fatto di tutto per vincere e mettere al tappeto l’uomo che amava.

    Lo scalpiccio di passi che si avvicinavano e il mormorare di giovani voci li interruppero. Stavano arrivando i finti giurati e Wyatt si voltò a guardarli.

    Sei anni prima era stato uno di loro, uno studente all’ultimo anno delle superiori in viaggio premio a New York per meriti scolastici. Ora sarebbe diventato l’esempio che quei ragazzi avrebbero ricordato.

    Sapeva perfettamente cosa li aspettava: avrebbero seguito il processo, si sarebbero immedesimati nel ruolo dei futuri avvocati in aula, avrebbero analizzato ogni loro gesto, ogni parola. Il giorno dopo sarebbero stati affidati ognuno a uno specializzando per fare il giro completo del campus e Wyatt sperava con tutto il cuore che quel compito ingrato non capitasse a lui, perché di sicuro aveva di meglio da fare. Gli studenti stavano entrando disposti in una fila ordinata. La prima del gruppo era una ragazza molto carina. Tra le braccia, appoggiato ai seni generosi, teneva un quaderno dalla copertina nera e camminava oscillando con leggerezza i fianchi morbidi. La seguivano altre sette studentesse e quattro studenti. Una giuria prevalentemente femminile, notò lui soddisfatto.

    Distolse lo sguardo e tornò con gli occhi su Megan, che ora sembrava corrucciata. «Perché quella faccia?», le chiese.

    «Sto pensando che questo esame segnerà la conclusione del nostro percorso alla Columbia. Sono un po’ malinconica».

    «Non devi. Ci aspetta un grande futuro, piccola. Lasciati andare, goditi questa giornata. Spaccheremo il culo ai passeri e sarà solo l’inizio», le accarezzò una guancia, poi si rimise diritto sulla sedia tornando finalmente a concentrarsi sulla ragione per cui si trovavano entrambi in quella finta aula di tribunale. Un secondo dopo udì il professor Foster colpire il ripiano della balaustra che aveva di fronte a sé, con la bacchetta di legno che si portava appresso a ogni lezione e che di solito usava per indicare frasi, articoli, immagini, sulle slide proiettate nelle moderne aule in cui insegnava. Calò il silenzio e la prova ebbe inizio.

    Daniel, impettito e fiero, ordinò alla scolaresca di alzare la mano destra per prestare giuramento, poi rivolse lo sguardo al compagno di corso che faceva la parte del giudice e che era pronto a procedere con le dichiarazioni di apertura.

    Wyatt si alzò, si avvicinò al banco dei giurati, schiarì la gola con uno studiato colpo di tosse e iniziò a parlare.

    «Vostro Onore, Signore e Signori della giuria, l’imputato – il signor West – è accusato del reato di furto d’auto. Dimostreremo che la notte tra il 4 e il 5 settembre dello scorso anno si appropriò illegalmente di una Corvette color amaranto del 2002 e che utilizzò suddetta vettura fino al 7 settembre, quando fu arrestato nei pressi del proprio appartamento alla guida del mezzo. Dimostreremo altresì che il signor West sottrasse illegalmente alcuni effetti personali trovati in auto allo scopo di rivenderli e ricavarne altro guadagno illecito. Tutte le prove raccolte a suo carico e le testimonianze ci permetteranno di affermare, senza ombra di dubbio, che l’imputato è colpevole».

    Tornò alla sua scrivania e si sedette per lasciare il posto a Megan che, portandosi al centro della sala, prima gli sorrise con studiata calma, poi si rivolse ai presenti.

    «Vostro Onore, Signore e Signori della giuria, durante questo processo dimostrerò che l’auto fu rubata da un amico dell’imputato, il signor Ethan Bolt, il quale successivamente gliela prestò senza informarlo dell’illecita provenienza. Dimostrerò che il signor West era completamente ignaro del fatto che quella fosse una macchina rubata e che la utilizzò una volta soltanto per recarsi a trovare la moglie ricoverata in ospedale. Dimostrerò, pertanto e senza ombra di dubbio, che il mio cliente non è colpevole».

    Finita la breve dichiarazione di apertura, anche lei tornò a sedersi al suo posto accanto a Wyatt, sfiorandogli un braccio in modo sottilmente provocatorio, e lui dovette fare un discreto sforzo per non pensare al pomeriggio di festeggiamenti che li aspettava.

