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Ogni nuovo bacio
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E-book385 pagine5 ore

Ogni nuovo bacio

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Info su questo ebook

Serendipity Series

Per le ragazze di buona famiglia trascorrere l'estate negli Hamptons vuol dire solo una cosa: il Fling Club. Chi riceve l'invito può partecipare alle feste più esclusive. Le regole sono chiare: ogni ragazza sceglie un cavaliere che la accompagnerà ai vari eventi del club. Ma questa volta Cherry ha in mente tutt'altro. Dopo aver scoperto il tradimento della sua migliore amica, l'unica cosa che desidera è vendicarsi. E ha già in mente un piano. Ashley Jardine non può permettersi di dire di no. La sua famiglia fatica a pagare la retta universitaria e per quanto trovi strana la proposta di Cherry, non è in grado di rifiutare i soldi che lei gli sta offrendo. Ma siamo sicuri che il piano sia perfetto come credono?

«Divertente, ben strutturato e pieno di dettagli che fanno venire voglia di voltare pagina.»
Publishers Weekly

Tara Brown
è cresciuta in una città molto piccola ed è per questo che ha sviluppato una grande immaginazione, cosa che l'ha portata fin da bambina a desiderare di diventare una scrittrice. I suoi romanzi, inizialmente autopubblicati, sono diventati dei bestseller. Ama definirsi eccentrica, vive con il marito, le due figlie e un simpatico stuolo di cani e gatti.
LinguaItaliano
Data di uscita29 gen 2019
ISBN9788822730862
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    Anteprima del libro

    Ogni nuovo bacio - Tara Brown

    Capitolo uno

    Tradimento

    Cherry

    Ehi Cait, mi spiace molto tirarmi indietro all’ultimo momento, ma con Griffin le cose si stanno facendo davvero serie. Siamo… mi morsi il labbro e arrossii riflettendo su cosa aggiungere nel messaggio. Quello che Griffin e io eravamo e cosa sarebbe nato tra di noi.

    Sbagliavo a fantasticare così presto?

    Che stessi mandando tutto all’aria continuando a pensarci e a scrivere messaggi?

    E come se non bastasse, come avrei potuto lasciare il Club delle Avventure senza passare per un’egoista asociale? Era da quando avevo quindici anni che in estate non c’era nulla che contasse per me più del Club delle Avventure.

    Se me ne fossi andata, Cait Laundry non l’avrebbe presa alla leggera. Non solo perché lei non prendeva nulla alla leggera, ma anche perché io ero una delle ideatrici del club e quello per noi sarebbe stato l’ultimo anno.

    Il nostro ultimo anno di Club delle Avventure.

    Il mio ultimo anno alla Paulson Academy, che in estate avrebbe ospitato le manifestazioni degli Hamptons.

    Il Club delle Avventure, o club delle puttane, come lo chiamava mio fratello Andy, era diventata una tradizione nelle ultime sei estati. Sei estati durante le quali le ragazze dominavano la scena, i ragazzi e la spiaggia.

    Invece per la prima volta, quell’estate, sarei andata contro ciò che avevo sempre fatto. Mi sarei opposta alle convenzioni.

    Perché stavo infrangendo la regola fondamentale, quella che esisteva da sempre: chiunque avesse lasciato il gruppo sarebbe stato tagliato fuori. E sebbene non volessi essere esclusa e odiassi il solo pensiero di fare una cosa del genere a mia madre, non m’interessava più essere una single in attesa di venire scelta da qualcuno.

    Ero innamorata o, per lo meno, mi stavo innamorando.

    Mi morsi il labbro più forte e guardai la periferia scorrere, mentre il treno pieno di pendolari mi avvicinava a Boston, Harvard e Griffin.

    Griffin.

    Il mio ragazzo.

    Il mio primo vero ragazzo.

    Per la prima volta avevo la sensazione che la mia vita avesse un senso.

