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Critica della ragione logica: Il Rembrandt di Julius Langbehn
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E-book1.213 pagine8 ore

Critica della ragione logica: Il Rembrandt di Julius Langbehn

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Rembrandt come educatore è stato uno dei best-seller editoriali della Germania fine Ottocento. Strutturato secondo linee analogiche e non logiche, questo saggio di critica della cultura ha fornito una diagnosi precisa della crisi di valori del popolo tedesco: la mancanza di punti di riferimento, la povertà culturale e la corsa spasmodica verso il successo materiale. Si tratta della prima edizione italiana ed europea dal secondo dopoguerra.
LinguaItaliano
Data di uscita22 dic 2017
ISBN9788827539699
Critica della ragione logica: Il Rembrandt di Julius Langbehn

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    Anteprima del libro

    Critica della ragione logica - Julius Langbehn

    Langbehn

    Capitolo 1

    Arte tedesca

    Introduzione. Non è più un segreto per nessuno che la vita spirituale del popolo tedesco stia attraversando uno stato di lento, ma rapido declino. La scienza si disperde nella specializzazione; nel pensiero, come nella letteratura, mancano individualità di spicco; l’arte figurativa, pur dotata di notevoli maestri, è priva di monumentalità e, quindi, del suo effetto migliore; i musicisti sono rari, i musicanti no. L’architettura è l’asse portante dell’arte figurativa, come lo è la filosofia di tutto il pensiero scientifico; ma oggi non esiste né un’architettura, né una filosofia tedesche. I grandi corifei di ogni settore si stanno estinguendo; les rois s’en vont¹. L’arte applicata, con la sua caccia alle streghe, tenta ogni epoca e ogni popolo, ma non riesce mai a conseguire un proprio stile. Questo processo reca il marchio dello spirito democratizzatore, livellatore e atomistico del nostro secolo. Inoltre, la formazione attuale s’ispira a un modello storico alessandrino; punta assai poco a creare nuovi valori, mentre predilige la registrazione di quelli vecchi. Ecco il lato debole della formazione moderna: è e vuole essere scientifica; ma, così facendo, diventa sterile. «Ecco che abbiamo le parti; manca solo, ahimè, il nesso spirituale»². Goethe, venerato oggi più in teoria che in pratica, non poteva soffrire i miopi; la Germania di oggi è piena di persone spiritualmente e fisicamente miopi; quando ritorneremo al punto di vista goethiano? Gli abitanti del nuovo Impero si sentono epigoni e rinunciano a perfezionare la loro vita spirituale. Niente è più sbagliato del credere di possedere una solida formazione; o di pensare di poterne rattoppare alcune parti: un popolo vitale non può evitare i grandi spostamenti assiali spirituali nella propria interiorità. Oggi si fanno scoperte in Africa Orientale; ma ci sarebbero molte scoperte da fare in Germania; non basta che i tedeschi siano diventati cittadini di un Impero; devono diventare anche esseri umani.

    Svolta artistica. Ma assistiamo a una svolta in tale direzione. I migliori studiosi tedeschi si guardano intorno alla ricerca di nuove mete spirituali. Bismarck ha detto però che «l’opinione popolare è difficilmente riconoscibile»³; a dire il vero, spesso è assai diversa dalla cosiddetta opinione pubblica; ma una corrente sotterranea si avverte spesso grazie a un oscuro rumore. L’interesse per la scienza (specialmente se naturale, assai popolare in passato), va scemando in ampi strati del mondo tedesco; assistiamo a un curioso cambiamento dello stato d’animo generale; sono finiti i tempi in cui un eminente rappresentante della comunità scientifica naturale di Kassel poteva definirsi il «cervello della Germania»⁴. Non si crede più a tale vangelo. Siamo saturi d’induzione; vogliamo la sintesi; i giorni dell’oggettività stanno terminando, mentre la soggettività bussa alle nostre porte. Volgiamoci all’arte! Goethe, ma anche Lutero, amante della musica, avevano un confuso presentimento di tale cambiamento; il primo, sino a quarant’anni, tentò seriamente di dedicarsi all’arte figurativa; e l’opera principale del secondo (la traduzione della Bibbia in tedesco) è essenzialmente un’opera d’arte. Entrambi si appellarono al diritto regale della soggettività: il primo nella morale, il secondo nello spirito. La personalità di Goethe è esemplare. Oggi la sua rilevanza spirituale è scientifica; ma non lo sarà per sempre; perché sembra imminente l’inizio di un’epoca artistica. Lo testimoniano piccoli, ma precisi segnali. Se riconosciamo la direzione principale del vento in base alla posizione di un filo d’erba, allora il cambiamento spirituale del vento che spira oggi in Germania consiste nella scomparsa del «professore» dalle tribune e dai romanzi tedeschi per fare spazio all’«artista». Anche la trivialità ha le sue regole, che si accordano armonicamente con quelle della genialità. Entrambe annunciano una nuova buona novella; promettono una redenzione dall’arida epoca cartacea; annunciano un ritorno al colore e alla gioia di vivere, all’unità e alla finezza, alla profondità e all’interiorità. Lutero ha partorito la vita spirituale tedesca moderna e Goethe – il suo nome significa infatti «padrino» – vi ha tenuto battesimo; ma questa vita non si è ancora sviluppata universalmente, come alcuni credono. Il malato sarà guarito; il popolo stesso crea la medicina di cui ha bisogno; o la cerca.

    Mentre la formazione scientifica dominante scema per lasciar spazio alla formazione artistica, ci chiediamo a quali mezzi ricorrere per regolare e per rendere più efficaci i due processi. Il popolo tedesco è sin troppo maturo; ma quest’eccessiva maturità è soltanto immaturità; perché, nella formazione, la barbarie è sempre immatura; e, finora, la Germania ha dato vita a una barbarie sistematica, scientifica e istruita. «Conosci la nostra Germania; non ha ancora smesso di essere illetterata», scrisse Reuchlin⁵ a Manuzio⁶, e questo potrebbe dirlo tuttora un onesto tedesco. L’iper-cultura è oggettivamente più rozza dell’ignoranza. Bisogna introdurre alcuni nuovi fattori educativi che si contrappongano all’educazione di oggi: il popolo non deve essere educato lontano, ma vicino alla natura. Come? Grazie a se stesso. Attingendo dalle sue forze innate.