    Dopo quasi quattro ore di dibattimento, di interrogatori e controinterrogatori serrati, il professor Foster decretò la fine della prova. Era estremamente soddisfatto; non era stato possibile – in così poco tempo e con due allievi tanto brillanti – chiudere il finto processo. Ma per il docente non contava poi molto; la cosa importante era che Megan e Wyatt avevano lavorato al meglio delle loro possibilità e non avevano commesso sbagli. Erano stati eccezionali, avevano tenuto tutti i presenti in un costante stato di tensione, malgrado l’argomento del contendere non fosse di certo tra i più interessanti. Per poche ore erano stati l’avvocatessa Stone e il procuratore Walker, alle prese con una lotta all’ultimo sangue. Ed era stato magnifico.

    «Prima che possiate lasciare quest’aula», disse il professore rivolgendosi a tutti, «vi ricordo che domani è previsto il giro della struttura in compagnia di uno studente tra quelli che oggi ci hanno aiutato come giurati del nostro processo. Avrete la mattinata impegnata con loro, poi potrete tornare alle vostre solite attività». Fece una pausa e prese tra le mani il foglio con la lista degli studenti che avevano svolto il ruolo di giurati. «Leggerò ora i dodici nomi delle guide e quelli degli allievi a loro abbinati».

    Wyatt rimase fermo, in attesa di sentire se ci fosse anche il suo. Sperava davvero che così non fosse perché di indole non era né particolarmente paziente, né altruista. Sapeva che avrebbe fatto fare al malcapitato il giro del campus più breve della storia per poi poter tornare alla sua stanza in tempo record. Quindi, quando si sentì chiamare, trattenne a stento un’imprecazione. Ma nel momento in cui al suo nome venne abbinato quello della bella studentessa che aveva notato prima del processo, il suo malumore diminuì.

    «Kaelee Connery, Foothills High School, Tucson, Arizona», scandì la voce di Foster, e la ragazza si fece avanti.

    Wyatt la osservò con attenzione. Kaelee – che nome curioso, pensò – non solo veniva da Tucson ma frequentava la scuola superiore in cui lui aveva passato quattro anni della sua vita, teatro di momenti esaltanti e di favolosi atti impuri. Gli tornarono in mente i corridoi dell’edificio scolastico, la professoressa Morton, il preside Shuman, i campi da basket. I primi baci vicino ai tavoli esterni della mensa, le feste e le prime sbronze.

    Quando l’ebbe vicina realizzò che l’aggettivo carina non le avrebbe reso giustizia. Era oggettivamente bella. Non molto alta – probabilmente non superava il metro e sessantacinque – ma con un corpo da capogiro. Il viso, poi, era sensazionale: ovale perfetto, belle labbra carnose, denti bianchi e dritti, nasino alla francese coperto di piccole e rade lentiggini, zigomi leggermente pronunciati e due grandi occhi grigi da gatta. E poi le sue gote arrossate per l’emozione, l’incedere insicuro, particolari che mettevano in evidenza uno stato di adorabile apprensione.

    Da quanto tempo non vedeva un atteggiamento simile in una ragazza? Era abituato a sguardi sicuri, ad approcci aggressivi e diretti, a una sorta di spavalderia tipica delle donne più grandi. La giovane Kaelee invece, pur essendo una creatura deliziosa, sembrava sul punto di svenire per l’agitazione. Wyatt si allontanò da Megan e andò di fronte alla studentessa. Allungò una mano per presentarsi e strinse la sua con sicurezza, trattenendola decisamente troppo a lungo.

    «Piacere», disse, «Wyatt Walker».

    Il colorito della giovane si fece ancora più acceso: «Kaelee Connery».

    «Un nome davvero particolare, non lo avevo mai sentito. Bello».

    Lei abbassò lo sguardo: «Grazie».

    Dio, sembrava davvero timida, pensò Wyatt. Doveva assolutamente trovare il modo per metterla a suo agio, altrimenti il giro del giorno dopo sarebbe stato un’agonia. «Anche io sono di Tucson, sai?»

    «Sì, sì lo so», rispose.

    «Davvero? E come lo sai?», le chiese, stranito.

