Come riconquisto il milionario: Harmony Jolly
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Uomini, uomini e ancora uomini! Perché non possiamo farne a meno? Lucinda Myles è già da un po' di tempo che se lo chiede, ma nell'ultimo periodo la domanda è sempre più ricorrente per colpa di Ben Hampton, affascinante, sensuale, magnetico ma... ovviamente c'è un ma, superficiale e insofferente a qualsiasi tipo di legame. Come è entrato nella sua vita, Ben ne è già uscito, lasciandola sola e malconcia. E ora, eccolo lì, ancora di fronte a lei per questioni di lavoro. Perfetto Lucinda, sei una docente universitaria apprezzata e stimata da tutti, una tua ex fiamma non ti farà vacillare nemmeno un po'... forse un pochino.
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Anteprima del libro
Come riconquisto il milionario - Sophie Pembroke
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
Stranded with the Tycoon
Harlequin Mills & Boon Romance
© 2013 Sophie Pembroke
Traduzione di Laura Polli
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.
© 2014 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-5899-602-7
1
Chester, Inghilterra, dicembre.
Lucinda Myles non si agitava facilmente. Ma la prospettiva di essere senza alloggio cinque giorni prima di Natale, nel corso del dicembre più freddo che da tempo si fosse verificato nel nord ovest dell’Inghilterra, le provocava un vago senso di panico.
A Chester le camere in alberghi e pensioni erano tutte prenotate a causa della fiera natalizia e della schiera di accademici che come lei, in quel poco propizio periodo dell’anno, aveva deciso di partecipare al convegno Portare la storia nel futuro.
Se al Royal Court Hotel non fossero riusciti a rintracciare la sua prenotazione... be’, sarebbe stata costretta a organizzare qualcosa d’altro. Ma prima avrebbe provato a insistere. Era abituata a non arrendersi facilmente. Una dote che aveva sviluppato grazie a suo nonno.
«Ho capito che siete al completo» disse Luce, nel tono di voce più freddo e paziente possibile. Quello che di solito riservava a suo fratello Tom, quando si dimostrava particolarmente ottuso. «Una delle stanze prenotate, però, dovrebbe essere a mio nome. Dottoressa Lucinda Myles. M-Y-L-E-S» ripeté, sporgendosi leggermente sul banco della reception, per dare un’occhiata al computer.
L’impiegata, una ragazza bionda, orientò lo schermo verso di lei.
«Mi spiace, ma come può vedere non abbiamo nessuna prenotazione a suo nome per stanotte. E nemmeno per i prossimi giorni, purtroppo.»
Luce strinse i denti. Aveva delegato la prenotazione allo staff che aveva organizzato il convegno. Invece avrebbe dovuto farlo personalmente. Avere sempre il controllo della situazione. Così le aveva insegnato suo nonno. Peccato solo che lei fosse stata l’unica in famiglia ad ascoltarlo...
Il suo cellulare cominciò a squillare. Sospirò, mentre lo estraeva dalla borsetta, sapendo già che si trattava di Tom.
«E non ci sono assolutamente altre stanze libere in albergo stasera?» domandò all’impiegata, decisa a insistere. «Anche le suite sono tutte prenotate?» Si sarebbe fatta rimborsare la spesa dal fondo universitario. In fondo erano stati il decano e il consiglio di facoltà a spedirla a Chester per quella conferenza. Il meno che potessero fare era consentirle di trascorrere la notte in una stanza decente.
«Tutte quante» le confermò la ragazza. «Mancano pochi giorni a Natale e con la fiera in pieno svolgimento... Mi spiace» aggiunse, in tono di congedo.
Lucinda si rese conto che c’erano altre persone che aspettavano dietro di lei. Be’, che aspettino!, pensò. Aveva avuto una pessima giornata, era stanca morta e non vedeva l’ora di farsi una doccia e infilarsi sotto le coperte.
«Visto che avete perso la mia prenotazione, le dispiacerebbe almeno controllare se qualche altro hotel ha una stanza disponibile?» replicò, seccata.
«Noi non abbiamo perso...» iniziò a protestare la ragazza, ma Lucinda la fulminò con un’occhiata. «Okay, controllo subito» sospirò, facendo cenno a un collega di occuparsi lui degli altri clienti.
Nel frattempo Lucinda sfiorò lo schermo del cellulare per controllare. Tre messaggi e una chiamata in segreteria. Tutto in dieci minuti, mentre lei discuteva con la receptionist. Bella giornata, davvero. E forse il peggio doveva ancora venire, si disse, leggendo il primo messaggio. Come aveva immaginato, era di suo fratello Tom.
