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Un milionario alla porta accanto: Harmony Jolly
Un milionario alla porta accanto: Harmony Jolly
Un milionario alla porta accanto: Harmony Jolly
E-book177 pagine2 ore

Un milionario alla porta accanto: Harmony Jolly

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Info su questo ebook

Chi lo ha detto che i milionari devono essere sempre solo belli e dannati? Esistono anche quelli romantici e sognatori e ve lo dimostreremo!

Quando Jessica Steyn scopre che il suo delizioso nuovo vicino di casa è il turbolento milionario Dylan Nel, fratello della sua migliore amica, rimane profondamente delusa, perché pensa che ai suoi occhi lei potrebbe apparire solo come una sorella. Al contrario, giorno dopo giorno, i due si scoprono sempre più vicini, fino a quando non saranno costretti a chiedersi se assecondare l'attrazione che provano non complicherebbe troppo le cose. La risposta a tutti i loro guai sentimentali, però, sembra davvero trovarsi nella porta accanto.
LinguaItaliano
Data di uscita21 ott 2019
ISBN9788830505988
Un milionario alla porta accanto: Harmony Jolly

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    Anteprima del libro

    Un milionario alla porta accanto - Therese Beharrie

    successivo.

    1

    Jessica Steyn non aveva affatto cercato un intrattenimento per quell'ultima settimana. Però non poté negare che guardare quell'uomo seminudo era diventato subito il suo passatempo preferito.

    Lo guardò piegarsi per impilare altra legna, ammirò i muscoli della sua schiena nuda incresparsi, messi ancor più in evidenza dallo strato di sudore che li copriva, e quell'immagine la incantò.

    Subito la invase il senso di colpa, ma lo ignorò. Non era colpa sua se il suo bel vicino non indossava la maglietta. Né lo era se faceva legna in giardino. Ogni giorno alla mezza lo sconosciuto usciva di casa indossando una vecchia t-shirt, che toglieva inevitabilmente dopo cinque minuti di lavoro, e tagliava con l'accetta i tronchi che aveva segato il giorno prima. Poi prendeva la legna, la portava in un'area recintata e ricominciava tutto da capo.

    E lei, da quando aveva notato quella routine, ogni giorno alla stessa ora si piazzava davanti alla finestra che dava sulla proprietà e si godeva lo spettacolo.

    Per fortuna l'aveva scoperto, pensò mentre lo guardava bere una bottiglia d'acqua. Acqua che gli gocciolò lungo il mento, creando un eccitante rivolo sulla sua gola, tra i suoi pettorali e sugli impressionanti muscoli addominali. Il cuore di Jess perse un colpo: forse anche lei aveva bisogno di bere.

    Doveva ammetterlo: il nuovo vicino era una gran bella distrazione. Adesso che la sua amica e boss Anja era in viaggio di lavoro con suo marito Chet, lei aveva poco da fare... a parte il guardare quell'attraente uomo.

    E, ovviamente, pensare al figlio che aspettava.

    Ma prima di imboccare quella strada, cominciò a riflettere su come quel bambino la faceva sentire – era come se per la prima volta la sua vita valesse qualcosa. Si domandò per quale motivo Anja non le aveva detto nulla a proposito del vicino sexy.

    Per quasi due anni aveva aiutato l'amica a gestire il suo centro di yoga, ma non aveva mai visto quell'uomo affascinante. A essere sincera, però, era la prima volta che rimaneva a casa di Anja per più di qualche giorno.

    Comunque fosse, Anja poteva anche avvertirla che aveva un vicino tanto sensuale! Se non come suo capo, almeno da buona amica.

    La sua migliore amica.

    Ma tutti quei pensieri svanirono quando il tronco sopra la pila che Mister Sexy aveva accatastato cominciò a rotolare giù. Lui si era già girato, quindi non vide ciò che stava per travolgerlo.

    Jess si alzò di scatto dalla sedia accanto alla finestra, urlando per avvertirlo di stare attento, ma era troppo tardi: la pila di tronchi crollò, investendo violentemente l'uomo che cadde a terra privo di sensi.

    Prima di rendersene conto, Jess si staccò dalla finestra, uscì dal portone e corse il più velocemente possibile – era pur sempre incinta – verso la villa accanto alla sua. Fortunatamente il cancello era aperto, così entrò in giardino e si inginocchiò accanto al suo vicino ancora immobile a terra, cominciando a tastare il petto che aveva ammirato fino a pochi minuti prima.

    Sforzandosi di ignorare l'elettrizzante sensazione che le diedero i suoi muscoli scolpiti, Jess provò a capire se l'uomo aveva qualcosa di rotto nella parte superiore del corpo, dopodiché passò a quella inferiore, partendo dalle caviglie. Prima che potesse raggiungere il bacino, però, due grosse mani le afferrarono i polsi.

    «Non ho nulla in contrario a essere toccato da una bella donna, ma forse dovremmo lasciare quella certa parte per quando ci conosceremo meglio...» sussurrò ridendo.