    Griffin era il motivo per cui, in quell’ultima estate, non avrei partecipato al Club delle Avventure. Il motivo che mi faceva sorridere senza un perché e arrossire in modo imperdonabile. Il motivo per cui avrei rischiato di rimanere senza amici ed essere rinnegata da mia madre.

    Mi persi per un attimo a pensare a tutte le cose orribili che Cait mi avrebbe fatto, ma poi ricordai a me stessa che il mio impegno verso Griffin era più importante di una stagione di feste, divertimenti frivoli e dell’amore incondizionato di un genitore. Griffin era il mio vero mondo, la mia vera vita. Era il mio futuro.

    Forse altre coppie ci avrebbero invitato a fare qualsiasi cosa facciano di solito le coppie. Forse le coppie passano estati migliori dei single, o forse Cait avrebbe accettato il fatto che avevo optato per una relazione seria e mi avrebbe mostrato un po’ di rispetto.

    Forse.

    Troppi forse.

    Troppi timori.

    Ma sapevo che nel momento in cui l’avrei rivisto nulla avrebbe avuto più importanza. Avrei trovato la forza di finire quel messaggio e sistemare tutto.

    Risi tra me e me, eccitata dal fatto che il breve flirt dell’estate precedente era tornato nella mia vita per trascorrere insieme a me sei mesi stupendi. Senza contare che era il tipo di ragazzo che i miei genitori avrebbero approvato. Mia madre mi avrebbe appoggiato, se mi avessero buttato fuori dal Club delle Avventure.

    Griffin era già uno di loro, di noi. La sua famiglia era della East Coast ,aveva agganci e buone prospettive. Non dovevo tergiversare o fare finta di uscire con qualcuno che nemmeno mi piaceva. Non dovevo fare nessun discorso, com’era appena accaduto alla mia amica Betsy, in sostanza una specie di coming out. No, non dovevo preoccuparmi di nulla. Griffin aveva tutte le carte in regola, per loro e anche per me.

    Misi da parte il telefono e immaginai la sorpresa che gli avrei fatto non appena il treno sarebbe arrivato in stazione e avrei preso la corsa prenotata con Uber.

    Quando l’autista mi lasciò in Ware Street, dove viveva Griff, sentii le farfalle nello stomaco, come ogni volta prima di vederlo. Sospirai e andai dritta verso l’ingresso, chiedendomi come sarebbe andata quell’estate. Da quando mi aveva detto che mi amava, non avevo dubbi su come sarebbe andata a finire.

    Griffin era uno studente di Legge al secondo anno, perciò avevo immaginato che la nostra vita insieme sarebbe iniziata a New York, magari all’inizio in appartamenti diversi. Io avrei potuto lavorare nel marketing e lui per suo zio. Poi ci saremmo sposati, avremmo abitato in una casa tutta nostra, avuto dei figli, una casa per le vacanze vicino ai nostri genitori e avremmo sicuramente frequentato il country club. Io mi sarei presa cura di noi e dei bambini, sarei andata al centro benessere e avrei organizzato cene, aiutando il prossimo con feste di gala ed eventi di beneficenza. Lui, invece, avrebbe lavorato sodo per diventare socio nell’azienda dello zio e non avrebbe più potuto vivere senza di me.

    Un po’ come adesso. Era sempre troppo impegnato per interessarsi a dettagli di poco conto, come l’abito da indossare, la festa di beneficenza o le lenzuola da comprare.

    Non poteva vivere senza di me. Forse, in fondo, nemmeno io potevo vivere senza di lui.

    Mi piaceva essere un noi. Mi piaceva andare sottobraccio con qualcuno. Mi piaceva il modo in cui sbuffava quando era stressato e che volesse starmi accanto per aiutarmi a fare i compiti. Mi piaceva la sensazione di non essere più solo me stessa quando stavamo insieme. Mi dava sicurezza sapere che ero con lui e che non dovevo più stare da sola.

