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Il mercante d'arte di Hitler
Il mercante d'arte di Hitler
Il mercante d'arte di Hitler
E-book560 pagine7 ore

Il mercante d'arte di Hitler

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Info su questo ebook

Il ritrovamento che ha riscritto la storia

Tradotto in 18 Paesi

La storia vera e sconvolgente del collezionista che trafugò innumerevoli capolavori per conto del Führer

Svizzera, 2010. Cornelius Gurlitt, cittadino tedesco di 79 anni, sta viaggiando su un treno diretto a Monaco quando viene fermato per un controllo di routine. Agli occhi degli agenti l’uomo non è che un innocuo vecchietto, ma un’ispezione rivela che, cuciti nel risvolto della sua giacca, ci sono ben novemila euro in contanti. Una cifra importante per un pensionato, che porta la polizia ad approfondire le indagini. Si scopre così che nella sua casa di Monaco l’anziano vive come un barbone, nel disordine e nella sporcizia, ma tra scatole vuote di cibo e carte ammucchiate alla rinfusa, nasconde un vero, inestimabile tesoro: più di duemila capolavori di ogni epoca, ufficialmente scomparsi nel bombardamento di Dresda del 13 febbraio 1945. Cornelius afferma di aver ereditato quella fortuna – opere di Canaletto, Picasso, Franz Marc, Matisse, Dürer, Rodin, Kokoschka e moltissimi altri, per un valore stimato di oltre un miliardo di euro – da suo padre, Hildebrand Gurlitt, “mercante d’arte” al servizio del Führer. Quella che state per leggere è l’incredibile storia dell’uomo che per anni si occupò per conto di Adolf Hitler di sequestrare e requisire con la forza le opere d’arte degli artisti ebrei e tutto ciò che il regime definiva “arte degenerata” perché contraria ai principi del nazionalsocialismo. Dopo anni di ricerche negli archivi del Terzo Reich, Meike Hoffmann e Nicola Kuhn hanno ricostruito l’ascesa di un semplice curatore di mostre che, cavalcando l’onda del nazismo, arrivò a diventare uno dei collaboratori più stretti di Hitler e uno dei principali mercanti d’arte nei territori occupati. Una storia dura, che deve essere raccontata, in cui l’ineffabile bellezza dell’arte è asservita alla cieca violenza.

La storia del ritrovamento artistico più importante del millennio
Un patrimonio da oltre 1 miliardo di euro
L’incredibile tesoro del mercante d’arte del Führer

«Il mercante d’arte che rubava per Hitler: l’incredibile saga dei Gurlitt, le opere confiscate dal padre nazista e le bugie del figlio.»
la Repubblica
Meike Hoffmann
Ha un dottorato in Storia dell’arte e da anni studia i rapporti del nazismo con il mondo dell’arte. Per seguire le orme di Hildebrand Gurlitt ha consultato diversi archivi in Germania e all’estero. Dal 2006 è coordinatore del progetto del Centro Ricerche sull’“Arte degenerata” presso la Freie Universität di Berlino. È stata membro del team internazionale Schwabinger Kunstfund e collabora al progetto di ricerca sulla collezione Gurlitt.
Nicola Kuhn
È critico d’arte e redattrice del «Tagesspiegel». Ha studiato Storia dell’Arte all’Università delle Arti di Berlino. Nel 2013 ha ricevuto il Premio della Critica dell’HBS Kulturstiftung per i suoi articoli.
LinguaItaliano
Data di uscita24 ott 2016
ISBN9788854199293
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    Anteprima del libro

    Il mercante d'arte di Hitler - Meike Hoffmann

    Titolo originale: Hitlers Kunsthändler: Hildebrand Gurlitt 1895-1956

    Copyright © Verlag C. H. Beck oHG, München 2016

    All rights reserved.

    Traduzione dal tedesco di Matteo Anastasio

    Prima edizione ebook: ottobre 2016

    © 2016 Newton Compton editori s.r.l.

    Roma, Casella postale 6214

    ISBN 978-88-541-9929-3

    Realizzazione a cura di The Bookmakers Studio editoriale, Roma

    www.newtoncompton.com

    Meike Hoffmann

    con

    Nicola Kuhn

    Il mercante d’arte di Hitler

    La storia vera e sconvolgente del collezionista che trafugò innumerevoli capolavori per conto del Führer

    Newton Compton editori

    A Luzie, Lotti e Jens

    A Josefine, Jan e Jörg

    Introduzione

    Il caso Gurlitt ha scosso il mondo e gettato nuova luce sulla natura di molte proprietà artistiche, private e museali. Nei mesi successivi al rinvenimento del tesoro d’arte di Schwabing, l’opinione pubblica si è appassionata al dibattito sulla spoliazione di opere d’arte come mai prima. La nostra biografia dell’uomo che si cela dietro tale scoperta racconta la storia di quei quadri, la loro provenienza, le motivazioni che animarono il collezionista, il territorio ambiguo in cui questi si muoveva. La sua vita, che attraversa ben quattro epoche della storia tedesca (l’Impero germanico, la Repubblica di Weimar, il nazionalsocialismo e la Repubblica federale), ci mette di fronte a dimensioni tragiche, a comportamenti criminali e all’ostinata rimozione delle proprie responsabilità. Quella di Gurlitt è la parabola esemplare di tanti tedeschi che durante il nazismo hanno ceduto alle pressioni, si sono lasciati coinvolgere, sono rimasti incastrati e dopo la fine del Terzo Reich hanno rifiutato qualunque confronto con il passato.

    In qualità di autrici, studiose e critiche d’arte, il progetto comune di una biografia di Hildebrand Gurlitt ci è sembrata un’occasione estremamente proficua. Meike Hoffmann ha sviluppato l’idea e Nicola Kuhn l’ha condivisa. Ciascuna di noi ha dato il proprio contributo, e con nostra grande gioia ciò non è avvenuto solo in parallelo, i nostri ambiti di competenza si sono intrecciati: entrambe abbiamo infatti valutato e riorganizzato le fonti. Alla base del libro vi sono gli studi pluriennali condotti da Meike Hoffmann negli archivi tedeschi e all’estero sul commercio di opere d’arte durante il nazismo e sulla figura di Hildebrand Gurlitt, in particolare svolti nell’ambito del suo lavoro di ricerca presso la Freie Universität di Berlino. Grazie alle testimonianze dirette e indirette sulla vita di Hildebrand Gurlitt da lei raccolte e finora ancora mai analizzate, è stato possibile inquadrare per la prima volta le spaccature e le ambivalenze della sua esistenza. Gli ultimi tre capitoli, sul rinvenimento di Schwabing e sulle sue conseguenze, sono opera della sola Nicola Kuhn, dal momento che Meike Hoffmann è stata direttamente coinvolta negli eventi in qualità di consulente tecnico della Procura di Stato di Augusta, e in seguito è diventata membro ufficiale della task force. Dal caso Gurlitt emerge con evidenza quanti siano i punti ancora da chiarire sulla spoliazione e il commercio d’arte durante il Terzo Reich, quale sia l’opera di rielaborazione richiesta ai musei tedeschi e come, di fatto, la legislazione in materia di restituzione d’arte rubata debba essere ripensata.

