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Crimini gemelli (eLit): eLit
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E-book240 pagine3 ore

Crimini gemelli (eLit): eLit

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Info su questo ebook

Paul e Geena Bradley hanno tutto ciò che desiderano: una bella casa, carriere avviate, due gemelle adottive che adorano. Eppure, a sconvolgere le loro vite, basta una sera, la vigilia di Natale, quando sotto l'albero una delle bambine regala ai genitori un gesto di crudeltà che difficilmente potranno dimenticare. È l'inizio di un incubo, un gioco perverso in cui le identità si mescolano e si scambiano di continuo, in un succedersi di sapienti colpi di scena. Sedici anni dopo, infatti, il passato torna a minacciare il fragile paravento familiare dietro il quale si nascondono i protagonisti, seminando sospetti, malessere e ambiguità.

ROMANZO INEDITO
LinguaItaliano
Data di uscita5 nov 2018
ISBN9788858994023
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    Anteprima del libro

    Crimini gemelli (eLit) - Meg O'brien

    successivo.

    Prologo

    Seattle, Stato di Washington

    Vigilia di Natale, sedici anni prima

    La vita, dicono, è soltanto un'illusione che proiettiamo sullo schermo dell'esistenza quotidiana. Molti anni dopo, Paul Bradley si sarebbe domandato se ciò che era accaduto alla sua famiglia, quella remota vigilia di Natale, non fosse stato il frutto di un perverso scherzo della mente. Fino ad allora, lui e Geena avevano tutto ciò che desideravano, o almeno così credevano. In un attimo ogni cosa era andata perduta.

    Un miracolo forse li avrebbe salvati. Ma anche i miracoli, a quanto pare, sono opera nostra. Finire all'inferno o in paradiso dipende da noi.

    Paul avrebbe potuto scegliere strade differenti negli anni a venire. E anche Geena. Ma era impossibile presagire il male che li attendeva. Né potevano sapere che compiere scelte diverse li avrebbe risparmiati.

    Il terribile episodio che aveva mandato in crisi le loro vite era avvenuto sedici anni prima, in una serata che avrebbe dovuto essere sacra.

    Quella sera, Paul Bradley e la moglie Geena si trovavano nella cucina della loro casa d'epoca, a Queen Anne Hill. Era l'abitazione più grande della collina e quella con il giardino più ampio. Averla trovata, in una delle zone più vecchie e ambite di Seattle, era stato un colpo di fortuna. Nonostante qualcuno paragonasse Lower Queen Anne a una regina in decadenza, si diceva che presto sarebbe stata trasformata in un quartiere residenziale. Ogni giorno spuntavano abitazioni nuove e lussuose, condomini e uffici.

    I Bradley l'avevano scelta per la posizione tranquilla e lontana dal traffico, che offriva una vista meravigliosa. Nelle giornate limpide si potevano vedere il Sound, il braccio dell'oceano Pacifico sul quale si affaccia la città, e gran parte della zona occidentale di Seattle. Quando calava la nebbia, invece, la punta dello Space Needle sembrava galleggiare sulle nuvole, come una navicella spaziale o un'imbarcazione al largo nell'oceano.

    Paul non avrebbe potuto essere più felice della piega che aveva preso la sua vita. Aveva un buon lavoro, un negozio di antiquariato, Soleil Antiques, che vantava una facoltosa clientela, e a Geena si prospettava una brillante carriera come arredatrice. La lista che avevano stilato prima di sposarsi si stava realizzando, punto per punto, nonostante qualche compromesso. Uno di questi era il fatto che Geena non potesse avere figli, come avevano scoperto dopo il matrimonio. Entrambi però desideravano una famiglia, e il più presto possibile, così avevano deciso di non aspettare e adottare un bambino. Rachel e Angela, gemelle biovulari di un anno, erano entrate a far parte della loro vita in una giornata di agosto, poco dopo il primo anniversario di matrimonio. La famiglia Bradley era finalmente al completo.

    Vi erano stati anche momenti difficili. A quattro anni, Angela aveva iniziato a dare segni di ostilità, a manifestare una rabbia inconsueta per una bambina della sua età. La psichiatra dell'orfanotrofio St. Nicholas li aveva avvisati: le gemelle avrebbero potuto risentire della precoce separazione dalla madre. Erano state abbandonate sugli scalini dell'istituto, insieme a un biglietto sul quale era scritto che avevano tre mesi e si chiamavano Rachel e Angela. Di loro non si sapeva altro.

    Ma Paul e Geena si erano innamorati delle gemelle non appena le avevano prese in braccio. Non erano identiche, ma avevano entrambe i capelli castani e gli occhi color nocciola. Se fosse stato necessario, avevano deciso, le avrebbero fatte seguire da uno specialista.

    Per qualche anno era andato tutto per il meglio, poi Angela aveva cominciato a mostrare i sintomi di quello che Victoria Lessing, la psichiatra a cui si erano rivolti, diagnosticò come Disturbo dell'attaccamento reattivo a carenza di cure affettive. Sembrava che Angela non provasse alcun sentimento per le persone, né rimorsi quando faceva male a qualcuno. Victoria aveva preso Angela in cura e, in apparenza, la terapia aveva dato buoni risultati. Negli ultimi mesi, Paul e Geena erano più sereni.

    Quanto a Rachel, ringraziavano Dio che fosse sempre tranquilla e posata e non mostrasse sintomi analoghi.

    «Tenetela sotto controllo» li aveva avvisati Victoria, «la malattia può comparire durante l'adolescenza, o addirittura più tardi.»