    Con la laurea in Marketing, rispetto alla sua in Legge, non avrei guadagnato molto, soprattutto quando avremmo avuto dei bambini. L’avevo messo in conto e non mi pesava. Il mio futuro professionale poteva aspettare. In parte avrei potuto farmi mantenere. E, sebbene fosse la cosa meno femminista che una donna moderna potesse dire, non me ne importava nulla. Mi sarei preoccupata del mio futuro in un secondo momento, quando avrei avuto le idee più chiare in testa.

    Il mio ragazzo abitava in un appartamento al quarto piano senza ascensore e, mentre salivo le scale, pensavo a lui e i miei passi sembravano aprire tante porte e riempire mentalmente le spunte della mia check-list su Griffin.

    Romantico, sì.

    Intelligente, sì.

    Attraente, sì.

    Ben introdotto, sì.

    Ricco, sì.

    Determinato, sì.

    Prudente, sì.

    Entrai con la chiave che lui mi aveva dato quella settimana, quando ero passata a lasciare i vestiti del lavasecco; per non fare tardi era dovuto andare a una festa di laurea direttamente dall’università. La chiave per entrare in casa sua. Un bellissimo appartamento spazioso quanto un loft, così raro in quei vecchi palazzi.

    Ma il rossore procurato dalla mia check-list mentale e i battiti rapidi del cuore per la trepida attesa svanirono non appena varcai la soglia.

    Un suono.

    Un gemito.

    Un frusciare di coperte.

    Il cigolio fastidioso di quella testiera.

    Un farfuglio.

    Un piede che sbucava dalle preziose lenzuola bianche che avevo ritirato da poco.

    Capelli biondi.

    Una molletta blu zaffiro che sosteneva a mezza testa delle ciocche scompigliate.

    Una collana di perle… perle vere.

    Unghie impeccabili su mani che si allungavano indietro e si aggrappavano alle lenzuola e alle coperte.

    Una schiena abbronzata, lunga e sottile che s’inarcava.

    Un anello di zaffiro che assomiglia troppo a quello di Kate Middleton.

    Il mio sguardo passò velocemente dalla cover su misura firmata Kate Spade sul ripiano di granito, alla borsetta di Chanel e al vestito color crema di Diane von Fürstenberg sul pavimento, per fermarsi sulle dita dei piedi di Griffin che spuntavano dalle lenzuola.

    Stavo per mettermi a urlare ma lei fu più veloce di me.

    Lei – cazzo, perché lei?– lanciò un urlo di piacere e io feci marcia indietro.

    Lasciai la porta semiaperta.

    Le chiavi nella serratura.

    Il mio cuore a terra.

    Scesi i quattro piani di scale correndo, togliendo la spunta a tutte le caselle fino a quando non mi rimase più nulla, il petto martellava e mi faceva male.

    Sentivo in gola l’acidità dell’odio che stavo provando e scappai in strada per mettermi in salvo da quei due.

    Il mio ragazzo e la mia amica.

    No.

    No.

    No.

    Nessuno di loro era mio.

    Cait, la burattinaia della mia vita, non era amica mia. Un’amica non andava a letto con il tuo ragazzo. Nelle lenzuola che avevi comprato tu.

    Ma se, fingendosi mia amica davanti a tutti, era stata disgustosa, lui, dicendo di amarmi, era stato anche peggio.

    Sentendomi soffocare e ricacciando indietro le lacrime, andai a passo svelto all’angolo tra Ware e Broadway, con le gambe che mi tenevano a stento in piedi e i tacchi traballanti.

    Immagini di corpi e rumori di lenzuola spiegazzate e testate cigolanti mi oscurarono la mente; l’unica certezza fu ritrovarmi seduta su una panchina davanti a un’agenzia di comunicazione.

    Qualcosa mi strappò dalla confusione mentale in cui mi trovavo: un suono. Incapace di dargli una collocazione, sbattei le palpebre e fissai il cemento che avevo sotto gli occhi.

    «Sale, signorina?»

    «Cosa?». Guardai in alto e vidi l’autista dell’autobus e la porta aperta. Battei un’altra volta le palpebre, dubbiosa su ciò che intendesse dire.