    «Non lo so... cioè sì, probabilmente l’accento... scusa. Non capisco cosa mi prenda oggi, ho risposto senza pensare, sono solo un po’ stanca, il volo, l’albergo, questa città così grande. Sono frastornata e dico cose senza senso».

    «Ehi...», disse lui con una nota divertita nella voce, «tranquilla». La ragazza aveva finalmente messo insieme più di due parole, pensò nel frattempo. Forse vi era speranza che si rilassasse e le cose tra loro potessero farsi più divertenti. «Piuttosto dimmi: Shuman è ancora preside? Se la fa sempre con Miss Hart?».

    Kaelee spalancò gli occhi: «Cosa? Shuman e la Hart?»

    «Non lo sapevi? Allora, domani ti racconterò tutti i segreti che riguardano la nostra scuola superiore... Non hai idea...».

    In quel momento Daniel Keaton gli passò accanto ed esaminò dalla testa ai piedi la giovane per poi emettere un fischio di apprezzamento. «Walker, se la tua proposta è ancora valida, accetto i venti dollari che mi hai offerto per sostituirti come guida». Poi si rivolse a Kaelee: «Il nostro grande procuratore detesta questo tipo di cose. Io, invece, sarei onorato di aiutarti».

    Wyatt lo cacciò via con un cenno della mano. «Sei un coglione, Keaton».

    «Può essere. Ma sono un coglione molto generoso. Infatti lo farò gratis. Allora, che ne dici, signorina?»

    «Posso cavarmela da sola. Non sarebbe un problema, davvero. Mi rendo conto che...».

    «Non se ne parla», la interruppe Wyatt, «Daniel si diverte a fare il cazzone, è fatto così. Non dargli retta, sarà un vero piacere per me farti visitare la Columbia».

    «Grazie al cielo», Kaelee riprese fiato sorridendo, «perché questo posto è immenso». Allargò le braccia come a indicare le dimensioni dell’aula in cui ancora si trovavano, poi spostò lo sguardo oltre le finestre che davano sulla via principale del campus. Il sole che filtrava attraverso i vetri la colpì in pieno volto, rendendo il suo sguardo quasi trasparente. Eppure le pupille, che per quella stessa ragione avrebbero dovuto essere piccole come spilli, erano evidentemente dilatate. Erano occhi spettacolari, occhi incapaci di nascondere l’eccitazione che lei provava in quel momento.

    Una voce dietro di loro interruppe quel breve scambio. Wyatt si voltò. Era Megan, pronta per lasciare l’aula, valigetta in una mano e l’altra appoggiata al fianco. «Wyatt, dobbiamo andare...».

    Lui le fece un cenno di assenso e tornò a guardare la studentessa. «Allora ti aspetto alle 8.30 davanti all’Alma Mater, va bene?», poi si voltò e raggiunse la compagna che aveva osservato, leggermente turbata, la scena da lontano.

    Megan conosceva molto bene Wyatt e quel breve scambio con la ragazza di Tucson non le era piaciuto per niente. Lo sguardo di lui si era fatto sensuale, la sua postura protesa verso la giovane. Non era la prima volta che lo vedeva flirtare, ed era quasi certa di conoscere quali pensieri si fossero formati nella sua mente in quei pochi minuti. Qualcosa di lei lo aveva colpito, di questo era sicura.

    Quando lo ebbe vicino cercò di non fargli notare quanto fosse infastidita. L’unica cosa che fece fu procedere a passo svelto verso il dormitorio, determinata a fargli dimenticare il momento di sbandamento appena passato. E per qualche ora ci riuscì egregiamente.

    6 luglio 2007, New York, Columbia University

    Wyatt si presentò puntuale all’appuntamento, pronto a mostrare la facoltà alla bella Kaelee e deciso a conoscerla meglio. Fece entrambe le cose con impegno e dedizione. Al meglio, come sua abitudine. Per tutta la mattinata l’accompagnò in giro per il campus, lo fece con leggerezza, alternando descrizioni e informazioni a momenti più giocosi. Lo fece flirtando, trovando pretesti per sfiorarla, per andarle vicino con il corpo, con il viso, per farle intuire che il suo interesse andava oltre gli aspetti puramente accademici. Lo fece con un evidente entusiasmo, perché quella ragazza lo intrigava moltissimo. Fu quindi naturale chiederle di passare ancora del tempo insieme a fine giornata.