    Meike Hoffmann e Nicola Kuhn, luglio 2016

    Capitolo 1

    Prologo. Una doppia svolta

    La giornata promette sole. A fine aprile il termometro ad Amburgo ha già raggiunto i diciotto gradi. La primavera avanza a pieno regime, le aiuole nei giardini e nei parchi sono in fiore, i germogli sbocciano ovunque sulle rive dell’Alster, dove la città anseatica si mostra in tutto il suo splendore. Anche le case, altrimenti poco intonate al clima festoso di questo assaggio d’estate, sono adorne per celebrare la giornata speciale: il Primo maggio 1933. Le bandiere sventolano sugli edifici pubblici. Accanto al drappo bianco, rosso e nero dell’Impero germanico, sono state issate al vento anche le insegne con la svastica; l’ordine viene direttamente da Berlino e vale per tutte le città del Reich, Hitler, infatti, ha proclamato il Primo maggio festa nazionale dei lavoratori tedeschi. Il ministero della Propaganda e l’Associazione delle fabbriche nazionalsocialiste hanno organizzato sfilate ovunque, una dimostrazione di forza di dimensioni colossali. Con parate e cortei di massa in tutto il Paese, il Partito nazionalsocialista dei lavoratori tedeschi (nsdap) punta a unire i ranghi delle maestranze operaie per poter poi avviare, il giorno seguente, una violenta offensiva contro i sindacati e schiacciarli definitivamente. I funzionari verranno arrestati, i loro conti confiscati, le sedi sindacali occupate.

    Si annunciava un giorno dalle conseguenze nefaste. Quali ripercussioni avrebbe avuto quel Primo maggio del 1933 nessuno ancora poteva saperlo; ma una strana atmosfera doveva regnare nell’aria, un misto di eccitazione prima del grande evento, bramosia di potere e trepidante preoccupazione. Le persecuzioni ai danni di comunisti, artisti, dissidenti, giuristi e finanzieri di origine ebraica erano cominciate subito, appena i nazisti avevano preso il potere il 30 gennaio 1933. Un vero e proprio esodo si era scatenato in tutto il Paese dopo l’incendio del Reichstag, il 27 febbraio. Nel corso di quell’anno 37.000 persone emigrarono all’estero. Il Primo aprile il boicottaggio dei negozi ebraici in tutto il Reich era sfociato in sanguinosi atti di violenza. Neppure una settimana più tardi, il 7 aprile 1933, con la Legge per il rinnovo dell’amministrazione pubblica, diversi professori si erano visti sollevati dai propri incarichi in ragione delle loro origini ebraiche o della loro posizione politica. Il Primo maggio, promosso a festa nazionale con il motto Onora il lavoro e rispetta i lavoratori!, sarebbe stato un ulteriore mattone per la costruzione del potere nazionalsocialista: l’integrazione degli operai nella nuova comunità nazionale divenne una priorità assoluta per i nazisti. Erano loro le fondamenta del nuovo Stato.

    Anche Amburgo si prepara al neoproclamato giorno di festa, accanto a Monaco e Berlino la principale città del Nord è un baluardo importante per il movimento nazionalsocialista. Quel che succede qui arriva a tutto il Paese. Da tempo Amburgo è in mano al Partito, da quando, l’8 marzo, Carl Vincent Krogmann è stato nominato primo borgomastro alle elezioni del Senato cittadino. Il cambiamento, tuttavia, è lento nei primi mesi. Con le elezioni di marzo il Partito nazionalsocialista ha preso il comando del Senato, ma il Parlamento della città anseatica nel costituire la giunta di governo ha tenuto dalla sua sei senatori sui dodici complessivi. In tal modo il sistema parlamentare sembra in un primo tempo bilanciato. Amburgo si allineerà solo in un secondo momento. E gran parte della popolazione si lascerà trarre in inganno di buon grado.

    Anche nella città dell’Hansa, come del resto ovunque, per il Primo maggio sono previste parate militari, si tengono concerti e sono in programma celebrazioni pubbliche di Hitler, nuova guida del Paese. A nome dell’Università di Amburgo il medico e prorettore Ludolph Brauer prende la parola: «Noi tutti ci riconosciamo nel nostro solido cancelliere Adolf Hitler […]. Con ansia abbiamo atteso l’arrivo dell’uomo in grado di liberare i tedeschi dalla discordia. Ora egli è qui. E noi siamo pronti a servirlo con gioia». Da buon simpatizzante del Partito nazionalpopolare tedesco (dnvp) Brauer inneggia commosso all’amor patrio, allo spirito di sacrificio, alla guerra e in qualità di rappresentante dell’Alma mater promette: «Le nostre università saranno sempre al fianco di questi grandi ideali, poiché tedesco è colui che opera in nome di essi»¹.

    Il Primo maggio non solo gli operai, ma anche altri gruppi sociali dichiarano la propria fedeltà alla nuova classe dirigente. Chi occupa posizioni di spicco e non si presenta in questa occasione ne paga le conseguenze. Al numero 25 della Neue Rabenstraße, a soli cinque minuti dall’edificio dell’università dove il prorettore Brauer sta tenendo il suo discorso infuocato, si trova a quell’epoca la sede dell’Hamburger Kunstverein, la Società delle arti di Amburgo. Sul suo tetto non sventola alcuna bandiera. La struttura si distingue in ogni caso dagli edifici circostanti. Tra le signorili ville in stile classico, la fredda, liscia facciata, fatta di vetro e superfici intonacate chiare, pare una dichiarazione di guerra al circondario, alla tradizione e alla norma. Con il suo aspetto moderno, la villa, riconvertita in spazio espositivo e in sede dell’associazione dall’architetto Karl Schneider, è come fumo negli occhi per la Lega militante per la cultura tedesca locale. E poi una vera e propria provocazione, quasi una forma di sabotaggio: proprio nel cuore di Rotherbaum, un quartiere immacolato, in mezzo ai tanti edifici pubblici, tra cui l’università, la stazione dell’emittente radiofonica settentrionale ndr e i numerosi musei, manca il pennone con la bandiera.