    «Sale sull’autobus?» chiese in tono brusco.

    «Sì». Mi alzai, barcollai verso la porta e salii a bordo.

    Mi sfilai i tacchi e percorsi il corridoio scalza fino al primo posto che trovai, dove mi accasciai e guardai fuori dal finestrino.

    Non avevo controllato dove stesse andando quell’autobus. Ci rimasi sopra fino a quando, non si sa bene come, mi ritrovai magicamente alla stazione dei treni, il luogo da cui ero partita. Il luogo dove qualche istante prima avevo avuto il cuore carico di speranze e una check-list perfetta. Avevo fatto un giro intero ed eccomi ritornata indietro nel tempo. Di nuovo single, persa e sola.

    Con le scarpe in mano, e ciò che rimaneva del mio contegno, vagai verso le pensiline di attesa. Non controllai se il mio cuore fosse ancora al suo posto, se stesse ancora palpitando, o se invece l’avessi lasciato indietro, sul pavimento di Griffin. Non mi ero resa conto di quanto di me gli avessi già dato.

    Rallentai per rifletterci sopra ma capii che nulla aveva un senso.

    Allora chiamai mio fratello.

    «Ehi, Cherry. Scusa, non posso parlare…».

    «Cait è a letto con Griffin» dissi senza riuscire a trattenermi, ero pronta a stroncare sul nascere le eventuali scuse che avrebbe avanzato.

    «Cosa? Chi?». Gli ci volle mezzo secondo per fare due più due. «Oh cazzo, ma sei sicura? Come lo sai?»

    «Li ho beccati». Avevo detto quelle parole in un bisbiglio. Mi vergognavo che degli amici mi avessero tradita e della mia ingenuità. Sapevo che Andy avrebbe pensato che ero una stupida e che quella era la mia punizione per essere voluta uscire con un coglione come Griffin e comportarmi da pecora come Mom e Cait, e…

    «Oh, Cherry. Mi spiace tanto. Sono delle teste di cazzo che non ti meritano».

    Mai mi sarei aspettata quella reazione. La comprensione di Andy mi commosse. La rabbia mi riempì gli occhi di lacrime e prima che potessi fermarmi stavo piangendo su un binario pieno di sconosciuti. Avevo chiamato mio fratello perché avevo bisogno della sua ironia, affinché mi desse forza e mi facesse reagire. Avevo bisogno di essere forte come lui. Ma Andy era stato dolce e in quel momento non fui in grado di gestirlo.

    «Sei sensibile e dolce. Tu non lo faresti a nessuno, nemmeno a qualcuno che odi, nemmeno a una troia come Cait. È solo un’ipocrita puttana. Vengo a prenderti, dimmi dove sei».

    «Sto… sto andando a casa. Sono alla stazione. Non mi sento bene». Le parole mi uscirono con affanno.

    «Mandali a fanculo tutti e due. Lascia che stiano insieme. Non mi era mai piaciuto quel cretino. È uguale a Mom e Cait. È evidente che secondo lui il suo sangue blu gli dà il diritto di fare quello che vuole. Sono egoisti, Cherry. Egoisti, stupidi e ciechi. Sono contento che si è rivelato per quello che è, prima che tu ti lasciassi coinvolgere troppo».

    Non volevo che Andy sapesse che in realtà c’ero dentro fino al collo, quindi rimasi in silenzio mentre sbraitava tutte quelle cose che i fratelli maggiori dicono di solito alle sorelle minori quando sono giù di corda.

    «Dovrei fargliela pagare! Vuoi che lo riempia di botte? Trovo un paio di amici e ci assicuriamo che non si faccia vedere in giro per…».

    «No». Singhiozzai. «Voglio solo…». Cosa volevo?.

    «Ascolta. Va a casa e fatti un bagno caldo, scolati una bottiglia di vino e prova a dormire. Tra una settimana passo da te, andiamo a New York e ci facciamo una bevuta, e tu…».