    Individualismo. «Si spinge oltre chi ignora la meta», dichiarò Cromwell riferendosi all’essenza dell’individualismo. La principale forza innata del germanesimo è l’individualismo. «Avere carattere ed essere tedeschi è indubbiamente la stessa cosa»⁷, dice Fichte. Il tedesco deve rimpossessarsi della sua qualità innata, spesso perduta nel corso dei secoli. Il fascino che esercita sull’umanità risiede anche nella sua natura frastagliata, in quel suo sforzo centrifugo primigenio. La sua inclinazione all’individualismo e all’autonomia, in breve la sua proverbiale discordanza, spesso politicamente deleteria, lo rende capace di ampliare il bagaglio artistico-spirituale più di altri popoli. L’individualismo è la radice dell’arte; dato che i tedeschi sono il popolo più particolare e testardo di tutti, sono anche quello artisticamente più significativo – se riescono a riflettere chiaramente il mondo. Nessun popolo del pianeta possiede così tante caricature viventi; tale particolarità ha però il suo rovescio della medaglia; mostra che i tedeschi sono molto versati nella formazione; se una persona è molto grezza, va affinata; così preserva una maggiore brillantezza. Il radioso avvenire dei tedeschi riguarda il loro carattere eccentrico. Per lo stesso motivo, la formazione superiore può essere solo artistica; perché corrisponde al lato più profondo della natura tedesca; e l’individualismo, come detto, è il lato più profondo della natura tedesca. La formazione tedesca di oggi rappresenta solo un gradino intermedio nella sua evoluzione spirituale; i tedeschi sono un popolo colto e devono affermarlo interiormente ed esteriormente; «un popolo così astuto e ferrato nelle arti, negli affari e nei maneggi da non essere secondo a nessuno», affermava l’antico Sebastian Franck⁸ nella sua cronaca universale. L’istinto guida correttamente i tedeschi di oggi, che iniziano a indirizzarsi verso mete artistiche piuttosto che scientifiche; ma tale istinto dovrebbe essere ben consapevole e compiere azioni vitali. La Germania, a capo di tutti gli altri paesi europei – e non solo – nella riforma militare e sociale, dovrebbe esserlo anche in quella artistica e spirituale; e può esserlo solo se riconosce in teoria e in pratica l’essenza del suo essere, dell’arte e del mondo: l’individualismo.

    L’educazione all’individualismo e nell’individualismo rappresenta quindi la missione spirituale del popolo tedesco dell’avvenire. Questo nuovo e vecchio orientamento è assai lontano dalla specializzazione scientifica di oggi e dall’astratto idealismo di ieri. Lessing⁹ e Schiller scrissero opere sull’educazione dell’umanità; Goethe visse da uomo esemplare; ma oggi bisogna educare e toccare gli uomini tedeschi contemporanei. Qualche segno testimonia il successo dell’attuale tendenza spirituale tedesco, scientifica e politica, sempre più distante dalle astrazioni; così non si fa la cosa giusta, ma almeno s’imbocca la giusta via: «Umanità, nazionalità, peculiarità nazionale, carattere familiare, individualismo sono una piramide, la cui cima è più vicina al cielo rispetto alla base»¹⁰, dice Paul de Lagarde¹¹. Questo principio tedesco, genuino e originario è indiscutibile; indica il punto di partenza e la meta dell’autentica vita spirituale tedesca di oggi, come di ieri. Dopo che il pendolo della formazione nazionale si è spostato dall’idealismo alla specializzazione, oggi deve fermarsi al centro, in un sano individualismo. Goethe ha individuato questa triplice scala formativa in base al suo valore: «Da circa un secolo, noi tedeschi speriamo di diventare non più astratti studiosi e filosofi, ma uomini»¹². Il barbaro si contrappone all’uomo: la sua natura è eccessiva, in un senso o nell’altro. Il pensiero trascendente del tedesco di ieri condivide alcuni difetti con quello materiale del tedesco di oggi; mentre l’uno si manteneva ben lontano dalla natura, l’altro ne è ben al di sotto; c’è un punto di convergenza tra Kant e Büchner¹³. La visione del mondo artistica (quella di Goethe e di tutti gli altri tedeschi naturali) testimonia la distanza da quest’aureo compromesso. È la giusta via, perché la natura si accorda col carattere tedesco.

    Una natura priva di contraddizioni non esiste. Anche il tedesco dovrà contraddirsi per compiere il suo compito superiore; dovrà erigere a legge la sua individualità – apparentemente libera e senza legge; dovrà costruire se stesso. Perché l’individuale opera essenzialmente in vista dell’utile, se privato dell’arbitrio personale; se inserito nella grande costruzione della vita popolare e universale; se è utile. Il tedesco deve servire il germanesimo.

    Fisionomia popolare. Ogni individualità si compone di un certo numero di qualità; il genere di qualità e il loro raggruppamento ne indicano l’inclinazione. Se definiamo una visione d’insieme delle immutabili qualità generali di un popolo come una media trasversale del suo carattere, allora lo sguardo d’insieme sulla schiera di uomini che hanno sviluppato e illustrato in modo eccezionale tali qualità nel corso della storia può essere considerato una media longitudinale delle individualità. Mentre la media trasversale è astratta, quella longitudinale è concreta: raffigura la sala genealogica dello spirito del popolo; tale qualità individua un rappresentante importante o alcuni dei più importanti; i vizi e i difetti di un popolo si trasformano storicamente in esseri umani. Così è accaduto anche per i tedeschi. «I tedeschi sono un popolo onesto»¹⁴, disse Shakespeare a suo tempo: vedi Lutero e Bismarck; i tedeschi sono da sempre considerati valorosi: come Winkelried¹⁵ e Federico il Grande; il loro pensiero è incarnato in Leibniz e in Kant, la loro poesia in Walther von der Vogelweide¹⁶ e Goethe, la loro musica in Bach e Mozart. Altri tratti del carattere popolare si sono concentrati in altre persone; tutti insieme creano la fisionomia spirituale del popolo; che bisogna interrogare per scoprire esattamente i compiti e i destini prestabiliti. La risposta sarà diversa a seconda dei periodi storici e delle circostanze; fungerà da guida questa o quella qualità; ma sarà sempre lo sguardo sul passato, su quello realizzato dagli uomini considerati, a fungere da norma unica e salda per l’avvenire. Il passato educa un popolo all’avvenire; il presente deve solo rintracciare e mediare l’esatto rapporto tra il passato e il futuro; auguriamoci che il popolo lo capisca.

