Un affare ingombrante (eLit): eLit
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Anteprima del libro
Un affare ingombrante (eLit) - Elizabeth Harbison
successivo.
Prologo
«Mi dispiace...» Jennifer Martin si tamponò gli occhi, gonfi di lacrime, e si sforzò di soffocare un singhiozzo, «... non so cosa mi è preso.»
«Non sai cosa t'è preso?» ripeté incredula la sua amica Susan Bane. «Cinque settimane fa, ai Caraibi, il tuo fidanzato è morto mentre era in compagnia di una donna sposata, e tu non sai perché sei tanto sconvolta?»
Jen si soffiò il naso e cercò una posizione più comoda sul rigido divano di pelle nera: Philip lo aveva voluto a tutti i costi, convincendola del fatto che fosse molto più elegante di quello confortevole che lei da sempre adorava.
Ecco un'altra delle molte ragioni per cui ce l'aveva con lui! Se essere arrabbiata con un morto le creava un gran senso di colpa, ultimamente stava vivendo un unico, lungo, estenuante crescendo emotivo: cominciava dapprima con la rabbia, che poi diventava tristezza e sfociava infine nel senso di colpa.
«D'accordo» sospirò Jen, afferrando la boccetta di pillole antiacidità e buttandone giù una, «ho più di una ragione per essere sottosopra, ma da qualche giorno a questa parte ho le lacrime in tasca. Santo cielo, piango per un nonnulla. E non riesco a trovare un rimedio valido.»
Susan si curvò verso di lei e le batté qualche colpetto sul braccio. «Tesoro, non avevo idea che fossi ancora in piena crisi» le disse preoccupata, «vuoi che mi fermi qui con te per qualche giorno?»
Jen si costrinse a sorridere. «Grazie, ma non credo che farebbe una gran differenza. E poi i bambini hanno bisogno di te.» Di nuovo si soffiò il naso. «Aspetterò con pazienza che mi passi.»
«Hai preso in considerazione la possibilità di chiedere aiuto a uno specialista?»
Jen liquidò quel suggerimento con un vago cenno della mano.
«Va bene, allora opta per una bella chiacchierata con un'amica» insistette Susan, «non voglio mancare di rispetto a un morto, ma Philip non vale proprio un esaurimento nervoso. Per carità, mi dispiace molto che non sia più tra noi, ovvio, ma... per amor del cielo! Ti aveva detto che era a Boston per lavoro, e invece... quell'incidente letale che sa di ridicolo: se n'è andato perché la sua amante ha gettato la vestaglia di seta su una delle quaranta candele che lui aveva acceso nella suite del St. Thomas No Tell Hotel! Insomma, non era un bravo ragazzo, è una fortuna che non ti sia sposata con lui.»
Jen serrò le labbra e annuì. «Hai ragione. Sapendo quello che so ora, non sarebbe stato un buon marito.»
«Non meritava una in gamba come te» ribatté Susan con una smorfia, «l'ho sempre pensato.»
«È buffo, ma i suoi hanno sempre sostenuto che io non fossi alla sua altezza. Un'impiegata del Michigan non era ciò che avevano in mente per il loro prezioso figlio, l'avvocato rampante e di prestigiosa famiglia, così ricco da non sapere come spendere i soldi. Tutto quel lusso, le ville, la limousine... No, in effetti non era il tipo di uomo che fa per me.»
«Vedi che lo dici anche tu? È un bene che ti sia liberata di loro.» Susan le indirizzò un sorriso di solidarietà e aggiunse in tono gentile: «Devi gettarti tutto alle spalle e proseguire con la tua vita».
«Già» convenne Jen, gli occhi che si riempivano nuovamente di lacrime. Spazientita, afferrò l'ennesimo fazzoletto di carta e se lo tenne premuto sul viso. «Non sono sicura che sia per via di Philip che sono così... fuori fase. Non riesco a spiegarmi perché mi senta tanto depressa.»
Prese ancora la boccetta delle pastiglie e ne ingoiò due. Susan la guardò con aria di disapprovazione.
«Non stai esagerando con quella roba?»
Lei strinse le spalle. «Lo stomaco mi sta dando parecchi problemi ultimamente.»
«Mmm.»
«Probabilmente è perché sono sempre sottosopra.»
Susan rifletté un attimo, poi annuì. «È giusto una ulteriore prova del fatto che devi riprendere in mano la situazione. Che ne diresti di un bicchiere di vino?»
«Non mi attira granché» replicò lei con una smorfia. «Ma forse mi aiuterebbe a dormire stanotte.»
«Perché, credi di averne bisogno?» commentò Susan con una risata mentre andava a prendere due bicchieri. «Matt mi ha detto che ieri ti ha vista accasciata su una pila di fogli, alla tua scrivania.»
«Oh, no!» Jen si immaginò con la bocca aperta, magari mentre russava sonoramente, e si sentì morire. «Perché non mi ha svegliato?»
Susan stappò una bottiglia di Merlot.
«Perché sembravi così in pace col mondo che non ne ha avuto il coraggio. Ha pensato che dovevi avere un gran bisogno di sonno, così ha chiuso le imposte e ti ha lasciato sola.»
«Allora è stato lui a chiuderle! Credevo di essere uscita di senno.»
Non sarebbe stata la prima volta che faceva qualcosa che poi dimenticava completamente. Nelle ultime settimane, mentre lavorava, le era capitato frequentemente di avere dei momenti di vuoto.
«È a causa dello stress.»
Jen sospirò e si scostò dagli occhi i lucenti capelli biondo rame. «Non riesco a credere che Matt mi abbia visto così. Ti ha detto altro? Stavo russando?»