    «Dormire!». Scattai non appena smise di parlare, liberando finalmente la bestia che tenevo al guinzaglio. «Credi davvero che io possa dormire adesso? Non sono Mom, Andy. Non posso semplicemente bere o mangiare qualcosa e andare avanti come se tutta questa merda non mi fosse caduta addosso».

    «Va bene, d’accordo, non dormire. Prova a mangiare una torta ripiena ed escogitare la loro morte. Non so. Lui è uno stronzo e lei una puttana. Non valgono metà dell’energia che stai sprecando con la tua incazzatura. Non ho mai capito come facessi a essere loro amica. O parte del suo club di puttane che, a proposito, ha fondato solo perché Wendell le aveva messo le corna con quella bambolina di Derby. La cosa ironica è che adesso è lei a fare lo stesso con te».

    «Cosa?». Camminavo sul cemento freddo, immersa in quello che stava dicendo. Aveva detto troppe cose e troppo in fretta, come sempre.

    «Cait ha inventato quello stupido Club delle Avventure per assicurarsi che i ragazzi non se la spassassero con doppi appuntamenti durante l’estate. Ti ricordi di Brom Wendell, il tipo con cui usciva dopo che io e lei avevamo rotto? Era stato con Cait per un paio di mesi ma credo che alle sue spalle si scopasse una ragazza conosciuta a Derby. È stato allora che Cait ha fondato quel club, per fare i suoi interessi e controllare lo scenario degli appuntamenti negli Hamptons per l’intera estate. Com’è che si dice? L’inferno non conosce furia simile a una donna respinta».

    «Andy, non m’interessa perché ha cominciato» mormorai asciugandomi gli occhi. «Non me ne frega nulla se qualche coglione la tradiva al liceo. Mi frega che lei ora è a letto con il mio ragazzo. Mi frega che stavano scopando sotto le mie fottute lenzuola. Le lenzuola che avevo appena comprato e…».

    «Cherry, respira. Se piangi è finita».

    Mi venne da vomitare e mi si annebbiò la vista per la rabbia e le lacrime.

    «Se non riesci a superarla con una semplice torta allora non so cos’altro dire. Se facessi lo sbaglio d’innamorarmi nuovamente sarà di una ragazza che non appartiene alla nostra cerchia. Ecco perché non usciamo con quelli come noi».

    «Sì, che grande consiglio!». Ero fuori di me e l’ira non faceva che crescere.

    «Mantieni la calma! Come facciamo sempre con gli estranei! Sei in mezzo alla gente e sei una Kennedy per amore di Dio. Inoltre ti pentirai di aver perso l’occasione di piangere sotto la doccia per nascondere le lacrime».

    «Stai zitto!». Quando faceva così lo odiavo.

    «Cherry, rattristarsi e rovinarsi il periodo estivo non ha alcun senso. Sei l’unica che sta soffrendo. Loro l’avranno vinta. Ti distruggeranno l’ultima estate, alla faccia tua e del mondo reale. Non lasciarglielo fare».

    «Cosa dovrei fare secondo te?». Sbottai nuovamente, singhiozzando.

    «Non lo so. Forse farle abbassare un po’ la cresta. Vendicarti. Fai quello che vuoi, ma non tornare da quel deficiente di Chatsworth. È un coglione».

    «Non lo farò». Sospirai. «Non ce la faccio più a parlarne ora. Ti mando un messaggio dopo».

    «Fidati, mangiati una torta. Ti farà sentire meglio. Fallo prima di ogni altra cosa. La mia amica Angela mi ha assicurato che funziona». Rise con discrezione e riagganciò.

    Ma non era alla torta a cui pensavo e nemmeno al bagno o al vino. Di tutte le cose dette da Andy, solo una mi si era fissata nella mente, che andavo ripetendo, perché mi sarebbe stata utile.

    Vendicarsi.

    Ecco quello che avrei fatto.