Hai già parlato con la mamma per la Vigilia di Natale? Ce la fai?
Luce si accigliò. La Vigilia di Natale? Questo significava che la chiamata vocale in segreteria era di sua madre, che doveva avere cambiato per la sesta volta in un mese i piani per le feste.
L’altro messaggio era di Dolly, sua sorella.
Non vedo l’ora che sia la Vigilia di Natale... Soprattutto per il soufflé al cioccolato!
Quale soufflé?, si domandò. Aveva già prenotato il menù della Vigilia che il supermercato locale le avrebbe consegnato il ventitré. A parte, naturalmente, il tacchino, che stava frollando in congelatore. Ma nella lista non era previsto alcun soufflé al cioccolato.
Il terzo messaggio era ancora di Tom.
Mamma dice che si può fare. Fantastico. A presto, allora.
Lucinda sospirò. Qualunque fosse il nuovo progetto di sua madre, a quanto pareva era già stato deciso.
Tu sei l’unica persona responsabile di questa famiglia, Lucinda, le aveva detto e ripetuto spesso il nonno. Gli altri vivono in un mondo che non è quello reale. Io e te lo sappiamo bene. Quando io non ci sarò più, toccherà a te badare a loro.
Ed era esattamente quello che continuava a fare, si disse Luce, annotando mentalmente il soufflé al cioccolato come dolce per la cena della Vigilia. In aggiunta al pranzo di sei portate che avrebbe servito a Natale.
Lucinda mise il cellulare in standby. La chiamata di sua madre in segreteria, che probabilmente avrebbe spiegato ogni cosa, poteva aspettare fino a quando non fosse riuscita a trovare una stanza dove trascorrere la notte.
«Mi dispiace» ripeté l’impiegata. «Fra una conferenza di storia e la fiera natalizia, anche nelle altre strutture alberghiere è già tutto prenotato da mesi.»
Proprio come avrebbe dovuto essere anche per me, provò l’impulso di replicare Lucinda. Io sono qui proprio per quella dannata conferenza e credevo che qualcuno avesse prenotato per me un mese fa.
«Capisco» disse invece. A quanto pareva, sarebbe stata costretta a cercarsi da sola una sistemazione. «Se non le dispiace, rimango qui mentre faccio qualche telefonata» aggiunse, lanciando un’occhiata alla zona bar della hall. Non vedeva l’ora di bere qualcosa di caldo.
«Nessun problema» le garantì la ragazza, liquidandola definitivamente.
Lucinda fece per dirigersi al bar ma si trovò la strada sbarrata da uno sconosciuto.
Un vero e proprio fusto, pensò. Uno di quelli che in quel momento sarebbe stata contenta l’abbracciasse e le facesse dimenticare tutti i guai della giornata. Contenta di lasciare risolvere a lui i suoi problemi.
Non che avesse bisogno di un uomo per risolverli, si corresse un attimo dopo. Era in grado di farlo da sola, naturalmente.
Ma sarebbe stato bello che qualcuno si offrisse di farlo.
Almeno una volta.
Alzò lo sguardo e vide che il fusto alto e bruno aveva anche un bel viso virile. Labbra ben disegnate, occhi castano dorato e una piccola cicatrice sul sopracciglio sinistro.
Aspetta un momento... Quella cicatrice le era familiare. Conosceva quell’uomo. E avrebbe fatto meglio a smetterla di fissarlo così.
«Qualche problema con la sua prenotazione, signora?» le domandò lui gentilmente.
«Io... uhm... temo non sia mai stata nemmeno effettuata» rispose Lucinda e, lanciando un’occhiata in direzione della reception, vide che l’impiegata, invece di aiutare il suo collega a smaltire i clienti in attesa, stava ascoltando quella conversazione.
«Daisy?» disse l’uomo in tono autoritario, rivolgendosi alla ragazza.
Luce riconobbe anche quell’espressione decisa. Ma dove l’aveva già incontrato? A una conferenza? Un convegno? Forse in tivù? In uno di quei reality show ambientati in hotel di lusso? Il fatto era che lei non aveva il tempo di guardare certi programmi. Ma a volte il subconscio faceva strani scherzi. Infatti era sicura di avere già visto quel tale da qualche altra parte. Di sicuro la sua immagine si era impressa nella sua memoria, nella strana attesa di quel momento.
«Non c’è alcuna prenotazione a nome della signora» ribadì Daisy, «e stanotte le stanze sono tutte occupate. Ho provato a controllare in altri alberghi, ma con lo stesso risultato.»
Per la prima volta Daisy aveva un tono professionale ed efficiente.