    A quelle parole Jess si sentì arrossire. Si staccò immediatamente dallo sconosciuto, ma perse l'equilibrio e finì a terra sul sedere. D'istinto si portò una mano sul ventre, ma la riabbassò subito. E non perché gli occhi dell'uomo avevano colto il suo gesto con un interesse che le ricordò lo sguardo di disapprovazione dei suoi genitori, ma perché era certa che il bambino che aspettava stesse bene. Non era stata una brutta caduta.

    «Suppongo che questa risposta significhi che, cadendo, non hai sbattuto la testa.» Avrebbe preferito non aggiungere altro, ma sapeva che si sarebbe preoccupata, se non gli avesse chiesto: «Stai bene?».

    «Sì, credo di sì... Per quanto si possa stare bene, visto che sei stata testimone di una pila di tronchi travolgenti.» Si sollevò sui gomiti, ma Jess lo spinse di nuovo a terra.

    «Non dovresti muoverti, finché non siamo sicuri che stai davvero bene.»

    «Ma sono sicuro. Sto bene.»

    Jess capì che era un tipo cocciuto, gli premette una mano su un fianco, scuotendo la testa quando lo vide sussultare. «Non stai bene. Chiamo un'ambulanza.»

    Prima che lei potesse alzarsi, l'uomo l'afferrò di nuovo per il polso. Questa volta Jess sentì il calore della sua mano sul braccio. Sentì i calli del suo palmo sfregarle la pelle. Quel contatto le provocò un'inspiegabile ondata di eccitazione in tutto il corpo e si irrigidì, sfilando il braccio dalla sua presa.

    L'espressione dell'uomo non cambiò, ma un bagliore attraversò il suo sguardo. «Sto bene. Sul serio. Probabilmente domani avrò un livido e forse il mio ego dovrà resuscitare, visto che è stato ucciso tanto crudelmente, ma è tutto okay.» Si mise a sedere e questa volta lei non glielo impedì. «Ma» continuò lui con un sorriso che le smosse qualcosa dentro, «se non dovessi stare bene, verrai di nuovo in mio soccorso?»

    «Improbabile» replicò Jess, cercando di rimanere seria nonostante le sue parole. «È stato solo un caso se stavo guardando fuori dalla finestra, quando sei caduto.»

    Lo disse con convinzione e per poco non si diede una pacca sulla schiena, vedendo che lui se l'era bevuta. Meno male. Altrimenti non avrebbe saputo spiegare la vera ragione per cui era alla finestra e l'aveva visto cadere.

    «Apprezzo che tu mi voglia aiutare. Sei un medico?»

    «No.»

    «Un'infermiera?»

    Lei scosse la testa.

    «Allora sei semplicemente corsa qui senza avere nessuna competenza medica?»

    «Ho fatto la bagnina, quando ero più giovane.» Una scelta che i suoi genitori avevano parecchio disapprovato. Ironico che fossero tanto interessati a una cosa così insignificante, visto che ignoravano tutto il resto della sua vita. Visto che trascuravano lei. «Conosco le basi del primo soccorso e la prima cosa che ci hanno insegnato è cosa fare in caso di caduta.»

    «Allora sono stato fortunato...» Il suo sorriso era più sincero adesso, meno presuntuoso, ma ebbe comunque lo stesso effetto su Jess.

    O forse era il fatto che fosse ancora a petto nudo. Per poco non si portò una mano alla bocca per controllare che non stesse sbavando.

    «Be', ora che so che stai bene, probabilmente dovrei andare...» Si risollevò faticosamente in piedi.

    «Come posso sdebitarmi?» le chiese lui.

    Jess sbuffò. «Per cosa? Correre qui e mettere entrambi in imbarazzo?»

    «Perché dovresti sentirti in imbarazzo?»

    Bella domanda. «Perché, a quanto pare, tu stai benissimo e io sono andata nel panico per niente.»

    «Sei andata nel panico?»

    Lei ruotò gli occhi. «È stata una brutta caduta, d'accordo? Mi sono preoccupata...»

    Jess ignorava cosa fosse cambiato sul viso dell'uomo, ma qualcosa era mutato di sicuro. E questo rendeva i suoi tratti fin troppo perfetti, ancora più attraenti. «Allora insisto: voglio sdebitarmi per esserti preoccupata per me. È raro che le persone si preoccupino per un completo estraneo.»

    «Sì, è raro» assentì Jess, condividendo le sue parole. «Ma non mi devi niente. Stai bene, giusto?» Lui annuì. «Allora ci vediamo» gli disse, dopodiché si voltò per andarsene.

    Si era allontanata solo di qualche passo, quando lo udì domandarle: «Da quale finestra?».

    Jess si girò. «Che cosa?»

    «Da quale finestra mi hai visto cadere?»

    «Quella.» Con un cenno della testa indicò la finestra al secondo piano della casa accanto, felice che la sedia su cui si era seduta, e le patatine che stava mangiando, non fossero visibili.

    «È la casa di mia sorella.»

    Le ci volle un attimo per metabolizzare quell'informazione. «Tua... tua sorella?» ripeté. «Tu sei Dylan?»

