La ragazza dagli occhi grandi: Harmony Destiny
Di Audra Adams
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Anteprima del libro
La ragazza dagli occhi grandi - Audra Adams
successivo.
Prologo
Era tutto bianco.
I muri, le tende che si gonfiavano per il vento, le finestre aperte, il letto, le lenzuola, il copriletto di raso...
Tutto bianco.
Lei si riappoggiò contro il cuscino. La stanza era illuminata dal bagliore della luna. Con gli occhi sgranati lo guardò avvicinarsi, con passo lento e costante, una sigaretta in mano. Anche lui era vestito di bianco e aveva la camicia semiabbottonata.
Sorrise e lei ricambiò. Non si mosse mentre lui si sedeva sulla sponda del letto. Il suo sguardo fu come una carezza sul corpo. I suoi occhi erano verdi come smeraldi con un anello di fuoco azzurro intorno ai bordi esterni. Lei mormorò qualcosa e lui rise, e così sembrò molto meno minaccioso di prima.
Spense la sigaretta nel portacenere ovviamente bianco, si sporse in avanti e la baciò. Lei glielo permise. Fu meraviglioso. Lui indietreggiò e la fissò, adesso serio in viso, e nei suoi occhi apparve la luce del desiderio.
Lei l'aveva già notata in altri uomini, naturalmente, ma non così. Quella era intensa e le provocò un brivido di paura. Oppure di eccitazione? Alzò la mano per sistemargli una ciocca di capelli biondissimi e lui le baciò il palmo. La pelle era calda, asciutta, liscia.
Si avvicinò a pochi millimetri dal suo viso. «Voglio fare l'amore con te» le sussurrò.
«Anch'io...» rispose subito lei, con un lungo, trepidante sospiro che lui zittì chinandosi di nuovo a baciarla.
Questa volta le fece socchiudere le labbra, inserendole la lingua in bocca con la forza e la delicatezza di una tempesta marina. Lei non era mai stata baciata a quel modo, poté solo assecondarlo e lo fece volentieri.
Lui le passò le mani lungo le braccia con una lentezza esasperante, per arrivare poi alla clavicola e al seno. Indugiò per un momento finché le sottili spalline dell'abito di seta rosa le scivolarono giù dalle spalle. Abbassando leggermente il vestito fino alla vita, liberò il seno al suo sguardo ardente.
Le passò la lingua sui capezzoli, così sensibili che s'inturgidirono immediatamente. Lui sorrise di nuovo, mormorando parole dolci.
Lei chiuse gli occhi, mentre la bocca sostituiva le dita e ancora una volta fu colta alla sprovvista dal suo calore. Lui abbassò le mani sui fianchi, le tolse con impazienza il vestito e l'accarezzò all'interno delle cosce con la punta delle dita, lievi come piume.
«Apri le gambe» le ordinò.
Ubbidiente, lei le divaricò, morendo dalla voglia di sentirsi toccare. Ma lui decise di farla soffrire ancora un po', infilando un dito dentro le mutandine, avanti e indietro, tirando la stoffa fino a quando decise di raggiungere l'obiettivo che si era prefissato.
Quando la toccò, lei gridò e lui rialzò la testa per baciarla ancora una volta con rinnovata passione. Lei si sentì sciogliere sotto le sue carezze. Era pronta per l'amore.
Ma voleva di più.
Gli insinuò le mani dentro la camicia aperta e gli accarezzò il torace, giocherellando con la peluria bionda che aveva sul petto.
Le dita di lui esitarono per un istante prima di continuare il loro lento e intimo massaggio. Si scostò e la guardò armeggiare con la sua cintura, slacciare la cinghia, abbassare la cerniera dei pantaloni e fermarsi quando anche lei raggiunse il suo obiettivo.
Mentre si fissavano negli occhi, le loro mani continuarono il viaggio che avrebbe portato i loro corpi al limite della resistenza. Fu lei la prima a distogliere lo sguardo. Chiuse gli occhi e permise al proprio corpo di prendere il controllo, di pulsare al ritmo delle sue carezze, di salire verso una luce sempre più accecante.