    Capitolo due

    Un affare di famiglia

    Cherry

    Una settimana dopo fissavo gli scatoloni e riflettevo sul tempo che i traslocatori avrebbero impiegato a caricarli tutti, sperando che avrei avuto ancora qualche ora, prima che Andy arrivasse con il nostro autista. Dovevo correre al bar con il laptop a postare quell’annuncio di ricerca personale che secondo la mia sorellina Ella sarebbe stato necessario per il nostro piano.

    Camminavo per la stanza e tamburellavo il dito sulle labbra, pensando a cosa scrivere. Ella non mi aveva dato tutti i dettagli, mi aveva però assicurato che quello che aveva in mente avrebbe rovinato sia Cait sia Griffin. Quando si trattava dell’alta società era spietata, non c’era nulla da dire. Il fatto che odiasse Cait, ossia quel tipo di ragazze meschine, con atteggiamenti elitari e conformisti e nate con la camicia, aiutava. L’anarchia era il suo fine ultimo.

    Il mio telefono vibrò sul bancone dietro di me, si trattava senza dubbio di un altro messaggio da parte di Griffin.

    Il messaggio freddo e conciso con cui lo avevo lasciato non doveva essere stato gradito. Non sapevo come l’avrebbe presa: essere mollato con un messaggio dopo sei mesi e subito dopo avergli detto ti amo. Ma non me ne importava.

    Immaginavo che dovesse essere distrutto, se non devastato, che la storia fosse finita di punto in bianco. La sua sorpresa era più che legittima. Considerando però che l’avevo lasciato il giorno dopo averlo scoperto a tradirmi, pensavo proprio che fosse in grado di fare due più due. Mi domandavo come non facesse a sospettare che forse, magari, avevo scoperto che era a letto con la mia amica.

    Evidentemente non era così intelligente come avevo sempre creduto.

    Per nulla, al contrario, si comportava come se fosse stato lui a subire quell’ingiustizia.

    A dirla tutta, subito dopo aver inviato il messaggio, avevo cercato di disinteressarmi a cosa avrebbe pensato o provato.

    Cresciuta in un mondo nel quale i matrimoni concordati avevano ancora un peso, mi ero ripromessa che non sarei più stata quella ragazza, fidanzata o moglie. Quella che stava zitta, che fingeva che le cose andavano a meraviglia, che si lisciava il vestito, i capelli e le rughe del viso, che mentiva alla sua immagine riflessa allo specchio quando le sussurrava che tanto era solo sesso; non m’interessava.

    Era un problema diffuso, quando la cosa importante era tenere unite le famiglie e non l’amore. No, crescendo sapevo che sarei stata circondata da uomini pieni di sé, che facevano sesso per pavoneggiarsi o come sfogo personale, o addirittura per ribellarsi a un sistema che loro stessi contribuivano ad alimentare.

    Non sarei neanche stata come mio padre, che soffriva in un matrimonio senza amore solo per salvare le apparenze.

    «Cherry?». Una voce nota chiamava dall’androne verso la porta aperta del mio appartamento. «Sei pronta o cosa?».

    «Andy?». Aggrottai le ciglia non capendo perché fosse arrivato così presto e non diverse ore più tardi, come previsto. «No, ma cosa stai facendo?».

    Andy era visibilmente spazientito quando si presentò alla porta di casa. «Ti stiamo aspettando da dieci minuti. Ti ho mandato un messaggio quando siamo partiti da Harvard. Sono riuscito a finire prima. Hans è di sotto con la macchina. Andiamo».

    «Non avevo capito che saresti arrivato così presto… non ho letto il messaggio. Voi due andate pure. Vengo in treno». Indietreggiai, perché non volevo che sapesse cosa mi stava trattenendo. «Non ho ancora finito di fare i bagagli».

    «Sembra invece che tu abbia finito, o forse non sei pronta ad allontanarti da Boston?». Andy mi squadrò. «Sei andata a trovarlo? O ti sei messa d’accordo per farlo? Cristo, non lo rivorrai, vero?»

    «No! No me ne frega niente di Griffin». Era solo una piccola bugia. «È solo che adesso non sono ancora pronta per andare».