    Ideale storico. È certo: la Germania non può rinunciare al suo ideale senza rinunciare a se stessa; ma il suo ideale deve adattarsi all’età contemporanea, e viceversa. L’orientamento storicizzante e naturale-scientifico della nostra epoca non si contrappone all’ideale; perché è superficiale poter fare a meno di una visione del mondo basata sulla realtà, dotata di profondo contenuto ideale. La formazione non procede mai a ritroso; aggiunge, come un albero, sempre nuovi anelli che ne racchiudono l’età: questa è la crescita. Perciò i tedeschi di oggi, i cui antenati possedevano un ideale e i cui padri una formazione storica, devono tirare le somme dai risultati della formazione delle generazioni passate, scegliendo l’ideale storico. Bisogna calpestare la superficie della storia di questi eroi dello spirito, degli antenati del popolo, rappresentanti di quelle qualità caratteriali fissate oggi e per sempre. «C’è una sola fortuna: riformare se stessi ed essere abbastanza saggi da essere nobili», dice lo spesso sottovalutato Grabbe¹⁷; e tali spiriti possono aiutare il tedesco. Sono immagini speculari della sua forma migliore; con essi il popolo può misurare le proprie opere, forze e obiettivi; così onora se stesso. Questi personaggi fungono da punti di cristallizzazione della condizione spirituale attuale del popolo; rappresentano la scuola superiore in cui prepararsi alle proprie inclinazioni artistiche; in breve, sono gli educatori del popolo.

    Solo lo spirito può esorcizzare lo spirito; Faust discese sino alle Madri; il tedesco di oggi deve salire verso i Padri – per trovare la chiave del futuro. Una figura completa e viva per il popolo è cento volte migliore di una parola d’ordine o di una teoria; anche qui vale il detto men, not measures. Nei grandi problemi esistenziali popolari varrà sempre il culto degli eroi di Carlyle; l’istituto del «compurgatore» rappresenta un’antica consuetudine giuridica tedesca e greca; il culto degli eroi, però, è un giuramento morale di cui il popolo si avvale in base alle proprie peculiarità. Il principio individualistico, prevalente nei tedeschi, conferì spesso un po’ d’instabilità, inquietudine e dissolutezza alla loro natura; così è stato non solo negli affari politici, ma anche in quelli spirituali; quell’ideale storico fornisce un contenuto solido e stabile di fronte a tutto ciò. Devono fungere da personalità generali; possono e devono essere vessilli luminosi, intorno ai quali raccogliere lo sciame dei combattenti, degli aspiranti e dei volenterosi. Devono essere modelli; non per chi sa, ma per chi può; non devono nutrire i buongustai, ma il nucleo popolare. È praticamente inutile estrarre il genio dalla bottiglia, come accade oggi nelle società shakespeariane e goethiane; il genio va gustato alla fonte; solo così opera in maniera efficace e feconda. Certi periodi storici consentono di ispirarsi a una particolare figura eroica; nella sua scelta contano solo l’esigenza dell’epoca e la sua corrente spirituale; in caso contrario, il suo influsso dipenderà dai movimenti e dai problemi che saprà fronteggiare. Nei periodi politici bisogna rivolgersi agli eroi politici, in quegli artistici agli eroi artistici; bisogna riuscire a imitare gli eroi non in ciò che è transeunte, nella loro azione specifica, ma in ciò che resta, nelle loro intime convinzioni. «Perché cos’altro dobbiamo fare per riconoscere la Germania di oggi»¹⁸, affermò Ulrich von Hutten¹⁹, in un’epoca caratterizzata da un andamento simile, ma intimamente differente. Nell’eroe bisogna osservare e seguire non l’elemento casuale, ma quello necessario, non l’uomo singolo, ma il tessuto dell’anima popolare. Poi raccoglieremo i frutti da quella comunità spirituale, da quel culto dell’eroe, da quella conoscenza di sé. Il popolo che non farà così sentirà venir meno le sue forze come successe al gigante Anteo finché non toccò la Madre-Terra²⁰. Perché è rimasto fedele a se stesso.

    È un aspetto sottile, individuale e profondamente significativo dell’anima popolare tedesca che, nell’antico diritto tedesco – nell’istituto del compurgatore –, la convinzione puramente personale fosse ritenuta probatoria; che anche la personalità e la soggettività avessero valore oggettivo. Proprio perché tale uso è così antico e contrario alla visione romana del diritto oggi dominante, il compurgatore dimostra quanto conti la personalità per il tedesco e quanto la scienza di oggi sia fondamentalmente estranea al suo cuore, perché mira a un’oggettività assai spesso incolore e sterile. «Chi si priva di sé può essere guarito solo prescrivendogli il proprio s黲¹, disse Novalis, pensatore profondo e sentimentale; tradotto nel tedesco moderno: «Chi soffre di oggettività può essere guarito solo prescrivendogli la soggettività». Trattandosi di un periodo artistico agli albori, gli spiriti-guida – gli ideali storici rilevanti – vanno ricercati tra gli eroi artistici popolari. Il corso e la direzione della formazione tedesca avvenire sono indicati da quegli uomini che, nel corso della storia tedesca, furono i rappresentanti oggettivamente più elevati della formazione; essi indicano chiaramente i punti matematici fissi che rendono possibile una proiezione della formazione tedesca avvenire; se uniamo tutti questi punti in una linea e la prolunghiamo, abbiamo la giusta direzione. È indicativo come finora non gli studiosi ma gli artisti abbiano rappresentato le vette più eccelse della formazione tedesca. Walther von der Vogelweide e Dürer, Shakespeare e Rembrandt, Goethe e Beethoven – non gli scolastici, i filologi rinascimentali o gli scienziati naturali di oggi devono fungere da punti di riferimento. Le vette scientifiche sono di secondaria importanza, oggettivamente e storicamente parlando.

    Immagine e lettera. Lo studioso è per sua natura internazionale, l’artista nazionale; per questo il secondo è superiore al primo; il detto di Lagarde trova un’applicazione convincente. I documenti scritti col sangue restano freschi – come è stato dimostrato nel corso dei secoli; quindi le opere d’arte tedesche prodotte col sangue caldo si conserveranno più a lungo delle opere scientifiche scritte col freddo inchiostro. La lotta tra spirito e lettera è antichissima; la lotta tra immagine e lettera è più recente; ogni tedesco dovrebbe prendere posizione. Già Solone prescrisse di punire i cittadini indifferenti in occasione di future discordie politiche. La cultura tedesca deve prendere posizione; libro o immagine è la parola d’ordine; non esiste una terza via. Potremmo dire che la scelta in questo dilemma sia già contenuta nella stessa parola «formazione». Ogni formazione giusta è creativa e quindi artistica; bisogna soltanto rallegrarsi del fatto che il nostro popolo si stia gradualmente distogliendo dalla scienza per rivolgersi all’arte. Ecco lo spostamento assiale spirituale attuale della vita tedesca; chiediamoci come e con chi vada realizzato.

