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Il bambino che aspettava la neve
Il bambino che aspettava la neve
Il bambino che aspettava la neve
E-book154 pagine1 ora

Il bambino che aspettava la neve

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Info su questo ebook

In un’alba gelida di inizio marzo, sullo sfondo di una Napoli imbiancata dalla neve, il commissario Mindy Iannaccone è chiamato a indagare sul brutale omicidio dell’ottantanovenne Fortuna Capasso. Al suo fianco, il sempre solerte Egidio Molinari, stavolta coinvolto in prima persona nel caso.
A rinvenire il cadavere è Ciro, da tutti chiamato “Pesciolino”, il vicino della vittima: un bambino introverso e con una complessa situazione familiare che, con la morte di Fortuna, sembra perdere un riferimento e un’amica. Ma è proprio così? Oppure la brutta lite avvenuta tra i due, intercettata il giorno prima dalla dirimpettaia, nasconde una ben più torbida realtà? 
LinguaItaliano
EditoreNero Press
Data di uscita6 lug 2020
ISBN9788885497504
Il bambino che aspettava la neve

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    Anteprima del libro

    Il bambino che aspettava la neve - Alessandra Pepino

    Intrighi

    Il bambino che aspettava la neve

    di Alessandra Pepino

    Editing di Daniele Picciuti

    Immagine di copertina elaborata a partire da:

    © AdobeStock_237392051 winter walk in the birch park by hicolaj2 - stock.adobe.com 

    Produzione digitale: Daniele Picciuti

    ISBN: 978-88-85497-50-4

    Nero Press Edizioni

    http://neropress.it

    © Associazione Culturale Nero Cafè

    Edizione digitale luglio 2020

    Alessandra Pepino

    Il bambino che aspettava la neve

     (una nuova indagine per Mindy Iannaccone)

    INDICE

    Prologo

    1

    2

    3

    4

    5

    6

    7

    8

    9

    10

    11

    12

    13

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    19

    20

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    25

    26

    27

    28

    29

    30

    31

    Epilogo

    L'autrice

    Prologo

    Mi chiamo Mindy Iannaccone e sono un commissario di polizia.

    Ogni mattina mi sveglio, indosso la tuta e divido le mie energie tra la bilancia e i criminali. La sera, nel letto, per coprire il gorgoglio nello stomaco che reclama cibo, metto su un vecchio vinile con l'opera omnia di Bach. Anche se salta e gracchia in continuazione, mi fa compagnia mentre leggo o lavoro.

    Un'ora dopo essermi addormentata, un incubo mi tirerà per i capelli. Sempre lo stesso. E allora, ciao ciao sonno.

    (Rumore di carta che si accartoccia. Lancio verso il cestino. Canestro)

    1

    È ancora notte. Il buio si attarda su una domenica fiacca, fuori c'è un vento irragionevole, che scuote gli alberi e fa tremare i vetri.

    Per le strade vuote, poche sparute auto a sfidare il silenzio.

    Fortuna Capasso allunga le gambe raschiando le lenzuola, le dita storte dei piedi che si sgranchiscono. A fatica, si mette a sedere sulla sponda del letto, poi allunga lo sguardo verso lo specchio che sovrasta il comò: con la mano destra, appiattisce la vertigine bianca strappata al cuscino.

    Unico squarcio nel buio, il ronzio del frigorifero che arriva dalla cucina.

    E i vetri, che sussultano come grilli nell'erba nera.

    Un piede avanti all'altro, Fortuna s'incammina verso il corridoio. Persa dentro una vestaglia che non scalda come dovrebbe, prosegue appoggiandosi al muro. Non si fida delle sue gambe. E nemmeno degli occhi, che ogni giorno si annebbiano un po' di più.

    In cucina, la bottiglia con l'acqua è sopra il ripiano. Ne versa qualche dito in un bicchiere, beve a piccoli sorsi; poi, con la mano libera, stringe i due lembi della vestaglia sul petto ormai vuoto. Nuvole di fiato si disfano nella stanza gelida: aria di neve, pensa avvicinandosi alla finestra.