    «Siamo stati bene, vero?», le disse davanti all’Alma Mater, quando ormai erano arrivati ai saluti.

    «Sì, è stata una delle giornate più emozionanti e divertenti della mia vita».

    «Ed è un peccato che sia già finita».

    Lo sguardo di Kaelee si intristì. «Già».

    Lui le prese le mani fra le sue. «Senti, stavo pensando... hai qualche impegno per questa sera? Tu e il tuo gruppo dovete necessariamente restare uniti o puoi venire a cena con me?».

    Kaelee fece un sorriso stupito. «Dici sul serio?»

    «Ovviamente se ne hai voglia».

    «Sì che ne ho voglia».

    «Allora è deciso. Dov’è il tuo albergo?»

    «Stiamo tutti al Broadway, sulla novantaquattresima, ma non credo sia una buona idea incontrarsi lì. Il nostro accompagnatore potrebbe creare problemi».

    «C’è una chiesa a due isolati da quell’hotel, sulla novantaseiesima. Riesci a farti trovare lì davanti per le otto?»

    «Ci sarò», rispose lei, ancora una volta senza tentennare.

    «Benissimo, allora. Questa sera usciamo insieme. Io e te, una pizza e qualcosa da bere». Wyatt le fissò le belle labbra rosse e si leccò le proprie. Lei chiuse per un istante gli occhi e fece un lungo respiro, stringendogli le mani.

    Sì, sarebbe stata una serata interessante, pensò lui. Kaelee non era affatto timida come sembrava, lo aveva notato più volte quel giorno. Tra di loro si era creata una strana alchimia, qualcosa che gli capitava di sentire raramente con una ragazza appena conosciuta e con lei era stata molto intensa. Il modo in cui lo aveva guardato in più di un’occasione, come se davvero lo conoscesse; le cose che aveva detto, come se sapesse già molto di lui. Erano forse pensieri assurdi, eppure sentiva che qualcosa li legava e che starci insieme sarebbe stato molto gratificante.

    Si chinò per lasciarle un bacio leggero sulle labbra. Lei riaprì gli occhi e invece di allontanarsi stupita o imbarazzata, sorrise con una luce trionfante negli occhi.

    Sì, pensò ancora una volta Wyatt, sarebbe stata una notte da ricordare.

    Appena fu nella sua stanza chiamò Megan per disdire l’impegno preso il giorno prima. Lei gli chiese la ragione di quel cambio di programma e lui non valutò nemmeno l’ipotesi di mentire.

    «Hai presente la ragazza di Tucson a cui ho fatto fare il giro del campus oggi?»

    «Sì», rispose lei con tono cauto, consapevole di ciò che stava per ascoltare dall’altro capo del telefono.

    «La porto fuori a cena».

    «Wyatt...», mormorò indignata, «ha appena diciotto anni!».

    «E io ventiquattro, mica quaranta».

    «Vuoi davvero portarti una ragazza così giovane a letto?»

    «Perché non dovrei? Ha una relazione con un tizio della mia età a Tucson, non si tratta di una verginella alla prima esperienza. Non sarai gelosa?»

    «Gelosa di una ragazzina che deve ancora finire le superiori? Non scherzare, per favore. È solo che avevo voglia di vederti questa sera, magari andare a mangiare sushi e poi da te. Tutto qui».

    «Lo faremo presto, promesso!».

    «Va bene», concluse rassegnata. «Ci sentiamo domani».

    Wyatt chiuse la telefonata e si lasciò cadere sul letto. Non si sentiva in colpa per avere disdetto l’appuntamento con la sua compagna di corso. Non considerava particolarmente scorretto o peccaminoso uscire con più ragazze contemporaneamente. La verità era che non mentiva mai alle sue partner, non raccontava favole per invogliarle a stare con lui, ammetteva senza problemi i propri limiti e non nascondeva i propri difetti. Era – in sintesi – un uomo nel pieno della propria giovinezza, pronto a godere di ogni buona occasione gli si presentasse, deciso a sottrarsi all’imperante e ipocrita filosofia monogamica. Ed era sempre stato così: una mente brillante, una forza di volontà invidiabile, la battuta pronta, il viso d’angelo e un corpo nato per peccare. Completamente incurante delle opinioni altrui sulle sue scelte personali. Per tutte queste ragioni era considerato una specie di mosca bianca dai suoi familiari, molto più conformisti. O forse la pecora nera.