    Il rifiuto a innalzare il vessillo è un atto di insubordinazione e il direttore dell’Hamburger Kunstverein, Hildebrand Gurlitt, può ben immaginare quali conseguenze questo comporti per la sua carriera. Visto con il senno di poi, questo suo gesto impressiona, ma al tempo stesso confonde, perché Gurlitt di lì a poco collaborerà con i nazisti, che faranno di lui il loro principale mercante di opere d’arte. Che uomo è mai questo, che dopo un atto di tale manifesta fermezza passa invece dall’altra parte, per arricchirsi nel corso degli anni? Quale valore ha questo gesto così eclatante che con ancora maggiore evidenza suggerisce una successiva perdita di orientamento? In due occasioni, nel giro di pochi anni, Hildebrand Gurlitt prenderà decisioni gravide di conseguenze per la propria vita, prima contro e poi a favore del regime nazionalsocialista. Come può uno spirito critico divenire servo, un alfiere dell’arte moderna trasformarsi nel suo liquidatore, una vittima in carnefice? La bandiera assente rimanda a un atteggiamento di cui alla fine non rimane nulla, una professione di fede che si converte in una posizione vuota.

    Ma il Primo maggio 1933, a ogni modo, quest’immagine è prova di grande decisione. Hildebrand Gurlitt sa quel che fa, e sa anche di muoversi in una zona grigia, perché l’Hamburger Kunstverein non è un edificio comunale e la bandiera qui non è un obbligo. Ma che un tale atto colpisca comunque i nazionalsocialisti in un punto sensibile lo dimostrano le numerose denunce e i processi, subito dopo, contro quanti il Primo maggio 1933 hanno manifestato posizioni critiche sulla bandiera con la croce uncinata. Gurlitt ha irrimediabilmente distrutto i propri contatti tra la gente che conta negli ambienti politici ad Amburgo, contatti che fino a quel momento aveva saputo utilizzare con abilità. E ne paga le conseguenze: come direttore gli è concesso di mantenere il proprio posto solo per altri tre mesi e mezzo, dopodiché gli viene tolto l’incarico. Quando il 15 agosto 1933 rassegna le proprie dimissioni, con lui se ne va l’intero consiglio direttivo². Il vento è cambiato definitivamente. Il nuovo sindaco, Carl Vincent Krogmann, che fino a quel momento ha guardato con simpatia a Hildebrand Gurlitt, in carica da appena due anni, e ha sostenuto le iniziative del Kunstverein, ora lo lascia solo. L’ira contro il reticente direttore non si placa neppure settimane dopo la sua sospensione dall’ufficio. Né le ripercussioni si fermano qui: anche la sperata promozione a sovrintendente di una collezione d’arte moderna che Gurlitt segue da quando è studente va in fumo. Si è messo fuorigioco. Con la destituzione da direttore dell’Hamburger Kunstverein, si vede ingiunto il divieto di attività di pubblicazione, tanto per gli scritti quanto per il discorso in pubblico. Anche il diritto alla pensione gli viene revocato³. Per la seconda volta, dopo esser già stato destituito dall’incarico di direttore al König Albert Museum di Zwickau per le proprie inclinazioni verso l’arte moderna, la carriera di Gurlitt va in frantumi.

    Perché Gurlitt ha lasciato che tutto questo accadesse? Perché, almeno in un primo momento, rinuncia così al proprio impegno di difensore delle avanguardie? Cosa ha spinto l’instancabile, tenace paladino dell’arte moderna a lasciarsi allontanare? Il Primo maggio 1933 è per lui un punto di svolta. La sua visione dell’arte moderna quale simbolo della nazione tedesca non è conciliabile con l’ideologia nazionalsocialista, di questo deve prendere atto. L’autentica massa di partecipanti alla giornata dei lavoratori indetta da Hilter è la prova per Gurlitt che le aspirazioni della maggioranza muovono in un’altra direzione. Quel pubblico esteso a tutti gli strati della società, pubblico che egli stesso tenta di raggiungere fin dai tempi del proprio impegno giovanile come curatore a Zwickau, non ha ormai più alcuna intenzione di seguirlo, la sua è una battaglia persa. Né può più utilizzare l’Hamburger Kunstverein come strumento del proprio lavoro pedagogico. Rifiutandosi di issare la bandiera nazista, Gurlitt esprime all’esterno la propria volontà di resistere, quando a quel punto, in realtà, dentro di sé ha già desistito. Se sul piano pubblico manifesta ancora fermezza, come privato uomo d’affari si lascerà presto corrompere, in men che non si dica.

    Il Primo maggio 1939 è un giorno fatidico per Hildebrand Gurlitt. Qui la sua vita si spacca tra un prima e un poi. Più tardi, riguardando alla propria esistenza, scriverà di non trovarvi «nulla di eccezionale, nei suoi cambiamenti la mia vita è rimasta fin troppo tipicamente tedesca»⁴. Con queste parole intende forse riferirsi proprio a quelle ambivalenze con cui, invece, egli non ha mai fatto i conti. Gurlitt, al contrario, ha sempre guardato a se stesso come a uno stratega costretto a portare a termine per vie traverse la propria missione: l’affermazione dell’arte moderna. In tal senso egli minimizza le proprie connivenze con il regime nazionalsocialista come un piccolo sgarro. I segni lasciati dall’esperienza al Museo di Zwickau e il disastro dell’Hambuger Kunst verein lo convincono ad abbandonare la cornice istituzionale. Poco più tardi sarà chiaro come egli abbia perduto qualsiasi bussola interna.