    E quando mai si è vista la neve, da queste parti…

    Sul Vesuvio, forse, ma in città no. I vicoli e i quartieri non sono fatti per trattenere la neve, devono bersi le brecce di sole, al massimo la pioggia fina che batte sui tetti. Eppure le previsioni del tempo lo avevano detto: nevicherà, perfino in pianura. Attenzione a mettersi in macchina, uscite di casa solo se necessario.

    Nevicherà, e sarà un risveglio diverso, per tutti.

    ***

    Pesciolino non riesce a riprendere sonno. Si è svegliato a un certo punto della notte perché doveva fare pipì, l'orologio sul comodino segnava le quattro passate da quarantacinque minuti. Per poco non la faceva fuori dalla tazza, pur di sporgersi verso la finestra che affaccia sulla gradinata. Poi è tornato a letto, che lì fuori, nel corridoio, stava gelando.

    Il sonno però chissà che fine ha fatto. È quasi un'ora che se ne sta così, a occhi sbarrati al centro del materasso. Si gira, rigira, tende il piumone fin sopra il naso, fino a quando non avverte il calore del suo fiato farsi insopportabile; soltanto allora si alza e, attento a non fare chiasso – che altrimenti sua mamma si sveglia e lo prende a mazzate – raggiunge il balcone. È così buio fuori, che lo riesce soltanto a intuire, il mare.

    Ne cerca l'odore, lo fiuta.

    E aspetta.

    Il cielo è gonfio di tutte quelle promesse che ha sentito pronunciare dagli altri bambini nel cortile fino a poche ore prima. Per il momento, però, nemmeno un piccolo fiocco.

    Pesciolino non la conosce, la neve. È una creatura d'acqua, lui. Sa andare in apnea, tuffarsi, pescare polipi a mani nude. Nuotare veloce come un motoscafo. Altrimenti non gli avrebbero mai dato quel soprannome.

    L'ha vista in televisione, la neve. Dentro i film, sopra i giornali. Ma non sa che consistenza ha, se veramente è soffice come sembra, se quando scende e si posa per terra lascia un'impronta, se si può masticare.

    Non l'ha mai conosciuta, e non ha mai desiderato tanto conoscere qualcosa in vita sua.

    Proprio oggi che, a quanto dicono, la neve dovrebbe arrivare da lui.

    ***

    Fortuna ha messo la macchinetta sul fornello, e adesso aspetta. Che l'odore di caffè si alzi con uno sbuffo stridulo e le pareti della cucina si impregnino dell'ennesimo giorno uguale a tutti gli altri.

    La tavola è apparecchiata come al solito per una persona: una tovaglietta colorata, la tazza grande, il cacao in polvere. E poi i biscotti, quelli mezzi e mezzi, come li chiama il ragazzino. Metà cioccolato, metà panna. Lei non mangia, di prima mattina. Il suo stomaco è un fazzoletto usato: stretto, infilato nella tasca di un corpo sempre più stanco.

    Avevano ragione in televisione, fuori si è messo a nevicare.

    Una cosa strana, il cielo di Napoli che vomita fiocchi.

    Fortuna li guarda scendere senza nessuna meraviglia. Sono anni, ormai, che non si entusiasma più per nulla, figuriamoci per quattro palline gelate che si posano sull'asfalto in attesa di diventare pozzanghera.

    Già se le immagina le urla di eccitazione dei ragazzini, quando scenderanno in strada per tirarsi le palle di neve. Per non parlare di quelli più grandi, che si metteranno lì, alla finestra, come tanti fessi con il cellulare in mano, a scattare fotografie da scambiarsi sui loro profili virtuali.

    Le toccherà oltretutto uscire, più tardi: il frigorifero è vuoto, non le sono avanzati nemmeno le carote e il sedano per mettere su un brodo vegetale. Se almeno avesse le scarpe adatte ad affrontare la neve! Senza, potrebbe scivolare, cadere e magari rompersi un femore. E allora sì che la morte verrebbe a prendersela senza più tanti giri del circondario.