    La sua era, infatti, una famiglia modello. Il padre, Martin Walker, aveva fatto carriera in un’azienda di imballaggi industriali. La madre, Melissa Thompson, era invece rimasta a casa ad accudire i figli. Possedevano una casetta a due piani con un bel giardino intorno, sul retro un cortile adibito a campo da basket e una piccola piscina. Il capofamiglia aveva sempre provveduto alle esigenze economiche di tutti e la mamma aveva seguito i ragazzi a scuola e nelle attività sportive. Wyatt aveva un fratello gemello, Wade, che non avrebbe potuto essere più diverso da lui per aspetto e personalità. Di indole tranquilla, riflessivo, protettivo. Non era meno attraente di Wyatt, anzi: era un colosso di quasi due metri, dal fisico muscoloso e potente. Il suo viso era dolce come il carattere, i suoi occhi blu e saggi, i capelli mossi e neri come la pece.

    Wyatt, invece, era decisamente più ribelle, più scostante. Un tipo mercuriale, sempre in movimento, irrequieto. Molto perspicace e straordinariamente dotato a livello intellettivo. Alto poco meno del fratello, atletico, con una corporatura snella e agile. I suoi capelli erano chiari e perennemente scompigliati. Gli occhi verdi come smeraldi. I tratti del viso, decisi.

    La famiglia Walker era unita e all’antica, senza grosse ambizioni al di fuori di una vita tranquilla, perciò Wyatt vi spiccava come un diamante grezzo. Era riuscito ad arrivare alla Columbia con le sue sole forze, grazie a un curriculum scolastico eccezionale e alla voglia di scappare dalla placida Arizona. Dopo le scuole superiori era andato a vivere a New York, lì si era laureato con il massimo dei voti in Scienze Politiche e ora stava per specializzarsi alla scuola di Legge tra i migliori del suo corso.

    In quei sei anni era tornato raramente a casa. Viaggiare costava e, malgrado l’ottima borsa di studio con la quale si era potuto permettere l’accesso a una delle migliori università degli Stati Uniti, i soldi erano ancora un problema. Vivere a New York costava e i debiti scolastici pendevano sulla sua testa come una spada di Damocle. Per questo aveva svolto lavori di ogni genere – dal cameriere allo spogliarellista – pur di completare gli studi e iniziare a vivere il suo sogno nella Grande Mela.

    Non si sentiva mai solo, però, perché la compagnia non gli era mai mancata, soprattutto quella femminile. A New York aveva avuto più partner di quante fosse in grado di ricordare, tutte consapevoli del fatto che lui non stesse cercando una relazione seria – non ancora almeno.

    Nemmeno l’idea di un’avventura con una ragazzina di diciotto anni lo turbava. Anzi, dopo aver passato alcune ore con Kaelee, si era convinto che fosse più stimolante e matura di parecchie sue coetanee. Si limitò dunque a riflettere sulla propria fortuna con le donne. Se tutto fosse andato come desiderava, quella sarebbe stata un’altra esperienza da ricordare.

    Kaelee rientrò in albergo, eccitata e sconvolta. Aveva passato la giornata come immersa in un sogno. Si trovava in quello stato di sensuale confusione dalla mattina precedente, quando di fronte a sé – tra gli specializzandi impegnati nella simulazione a cui avrebbe assistito in qualità di giurata – aveva individuato Wyatt Walker, la sua ossessione platonica, il suo chiodo fisso, il suo inconfessabile segreto.

    Durante il processo non aveva preso appunti né aveva seguito gli scambi tra accusa e difesa. Si era persa nell’osservare ogni movimento di lui, ogni sua espressione, nell’ascoltare il tono sicuro e profondo della sua voce. Il buon senso, che di solito possedeva, avrebbe dovuto metterla in allerta, ma la sua indole passionale non aveva voluto sentire ragioni.