«Adesso» disse lui.
Lei non obiettò.
In pochi secondi, le fu sopra e poi dentro. Lei non si era mai sentita così appagata e completa. I fianchi si alzavano e abbassavano in armonia con i movimenti di lui. Ballarono l'antica danza dell'amore in una sintonia perfetta, dolce, pura e così meravigliosa.
Dopo un po' di tempo, lui si sollevò e si appoggiò ai gomiti. I suoi occhi erano ipnotici, brillavano al chiaro di luna. Di nuovo sorrise, la baciò sul naso e sorrise anche lei.
Lo scrutò in viso, così abbronzato e bello, gli zigomi alti, la mascella forte e i capelli biondissimi che gli ricadevano sulla fronte.
Un viso simpatico, degno di fiducia, un viso che lei poteva amare, pensò.
Un viso in un sogno.
1
Il puntino era blu. Lo guardò alla luce per essere certa di non sbagliarsi.
No. Non c'erano dubbi. Era proprio blu.
Rachel Morgan si sedette lentamente sullo sgabello posto nel bagno del suo minuscolo monolocale. Emise il respiro a lungo trattenuto e troppo speranzoso. Inutile fare il test per la terza volta. Il risultato sarebbe stato di certo lo stesso.
Era incinta.
La domanda era: come era successo?
Con la caduta dell'adrenalina, le mani cominciarono a tremarle. Non era possibile, era tutto così irreale. Da quando si era trasferita a New York City, due anni dopo la morte della madre e la rottura del suo fidanzamento con Tom, non aveva più avuto una relazione seria. Nella sua vita non c'era nessuno. Ricacciò le lacrime di disperazione.
Era disoccupata e adesso anche incinta.
Di nuovo si pose la domanda: come era potuto accadere? Era un essere umano razionale. Non esisteva l'immacolata concezione... almeno non che lei sapesse, non nel XX secolo, e non per qualcuno così imperfetto come lei. Perciò doveva esistere sicuramente un'altra spiegazione.
Il sogno evidentemente non era stato un sogno.
Squillò il telefono e lei si sforzò di andare nella stanza a forma di L che serviva da cucina, soggiorno e camera da letto. Si sedette sulla sponda del letto e sollevò il ricevitore.
«Pronto?»
«Rachel? Sono Trudy. Per fortuna ti ho trovata. Forse c'è un lavoro per te. Uno dei nostri fornitori sta cercando...»
«Sono incinta.»
«Cosa?»
«Hai sentito bene.»
«Quando è successo?»
«Magari lo sapessi. Sono qui seduta che sto cercando di capire.» Non accennò alla nausea né ai tremiti.
«Non muoverti» intimò Trudy. «Arrivo subito.»
Mezz'ora dopo, suonò il campanello. Rachel premette il pulsante, poi aspettò alla porta finché sentì il rumore dell'ascensore. Aprì la porta, si appoggiò allo stipite e guardò la sua migliore amica che si dirigeva verso di lei.
Rossa di capelli, alta e magra, Trudy Levin era una nevrosi ambulante... ambiziosa e decisa a sfondare nel mondo potente dell'industria cosmetica.
Quando era arrivata in città due anni addietro, Rachel aveva scritto in fronte provinciale
. Si erano conosciute in metropolitana, dove lei si era irrimediabilmente persa. Trudy, una degli ormai rari nativi di Manhattan, l'aveva salvata occupandosi di lei come una chioccia. Da allora, erano state amiche inseparabili.
«Non riesco a crederci» commentò Trudy entrando in casa.
Rachel si girò adagio e si chiuse la porta alle spalle.
«Chiudi a chiave» le ordinò l'amica lasciando cadere la sua enorme sacca su una delle sedie.
Lei sorrise e ubbidì. Trudy amava impartire ordini, per lo più con avvertimenti su come sopravvivere nella cattiva metropoli. Rachel sapeva che lo faceva per amicizia e non le pesava assecondare la sua paranoia.