    La prospettiva di una seconda Zwickau potrebbe aver spinto Hildebrand Gurlitt il Primo maggio a quel passo eroico e assieme fatale. Il ricordo della sconfitta subita come direttore generale del König Albert Museum di Zwickau, probabilmente, non gli dà pace. Durante il suo mandato, dal 1925 al 1930, si è ritrovato costantemente esposto alle critiche dei circoli conservatori di destra che non gradivano la linea del giovane direttore del museo. Gurlitt, per prima cosa, mette insieme una raccolta di opere d’arte moderna e fa allestire l’interno del museo in stile Bauhaus. Sotto la sua direzione l’istituto diviene un modello per quella riforma museale che attraverso la politica culturale liberale della Repubblica di Weimar dovrebbe rafforzare l’idea della Germania quale nazione fondata sulla cultura. Sotto la sua guida, un sonnolento museo di provincia si trasforma in brevissimo tempo in un centro che richiama pubblico anche oltre i confini regionali.

    Ogni giorno, tuttavia, a Zwickau, Gurlitt si è dovuto giustificare agli occhi della cittadinanza: i fondi a lui concessi bastavano appena a realizzare i suoi progetti. E ciononostante Gurlitt è riuscito a imporsi, cosa per la quale è stato sinceramente applaudito, procurandosi grande stima tra i colleghi nell’ambiente. Quanto a Zwickau, la maggior parte degli abitanti non ha compreso in alcun modo le ambizioni di Gurlitt. Nell’ambiente locale, fatto di industria e lavoro manuale, la cultura non ha alcun posto di rilievo. Dall’inizio degli anni Venti i nazionalsocialisti stavano guadagnando terreno. Gurlitt è divenuto presto oggetto di diffamazione sulla stampa, che non si è posta limiti nell’esprimere il proprio dissenso per l’arte da lui promossa, quando non del vero e proprio odio nei confronti dei moderni. Una volta avviata, la campagna persecutoria non lasciò a Gurlitt alcuna possibilità. Nulla gli fu più di aiuto, non un intervento del Deutscher Museumsbund, la confederazione dei musei tedeschi, né una petizione di appassionati d’arte o di alcuni politici. Il 30 aprile 1930 il contratto di Gurlitt con la città di Zwickau fu rescisso. Gurlitt è stato uno dei primi direttori museali tedeschi a dover lasciare il proprio posto a causa dell’impegno a favore delle avanguardie.

    In confronto a quelle accuse, la situazione agli inizi del 1933 deve sembrare a Gurlitt ancora relativamente pacifica. Sono passati appena due anni da quando si è trasferito nella città anseatica per assumere l’incarico di direttore esecutivo presso l’Hambuger Kunstverein. Ad Amburgo la famiglia Gurlitt risiede ormai da più di duecentocinquant’anni e da sempre è attiva nel campo dell’arte. Un isolotto e una via intitolata ai Gurlitt nel rione St. Georg della città ne recano ancora oggi la memoria. La loro titolazione nell’anno 1840 fa riferimento all’insegnante e illuminista Johann Gottfried Gurlitt, famoso per la riforma del liceo Johanneum di Amburgo. Oltre ai legami familiari, che garantiscono a Hildebrand Gurlitt il favore della città, il clima generale è qui molto meno ostile che a Zwickau.

    Fino al 1933 Amburgo ospita una scena artistica variegata e l’artemoderna qui ha da tempo fatto il suo ingresso. Esiste anche un nutrito ambiente di collezionisti facoltosi e influenti cui Gurlitt può riferirsi come interlocutori. E all’interno delle istituzioni pubbliche vi sono personalità autorevoli che da tempo, già prima dell’arrivo di Gurlitt ad Amburgo nel 1931, sono intervenute a difesa dell’arte moderna, tra cui, in particolare, Max Sauerlandt, direttore del Museo di arti e mestieri, Gustav Pauli, direttore della Kunsthalle di Amburgo, e Fritz Schumacher, alla direzione urbanistica della città anseatica. Amburgo è, subito dopo Berlino, la città più progressista della Repubblica di Weimar.

    Ma anche qui Gurlitt ha presto le proprie battaglie da combattere. Particolarmente critica è la condivisione della sede del Kunstverein con la più conservatrice Hamburgische Künstlerschaft, la Comunità degli artisti di Amburgo. Per quanto egli si sforzi di gestire in modo equilibrato gli spazi espositivi, vi è sempre qualche motivo di scontro. Presto la situazione sfocia in aperto conflitto e nel 1932 sulla stampa ha inizio una campagna denigratoria nei suoi confronti, un gioco che egli conosce dai tempi di Zwickau. Gli attacchi a suo carico culminano nel marzo 1933, quando per ordine del prefetto di polizia viene chiusa una mostra della Secessione di Amburgo al Kunstverein: si tratta del primo divieto imposto dal Terzo Reich a un’esposizione artistica.

    Ma non è in questo affondo che vanno ricercate le ragioni della decisione di Gurlitt di rinunciare al lavoro al Kunstverein, perché ancora una volta egli dimostra come gli ostacoli messi sulla sua strada fungano per lui, invece, da stimolo. Subito dopo la chiusura della mostra comincia a lavorare a un’esposizione di indiscussi veterani dell’arte, così da togliere fiato a ogni critica. Con uno sguardo al Futurismo italiano, il movimento d’avanguardia riconosciuto dall’Italia fascista, Gurlitt tenta una nuova virata. Come ospite per l’inaugurazione della mostra riesce a ottenere la presenza dell’amico Carl Vincent Krogmann. Un’abile mossa, considerando che Krogmann viene da una delle famiglie di commercianti più influenti della città anseatica, la più antica rappresentanza cittadina che ha condizionato la vita culturale di Amburgo fin lì. Quale collezionista e sostenitore moderato dell’arte moderna, nonché membro del Partito nazionalsocialista, Krogmann offre un’ottima copertura al direttore del Kunstverein, finito nell’occhio del ciclone. Ma con la rimozione della bandiera Gurlitt si gioca il suo favore.