A quanto pareva lo sconosciuto era qualcuno che contava, dedusse Luce. Oppure Daisy aveva una cotta per lui. O, più probabilmente, tutt’e due le cose. Lo guardò un istante e dalla sua espressione intuì che era uno di quegli uomini a cui tutto il mondo girava intorno e non viceversa. Inoltre, quale donna, anche molto giovane come Daisy, non si sarebbe sentita attratta da un fusto del genere?
A eccezione di lei, naturalmente, che aveva questioni ben più importanti di cui occuparsi. Come quella, per esempio, di dove trascorrere la notte. Ciononostante l’identità del misterioso personaggio continuava a incuriosirla.
Se si conoscevano, il fusto non aveva dato alcun segno di averla identificata, per cui poteva anche essersi sbagliata. Oppure era soltanto meno indimenticabile di lui.
Per quella ragione, Luce fu lieta di non ricordare con precisione l’identità dell’uomo. Sarebbe stato alquanto imbarazzante per una docente universitaria fissarlo con espressione vacua mentre lui le rammentava dove e come si fossero conosciuti. Probabilmente prima o poi le sarebbe venuto in mente. Magari giovedì mattina in treno, di ritorno a Cardiff. E a quel punto la cosa non avrebbe più avuto alcuna importanza.
«Anche la King James Suite è occupata?» domandò l’uomo.
Luce ebbe la soddisfazione di vedere Daisy arrossire fino alla radice dei capelli.
«Be’, io non... voglio dire...» balbettò la ragazza.
«Pensava non me la potessi permettere?» intervenne Luce. «Primo, mai fare deduzioni azzardate riguardo ai clienti. Secondo, siccome voi vi siete dimenticati di registrare la mia prenotazione, avreste potuto offrirmi la suite a un prezzo scontato. Per cui mi interessa molto ascoltare la risposta alla domanda che le ha fatto questo signore» aggiunse, incrociando le braccia. Forse, finalmente, poteva cominciare a sperare di potere trascorrere la notte nella migliore suite del Royal Court Hotel. E fra meno di mezz’ora avrebbe sorseggiato una cioccolata in pigiama, dopo una doccia calda.
«Ma signor Hampton... Non ho offerto la King James Suite perché è riservata a lei» si giustificò Daisy, imbarazzata.
Hampton? Ben Hampton?
Udendo quel nome, a Lucinda tornò di colpo la memoria.
Ben Hampton non poté fare a meno di sorridere quando vide Lucinda Myles assumere un’aria oltraggiata dopo avere ascoltato la sua proposta.
Cinque minuti prima era stato sul punto di uscire per la serata quando aveva notato una bellissima bruna discutere con Daisy al banco della reception.
Il primo istinto era stato quello di intervenire per chiarire immediatamente la faccenda.
Essere uno dei due eredi della catena alberghiera Hampton&Sons, significava avere l’autorità di risolvere i problemi come meglio credeva.
Il suo compito era quello di fare in modo che i loro clienti fossero sempre soddisfatti, lo staff lavorasse sodo e l’hotel funzionasse come un orologio svizzero. Maniaco dell’organizzazione, lo aveva definito una volta ridendo suo fratello Seb.
Comunque fosse, quell’episodio gli stava offrendo l’opportunità di osservare come gli impiegati alla reception del Royal Court Hotel affrontavano gli imprevisti e trattavano i clienti.
Per quella ragione, anziché farsi subito avanti, si era mimetizzato dietro il grande abete natalizio che troneggiava nella hall ed era rimasto a guardare.
Aveva sentito la bruna scandire il proprio nome e cognome e aveva capito perché aveva avuto l’impressione di conoscerla.
Lucinda Myles. Luce.
Un diminutivo dolce per una ragazza che non lo era stata affatto.
Lucinda aveva condiviso l’alloggio al campus dell’università con quella che era stata allora la sua ragazza. E mentre loro due e gli altri ragazzi uscivano di sera a divertirsi, Luce se ne stava sempre in camera a studiare. E quella sera, fermo dietro l’albero di Natale a poca distanza, si era accorto che lei era rimasta la persona più seria e severa che avesse mai conosciuto.
Luce non aveva nascosto impazienza e irritazione ogni volta che lui e la sua amica avevano perso tempo invece di studiare.
Si accigliò, rendendosi conto di non ricordare più il nome di quella che all’epoca era stata la sua ragazza. Molly? Mandy?
Be’, in fondo erano passati otto anni, aveva avuto un mucchio di altre storie e le sue relazioni non erano mai durate più di qualche settimana. Impossibile rammentare il nome di tutte le donne a cui aveva dato appuntamento. Ma Luce Myles... Quel nome insolito gli si era impresso nella mente.
Insieme al bel viso