    «Perché? Che ti succede?». Entrò in casa e chiuse la porta. «Non mentire». Mi conosceva troppo bene. «Cos’è quello sguardo? C’è qualcosa che non va».

    «Niente». Replicai.

    «Sputa il rospo, adesso, o non ti lascerò uscire viva dall’appartamento». Usò un tono autoritario che non amavo.

    «Sul serio, non è niente».

    «Cherry» intimò, abbassando ancora di più la voce.

    «Davvero, non è niente. Sto solo valutando seriamente il tuo consiglio». Non sapevo cos’altro dire.

    «Quale consiglio? Alcuni che ti ho dato sono davvero cattivi». Piegò la testa all’indietro scettico.

    «Eh, il consiglio di vendicarmi» sussurrai.

    «Ah, quel consiglio» disse con un’espressione disgustata. «Quello non era un buon consiglio. Ignoralo. Hai provato con la torta? Possiamo andare a prenderne una ora e mangiarla in macchina mentre andiamo a casa».

    «No, santo cielo, non voglio nessuna torta. I dolci non servono a niente. Vuoi farmi ingrassare?».

    «Chi sei tu e cosa hai fatto a mia sorella?» disse seriamente.

    «Stai zitto». Indietreggiai quando cercò di prendermi il braccio. «La farò pagare a Cait, Andy. Ha manipolato troppo la mia vita e quella di tutti gli altri».

    «E cosa hai intenzione di fare?» chiese scettico.

    «Ho un piano» risposi senza esitare, come se fosse solo una mia idea.

    «Quale piano?»

    «Le farò infrangere tutte le regole del Club delle Avventure. Pubblicamente. La umilierò e insieme rovinerò quello stupido club». Abbassai la voce, perché nemmeno le pareti dovevano sentire. «Sto pensando di trovare uno studente che frequenta l’università statale, uno con una borsa di studio, e di pagarlo per uscire con lei quest’estate, fingendo di essere europeo e di buona famiglia. E poi dimostrerò quanto è falsa e prepotente. Devo solo fare un salto giù al bar e usare il Wi-Fi per postare l’annuncio».

    «Geniale!». Scoppiò a ridere e ad applaudire. «Cazzo se è geniale! Mi piace. Quando iniziamo?»

    «Iniziamo?»

    «Eh, voglio partecipare anch’io. È favoloso. Come ti è venuto in mente?»

    «Be’, Ella mi ha fatto notare che Cait sceglie sempre i tipi che mostrano interesse per me. Esce con loro tutte le estati, e sappiamo che è così. Fa parte del gioco demenziale che facciamo per essere benvolute da Cait: fare finta che ci piaccia un tipo, lasciare che lei se lo prenda, e poi andare con quello che effettivamente vuoi. Griffin è il primo con cui non è andata pubblicamente, ma con il quale mi ha tradita di nascosto. Questa volta però non si è trattato di un gioco, purtroppo. È andata con il mio ragazzo… il mio ex ragazzo. Non un’avventura qualunque. Comunque, ora devo fare in modo che il cavaliere che sceglierò ci provi con me proprio davanti a lei…».

    «Sul serio, Cherry» mi interruppe, «è la migliore idea che tu abbia mai avuto». Il sorriso radioso era pari al suo ghigno. «Ma l’università statale non fa al caso nostro, devi puntare più in alto. Non c’è niente più del mit che infastidisca l’alta società. Andiamo là, troviamo un nerd della classe media e lo facciamo diventare un bellissimo principe per l’estate». Lo feci ridere. «Oh, guarda, guarda, sono contento che alla fine hai tirato fuori le unghie, l’ho sempre saputo che le nascondevi da qualche parte».

    «Be’, eh… in realtà è stata un’idea di Ella» confessai languida, sperando di poter ancora prendermi dei meriti.

    «Perfetto». Lo disse come se tutto allora avesse più senso. «Avrei dovuto saperlo. Ha l’anima più scura di tutti tra quelli che conosciamo».