    A questo punto non c’è ancora l’ombra di quella campagna denigratoria che bollerà l’arte moderna come arte degenerata. Al contrario, nel primo anno dall’ascesa al potere del nazionalsocialismo sono numerosi i tentativi di innalzare le avanguardie – o almeno parte di esse, come l’Espressionismo – a nuova arte di Stato. Joseph Goebbels, al tempo già ministro per l’Educazione del popolo e della propaganda del Reich, uno dei politici pertanto più influenti in campo culturale, nei primi giorni del regime nazionalsocialista esprime il proprio apprezzamento per l’arte moderna. Goebbels ha parole di encomio per le sculture di Ernst Barlach o la pittura di Emil Nolde e di Edvard Munch e nei suoi appartamenti privati e negli uffici si circonda persino di opere di questi artisti. Con lui, anche la Lega degli studenti nazionalsocialisti tedeschi abbraccia con ardore la causa modernista e difende l’Espressionismo quale genuina arte tedesca con forme espressive specificamente nordiche. Nel 1933, dunque, non c’è modo di intravedere quale futuro di fatto attenda l’arte moderna, da sempre peraltro esposta alle critiche, in particolare a partire dagli anni Venti, dei circoli reazionari nazionalpopolari. Molti direttori di museo e artisti non riconoscono il pericolo imminente.

    Neppure Gurlitt in quel periodo deve aver previsto possibili nuovi attacchi, né una tale brusca fine del pubblico riconoscimento tributato all’arte moderna. E gli ulteriori sviluppi al Kunstverein dopo le sue dimissioni sembrano dargli in qualche modo ragione: in un primo tempo, infatti, non c’è segno di rottura. Dopo di lui è lo stesso Krogmann a prendere il comando, e nel programma cambia ben poco. Tutti gli artisti prima esposti da Gurlitt sono ancora lì in bella vista nella Neue Rabenstraße. Solo nel 1936 si procede a un intervento di forza: un’altra mostra viene chiusa, il direttore in carica del Kunstverein destituito, l’associazione affidata direttamente al dipartimento del ministero per l’Educazione del popolo e della Propaganda e l’edificio in Neue Rabenstraße messo all’asta giudiziaria.

    Gurlitt nel frattempo ha trovato il modo di guadagnarsi da vivere nel commercio dell’arte, l’ultima via rimastagli, come dirà più tardi. Questa opzione, in un primo tempo, non gli va probabilmente troppo a genio. Più che uomo d’affari, Gurlitt si concepisce curatore, per lui l’arte ha un valore ideale, non è una merce. Sul mercato tuttavia egli si presenta come mediatore tra collezionisti dallo spirito affine al suo, più tardi persino quale presunto difensore dell’arte bandita, quando offrire in pubblico opere di quest’ultima diventerà pericoloso. Comincia qui quella strisciante peregrinazione morale, dove il confine tra lucro e salvaguardia non sarà più distinguibile e i collezionisti ebrei tenteranno di sbarazzarsi dei propri tesori il più rapidamente possibile, vendendoli a prezzi stracciati.

    Ma la seconda svolta della propria vita comincia per Hildebrand Gurlitt quando si presta ufficialmente alla vendita, per conto dei nazisti, delle opere messe al bando come arte degenerata per procurare al Reich valuta straniera. Per quattro anni, nel frattempo, ha lavorato in modo indipendente come mercante d’arte, ora in quanto Vierteljude, ebreo per un quarto, non gli è permesso avere attività commerciali, a meno che non siano di qualche utilità per il Reich. Gurlitt non è, di fatto, un uomo del partito, ma le sue conoscenze sono stimate nell’ambiente e gode dei migliori contatti. Di lui può esserci bisogno e Gurlitt si lascia usare volentieri. Con grande abilità, in quel periodo, riesce a procurarsi opere d’arte moderna, molte delle quali finiscono nella sua collezione privata. Il patto definitivo con il regime criminale viene stretto solo pochi anni dopo. Quando la Francia viene occupata, Gurlitt si reca immediatamente a Parigi e fa man bassa del mercato locale dell’arte. Rapidamente allarga il proprio raggio d’azione al Belgio, all’Olanda, all’Ungheria. Gli Alleati, più tardi, lo classificheranno come chief dealer, mentre Gurlitt cercherà di ridimensionare il proprio ruolo.

    L’uomo coraggioso e dalla moralità integra che si è distinto il Primo maggio 1933 si trasforma in un faccendiere, che mai, quando sarà costretto a spiegare la propria posizione di fronte agli Alleati, ammetterà i propri errori e le menzogne raccontate a se stesso. Come molti altri dopo la guerra, Gurlitt si guarda bene dal rendere conto delle proprie azioni e dall’assumersi la responsabilità degli anni passati. Diventa invece direttore di un altro Kunstverein, questa volta a Düsseldorf, e fa girare la propria collezione, dopo averla riottenuta dagli Alleati. Collabora inoltre alla restituzione ufficiale di opere da lui acquistate in passato come mercante d’arte. Per quanto riguarda invece le richieste dei collezionisti privati ebrei, pone però un blocco. Hildebrand Gurlitt non coglie qui l’occasione per un esame di coscienza e si carica di una seconda colpa che lascerà in eredità ai propri figli. Al contrario, continua a concepirsi come un paladino dell’arte moderna, che adesso finalmente può esibire in pubblico ciò per cui si è sempre battuto. L’ipotesi di essersi screditato non viene nemmeno presa in considerazione. Visto dalla prospettiva odierna, l’episodio della bandiera è l’emblema di tutta la sua esistenza: Gurlitt non si espone, non dichiara mai la propria aperta resistenza. Per ingraziarsi i favori dei potenti, si rifiuta sempre di prendere posizione in modo netto rispetto agli eventi politici. Anche nel nuovo sistema della Repubblica federale riuscirà a integrarsi senza problemi, continuando il proprio lavoro senza alcuna revisione critica. La fatica di dover chiarire le domande aperte sulla propria vita e sul bottino da lui rimediato la lascerà agli eredi.

    Capitolo 2

    I Gurlitt. Ritratto di famiglia

    Ogni volta che deve presentarsi – sia per la domanda al Museo di Zwickau sia al Kunstverein di Amburgo, o per rilasciare le proprie dichiarazioni alle forze Alleate, dopo la guerra – Paul Theodor Ludwig Hildebrand Gurlitt, questo il suo nome completo, non perde occasione per ricordare con fierezza la propria famiglia e citarne i membri eminenti; primo tra tutti il padre: Cornelius Gustav Gurlitt, famoso storico dell’architettura. La famiglia è per lui una legittimazione ad ambire a cariche importanti. Negli interrogatori al termine della guerra, essa costituisce la sua difesa, quale prova della purezza delle sue origini. I Gurlitt sono una vera e propria dinastia che ha prodotto prestigiosi pittori, musicisti, storici dell’arte, galleristi, teologi, pedagoghi e archeologi. Hildebrand Gurlitt viene cresciuto dalla famiglia ad aspettative altrettanto alte e si crede destinato a grandi cose. Nella casa paterna, borghese e nutrita di idee liberali, che riunisce e produce uomini colti e artisti, architetti e studiosi, Hildebrand si prepara fin da subito a diventare, pure lui, un Gurlitt di cui i posteri possano avere memoria.