    Rembrandt. Se i tedeschi sono il popolo più individuale che ci sia, nella sfera artistica può fungere da guida spirituale solo il loro artista più individuale; perché li rimanderà a loro stessi. Ma fra tutti gli artisti tedeschi il più individuale è Rembrandt; che, quindi, è il più tedesco di tutti i pittori e persino il più tedesco di tutti gli artisti. Di certo, il suo valore esteriore non equivale ancora a quello interiore, così elevato e unico; non è stato apprezzato a sufficienza; e – potremmo dire – non poteva esserlo. Notoriamente i popoli imparano ben poco dalla propria storia politica e spirituale; ma se vogliono imparare dalla seconda, l’oblio secolare, se non il disprezzo nutrito per Shakespeare, Dürer, Bach e Rembrandt, insegnerebbe a essere più attenti al loro giudizio artistico; come quello su Machiavelli, Spinoza, Cromwell e Bismarck in ambito politico. Rembrandt è il prototipo dell’artista tedesco; lui e lui soltanto rappresenta il modello delle aspirazioni e dei bisogni spirituali del popolo tedesco – ancorché parzialmente inconsci. In altri tempi avrebbe potuto e dovuto assumere questo ruolo un altro grande tedesco; oggi che i tedeschi risentono della specializzazione e dell’epigonismo formativi, può aiutarli solo l’artista più universalista e individualista di tutto: Rembrandt. Lui può riportarli a loro stessi. Lui è l’ideale storico del futuro; è il punto fisso delle nuove forme educative rivolte all’avvenire. Ma Rembrandt era nato in Olanda. È indicativo, a ulteriore conferma esteriore del carattere eccentrico dei tedeschi, che l’artista più nazionale appartenga loro solo intimamente, ma non politicamente; lo spirito del popolo tedesco aveva per così dire messo in fuga i suoi corpi popolari. Tutto questo deve cambiare: spirito e corpo, nel popolo come nel singolo, devono riunificarsi. La lacerazione causata dalla cultura moderna deve essere suturata. E la ferita può rimarginarsi solo grazie a una figura umana viva, come il Curtius caduto in disgrazia²²; Rembrandt è un uomo del genere. La sua personalità, del tutto disinvolta e iper-individualista, appare l’antidoto efficace contro la pedanteria tedesca, che ha provocato così tante sventure; quest’uomo non rientra in alcun modello; deride tutti i tentativi di collocarlo in un qualche dotto letto di Procuste²³. I programmi accademici e le forme scolastiche non possono plasmarsi su di lui, come su Raffaello e su altri pittori; perché resta ciò che è: Rembrandt. L’improvvisazione è il suo programma; e questo è il programma più artistico di tutti; che sia un buon – e forse l’unico buon – programma politico, l’hanno dimostrato Cromwell con il suo detto e anche altri statisti. Ma è, soprattutto, il programma tedesco nel vero senso del termine; perciò il nome di Rembrandt si adatta al grido di battaglia non solo di una futura epoca artistica, ma anche della vita generale tedesca di oggi; lui può salvare il germanesimo autentico da quello falso.

    Irrequietezza dei tedeschi. Forse il tedesco è così ligio alle regole perché il suo carattere ne è naturalmente privo; si sforza di correggersi e di migliorarsi; ma il miglioramento deve trovarlo dentro di sé, non fuori di sé; deve correggere gli sbagli del suo individualismo, pur elevandolo a proprio principio. In tal modo rafforzerà e limiterà la propria natura, senza sminuirla o danneggiarla. Il tedesco ha bisogno di tipi formativi, non di epigoni; perché un tipo si genera dall’interno verso l’esterno, mentre l’epigono viceversa. «Lo stesso non vale per tutti»²⁴. Come gli artisti greci avevano nel canone di Policleto una figura popolare standard, dotata delle misure adeguate alle loro sculture e capace di conferire quel carattere di quiete, misura e armonia che rappresentano le qualità principali dell’arte greca; così l’artista e l’uomo tedesco hanno nella figura di Rembrandt il loro modello di movimento e di distinzione, d’inclinazione artistica individuale, che rappresenta il tratto distintivo del carattere e della loro arte. Entrambi sono legati fra loro, come il canto omofonico e quello polifonico. Perché le missioni dei popoli sono diverse; la concordanza è la missione dell’uno, la discordanza quella dell’altro; il primo fu il destino dei greci, il secondo lo è dei tedeschi; i primi sono stati concentrici, i secondi sono eccentrici. E niente di più bello dell’inquieto spirito tedesco si è contrapposto al quieto spirito greco nella massima profondamente tedesca di Hölderlin: «Non siamo nulla; ciò che cerchiamo è tutto»²⁵. Se lo confrontiamo con il concetto di quiete e d’autosufficienza olimpiche, creato dalle viscere più profonde dello spirito greco, ecco questa contrapposizione: «Non cerchiamo nulla; siamo tutto», avrebbero potuto dire i greci. Allo stesso mondo potremmo confrontare uno degli splendidi autoritratti di Rembrandt con lo Zeus di Fidia; Fidia non poteva fare un ritratto, né Rembrandt un’icona sacra; le loro lacune caratteriali, che si integrano a vicenda, rivelano lo spazio artistico peculiare dell’uno e dell’altro. Allo stesso modo indicano il nocciolo spirituale dei loro popoli.

    Le inclinazioni tedesche si rivolgono ultimamente agli artisti figurativi; bisognerà dunque influenzare soprattutto l’arte figurativa; Rembrandt stesso lo è. Qui, come prima, bisogna dire che non si tratta di una particolare imitazione della sua pratica, ma della sua convinzione artistica. Niente sarebbe più sbagliato che rembrandtizzare l’arte, come prima essa è stata antichizzata; niente è più utile che individuare la giusta imitazione rispetto a quella sbagliata. Ci sono leggi, non ricette artistiche. Una copia non è mai un’opera d’arte e una maniera non è mai uno stile; si può imitare un artista o un orientamento artistico assai poco come produrre chimicamente una mela o una pera; queste categorie di oggetti crescono solo interiormente. I tedeschi debbono fare attenzione a tale crescita, abbandonata da tempo; Rembrandt può essere loro di giovamento. Nessun artista è meno tradizionale di lui; il suo popolo sospira sotto il peso della tradizione, così come i tedeschi; perciò ne è il suo salvatore.