    «Sì» confermò lui, corrugando la fronte. «Tu chi sei? E perché sei a casa di mia sorella?»

    «Sono Jess. Jessica» si affrettò ad aggiungere. «Starò a casa di Anja, mentre lei e Chet sono via.»

    Dylan parve rilassarsi. «Via dove?»

    «A Sydney. Volevano supervisionare gli ultimi lavori per il nuovo centro di yoga prima della...» Si interruppe. Non poteva dire a Dylan del bambino. Anja l'avrebbe uccisa se l'avesse fatto e Jess non voleva tradire l'unica persona a cui importava di lei. «Anja sai che sei qui?»

    «No.»

    «Oh...»

    Cadde un lungo silenzio prima che uno dei due ricominciasse a parlare.

    «Sei tornato da quasi una settimana» notò Jess. «Perché non sei venuto a casa sua a cercarla? O non hai provato a chiamarla?»

    «Come fai a sapere da quanto sono tornato?»

    Jess sgranò gli occhi e arrossì prima di riuscire a trovare una risposta che non fosse: Perché ti ho osservato. «Ho sentito il camion della spazzatura svuotare i tuoi bidoni qualche giorno fa» disse, sperando che se la bevesse.

    «E come fai a sapere che non l'ho chiamata?»

    «Perché... me l'avrebbe detto.»

    Dylan la studiò. «Esattamente che tipo di rapporto hai con Anja?»

    «Sono la sua assistente personale.»

    «E lei permette alla sua assistente di vivere in casa sua? E le racconta che il fratello la chiama?»

    Jess raddrizzò la schiena. «Tua sorella e io siamo anche amiche. Buone amiche.» Si trattenne dal toccarsi il ventre arrotondato, la prova dello stretto legame tra lei e Anja, e si costrinse a restare calma mentre una vocina interiore le chiedeva perché era tanto sulla difensiva. «Non sapevo che fossi tu, quando sono venuta in tuo soccorso.»

    «Non sapevi che abitavo vicino a casa sua?»

    «Sì, lo sapevo, ma Anja non mi ha mai detto dove abitavi esattamente.»

    «E tu non glielo hai mai chiesto?»

    Non sei esattamente un argomento di conversazione in questo periodo. «Non mi sembrava rilevante saperlo.»

    «Perché mia sorella non parla mai di me?» le domandò lui con un'espressione tesa, subito sostituita da una finta indifferenza che a Jess parve solo disperazione.

    «No, semplicemente non mi è mai capitato di domandarglielo. Perché sei qui?» non poté evitare di chiedergli.

    «Io vivo qui.» Cadde un lungo silenzio. «Questa è casa mia.»

    Quella notizia la stranì. «No, che non lo è. O, almeno, non lo è stata negli ultimi due anni.»

    «Sì, lo è stata» replicò lui. «Ma, a volte, anche i migliori di noi scappano da casa, vero?»

    Il cuore di Jess perse un colpo.

    Perché aveva come l'impressione che Dylan stesse parlando di lei? Per lei? Era come se sapesse che Jess aveva voltato le spalle alla sua casa. Come se sapesse che era scappata da genitori indifferenti e a cui importava talmente poco di lei da non tentare neppure di convincerla a restare.

    «Quando torneranno?» domandò Dylan in tono secco.

    Dichiarare che era scappato di casa l'aveva chiaramente turbato, così Jess soffocò le domande che desiderava fargli. Dopotutto non erano affari suoi.

    «Alla fine del mese» gli rispose, anche se probabilmente sarebbero tornati prima, non appena avesse informato Anja che suo fratello era tornato. «Da quanto sei tornato?»

    «Avevi ragione, da una settimana.»

    Da quando aveva iniziato a guardarlo tagliare la legna, pensò Jess, ben sapendo che non sarebbe stata più capace di godersi quello spettacolo, adesso che sapeva chi era.

    Il fratello maggiore della sua migliore amica. Lo zio del bambino che portava in grembo.

    «Lo sai dove sono stato?»

    «In Inghilterra?» Lui annuì. «Sì, Anja mi ha detto che eri fuori per... lavoro.»

    «Sono certo che mia sorella ti ha raccontato anche qualcos'altro» ribatté lui con un sorriso autoironico.

    «No.»

    Il suo sorriso svanì. «Sembri sapere molto sul mio conto, Jessica. Io, invece, non ti ho mai sentito nominare.»

    «E questo ti sorprende?»

    «No.» Un'ombra di dolore gli incupì il viso. «Ma adesso sono tornato.»

    «A quanto sembra.»

    «E mi piacerebbe ricominciare con il piede giusto con mia sorella.»

    Qualcosa pulsò nell'aria tra loro, ma Jess si rifiutò di ammetterlo. «Non ho niente in contrario.»

    Dylan le sorrise... era un sorriso naturale, non finto, come se avesse sorriso a un vecchio amico o se stesse guardando il suo film preferito. E le provocò un brivido in tutto il corpo.

    «Dovresti pranzare con me» le propose.

    «No» si affrettò a rispondere lei.

    «Devi andare da qualche parte?»

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