    Quando viene al mondo, il 15 settembre 1895, il nonno, il celebre pittore paesaggista Louis Gurlitt (1812-1897), è ancora vivo, e lo sarà per altri due anni. I suoi quadri accompagneranno il nipote per tutta la vita. Per il giovane Hildebrand, Louis Gurlitt è la figura più eminente nel panorama familiare. I suoi dipinti sono appesi alle pareti di casa e raccontano in modo esemplare la movimentata vita del nonno. Vi sono paesaggi di montagna del Tirolo, fiordi svedesi, cascate norvegesi, studi del golfo di Napoli, di Positano, Capri, Sorrento e di siti archeologici greci, schizzi della Dalmazia, della Spagna, di Lisbona. Louis Gurlitt ha vissuto e lavorato ad Amburgo, Vienna, Copenaghen, a Düsseldorf, Gotha, Dresda e Berlino, da lì ha condotto le proprie escursioni in tutto il continente per poter comporre quel ciclo di paesaggi europei di cui ha parlato tra gli altri Alexander von Humboldt. Attraverso Louis Gurlitt il mondo entra nella casa paterna di Dresda. Il pittore è cresciuto in condizioni umili ad Altona, all’epoca ancora danese. Il padre era un mastro orafo e vendeva essenze su ricetta di un medico. Ma il talento del giovane Louis fu subito riconosciuto e richiesto, forse anche perché a quel tempo il bisnonno, Johann Gottfried Gurlitt (1754-1827), era ancora in carica al liceo Johanneum di Amburgo.

    A quel tempo Johann Gottfried era già una celebrità. In memoria del suo contributo allo storico ginnasio gli fu intitolata un’isola lunga centoventi metri sul ramo esterno dell’Alster, di fronte alla sponda orientale. Tra i più grandi pedagoghi del proprio tempo, Johann Gottfried Gurlitt ispirò il proprio lavoro ai principi dell’Illuminismo. Studiò teologia e matematica, lingue classiche e orientali, imparò l’arabo, l’aramaico biblico e il copto. Ma anziché iscriversi all’università, alla fine, andò a insegnare nella scuola superiore, poiché, da figlio di un sarto quale era, non poteva permettersi una vita da studioso. Nella sua Allgemeine Einleitung in das Studium der schönen Kunst des Altertums (Introduzione generale allo studio delle belle arti dell’antichità) del 1799 si legge: «Se i cosiddetti inflessibili uomini di scienza illuminano l’intelletto, lo arricchiscono di conoscenze e operano nel nostro animo attraverso la correzione delle idee; è appannaggio dell’arte e della scienza del bello, per contro, affinare il nostro sentimento, renderci familiare la viva e fulminea impressione del bene e del bello e risvegliare l’interesse per essi, volgere il nostro cuore alla dolcezza, mitigare le nostre passioni e innalzare all’entusiasmo il sentimento della virtù»¹. Johann Gottfried Gurlitt formulava così una professione di fede che si sarebbe mantenuta viva in molti dei suoi successori.

    Nel 1802 si trasferì da Magdeburgo ad Amburgo, per dare nuovo lustro in qualità di rettore al liceo Johanneum, che con i suoi quasi duecento anni di storia era uno degli istituti più importanti della città anseatica. Nel corso del suo mandato, durato oltre un quarto di secolo, il Johanneum acquisì ulteriore prestigio. La stessa linea pedagogica venne adottata in famiglia. Ed ebbe i suoi effetti ancora sul figlio di Louis Gurlitt, Ludwig (1855-1931), promotore dell’Educazione nuova e precursore del movimento giovanile dei Wandervogel, gli Uccelli migratori, e svolse un ruolo importante nella formazione del figlio di questi, l’antroposofo Winfried Gurlitt (1902-1982). Le idee di un’educazione orientata alle inclinazioni del bambino si riflettono pure nella famiglia di Hildebrand e ne condizionano lo sviluppo. È sulla base di esse che, nel 1946, Gurlitt deciderà di mandare i propri figli, Cornelius e Benita, alla Odenwaldschule di Heppenheim. Il collegio fondato a inizio secolo sarà a quel tempo ancora il fiore all’occhiello dell’Educazione nuova, non solo nella ricerca di nuovi criteri di abbigliamento, alimentazione e organizzazione della vita degli studenti, ma anche nello sviluppo di un modello educativo più liberale.

    Il nonno, Louis Gurlitt, entra concretamente nella vita di Hildebrand, seppur non di persona, ma attraverso le proprie opere. Come gallerista, negli anni a venire, il nipote si ritroverà a commerciare con esse. I dipinti del paesaggista sono esposti oggi in numerosi musei tedeschi, perlopiù al Nord, a Flensburg, Kiel, Hannover, nonché nella Kunsthalle di Amburgo. Qui, nel 1941, Hildebrand Gurlitt ha offerto la sua Vista su Roma (1845), insieme al quadro di Johann Faber Monaco su un terrazzo sul lago di Nemi (1818), quale risarcimento per opere già confiscate in quanto arte degenerata. Con Hildebrand, storia familiare, arte e affari, calcolo politico e privilegio personale si intrecciano. Quando l’arte moderna comincerà a essere sgradita al regime nazista, l’Ottocento diverrà oggetto di enorme richiesta. I paesaggi di Louis Gurlitt, di cui anche Albert Speer sarà un appassionato collezionista, presentano infatti silenzi serafici e idilli innocenti: illuminata dalla morbida luce del sole serale, la sua veduta romana, che dal Campidoglio abbraccia il Foro romano e il Palatino fino ad arrivare ai colli Albani, pare come sospesa nel tempo, l’esatto contrario rispetto alla frenesia metropolitana e all’esplosione di colori della pittura espressionista diffusa all’epoca. Il dipinto, finito nella collezione della Kunst halle di Amburgo come rimpiazzo, si trova ancora oggi lì. Suggestivi paesaggi in cui uomini e natura si incontrano in reciproca armonia, e dove case e città non conoscono miseria, sono la specialità di Louis Gurlitt. In occasione della mostra in memoria del pittore organizzata nel novembre del 1910 presso la galleria berlinese di Fritz Gurlitt, il critico e pubblicista Karl Scheffler definirà la sua Veduta uno sguardo sul mondo attraverso «gli occhi di un bambino»². Sguardo che mostra una natura incontaminata, prima della cesura della rivoluzione industriale.