    Anima e personalità. Avere individualismo significa avere anima; l’individualismo di un uomo è la sua anima; da qui sgorgano tutti gli sforzi artistici. «La cosa essenziale è avere un’anima, amare la verità e capire dove si trova»²⁶, disse Goethe intorno al dovere dell’artista. Infatti, come la religione, l’arte riguarda la salvezza dell’anima, ma in un altro senso; rinnegare se stessi è la parola d’ordine di Cristo, attivare se stessi è la parola d’ordine dell’artista; «Uno è necessario», si dice nel cristianesimo. «Molto è necessario», si dice nell’arte. Davanti alle considerazioni sulla propria personalità spirituale e sul proprio carattere artistico, le anime artistiche innate devono posporre ogni considerazione del proprio interesse personale, della trasmissione e della pietà, silenti di fronte a quest’esigenza superiore. Anche l’artista deve sconfessare – artisticamente parlando – i propri genitori per seguire la predisposizione interiore. Purtroppo oggi in Germania questo accade solo in parte e raramente; Rembrandt, come artista, può diventare la loro scintilla risolutrice e redentrice.

    «Popolo e servo e vincitore,

    Confessano a ogni epoca,

    Massima fortuna delle creature terrene

    Sia solo la personalit໲⁷,

    afferma un’altra delle sagge massime del principe weimariano dei poeti. Il vero significato dell’arte tedesca – e di tutte le arti – alberga nell’elemento tipico, nazionale, locale e personale; per l’arte sarà meglio se questo le sarà chiaro. Sulla forte personalità di Rembrandt si può erigere, costruire e partorire ancora qualcosa di nuovo; il suo valore consiste nella sua unicità; che agisce esteriormente e interiormente, in piccolo e in grande. Rembrandt è, tra gli artisti nordici, l’unico che elevi il proprio nome a simbolo dei grandi artisti meridionali; il nome di suo padre, che avrebbe dovuto utilizzare, era Harmensz. Ma anche il suo nome «Rembrandt» cela dentro di sé un tratto particolarmente individuale; chi conobbe mai Rembrandt al di fuori di Rembrandt stesso? Come l’orientamento spirituale individuale e, a volte, iper-individuale degli inglesi si trasmette sul continente grazie agli artisti (si pensi solo a P.B. Shelley ecc.), lo stesso vale per gli olandesi e, specialmente, per il loro maggiore artista. Il suo nome è unico come la sua arte. Possiamo sentenziare che non solo lo spirito e il corpo ma anche il nome e l’oggetto instaurano una relazione indubbiamente misteriosa; in natura tutto è legge, niente è casuale. Vi sono autentici ritratti di Rembrandt e di Beethoven in cui i due appaiono completamente folli; anche Goethe ha detto che certi discorsi fatti con persone spiritualmente molto vivaci sarebbero potuti apparire folli a lui e agli occhi di spettatori disinteressati; così la personalità tocca i propri limiti più estremi.

    Ogni individualismo rappresenta una deviazione dalla norma; e, se ci è consentito di illustrare il termine norma per analogia col termine ideale, potremmo dire che sia una norma differita; ma non bisogna confondere differenza con stravaganza. «Il cranio di Beethoven è così orribile che nessuno cercherebbe sotto quella scorza il nobile germoglio di un talento spirituale superiore», disse un anatomista moderno dopo un attento esame. Tuttavia, ciò che quest’uomo di scienza definì «orribile» è «bello» in senso rembrandtiano, tedesco e individuale: vale a dire, ha un alto grado d’irregolarità, differenza e peculiarità; e ne consegue per gli spettatori neutrali che il cranio di Beethoven si accordava perfettamente con la sua musica. Entrambi difettavano di chiarezza, proporzione ed equilibrio; ma possedevano audacia, forza e ricchezza di forme e contenuti. Anche in questo caso la natura ha ragione del professore, o per lo meno quest’ultimo la conosce solo in parte: il cranio e l’arte di Raffaello si muovono secondo linee pure, in Beethoven no. Ma le linee impure non sono linee spiacevoli. Non c’è motivo di preferire una tecnica all’altra; l’umbro Raffaello è affine ai greci; Beethoven era tedesco. Per la Germania la propria conformazione cranica è la migliore, la più elevata e la più feconda; e lo stesso vale per l’orientamento artistico rembrandtiano rispetto a quello raffaelita. In base a un vecchio canone artistico, la stessa armonia, sorta dalla disarmonia, è ritenuta superiore all’armonia sorta dall’armonia stessa; e quindi la conformazione cranica, artistica e spirituale tedesca, se presente in personalità educate, va ritenuta, in ogni caso, la migliore. Auguriamoci che ogni artista tedesco impari da loro a seguire non la regola straniera, ma la propria legge interiore.

    Comportamento del pubblico. Il pubblico tedesco può imparare la lezione soprattutto dal grande educatore olandese. Bisogna tener conto delle personalità artistiche apparentemente abnormi; non bisogna fare come la Germania di fronte a Heinrich von Kleist²⁸; anche le masse hanno i loro doveri. Il Caino della poesia letto da Freiligath²⁹ ha riportato in vita qualche tedesco. Un genio vuole essere trattato con prudenza e fiducia anche se non viene compreso; desidera essere accudito; perché è una natura infantile. Proprio Beethoven ha avvertito spesso – e amaramente – l’assenza di benevolenza verso le sue qualità umane e artistiche; i suoi ascoltatori erano spesso peggiori di lui; anche e soprattutto moralmente. Altri spiriti elevati, come Hölderlin, hanno patito l’oblio; il giudizio globalmente errato a lungo espresso su uomini come Wagner, Menzel³⁰ e Böcklin³¹ nasce dalla stessa fonte; questa lezione non andrebbe dimenticata. Pensare storicamente significa comprendere la lezione della storia e agire di conseguenza; imitare i vecchi costumi e le vecchie forme artistiche non vuol dire avere respiro storico; speriamo che oggi lo si capisca. Come ogni artista deve esprimere le proprie inclinazioni (ecco la professione di fede artistica goethiana), così il pubblico deve mostrarsi pronto e maturo di fronte alle molteplicità delle opere artistiche e all’eccezionalità del singolo. Si dice, non a caso: dimostrarsi all’altezza, cioè riuscire a controllare certe qualità innate tipiche dell’uomo; auguriamoci che il popolo tedesco dimostri e difenda questa sua forza! A volte si sente dire: il genio si fa strada; ma se ci sono molti geni, perché non li comprendiamo? Non tutti possono distinguere i veri profeti da quelli falsi; ma se si facesse maggiore attenzione, ci sarebbe maggiore onestà e sincerità nel giudicarli. Un popolo che non onora i propri geni si disonora facilmente; il disonore è la cosa peggiore che ci sia per un uomo o un popolo. Schopenhauer ha detto che esiste un ottimismo spietato; ma esiste anche un’incoscienza che potremmo definire infame: quella che calpesta lo spirito nuovo, disinvolto e cosciente di sé e che, quindi, non trova posto sui binari della tradizione.