    Si era perduta prima ancora di potersene rendere conto: Wyatt era stato brillante e sensuale, si era mosso sul filo sottile della seduzione con maestria, senza esagerare e senza nascondersi. L’invito a cena era stata la degna conclusione della giornata e Kaelee non aveva esitato nemmeno un secondo ad accettare. Sarebbe andata fino in fondo.

    Si fece una doccia veloce, indossò un abito leggero, aderente sul busto e morbido sulle cosce. Un vestito che enfatizzava le curve e le metteva in mostra le gambe slanciate. Si truccò con cura e lasciò i lunghi capelli sciolti. Una volta pronta si guardò allo specchio e sorrise soddisfatta alla propria immagine: non sembrava più una ragazzina appena uscita dalle scuole superiori ma una giovane donna.

    Inventò una scusa con le compagne di stanza, disse che sarebbe andata a trovare una zia che abitava in città e che probabilmente avrebbe passato la notte da lei. Chiese loro la cortesia di coprirla in caso di controlli e lasciò il suo numero di telefono in caso di necessità.

    In tutto quel tempo cercò di escludere dai suoi pensieri Wade, di non soffermarsi sul fatto che se la notte fosse andata come sperava, si sarebbe trovata a fare i conti con un tradimento orribile. Si convinse che vi erano buone possibilità che la cosa finisse senza grossi strascichi. Wyatt non tornava quasi mai a Tucson, quindi il rischio che Wade venisse a scoprire il loro incontro sarebbe stato minimo. Si raccontò una serie infinita di idiozie, tutto per poter vivere il sogno di qualche ora tra le braccia del ragazzo che le aveva fatto perdere la testa. Si connesse al proprio account Instagram, cercò quello di Wyatt e ripercorse, come spesso faceva, le fotografie che lui di tanto in tanto condivideva. Erano immagini di New York, immagini sue, da solo o in compagnia di qualche conquista occasionale. Non riusciva ancora a credere che sarebbero usciti insieme, che avrebbe baciato, come desiderava fare da troppo tempo, quelle labbra così sensuali.

    Alla fine lasciò il suo albergo e si diresse a passo spedito verso il luogo del loro appuntamento. Quando lo vide arrivare, ogni residua preoccupazione svanì e nella sua mente rimase soltanto il pensiero ossessivo che l’aveva accompagnata fino ad allora: quello di essere, anche per una sola volta nella vita, la sua donna.

    Lui indossava un paio di jeans e una camicia bianca, semplice eppure sensuale come nessun altro. Sembrava una specie di dio in terra, pensò Kaelee, e lei lo avrebbe venerato come un’ancella disposta a tutto.

    Anche Wyatt, non appena la vide, provò un’insolita eccitazione. Di solito non usciva con ragazze così giovani, era più propenso a divertirsi con donne adulte in grado di soddisfare con maestria le sue voglie, quindi il desiderio che aveva sentito per tutto il giorno era sembrato strano non solo a Megan, ma a lui per primo. Non aveva ancora chiaro cosa lo attraesse così tanto in quella studentessa: forse il seno abbondante, forse i grandi occhi dal colore così particolare, forse i fianchi morbidi, forse il culo rotondo e sodo, forse la bocca rossa e carnosa. O, forse, tutto l’insieme: la bellezza, il carattere solare, la vivacità, la capacità di sedurre senza sforzo.

    Si sarebbe fermato a causa della differenza d’età? No, probabilmente no. Se lei glielo avesse concesso, l’avrebbe scopata, e il pensiero fugace del suo cazzo che si faceva strada in quel giovane corpo lo eccitò in un modo che persino lui considerò al limite dell’immorale. Lei gli piaceva, gli piaceva moltissimo. La giornata appena trascorsa era stata spettacolare, non aveva sentito per un solo attimo il peso del noioso compito affidatogli dal professor Foster e aveva trovato la compagnia di Kaelee stimolante sotto tutti i punti di vista.

    Quando se la trovò di fronte le sorrise e si abbassò per darle un bacio su una guancia, lei ricambiò stringendogli i fianchi tra le piccole mani con un gesto possessivo ed esplicito, e ogni dubbio riguardo alla liceità di cosa sarebbe accaduto quella notte si dissolse all’istante.

