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Le regole dell'amore: Harmony Jolly
Le regole dell'amore: Harmony Jolly
Le regole dell'amore: Harmony Jolly
E-book161 pagine2 ore

Le regole dell'amore: Harmony Jolly

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Info su questo ebook

Gwen Phillips indossa il suo sorriso come una maschera per tenere lontano il ricordo di un matrimonio che tutti credevano perfetto. Dopo la morte del marito, Gwen ha deciso di concentrarsi solo sulla loro bambina... finché la leggenda del rugby - nonché suo cognato! - Ryan Phillips non fa ritorno in città.

Ryan non è mai stato all'altezza della reputazione del fratello, perché è sempre stato considerato il ribelle della famiglia. Adesso è rientrato dalla Francia perché ha l'opportunità di giocare per il proprio paese, ma solo se saprà tenersi fuori dai guai. Tuttavia il corpo sensuale di Gwen e quelle labbra che promettono piaceri incandescenti sono una distrazione troppo forte.
LinguaItaliano
Data di uscita20 apr 2021
ISBN9788830527478
Le regole dell'amore: Harmony Jolly

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    Anteprima del libro

    Le regole dell'amore - Sophie Pembroke

    successivo.

    1

    Gwen Phillips trattenne il fiato mentre attorno a lei la folla rumoreggiava. Mancava meno di un minuto al fischio finale e pochi metri alla linea di meta. Ma i giocatori del Galles avevano la palla e se fossero riusciti a sfondare la difesa irlandese, la partita sarebbe stata loro.

    Non solo la partita. Il torneo. Il campionato.

    Cinque punti. Una meta e tutto sarebbe finito.

    Poi, all'improvviso, Williams si smarcò, aggirò il difensore che tentava di placcarlo, si lanciò verso la base e portò la palla, stretta fra le braccia, appena qualche millimetro oltre la linea. Ce l'avevano fatta!

    Lo stadio proruppe in un boato. Applausi, grida e... ovviamente... cori. Gioia e grida di giubilo risuonarono nell'aria, con Bread of Heaven.

    Feed me till I want no more!, cantava la folla. E che altro volere? Per il rugby gallese quella vittoria era un sogno. E anche Gwen, nonostante i suoi sentimenti contrastanti, non poté fare a meno di sorridere.

    Joe la sollevò e la strinse in un abbraccio, urlandole la sua gioia all'orecchio, prima di girarsi per fare lo stesso con uno sconosciuto dall'altra parte.

    Ma non appena Joe la mise giù, Gwen non poté fare a meno di pensare: George sarebbe stato contento. E il sorriso svanì.

    Come se quel pensiero avesse il potere di far materializzare il suo defunto marito, Gwen scorse la familiare chioma scura e le indimenticabili spalle larghe e muscolose tra i giocatori in campo che si davano pacche e abbracci. Non portava la maglia della squadra, ma una felpa. Non aveva giocato. Era rimasto a bordo campo, dietro gli atleti in panchina. Ecco perché non lo aveva visto prima.

    George.

    Ma George era morto da quasi due anni. Gwen aveva visto il suo corpo, lo aveva identificato dopo una terribile telefonata da parte della polizia. Lo aveva pianto con i suoi genitori. Aveva spiegato alla figlia che il suo papà non sarebbe tornato a casa. Che papà si era comportato da eroe, intervenendo in un accoltellamento in un pub.

    Che non era esattamente la verità, ma Gwen voleva conservare la fiducia e l'amore di Evie per il padre, mantenere il ricordo di George degno di essere custodito dai suoi amici e dalla sua famiglia.

    Gwen scacciò quei pensieri, ma non riuscì a distogliere lo sguardo dalla sagoma in campo.

    Poi l'uomo sollevò il viso, con un sorriso smagliante, mentre abbracciava un altro giocatore e l'evidenza la colpì dritta al petto.

    Non era George.

    Era Ryan.

    Ryan Phillips. Suo cognato. Due anni più giovane di George – il capitano della nazionale gallese rispettato e amato da tutti – e con la reputazione di essere cinque volte più scapestrato. Ryan era l'uomo che le aveva presentato suo marito, il loro testimone di nozze, uno zio affettuoso per Evie... almeno fino a tre anni prima, quando si era trasferito in Francia.

    Quando è tornato? E perché?

    Lei lo avrebbe scoperto? O quel ritorno sarebbe rimasto misterioso come le ragioni della sua partenza?

    «Che c'è?» Quando Joe ebbe finito di abbracciare ogni spettatore che gli capitava a tiro – un raggio piuttosto ampio, per un ex giocatore di rugby con il suo fisico – notò la sua agitazione. «Qualche problema?»