    Keplero andò in rovina, mentre Newton, dopo le sue affermazioni, fu compreso da ben pochi contemporanei; entrambi erano geni, intelletti chiari e matematici; ci sono sempre più discipline in cui il genio è facilmente riconoscibile, come, per esempio, nella matematica. «In Germania siamo molto comprensivi e ci mettiamo buona volontà nei fatti nostri; ma se un giorno compare qualcosa di speciale, non sappiamo cosa fare; l’intelletto rincretinisce e la buona volontà ci danneggia»³², osserva Goethe, a suo modo moderato. Perché il rischio è che un popolo perda rapidamente qualcos’altro accanto all’onore: la propria forza creativa. «Legga questa follia», disse Gubitz³³, critico berlinese oggi dimenticato, rivolgendosi ad Heine intorno alla tragedia di Grabbe: «Caro Gubitz, non è una follia, è il lavoro di un genio», rispose Heine. Purtroppo le parole di Heine non sono frequenti come quelle di Grabbe; i Gubitz, di contro, non muoiono mai e il pubblico si fida di loro sin troppo spesso. Che la musica di Wagner non sia geniale è noto da tempo; ma il tempo si è già fatto beffe di tali espressioni; bisogna ricordarsene più spesso, specialmente di fronte a nuove personalità artistiche. Vanno salvaguardati i fondamenti di un’economia nazionale non certo materiale, ma spirituale. Il pubblico non dovrebbe limitarsi ad ammettere le qualità di un’individualità e la coerenza di un artista: dovrebbe pretenderle; soprattutto, però, dovrebbe servire da lezione la mente artistica non comune di Rembrandt: osservare, valutare e impiegare in ogni circostanza l’alto valore della singola anima artistica. L’artista non deve creare ciò che vogliono il Marco e le valute dominanti dell’epoca, ma dove lo porta il cuore; il suo dovere principale sarà quello di chiarire se e come esprimere la voce artistica; ecco la salvezza artistica della sua anima. E in questo modo la missione artistica diventa una missione morale. L’artista è spiritualmente autonomo; e può esserlo solo se lo è moralmente; così la peculiarità artistica è assai vicina al sentimento d’indipendenza personale del basso-tedesco³⁴ e a quello religioso del tedesco. Rembrandt non fu solo un artista protestante, ma anche un protestante artistico; ognuna delle sue opere sembra dirci a voce alta: «Son qui, non posso farci niente. Che Dio mi aiuti, Amen!»³⁵

    Localismo dell’arte. Ma il suo valore pedagogico è ben superiore; Rembrandt non fu solo un uomo giusto, ma anche un olandese giusto nelle sue particolari prestazioni artistiche. La forte personalità cresce solo dal forte spirito della stirpe e questa solo dal forte spirito popolare; la laboriosità, l’amore per la libertà, la profondità emotiva e la semplicità del carattere olandese si riflettono nell’opera di Rembrandt maggiormente che altrove; sono le qualità utili all’arte tedesca contemporanea. Di fronte all’arte tedesca più in generale, il carattere provinciale così enormemente sviluppato nella pittura rembrandtiana è di particolare importanza in un altro senso. Il nobile sentimento della particolarità etnica è andato scomparendo nei tedeschi a seguito della corruzione politica; si chiamano württemberghesi ma non svevi, hannoveriani ma non basso-tedeschi; così è andato perduto un pezzo d’anima popolare, che va riconquistato. E questo è necessario soprattutto artisticamente. Chi conosce la regolarità dell’alfabeto locale greco antico, che imita certe forme letterarie, ignorando l’uso nel singolo distretto territoriale o sull’isola; chi lascia agire su di sé la coerenza armonica – e potremmo dire musicale – delle leggi fonetiche dei Grimm; chi apprese le differenze e le peculiarità linguistiche del basso-tedesco; ebbene, lui sa quanto sia profondamente marcato il principio individualistico. L’arte deve seguire queste sfumature naturali. L’arte tedesca deve svilupparsi secondo l’immagine dei villaggi tedeschi illustrasti da Tacito: «S’insedia dove gli aggrada un posto o un boschetto»; proprio gli albori della vita di un popolo lasciano trapelare la sua peculiarità e la sua predisposizione. L’artista giusto non può mai essere abbastanza locale. Un’evoluzione sana e realmente feconda della vita artistica tedesca può avvenire solo con una divisione e un’articolazione in scuole artistiche spiccatamente locali contadine e geografiche. È necessaria la decentralizzazione, non la centralizzazione. Rembrandt stesso fu il capo e il centro di una propria scuola artistica locale; è rimasto fedele alla terra da cui proviene; dipinse in maniera olandese.