    La portò in un piccolo bistrot di Morningside Heights, parlarono, flirtarono, si sfiorarono per tutta la sera, sempre più rilassati e a loro agio, come se si conoscessero da tempo e non da ventiquattro ore soltanto. Sempre più vicini, fino a quando non oltrepassarono la sottile soglia tra intenzioni e fatti.

    Erano appoggiati contro la parete di mattoni, lui stava fumando mentre le raccontava un aneddoto divertente dei tempi delle superiori. Lei osservava le sue labbra perfette avvolgersi intorno al filtro per poi riaprirsi e fare uscire nuvole di fumo. Morbide, rosse, invitanti. Osservava la sua lingua accarezzarle per inumidirle, i denti perfetti. Quel suo profilo così virile grazie a una mascella che sembrava scolpita nel marmo. Lo osservava e la testa le girava per il desiderio.

    Quando lui spense il mozzicone, Kaelee fece appello a tutto il proprio coraggio: gli si avvicinò fino a sfiorargli il torso, gli portò le braccia al collo, poi lo baciò. Lo fece con passione immediata, per spegnere il fuoco che le bruciava dentro da mesi, per prendersi ciò che aveva sempre sognato, per appropriarsi finalmente di quello scampolo di erotico paradiso.

    Wyatt rispose invertendo le loro posizioni, la spinse contro il muro, infilò con prepotenza le dita tra i suoi lunghi capelli e premette, con il cazzo che già si stava indurendo, tra le sue gambe. Lei le allargò per garantirgli un accesso migliore e lo tirò a sé per sentire i loro corpi uno contro l’altro, ondeggiando lentamente, ritmicamente. «Andiamo da te», ansimò nella sua bocca, stringendogli forte le ciocche di capelli alla base del collo. Lui non se lo fece ripetere due volte, la prese per mano e se la trascinò ai dormitori. Non appena entrarono nella stanza di Wyatt, lui le circondò il viso con le mani. «Sei così giovane», le sussurrò contro la pelle morbida e profumata del collo. «Troppo, forse. Ma ti voglio da quando ti ho vista entrare in quella maledetta aula».

    Al solo ricordo il cazzo gli pulsò nei pantaloni. La spinse sul letto e iniziò a spogliarsi. Non spense la luce perché voleva vederla, vedere la sua pelle esposta, vedere l’adorabile rossore, che ora le tingeva le gote, spargersi anche sul resto del corpo. Voleva le sue gambe avvolte intorno alla vita, labbra morbide succhiargli il cazzo, voleva guardarla mentre veniva e lo implorava di fotterla ancora.

    Kaelee lo fissò con gli occhi spalancati, lucidi per il desiderio. «Non sono mai andata a letto con uno sconosciuto», disse all’improvviso, quasi sentisse il bisogno di giustificarsi.

    Wyatt continuò a sbottonarsi la camicia. «Non ti devi preoccupare. Non stiamo facendo nulla di male. Ti piacerà da morire, credimi. E poi non è vero che siamo due sconosciuti».

    Lei si rilassò. «Lo so», disse senza fiato. «So che non siamo più due sconosciuti e so che non rimpiangerò mai questa notte».

    Nell’udire quelle parole, Wyatt fu scosso da un fremito di violento piacere e il bisogno di affondare dentro di lei, la necessità di farla sua in qualunque modo gli fosse concesso, si fecero incontrollabili.

    Quando furono nudi, la fece distendere sul letto, le afferrò i fianchi snelli e si spinse tra le sue cosce nivee e sode. «Cosa ti piace, piccola Kaelee?», le chiese leccandole le labbra e ondeggiando su di lei in modo suggestivo.

    «Mi piace tutto. Tutto quello che vuoi tu».

    Wyatt emise un gemito roco di approvazione, chiuse gli occhi per un istante, scese a baciarla un’ultima volta, poi si allungò verso il comodino e prese i preservativi.

    Kaelee lo guardò mentre ne srotolava uno sul sesso eretto e le venne quasi da piangere nel vederlo così, esattamente come nei suoi sogni, quelli che per mesi aveva fatto a occhi aperti da sola nel suo letto, quando con una mano andava a lenire il bisogno che sentiva di lui, quando immaginava le sue parole, i suoi baci e quel cazzo duro dentro di sé. Era perfetto in tutto: i suoi occhi verdi come laghi di montagna, la sua bocca morbida e grande, il naso diritto, le spalle larghe e il corpo atletico. Persino il suo sesso era un capolavoro assoluto, ancora più grosso di quello di Wade. Il che era tutto dire.