    «Guarda laggiù in mezzo al campo. Chi è quel tipo con la felpa grigia che sta abbracciando Dewi?»

    Joe si chinò per vedere meglio, poi imprecò. «Non c'è da meravigliarsi che tu sia scossa. Per un momento è sembrato anche a me... Aspetta, ma è Ryan?»

    «Sembrerebbe.» Gwen deglutì e si costrinse a distogliere lo sguardo. «Non sapevi che era tornato, vero?»

    Joe scosse la testa. «No, ma se è qui, scommetto che quella testa calda abbia intenzione di tornare a giocare in Galles» commentò Joe. «Be', ho promesso ai ragazzi che avrei fatto un salto da loro più tardi, per offrire un giro di birre. Scoprirò cosa sta succedendo.»

    Ma Gwen stava già facendo mille congetture.

    La morte di George era stata una tragedia. Il suo infortunio, sei mesi prima di quel fatale accoltellamento, lo aveva tagliato fuori dal mondo del rugby proprio quando era all'apice della carriera. I giornalisti facevano ancora congetture sui traguardi che avrebbe raggiunto la squadra se lui non fosse stato costretto a smettere così presto...

    La partenza di Ryan, proprio due partite prima dell'incontro in cui George si era infortunato, era stata un altro argomento di speculazioni. Il fratello minore di George sarebbe riuscito a proteggerlo, se avesse giocato al suo fianco come al solito? In campo avevano sempre avuto una sincronia perfetta, un'incredibile capacità di sapere dove fosse l'altro in ogni momento. Ryan proteggeva George mentre segnava la meta, gli passava la palla al momento giusto o distraeva con degli espedienti i difensori per mantenerli a distanza.

    Nessuno ci aveva creduto davvero quando Ryan aveva dichiarato che intendeva lasciare il Galles. George meno degli altri. Gwen ricordò le urla e le porte sbattute quando Ryan se ne era andato. E, ripensando al modo in cui George aveva apostrofato suo fratello, si chiese se Ryan non avesse fatto bene ad andarsene.

    Tutti nel Galles ricordavano George come un eroe, specialmente la sua famiglia.

    Be', tutti eccetto Gwen e Joe, che sapevano la verità.

    Ma anche Evie era convinta che suo padre fosse un eroe e Gwen avrebbe fatto qualsiasi cosa per tenere viva quell'illusione. Quella ragazzina aveva già perso molto e l'ultima cosa che Gwen voleva era che lei dovesse affrontare la verità su suo padre prima che fosse abbastanza grande per capire e perdonare.

    George era stato un uomo buono e una star del rugby ed era in quel modo che doveva essere ricordato. Non come l'uomo che era diventato negli ultimi tempi.

    L'uomo che le aveva reso la vita impossibile, ben diverso da quello affettuoso e affidabile che aveva sposato.

    Le persone cambiavano, lo sapeva. Ma i ricordi no.

    Ed era stato per quello che Gwen aveva creato la Fondazione George Phillips: per aiutare psicologicamente e materialmente le persone che avevano subìto danni cerebrali. La fondazione intitolata a George aveva lo scopo di raccogliere fondi per finanziare la ricerca sull'encefalopatia cronica traumatica e favorire la prevenzione.

    Ma la fondazione aveva bisogno di una visibilità maggiore, magari attraverso una celebrità capace di calamitare l'attenzione pubblica.

    Immaginava i commenti degli spettatori alla vista di quel volto noto in campo. Anche Ryan Phillips era famoso... non tanto quanto suo fratello e forse, da quando era all'estero, una figura po' sbiadita nella memoria collettiva, ma comunque una celebrità. E quel ritorno in Galles avrebbe alzato l'indice della sua notorietà di qualche tacca.

    Belli, atletici e vincenti, i fratelli Phillips erano spesso sulle prime pagine dei rotocalchi e quando George si era sposato e aveva messo su famiglia, sotto i riflettori era rimasto Ryan.

    Non era raro però che fosse immortalato ubriaco, sorretto da qualche compagno di squadra o abbracciato a un'attricetta o una cantante diversa ogni sera. I suoi genitori erano disperati per quei comportamenti e sopportavano ogni nuovo titolo con vergogna e imbarazzo. «Perché non somigli di più a tuo fratello?» gli chiedeva sua madre, gettando i giornali nel cestino.

    Ryan scrollava le spalle, sorrideva e continuava ad andare per la sua strada.

    Ryan era sempre stato il fratello ribelle e George il ragazzo d'oro. Era sempre stato così.

    Ma ora... la reputazione da ragazzo ribelle poteva servire a qualcosa, finalmente. La gente conosceva il suo nome, amava il suo volto. Avrebbe prestato attenzione a ciò che diceva.