    Allo stesso modo si è sviluppata l’arte tra i greci, tra gli italiani e persino, in certa misura, tra i moderni. Bisogna sempre tener saldo questo principio per il presente e per l’avvenire; bisogna rafforzarlo e, se possibile, approfondirlo. Non è auspicabile che il tedesco o lo straniero s’incontrino in grandi centri artistici, a Berlino, a Düsseldorf o a Monaco, e che dipingano secondo le mode dominanti; oggi Cornelius³⁶, domani Piloty³⁷. Non è il metodo giusto; l’arte ha bisogno di luce dispersa, non di luce unificata; sotto la lente ustoria non cresce niente. Una vera arte può germogliare solo da un carattere popolare sfumato in maniera molteplice, ma uniformemente unitario. Le lacune di certe correnti artistiche moderne lo dimostrano. L’arte parigina avverte particolarmente la mancanza di vita provinciale francese; cresce tra il demi-monde e il proletariato, tra patchouli e zoccoli; e l’arte monacense è più ignorante, per esempio, di Amburgo. Qui come là mancano gli scambi intimi tra le singole parti dell’organismo popolare. L’arte ha bisogno di localismo e di provincialismo; lì alberga lo spirito campanilistico; nelle metropoli apolidi l’arte e gli artisti vengono rapidamente consumati, di rado vengono prodotti. Con ciò non auspichiamo – come Bismarck nel 1848 – che le metropoli «vengano cancellate dalla faccia della terra»³⁸, ma che il loro ruolo di oggi venga ridimensionato nella vita artistica produttiva. La spasmodica ricerca di profitto, che domina in questi luoghi, non giova all’interesse generale; non vogliamo una salvaguardia dell’arte come espressione di moda; e sarebbe bene evitare che certi lati morali oscuri della vita metropolitana diventino itinerari artistici, come succede oggi. Per una strana ironia del destino, le opere d’arte particolarmente frivole si realizzano in luoghi sommamente rispettabili; gli esempi sono numerosi. L’arte serena, decorativa ma interiormente vuota di Mozart; l’opera aspra, dura ma interiormente vuota di Menzel; le opere colorate ma interiormente grezze e raffinate della scuola pittorica monacense – tutte riflettono direttamente il loro luogo d’origine. Ma il tedesco deve accontentarsi di questi pallidi riflessi della propria esistenza nazionale? Per quale ragione anche le città medie tedesche di qualche importanza, come Haarlem o Leida nell’Olanda di un tempo, non potrebbero diventare vivai artistici?

    Muse e musei. La creatività, non la conoscenza, dovrebbero guidare queste città; esse dovrebbero dedicare le loro energie alle muse, non ai musei; dovrebbe essere educative, non consumistiche. Per una strana legge della storia, le cose tendono a trasformarsi nel loro contrario: lo vediamo nella Chiesa Cattolica, la cui sontuosa gerarchia corrisponde assai poco ai dettami di Cristo; lo vediamo nei ginnasi tedeschi, antitetici a quelli greci; e lo vediamo altresì negli attuali musei, che ostacolano le muse. Perché le muse – va detto – indicano l’orientamento spirituale creativo, non ne sono il registratore; proprio esse vengono accantonate dalla furia museale di oggi; lucus a non lucendo³⁹. I musei conservano oggetti recisi dai loro legami organici; ma nell’arte il legame organico è tutto; anche la racconta più perfetta all’occhio umano, spiritualmente fissa, non può sostituire tutto l’uomo. Qualunque ministro plenipotenziario di una grande potenza europea scomparso di recente che si fosse creato una raccolta di lavabi da barbiere, non era assai più saggio di un Don Chisciotte che indossava il proprio in testa; i lavabi da barbiere appartengono al barbiere, gli occhi alla testa umana e i quadri alle chiese, agli edifici statali o alle case private! Non si adopera talento e denaro per ordinare metodicamente un ripostiglio; piuttosto decoriamo artisticamente la nostra casa e la nostra vita in base al gusto attuale. Il che è più istruttivo della visita a un museo, dove ogni singolo oggetto uccide gli altri e la totalità degli oggetti deprime il visitatore. La liberalità politica ha i suoi coni d’ombra come quella artistica; alla fine niente resta al posto giusto nel proprio ambiente, nella propria patria: l’opera d’arte diventa apolide, la cosa peggiore che le possa accadere. Bisogna impedirlo. La normale esposizione museale di oggetti secondo rubriche è artisticamente infelice; perché un singolo oggetto può agire artisticamente solo se inserito o subordinato a qualcosa di più grande; che è impossibile con questa sistemazione.

    Un’opera d’arte è come la singola parola di una lingua; ha valore solo in base al legame d’uso; paragoniamo i nostri musei ai dizionari che elencano alfabeticamente dei termini sconnessi; dalla consultazione dei dizionari nessuno ha mai imparato lo spirito e l’essenza di una lingua. Bisogna utilizzare un dizionario – e un museo – con raziocinio; sinora nessuno ha sentito dire che Cesare si dilettasse a leggere la grammatica. Bisogna poter variare, anziché le parole, le cose indicate, in tutti i loro rapporti con il mondo e con la vita. Solo uno spirito molto ricco può colmare vacue categorie e porsi in relazione a qualcosa d’altro, trasformando così gli organi viventi; incarichi così elevati non vanno affidati a figure incolori; l’influenza di una lingua parlata e di un complesso unitario di opere d’arte è assai più comprensibile di un profluvio di unità scientificamente ordinate, il cui insensato accostamento tale figuro non riconosce e non sente come proprio. Letture continue, unitamente all’esercizio orale, sono i mezzi migliori per imparare una lingua; il dizionario è solo uno strumento ausiliario e saltuario di secondaria importanza. Anche per i nostri musei dovrebbero insegnare i linguaggi artistici, non solo nelle morte parole registrate ma soprattutto nel loro legame vitale. L’individuale, non il generale, deve prendere la parola; altrimenti non domina la vita, ma il modello; altrimenti si scoraggia l’artista, invece di attrarlo. Tutto questo non deve sfuggire a un educatore. Ci sono grandi città d’arte tedesche in cui gli artisti si vantano di non visitare mai – o solo di rado – i musei; questo non è il giusto legame dell’arte moderna con quella passata; ma la colpa è soprattutto della qualità dei musei. Sarebbe auspicabile e opportuno che il principio dei singoli spazi interni decorati unitariamente, che si è già iniziato a intravedere nei grandi musei e nelle mostre, venisse ampliato e diventasse predominante; così adoperiamo non solo l’intelletto e la vista, ma anche il sentimento e il giudizio dell’osservatore. Come è noto, s’impara più rapidamente dagli esempi che dall’insegnamento. I preparativi saranno meno artistici se saranno più scientifici; scienza e arte si contrappongono; ma se si tratta di mete artistiche, l’arte deve avere voce in capitolo. In tal caso la scienza deve restare silente o servire l’arte, oppure entrambe le cose. Solo quando il principio artistico e non quello scientifico verrà posto in primo piano, i musei serviranno le muse. I musei sono organi educativi; così si legano a tutto il popolo; non devono essere semplici raccolte di iscrizioni utili alla ricerca scientifica. Non sarebbe giusto porre sotto il braccio della musa un’enciclopedia, invece di una lira.