    Wyatt le allargò le gambe e scivolò tra le sue labbra bagnate, muovendosi avanti e indietro, mimando l’atto all’esterno per tormentarla deliziosamente prima di entrarle dentro. Poi la fissò un’ultima volta negli occhi, la penetrò lentamente e affondò tra le sue pareti strette fino a che non fu del tutto immerso in lei. «Cazzo... sei... incredibile... perfetta», serrò le palpebre per l’ondata di piacere che lo travolse immediatamente come una scossa elettrica, da capo a piedi. Si tirò indietro e riaffondò, a ogni spinta più forte e deciso. Le unghie di lei gli lasciarono dei graffi sulle natiche, sui fianchi, lungo la schiena. Annusò il suo profumo delicato mescolarsi a quello più acre della loro eccitazione. Udì il suono dei loro corpi, dei loro ansiti, del loro precipitare nella stessa spirale di piacere in sincrono. I loro movimenti incredibilmente in sintonia, ogni spinta, pausa, ogni cambio di direzione, come se fossero amanti da sempre, come se potessero leggere il corpo e la mente dell’altro con precisione assoluta.

    Non riuscì più a respirare, a pensare, a parlare. «Ti prego...», la implorò quando si rese conto che non avrebbe resistito ancora a lungo, e il suono disperato della sua voce, unito a spinte sempre più aggressive e profonde, portò la ragazza oltre il limite.

    Stretto nella morsa ritmica e deliziosa dell’orgasmo di lei, perse il controllo. «Cazzo, sì... così... cazzo... cazzo... cazzo...», gemette a ogni contrazione del proprio ventre, a ogni fiotto di caldo piacere, poi le crollò addosso, senza fiato, spento e sudato. Lei gli accarezzò languidamente la schiena, fissando con gli occhi spalancati il soffitto. Appagata. Pensierosa.

    L’aveva fatto. Era accaduto. Era andata a letto con Wyatt Walker, aveva provato emozioni così intense da farle venire le lacrime agli occhi, e no, non era rimorso ciò che ora la tormentava, era la sensazione di assoluta perfezione in cui era immersa a turbarla, insieme al pensiero che sarebbe presto finita.

    «Cristo», lo sentì mugugnare con la bocca ancora sprofondata tra i suoi capelli, «non sarò durato nemmeno dieci minuti».

    «È stato incredibile, invece. Tu sei incredibile», rispose lei.

    Wyatt sollevò il capo e la fissò nei bellissimi occhi grigi. La baciò lentamente, profondamente. «Sei ancora una bambina eppure così dannatamente sensuale...», fece un sospiro. «Te lo dice ogni tanto il tuo fidanzato quanto sei speciale?».

    Il cuore le si fermò nel petto per un istante, il sangue le si ghiacciò nelle vene. Fissò Wyatt con un sorriso triste, quasi malinconico: «Non mi va di parlare di lui. È un bravo ragazzo ma non è una storia importante, altrimenti non sarei qui con te».

    Passarono quella notte a letto, a esplorare anche l’angolo più proibito dei loro corpi, a gettare le basi di quella che – non potevano ancora saperlo – sarebbe diventata la storia d’amore più importante e devastante delle loro vite.

    Il giorno dopo lui saltò le lezioni e la portò in giro per New York, la notte successiva la trascorsero ancora insieme, così come i quattro giorni che seguirono, immersi in uno stato di strana euforia, di desiderio costante, di connessione anomala ed esaltante. Il resto del mondo cancellato, tagliato fuori come se non fosse mai esistito.

    Wyatt, per la prima volta davvero interessato a una donna, per la prima volta vittima di qualcosa che sembrava andare oltre il semplice appagamento di un bisogno fisico, e Kaelee consapevole del fatto che avrebbe pagato un prezzo molto alto per quella sua breve follia, eppure così infatuata del giovane da non preoccuparsene come avrebbe dovuto.

    Capitolo 2

    30 settembre 2007, Tucson, Arizona

    Wade stava sotto canestro, gli occhi fissi sulla rete circolare sopra di sé, dondolando da

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