    Ryan avrebbe potuto ottenere la pubblicità di cui lei aveva bisogno per portare la fondazione alla ribalta. Per cementare l'eredità di George. Per aiutare gli altri.

    Doveva solo convincerlo a sostenere le sue iniziative.

    Il che probabilmente sarebbe stato molto più facile se lui al funerale di George non avesse interrotto i rapporti con tutti i membri della sua famiglia in modo decisamente plateale.

    Ma se era difficile, non significava che non valesse la pena provarci.

    Raddrizzando le spalle, si girò verso Joe. Era lontana dai riflettori del rugby da due lunghi anni, ma a quanto pareva, per quanto le costasse fatica, era ora di tornare in pista.

    «Vai a festeggiare con la squadra?» gli chiese. «Vengo con te.»

    «È stato incredibile, amico!» Ryan abbracciò Dewi e gli diede un bacio sulla fronte. «La meta che ha segnato la vittoria del campionato. Sapevo che avevi stoffa!»

    Quando Ryan giocava ancora in Galles, la sua ultima stagione lì, Dewi era appena entrato in squadra e a diciannove anni era così sprovveduto che Ryan lo aveva preso sotto la sua ala per assicurarsi che sopravvivesse agli scherzi del resto della squadra.

    E ora aveva segnato la meta della vittoria del campionato.

    Ryan ignorò la stretta al cuore per non essere stato su quel campo quel giorno, ma forse l'anno successivo sarebbe stato con loro. Lo sperava.

    Era pronto, lo sapeva. Ecco perché aveva deciso di tornare, ecco perché aveva chiesto al suo agente di tastare il terreno e accettare qualsiasi offerta da parte di una squadra gallese, a prescindere dall'ingaggio.

    Ci erano voluti tre anni, ma ora era pronto per tornare a giocare per il suo paese.

    Doveva solo convincerli a offrirgli una possibilità.

    «Passi in albergo?» chiese Dewi. «A festeggiare con noi?»

    «Non me lo perderei per nulla al mondo» replicò Ryan, con un sorriso. Nel giro di mezz'ora sarebbero stati tutti così presi dai festeggiamenti che non si sarebbero nemmeno accorti che beveva birra analcolica, invece di quella amara che una volta scolava a fiumi. Non era ciò che beveva a preoccuparlo, ma le domande che seguivano. Non voleva dare spiegazioni su di sé o sulla persona che aveva deciso di essere, almeno fino a che non si fosse ambientato un po'.

    Lui non era più il Ryan Phillips che tutti ricordavano ed era un bene, sperava.

    I compagni di squadra erano negli spogliatoi o stavano rilasciando interviste e firmando cappellini con il narciso e gagliardetti con il dragone e li avrebbe incontrati più tardi al bar dell'albergo in cui alloggiavano.

    Ma in campo c'era ancora una persona con cui voleva congratularsi.

    «È stata una partita memorabile, mister.» Raggiunse Freddie Yates, l'allenatore del Galles.

    Freddie si girò e il suo volto segnato si accese di un'espressione vagamente somigliante a un sorriso. «Non è stata male, vero?»

    «Sarai fiero. Il tuo quarto titolo?» Era il terzo in cui Freddie allenava la squadra, ma in certi casi qualche lusinga non guastava.

    «Terzo» lo corresse Freddie. «Ma chi lo sa? Se in questa stagione giocherai bene le tue carte, la prossima primavera ci sarai anche tu in campo.»

    «Sono tornato per questo» disse Ryan, fiducioso.

    Era sincero, anche se non era tutta la verità.

    Era sempre stato orgoglioso di giocare per la sua nazione e la decisione di lasciarla non era stata facile.

    I compagni di squadra non avevano mai capito quella scelta... A differenza di chi non lo conosceva bene, sapevano che non lo aveva fatto per soldi, ma la sua partenza era rimasta un mistero. Cosa avrebbe ottenuto in Francia che non poteva avere anche in Galles? E perché rinunciare a loro, al suo stesso fratello e alla gioia di giocare insieme?

    Ryan non aveva nemmeno cercato di spiegare. Non avrebbero mai potuto capire. Perché non sapevano cosa significasse essere il fratello minore di George Phillips, l'uomo perfetto.

    Quando erano piccoli, Ryan pensava che fossero una squadra, ma quando George era diventato più grande, più forte e più bravo, a Ryan non era rimasto altro che seguire le sue orme. E lo aveva fatto. Stessi ritmi di allenamento, stessa squadra giovanile, stesso agente, stesse opportunità.

    Poi, crescendo, George era diventato la star, quello di

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