Susan le passò il bicchiere e bevve un sorso di vino. «Sì, e avevi un rivoletto di saliva che ti colava dall'angolo della bocca.» Scoppiò a ridere. «Via, Jen, sai bene che se anche fosse stato così, Matt non me l'avrebbe mai detto.»
«Immagino di no.»
La verità era che Jen conosceva a malapena Matt Holder: era il direttore del reparto Risorse Umane della Kane Halley S.p.A. e le loro strade si incrociavano di rado, visto che lei lavorava nel settore Benefit Dirigenti: l'ufficio di lui era al sedicesimo piano, il suo al quattordicesimo. Sino a pochi mesi prima lo aveva visto solo da lontano, di tanto in tanto.
Solo raramente aveva potuto ammirare il suo volto: quei magnifici occhi nocciola, una bocca stupenda e un sorriso affascinante.
«Però va in giro a dire a tutti che mi sono addormentata sulla scrivania» osservò imbronciata.
«Non a tutti, a me! E soltanto perché era preoccupato per te.»
Quella punta di irritazione che Jen era riuscita a provare svanì all'istante: Matt era un gran bravo ragazzo e lei lo sapeva benissimo. Quando Margaret, la piccola di Susan, si era rotta una gamba, lui si era fatto carico di una gran parte del suo lavoro, permettendole di restare a casa con la figlia. Non aveva accennato con nessuno al fatto che Susan non andava regolarmente in ufficio, né era il genere di persona che chiacchiera malignamente in giro. «Non è il caso di essere preoccupati per me.»
«Be', siamo lo stesso in pensiero. Che ti piaccia o no, Jen, sei circondata da amici.»
Lei sentì un nodo al petto e di nuovo le venne voglia di piangere. «Grazie» mormorò mentre le lacrime le rotolavano giù per le guance. «Lo vedi cosa intendevo? Qualunque cosa mi fa piangere.» Scuotendo il capo bevve un sorso di vino. Aveva un sapore amaro e le parve che le bruciasse la gola.
Mentre posava il bicchiere, un brivido la percorse.
«Sei emotivamente instabile» osservò Susan.
Lei fece per ribattere, ma venne assalita dalla nausea. «Mi sento male» mormorò.
«Passerà, piccola, hai soltanto bisogno di un po' di tempo per...»
«No, mi sento male adesso! Sto per vomitare» replicò lei, prima di correre in bagno.
Quando tornò, Susan le offrì dei cracker.
«Ecco, mangiane qualcuno, ti farà bene. Non hai della soda?»
Jen si premette una mano sulla fronte umida. «No, ma la berrei volentieri.»
«Allora faccio un salto a comprarne qualche lattina. E prendo anche un test di gravidanza.»
«Un test di gravidanza? Ma di che stai parlando?»
«Sei emotivamente instabile, butti giù compresse contro l'acidità di stomaco come se fossero caramelle e un sorso di vino ti fa vomitare. Sono stata incinta due volte e i segni sono inequivocabili.»
Jen si sedette sul divano e appoggiò la testa allo schienale. «Non è possibile, prendevo la pillola.»
«Ma nei due giorni in cui siete stati a St. Louis la hai dimenticata, ricordi?»
Jen si accigliò. «Hai ragione.»
«Be', quella dimenticanza può essere stata fatale, anche se al ritorno hai preso le pillole che avevi saltato.»
«Sì, lo sapevo che poteva succedere qualcosa del genere, però non avrei mai pensato che...» Jen aveva il petto serrato: era paura, era speranza? Di qualunque cosa si trattasse, cercò di soffocarla all'istante. «Ma ho avuto le mestruazioni due settimane fa.»
Susan inarcò un sopracciglio.
«Ti è parso tutto regolare?»
«Be', in effetti sono durate poco e il flusso è stato molto meno abbondante del solito» rispose Jen dopo avervi riflettuto un istante. «Oh, Signore, credi davvero che...»
«Senti il bisogno di andare in bagno in continuazione?»
«Sì.»
«Il fumo o i profumi ti fanno venire nausea?»
Ora che ci pensava, Jen si rese conto che era diventata molto più sensibile agli odori.
«Sì, decisamente.»
Susan annuì brevemente. «Be', vado a comprare un test.»
Lei deglutì, ma il nodo che le serrava la gola non si sciolse. «Torna più in fretta che puoi.»
1
Sette mesi più tardi
Alle sette, il trillo del campanello svegliò Jen: sulle prime si voltò su un fianco e cercò di riprendere sonno, nella speranza che fosse un frutto della sua immaginazione, ma il campanello suonò ripetutamente.
Sospirando, si alzò e si infilò la vestaglia.
«Vengo, vengo» disse, mentre attraversava il soggiorno ancora buio. «Chi è?»
«Abigail Sedgewick» rispose una voce dalla quale non traspariva alcuna sfumatura di scusa per aver disturbato a quell'ora. «La madre di Philip.»
Come se Jen non lo sapesse: nelle settimane che erano seguite alla morte di Philip aveva avuto parecchi contatti con lei e suo marito, Dutch. I due avevano preteso che restituisse tutte le cose che erano appartenute al figlio e che, per un motivo o per l'altro, erano rimaste da lei, dai vestiti ai fumetti.
Avevano voluto indietro anche l'anello di fidanzamento che lui le aveva regalato, sostenendo che tutti quegli oggetti, per loro, avevano un valore sentimentale
.
Di certo, non avevano mai pensato di chiedersi se avessero un valore anche per lei. Col trascorrere dei giorni, tuttavia, Jen aveva realizzato che quel valore per lei era pari a zero, visto ciò che continuava a scoprire del vero Philip.
A quanto sembrava, il suo adorato fidanzato aveva avuto diverse relazioni mentre stava con lei, tutte con donne sposate: al funerale, si erano presentate così tante vedove in nero che sembrava di stare in