    Magari, può chiederlo al ragazzino, se le fa questo piacere.

    Certo, c'è stata la lite, il giorno prima: lei ci è rimasta male, malissimo. Sa bene che è stata varcata una linea, che certe delusioni difficilmente si lavano via; ma sa anche che si tratta di un bambino a modo, servizievole.

    Fortuna saprà farsi perdonare. Gli metterà i soldi in tasca e gli dirà: comprati pure un cornetto o una pizzetta, quello che ti pare.

    Avrebbero ricucito lo strappo.

    Il caffè risale in superficie con un gorgoglio stizzito. Fortuna spegne la fiamma, allunga il braccio per agguantare una presina e riempire la tazza, ma un rumore, alle sue spalle, le strappa un battito dal petto.

    Si volta, il silenzio della stanza la investe con il suo sbuffo gelido. Vecchia pazza che non sei altro, mormora, cercando di tenere a bada il sinistro presagio.

    Il bagliore accecante del cielo, al di là della finestra, restituisce coriandoli di candida inquietudine.

    2

    La sveglia segnava le 06:13 quando è venuto giù il primo fiocco. Pesciolino è rimasto per due minuti buoni seduto al centro del letto, a fissare il vetro chiazzarsi di quella pioggia solida: la bocca aperta, gli occhi sgranati. Adesso però è ora di correre a vederla da vicino, toccare con le dita l'oggetto del suo desiderio.

    Con un balzo, esce fuori dalle lenzuola e si sfila il pigiama. Sente un freddo cane mentre spalanca l'armadio, ne tira fuori il primo pantalone e la prima maglia, poi di corsa le galosce. Non si è nemmeno lavato, ma chi vuoi che se ne accorga, c'è la neve per strada!

    Si affaccia sul corridoio, attento a non fare rumore. La casa è ancora immersa nel silenzio. Sua mamma deve aver fatto tardi, la bottiglia di gin semivuota sul tavolo della cucina svetta come un trofeo triste.

    Pesciolino inghiotte un groppo, si costringe a guardare ancora una volta fuori dalla finestra. Sull'appendiabiti ci sono la sciarpa e il cappello di lana, li prende al volo e infila la porta, di corsa, senza toccare lo zaino.

    Tanto a scuola non ci vado oggi, pensa mentre scende i gradoni del Petraio, rapido come una valanga. Ogni scalino guadagnato è un po' più vicino alla felicità.

    Il gelo dell'alba sbatte contro le sue guance accaldate. Pesciolino lo accoglie, se ne riempie. Non gli importa che sua mamma si svegli con l'ennesimo mal di testa e che le maestre, a scuola, notino la sua assenza; nemmeno delle raccomandazioni della signora Carmela, che sta fumando una sigaretta fuori dalla porta di casa con gli occhi incollati al cielo, e gli dice di coprirsi bene, di non correre, che fuori si scivola.

    Lungo i gradoni, si allunga il silenzio.

    Pesciolino alza la testa, poi apre i palmi delle mani, raccoglie quelle sfoglie bagnate che sembrano zucchero. E sorride.

    Poi ricomincia a correre, nella direzione opposta a quella del suo mare.

    Corre talmente tanto da non accorgersi di aver sorpassato il palazzo della signora Fortuna.

    3

    La pianura imbiancata, al di là del finestrino, raccoglieva fiocchi e restituiva vento. Gli alberi, appesantiti da una scorza di ovatta, sembravano fare squadra contro un cielo opprimente.

    Quando il treno, qualche minuto prima, aveva singhiozzato fino a inchiodare sulle rotaie in un punto di strada imprecisato tra Roma e Napoli, era parso subito chiaro a tutti i passeggeri che ai minuti di ritardo accumulati in stazione si sarebbero presto aggiunti quelli relativi al transito. Se non altro, adesso potevano dirsi al caldo, comodamente seduti, a godersi lo spettacolo mandato in scena da quello che i meteorologi avevano ribattezzato con il nome di Burian, il vento gelido degli Urali, che si era abbattuto come una furia sopra

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