    Si tratta di un atteggiamento, quello di Louis Gurlitt, che egli conservava da quell’infanzia felice di cui ha scritto nelle sue memorie giovanili. Lì, Louis Gurlitt torna agli anni della scoperta del proprio talento giovanile, del sostegno dei genitori, abili musicisti, racconta il periodo della sua prima formazione da Günter Gensler, amico di famiglia, e infine l’apprendistato di quattro anni con il pittore paesaggista Siegfried Detlev Bendixen, allievo di Jacques-Louis David³.. Di lì il giovane, nel frattempo ventenne, andò poi a studiare all’Accademia d’arte di Copenaghen. Con qualche interruzione, visse per dieci anni in Danimarca, divenne membro dell’accademia e lavorò per conto del re. Dalla Danimarca Gurlitt intraprese il primo viaggio nei Paesi del Nord. Nel 1837 si stabilì a Monaco di Baviera e si unì a un gruppo di artisti nordici radunati attorno alla figura di Christian Morgenstern. Accanto ai paesaggi scandinavi, Gurlitt arricchì il suo repertorio di motivi bavaresi.

    Nel biennio 1842-1843 l’artista, in costante movimento, si trasferì a Düsseldorf, dove infatti la sua arte così genuina, la pittura di paesaggi, era altamente richiesta. Qui incontrò gli esponenti più rappresentativi della Scuola di Düsseldorf, Lessing, Schadow, Schirmer e i fratelli Andreas e Oswald Achenbach. La grande città sul Reno al tempo era la mecca dei paesaggisti. Anche la fondazione del Kunstverein di Renania e Vestfalia, dove Hildebrand Gurlitt sarà operativo anni dopo, risale a quell’epoca d’oro; con le sue mostre, l’associazione aveva il compito di diffondere la produzione pittorica cittadina. Ma Louis Gurlitt si spostò ancora con la moglie e si stabilì a Roma, dove nel 1844 venne al mondo Wilhelm, il primo dei suoi figli; la madre morì poco dopo la sua nascita. Il pittore, rimasto vedovo, si fermò in un primo tempo a Roma e strinse amicizia con la scrittrice Fanny Lewald (1811-1889), più tardi celebre per i suoi salotti berlinesi, che egli conobbe nel circolo formatosi attorno a Friedrich Hebbel, Ottilie von Goethe e Adele Schopenhauer, la sorella di Arthur. Nel 1847 sposò la sorella di Fanny Lewald, Elisabeth (soprannominata Else).

    Le sorelle Lewald e i loro sette fratelli provenivano da una famiglia di ebrei liberali. Fanny era la figlia primogenita del commerciante David Marcus, che modificò il nome di famiglia in Lewald nel 1831, dopo che i due figli, nel 1826, si erano convertiti al protestantesimo, seguiti da Fanny nel 1829. La famiglia partecipò così al grande processo di assimilazione degli ebrei nel xix secolo, per avere ingresso a pieno diritto nella società borghese. Attraverso la conversione, il padre voleva garantire ai figli libera scelta nella loro professione e permettere alla figlia di unirsi in matrimonio a un uomo di fede cristiana, all’epoca la prospettiva più appetibile per la giovane. Faccende domestiche, attività manuali e pianoforte erano il massimo che potevano aspettarsi anche donne tanto avide di conoscenze come Fanny: per loro l’università rimaneva chiusa. Fanny riuscì ciononostante ad affermarsi come una delle più importanti scrittrici in Germania, in grado di mantenersi grazie alla rendita dei suoi libri, diventando un’antesignana delle battaglie per le pari opportunità nell’ambito dell’istruzione.

    Dal matrimonio di Louis Gurlitt con la sorella di Fanny, Elisabeth (1823-1909), di due anni più giovane della maggiore, nacquero sei bambini. Le loro radici ebraiche saranno fatali per la famiglia, quando nel 1933 i suoi membri dovranno presentare l’albero genealogico alle autorità nazionalsocialiste. La grottesca situazione è descritta in una lettera che Cornelius Gurlitt, il padre di Hildebrand, indirizza alla sorella il 31 maggio 1933: «In questo periodo non vi sono che guai. I miei figli e io dobbiamo presentare una declaratoria in cui attestiamo di essere ariani. Il che è alquanto difficile, visto che nessuno sa cosa sia un ariano. […] Come tutti gli iscritti a un’unione sindacale, ho l’obbligo di dimostrare le radici ariane mie e dei miei figli. Non vogliamo, né possiamo, rinnegare la nostra amatissima madre e nonna. Ma solo chi ha militato nell’esercito tedesco durante la guerra ne è esente. Quindi lo zio Emanuel, Otto, io, Wilibald, Cornelia e Hildebrand. In famiglia abbiamo quattro croci di ferro»⁴. Cornelius Gurlitt si sbaglia, la croce di ferro avrebbe offerto solo un riparo temporaneo. Neppure due anni dopo, con l’avvento delle leggi razziali di Norimberga, Cornelius sarebbe stato dichiarato mezzo ebreo, e i figli, di conseguenza, ebrei per un quarto. In quanto già in pensione non potrà più essere destituito dalla cattedra di professore universitario, come accadrà invece al figlio maggiore, Wilibald, musicologo all’Università di Friburgo. Ma l’ottantacinquenne sarà comunque spogliato delle cariche onorifiche e perderà la veste di presidente emerito della Lega degli architetti tedeschi.

    Nel 1938 l’etichetta di ebreo per un quarto creerà serie difficoltà anche a Hildebrand Gurlitt, all’epoca gallerista indipendente. Con la nomina ufficiale a mercante d’arte dei nazisti scamperà alla persecuzione, muovendosi sotto il radar sempre più stretto dei loro controlli. La minaccia, tuttavia, gli sarà utile dopo la guerra, per poter giustificare il proprio coinvolgimento negli affari del regime. L’idea di emigrare non la prenderà mai in considerazione.