    «Cait esclusa».

    «Sempre che Cait ce l’abbia un’anima». Rispose ridacchiando. «Quando hai parlato con Ella?»

    «Sul treno, dopo averti sentito. L’ho chiamata per chiederle quale fosse la cosa che avrebbe rovinato Cait Landry. Lei ha nominato subito il Club delle Avventure».

    «Il club delle puttane, Cherry. Chiamalo per quello che è».

    «Scemo, perché lo chiami così?». Replicai io, ancora un po’ protettiva nei confronti del club e contraria a quella parola in tutte le sue connotazioni. «Le ragazze si scelgono un cavaliere e con quello rimangono per tutta l’estate. Così non vuol dire fare la puttana! E poi spiegami allora perché i ragazzi non lo sarebbero? Se fosse davvero il club delle puttane allora sarebbe pieno di uomini egoisti che si divertono a giocare. Non il contrario».

    «Vediamo di trovare qualcosa che vada bene a tutti, come club delle donne dominatrici» disse esasperato. «Forza. M’invento una scusa per Hans, così facciamo una tappa veloce al mit e tu puoi lasciare l’annuncio sul muro dei post-it».

    «Su cosa?»

    «Sul muro dei post-it». Lo disse come se avrei dovuto saperlo.

    «Che cos’è?»

    «Fai sul serio? Quante cose che vi perdete a frequentare istituti femminili». Mi afferrò il braccio, la borsa, il cellulare e mi trascinò fuori dall’appartamento, mentre gli addetti dell’azienda di traslochi ci passarono accanto nell’ingresso. «Capisco che in un’università per sole ragazze non sia così indispensabile avere un muro dei post-it, data l’assenza di ragazzi pieni di ormoni e la diversità di genere. Ma immagino tu ne abbia sentito parlare là fuori nel mondo normale!». Mi guardò di traverso con il suo solito comportamento odioso da fratello maggiore.

    «No, per niente. E qualche ragazzo c’è, per tua informazione. Anche da me siamo nel mondo normale, coglione. Solo perché non ci facciamo le canne e non ci strusciamo alle feste non significa che non ci divertiamo». Il mio tono si era fatto aggressivo come il suo. Era la nostra danza tra fratello e sorella.

    «Strusciarsi è normale, Cherry. Non sai cosa vi state perdendo. E non provare a dirmi che alcune ragazze non lo fanno».

    «Andy!».

    «Cosa?». Mi diede un colpetto al braccio. «È vero. Comunque, torniamo alle cose importanti. Si lascia un post-it sul muro e qualcuno risponderà al tuo messaggio. Può essere qualsiasi cosa: un consiglio per una bottiglia di vino, un’accusa, una ricerca di aiuto o un oggetto in vendita. Talvolta da noi ci sono delle poesie o qualcuno che scrive male dei professori, studenti che fanno i leccaculo, assistenti dei professori che si ribellano senza rivelarsi». Qui scoppiò in una risata, come se lui stesso avesse lasciato messaggi di quel tipo. «Le persone possono rispondere attaccando un post-it sotto il messaggio originale, facendo una catena, o possono inviare un messaggio al numero di cellulare o all’indirizzo mail che hai indicato sul retro. È una comunicazione antiquata in un’epoca sovraccarica di tecnologia».

    «È arcaico e strano».

    «Pensa per te che usi dei paroloni da donna vissuta! Ben fatto». Mi diede una piccola gomitata. «È arcaico, è proprio questo il punto. È ironico e anonimo. Penso che la cosa migliore sia mettere là il tuo messaggio. È semplice. Scrivi il testo e lasci un indirizzo mail. In questo modo non devi ritornare a Boston per controllare la catena di risposte sul muro. Ti risponderanno tramite mail, organizzeremo dei colloqui ed è fatta! Elementare, Watson!».

    «Cosa?»

    «Niente. Uno dei miei assistenti è inglese e lo dice spesso».

    «Di cosa stai parlando?». Mi stava

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