    Popolarità dell’artista. È un fatto storicamente incontestabile che negli ultimi secoli la nascita dei musei sia collegata alla decadenza di un’arte libera, autonoma e popolare. Non possiamo ripeterlo a sufficienza: bisogna appoggiarsi al senso artistico delle epoche antiche, non alle loro opere artistiche; non bisogna mai imitarle singolarmente. L’età moderna ha esigenze moderne e ha bisogno di un’arte moderna. Un’arte moderna, però, può crescere soltanto col contrappeso di ciò è durevole, fisso, necessario e congenito. Questo, che manca agli antichi prodotti artistici – a loro tempo moderni –, si trova solo nelle fonti vitali dell’attuale carattere popolare tedesco. «Chi è vivo ha ragione»⁴⁰. Non bisogna voltarsi indietro, ma guardare dentro di sé; bisogna procedere dall’interno, non dall’esterno; per dar vita a nuove forme artistiche, alla coppa plasmabile dello spirito del popolo non bisogna ritornare alle vecchie coppe morte, ma rivolgersi al suo nucleo essenziale. E questo può accadere soltanto accettando il carattere locale dei singoli oggetti tedeschi; solo così avremo nuovamente la differenza, la molteplicità e la semplicità della produzione artistica. Bisogna studiare il carattere popolare nella sua fauna vivente, non nella sua pietrificazione. L’anima smarrita dei tedeschi, che vaga negli oggetti terrestri e celesti, deve legarsi nuovamente alla terra natia; il pittore holsteiniano deve dipingere in maniera holsteiniana, quello turingio in maniera turingica, quello bavarese in maniera bavarese: sino nei recessi della propria anima, interiormente ed esteriormente, oggettivamente e spiritualmente. Dobbiamo ricorrere a questo atavico diritto popolare; altrimenti non avremo mai una svolta positiva; il tedesco, che ha trovato una patria politica, non ne troverà mai una patria artistica. In molti luoghi tedeschi alberga un sentimento popolare genuino, anche se non sempre appare in superficie; anche nell’arte è pensabile un altro germanesimo rispetto all’attuale tendenziosa pittura contadina! Il principe Bismarck ha detto che la Comune francese del 1871 aveva un nucleo sano: l’esigenza di un ordinamento urbano prussiano; allo stesso modo potremmo dire che nell’impressionismo, penetrato nella Germania di oggi, esiste un nucleo significativo: l’esigenza di una pittura moderna tedesca sana, chiara e viva. Quando il momentaneo impressionismo confluirà nell’eterno carattere popolare – e si sarà tecnicamente consolidato –, avremo l’arte giusta. Rembrandt ci fornisce entrambe le cose nei suoi quadri; bisogna seguire le sue orme: il pittore tedesco deve diventare locale; e speriamo che gli altri pittori seguano questa strada.

    Slanci occasionali ci sono già stati; ma si sono persi talvolta in un bicchier d’acqua; la forza declinante della musa tedesca meridionale di Defregger⁴¹ e quella basso-tedesca non del tutto intatta di un Carl Gehrts⁴² testimoniano, per esempio, quali pericoli rappresentino quelle società artistiche mescolate. Di contro, Theodor Storm⁴³ dimostra il contributo della devota fedeltà al carattere popolare innato, grazie all’isolamento completo dal gran mondo in ambito artistico; come Storm è un poeta dall’impronta tedesca – sarebbe stato auspicabile che avesse scritto in basso-tedesco –, così dovrebbero e potrebbero esserci anche un pittore, un architetto ecc. dall’impronta basso-tedesca. La scuola drammatica tedesca finora migliore (quella di Schröder)⁴⁴ mostra una forte e innegabile coloritura locale; quell’ampiezza, quella forza, quella dignità e quella naturalezza sono un prodotto genuino basso-tedesco; anche le altre etnie tedesche dovrebbero conservare un loro diritto artistico. Entrambe le correnti contrapposte negli svizzeri isolati Gottfried Keller e Arnold Böcklin hanno già fatto la loro parte; le linee pure e il tenue grigio-argentato delle montagne svizzere sembrano rispecchiarsi spiritualmente nell’arte del primo, mentre i tappeti floreali variopinti e i caratteri idilliaci delle valli svizzere in quella del secondo. Così agisce l’artista genuino; il suo piede poggia fermo a terra; ma il suo sguardo si rivolge liberamente verso il cielo. Speriamo che le singole etnie, gli oggetti e le città tedeschi abbiano nuovamente il coraggio di condurre una vita artistica e spirituale locale, autonoma e positiva. Alcuni petali mostrano rose assolutamente profumate; alcune scuole artistiche paesaggistiche indicano l’intera tendenza artistica nazionale; e, d’altra parte, la singola anima dell’artista prospera solo nell’habitat protetto della sua anima etnica; uomo, etnia e popolo sono interdipendenti. Anche in questo caso è benefico il nome di Rembrandt.

    Artista e borghese. I bambini privi d’esperienza e i diplomatici di lungo corso hanno spesso in comune uno sguardo fulmineo sugli uomini e sui caratteri; ma su basi differenti: i primi posseggono lo sguardo verso il tutto, i secondi verso i dettagli dell’anima umana. Possiamo sostenere che il vero artista deve riunire in sé entrambe le doti; e Rembrandt ci riesce; sa dipingere l’anima dell’uomo come nessun altro! È il rappresentante, ma anche l’illustratore dell’anima popolare tedesca (illustratore significa pittore in olandese); la rappresenta dall’angolatura più profonda. È privo di ogni pomposità, accademicità e formalismo: esprime i suoi pensieri con la stessa schiettezza – e diremmo solitudine – di un bambino; ma la sua anima artistica non è meno acuta e fine osservatrice dell’uomo di mondo più navigato. Si tuffa negli abissi per estrarre perle. Nessun artista è così vicino alla propria cittadinanza, nessun artista sa comprendere così bene un grande contenuto in forma semplice; dal ritratto di un maestro di scrittura, di un agente di custodia, nel semplice acquaforte nero su bianco riesce a dipingere anime tutt’altro che inferiori a un Amleto o a un Falstaff di Shakespeare. Un maiale sdraiato o una donna intenta a cucinare brioche sono tratteggiati con così poche linee come farebbe nessun altro al mondo. Con Rembrandt l’arte può ambire nuovamente a quel legame col popolo e col ceto medio oggi perduto per via della sua passione carnevalesca e arcaicizzante.

    Proprio quando l’artista non si sente più un’eccezionale figura romantica ma un borghese tra i borghesi, può intraprendere un’attività prospera; chi conosce i pittori tedeschi di oggi sa come questo sentimento borghese – e diremmo filisteo – manchi a molti di loro; Rembrandt lo possedeva, così come Shakespeare.

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