«Adesso, raccontami come è andata.»
Lei prese il test dal ripiano e con maggior disinvoltura di quella realmente provata lo mostrò all'amica. «È blu.»
«Non ci credo» ripeté Trudy.
«Come pensi che io mi senta?»
Per nascondere l'agitazione, Rachel si affaccendò al lavandino. Riempì d'acqua il bollitore, poi lo mise sul fornello e accese il gas.
«Sono offesa. Io non ti ho forse detto tutto di Jake quando l'ho conosciuto? Non ti ho raccontato nei dettagli ogni nostro incontro? Perché non mi hai confessato che avevi un uomo?» chiese Trudy, l'espressione perplessa.
«Perché non ce l'ho.»
«Allora, chi...»
Rachel scosse il capo. «Non lo so.»
«È impossibile.»
«No, è vero. Non ho idea di chi sia il padre.»
Trudy le si avvicinò e afferrandola per le spalle la fece voltare perché si fronteggiassero.
«Guardami.» Rachel ubbidì e Trudy, notando i suoi occhi umidi di pianto, addolcì il tono della voce. «Cara, lo so che sei una ragazza di provincia, ma persino tu sai che una non resta incinta sedendosi sul water di un grande magazzino.»
Rachel accennò un sorriso. «Lo so.»
«Allora, vuoi dirmi una volta per tutte chi...»
Il bollitore cominciò a fischiare, lei lo tolse dal fornello e spense la fiamma. Tenendo la pentola fumante in alto, guardò Trudy. «Deve essere stato nel sogno.»
«Nel sogno?»
«Ricordi, te ne avevo parlato. Quello che ho fatto quando avevo l'influenza.»
«Il sogno bianco?»
Rachel abbozzò un sorrisetto ironico. «Già. Il sogno bianco.»
L'altra si lasciò cadere in poltrona. «Va bene. Cerchiamo di capire.»
«Gradisci del tè?»
«Sì. Limone e metà...»
«Lo so. E metà confezione di dolcificante.»
Rachel apparecchiò il tavolino da due con tovaglioli e cucchiai e riempì le tazze. Rialzò lo sguardo su Trudy, sentendosi un po' meglio all'idea di avere un'amica con cui confidarsi.
Una volta sedute l'una di fronte all'altra e dopo aver bevuto il primo sorso, Trudy si sporse in avanti e le diede un colpetto affettuoso sulla mano. «Forza, comincia dall'inizio.»
«Non ricordo l'inizio. Solo la fine.»
«Allora, raccontami la fine.»
Rachel deglutì un altro sorso di tè bollente. «Deve essere accaduto la sera in cui mi ammalai. Te lo ricordi?»
«Sì. Mi avevi accompagnato al party per il lancio del nuovo profumo. Avevi un terribile raffreddore.»
«E avevo preso degli antibiotici. Non sarei dovuta uscire, ma tu avevi insistito.»
«Così è colpa mia.»
Rachel scosse il capo. «No, naturalmente. Solo ricordo che avevi insistito. Volevi che uscissi, che conoscessi gente, magari qualche persona utile per il mio lavoro.»
«Giusto. Restammo alla festa fino a tardi. Fummo quasi le ultime ad andarcene. Ricordo che c'era talmente tanta gente che non riuscivo a trovarti. Era come se fossi scomparsa.»
«Io non mi ricordo niente.»
«Ti trovai fuori, seduta in veranda con la testa contro la ringhiera. Ti eri addormentata. Quando ti svegliai, eri bianca come un fantasma e vomitasti. Allora, ce ne andammo via. Chiamai un taxi, ti accompagnai qui e ti misi a letto. Questo te lo ricordi?»
«No. Ricordo solo di essere andata alla festa con te. Di essere entrata nell'atrio, di avere preso qualcosa da bere... una specie di punch...»
«Un punch corretto con rum.»
Rachel fissò nel vuoto. «Non saprei. Del resto, della serata non ricordo nulla.»
Trudy le prese la mano, l'espressione preoccupata.
«Raccontami il sogno.»
«È