    Per uno strano gioco del destino familiare dei Gurlitt, la pittura paesaggistica alla maniera di Louis Gurlitt troverà ingresso privilegiato nel Museo del Führer in progetto a Linz. Se i quadri di Louis Gurlitt emanano un senso di serena contemplazione, l’universalità dei loro motivi paesaggistici trasmette al contempo un’idea di libertà spirituale e apertura al mondo. Lo aveva riconosciuto anche Alexander von Humboldt, che introdusse il pittore alla corte di Federico Guglielmo iv. A Berlino Gurlitt ottenne così l’incarico di dipingere trenta paesaggi europei per un padiglione costruito appositamente per l’occasione. Lo scoppio della rivoluzione del 1848 però impedì i piani di Humboldt e la famiglia si trasferì questa volta nel borgo di Nischwitz presso Lipsia, dove il pittore decorò il castello del barone Christian Friedrich von Ritzenberg con un ciclo di paesaggi italiani. Di lì, la famiglia passò a Vienna, Gotha, e infine di nuovo a Berlino. Louis Gurlitt morì nel 1897, all’età di ottantacinque anni. Lasciò un’opera immensa, che ritrae la sua instancabile attività di viaggiatore. Con il rinvenimento di Schwabing torneranno alla luce anche opere sue.

    Sette figli, sei maschi e una femmina, questo il lascito del patriarca. Wilhelm Gurlitt (1844-1905), il figlio più grande – e il fratello più caro del padre di Hildebrand, Cornelius – fu nominato professore alla nuova cattedra di Archeologia classica presso l’Università di Graz nel 1855. A Graz assunse inoltre a partire dal 1900 la direzione dell’Associazione artisti della Stiria, aprendo la città all’arte moderna. La figlia Brigitta (1889-1956), soprannominata Gitta, frequentò la scuola di pittura di Dresda, come pure Cornelia Gurlitt, la sorella di Hildebrand, presso la famiglia della quale fu ospite per molto tempo. Più tardi avrebbe lavorato come restauratrice per il cugino Hildebrand. Otto (1848-1905), il figlio secondogenito di Louis Gurlitt, finì banchiere a Londra. Tra i suoi progetti finanziari vi è la fondazione della filiale da dieci milioni di sterline di una birreria di New York⁵. Anche il più giovane tra i fratelli Gurlitt, Hans (1857-1928), avrà successo negli affari e farà fortuna prima nell’ambito agrario e infine come proprietario di una ditta di caffè. Suo è il motto: Voi avete i titoli, io i mezzi.

    Raggiunse la fama pure il quinto figlio, Ludwig (1855-1931), la cui sorella gemella Else (1855-1936) fu pittrice, anche lei come il padre. Ludwig divenne uno dei più importanti teorici dell’Educazione nuova, dalle cui lezioni presso il liceo di Steglitz prese avvio il movimento dei Wandervogel. Ufficialmente il movimento prende vita nel 1901 dall’iniziativa di uno degli studenti di Ludwig, Karl Fischer, il quale, ispirato dalle escursioni organizzate dalla scuola, decide di fondare un’associazione. Ludwig aderirà al gruppo l’anno seguente, come primo e unico educatore, e in quanto adulto maggiorenne sarà responsabile per il riconoscimento formale dell’associazione presso il ministero della Cultura, poiché il diritto prussiano non permetteva agli studenti la formazione di circoli extrascolastici. Gurlitt contribuì dunque alla fondazione del movimento giovanile che partì da Steglitz alla ricerca di alternative alle restrizioni della vita cittadina e alle rigide maglie dell’apprendimento scolastico. Nella natura questi figli della città speravano di ritrovare un’esistenza libera. Quello dei Wandervogel fu uno dei tanti nuovi movimenti comparsi a cavallo del secolo, come il Naturismo e il movimento di Riforma della vita, che fecero da sfondo tra l’altro all’arte espressionista.

    Nell’anno del suo ingresso nei Wandervogel, Ludwig Gurlitt diede alle stampe il proprio scritto polemico Der Deutsche und sein Vaterland (Il tedesco e la sua patria), un duro confronto con il sistema scolastico dell’epoca che trovò impressionante diffusione. In un solo anno fu ristampato otto volte. «La nostra educazione, che sorveglia in modo tanto tirannico ogni passo dei nostri giovani e ne prescrive i compiti e gli obiettivi di ora in ora e con essi pure gli strumenti, distrugge con il suo pedante esercizio le forze naturali elementari che premono per un proprio libero sviluppo», così l’autore, che viceversa indica come modello il sistema scolastico inglese⁶.. Di orientamento nazionalista, Gurlitt rimproverava al contempo ai licei tedeschi di avere in disprezzo la patria. L’invettiva gli procurò l’ostilità dei colleghi e nel 1907 fu mandato prematuramente in pensione. Ludwig Gurlitt rimase a Steglitz, tenne conferenze, pubblicò scritti sulla riforma della scuola e nel 1911 lavorò al progetto di fondazione di un collegio a Zehlendorf improntato sul proprio modello pedagogico, che però non andò mai in porto. Suo figlio, Winfried Gurlitt (1902-1982), cugino di Hildebrand, prese una via simile a quella del padre, rivolgendosi a un’altra branca del movimento riformatore, l’antroposofia. Nel 1923 incontrerà Rudolf Steiner, di cui si impegnerà a diffondere le idee. La sua prima moglie, Mercedes Meyer-Ludolph, si assocerà a Hildebrand Gurlitt nel commercio di opere d’arte ad Amburgo.

    Come il fratello Ludwig, anche Fritz Gurlitt (1854-1893) fu attivo a Berlino. In qualità di gallerista, fu quello che più di tutti si avvicinò alla sfera di attività del padre. Nel 1880, al numero 29 di Behrenstraße, aprì la Galleria Fritz Gurlitt specializzata in arte contemporanea, che occasionalmente compariva anche sotto il nome di Negozio d’arte o Salone artistico. A metà anni Ottanta del xix secolo ottenne il titolo di mercante d’arte di corte. Grazie alla sua galleria divenne una delle personalità più importanti che aprirono la strada all’arte moderna in Germania. Da lui si trovavano in mostra pittori contemporanei come Makart, Lenbach, Defregger, Menzel, Uhde e Klinger. Fritz Gurlitt si adoperò in particolare per Böcklin, Thoma e Liebermann. Nel 1883 presentò nei suoi spazi la prima mostra degli impressionisti francesi in Germania, con opere di Manet,

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