    Finora tutto bene, pensò Paul quel Natale. Angela sembrava migliorare e Rachel non dava segni di squilibrio. Colmo di gratitudine, abbracciò Geena mentre ascoltavano i canti natalizi provenienti dallo stereo del salotto, dove le bambine giocavano intorno all'albero.

    «Come possiamo essere così fortunati?» sussurrò Paul alla moglie. I capelli di Geena profumavano di mele e cannella. Paul l'amava più della sua stessa vita.

    Se solo riuscissimo a mettere a letto presto le bambine, pensò.

    Non sarebbe stato facile. Erano troppo eccitate per l'arrivo di Babbo Natale. Del resto anche Paul e Geena erano ansiosi di vederle scartare i regali la mattina dopo.

    Paul sorrise, attirò Geena a sé e la baciò, mentre lei gli stringeva le braccia intorno al collo. Quando la passione aveva il sopravvento, Geena si aggrappava sempre a lui come a un'ancora di salvezza e Paul amava quei momenti, la sensazione di essere indispensabile. Nessuno dei due si accorse che i rumori dal salotto crescevano d'intensità.

    Furono lo schianto e l'urlo di Rachel a riportarli sulla terra.

    «Che cosa avranno combinato?» ridacchiò Geena. Si divincolò dalla stretta di Paul ed entrò in cucina. Paul la seguì e per poco non la investì quando lei si arrestò di colpo, le mani sulla bocca, gli occhi spalancati.

    «No!» urlò, precipitandosi verso le gemelle.

    In seguito, Paul non avrebbe saputo dire se aveva compreso subito ciò che stava accadendo. La scena che gli si presentò davanti era scioccante.

    L'albero di Natale, alto più di due metri, era a terra in una pozza d'acqua, fra le decorazioni ridotte in frantumi. Ghiaccioli di carta stagnola brillavano sul tappeto e il trenino giocattolo era uscito dai binari.

    Angela, con il vestito bianco della festa e la fascia rossa in vita, incombeva sulla sorella con un coltello da cucina in mano. Rachel, distesa a terra supina, gridava, le braccia alzate nel tentativo di difendersi.

    Angela non alzò la testa, né parve rendersi conto delle urla di Geena che le correva incontro. Anche Paul si diresse verso le gemelle, ma gli sembrava di muoversi al rallentatore, le gambe pesanti come piombo, ancora incapace di decifrare ciò che aveva di fronte.

    Prima che potessero raggiungerla, Angela abbassò il coltello. Paul si gettò su di lei, la buttò a terra e la disarmò. Lei reagì difendendosi con la ferocia di un animale, gli morse un braccio e lo colpì all'inguine con un calcio.

    Quando Paul lanciò un'occhiata alle sue spalle, vide che sua moglie era in ginocchio accanto a Rachel e la teneva tra le braccia. Una macchia di sangue si allargava sul vestito rosa di Rachel e sulla camicia di Geena. In sottofondo, proseguivano i canti natalizi.

    Gioia per il mondo, è arrivato il Signore...

    Negli occhi color nocciola di Angela, Paul non vide altro che odio. Non vi era traccia di paura o rimorso, solo due enormi orbite scure piene di cattiveria. Gli sputò in faccia.

    1

    Seattle, Stato di Washington

    20 dicembre, sedici anni dopo

    Lacey entrò nella stanza fasciata in un abito di seta color oro. Ondeggiò i fianchi, si portò un dito alla bocca, lo inumidì e prese a succhiarlo, guardando Paul in un modo che non lasciava dubbi. Il vestito era così leggero e stretto da sembrare una patina di sudore dorato, che esaltava il profilo dei seni e l'incavo tra le cosce.

    Raggiunse il letto e montò a cavalcioni sopra di lui. Gli sfiorò le guance con i lunghi capelli biondi, rise e lo stuzzicò, il seno trattenuto a stento dal vestito di seta.

    Per un istante, Paul pensò a Geena, alla passione del primo anno di matrimonio. Erano trascorsi più di vent'anni. Avevano cercato di tenere insieme i pezzi della loro vita, ci avevano provato davvero, ma dopo quella vigilia di Natale niente era più stato lo stesso.

    Scacciò il ricordo non appena gli si affacciò alla mente. Aveva imparato a farlo, ad archiviare il passato, a non soffermarsi sui momenti difficili. Gli bastava guardare Lacey; era una sensazione quasi dolorosa, ma la prova che era ancora vivo.

    Si sollevò e spostò la profonda scollatura, poi sentì i bottoni saltare e il tessuto lacerarsi. Lacey rise, e ogni pensiero svanì. Le aveva regalato quell'abito per far avverare una fantasia che piaceva a entrambi. Non sarebbe mai riuscito a maltrattarla, né lei glielo aveva mai chiesto. La finta violenza faceva parte dei preliminari, era un gioco, e il vestito sarebbe stato rimpiazzato la volta successiva. Lacey gettò indietro la testa, scosse i capelli e prese a muoversi sopra di lui. Con una mano lo fece entrare dentro di sé, la schiena inarcata.

    Paul aveva la gola secca quando le afferrò il seno, le strinse i capezzoli, li baciò, li accarezzò e lasciò che il piacere prendesse il sopravvento e i pensieri scivolassero via. Niente passato infelice, né presente doloroso né futuro incerto: solo una lavagna vuota.

    Alla fine si sentì come se avesse portato a termine un incarico, tenuto fede a un impegno, anche se solo con se stesso. Era riuscito a tenere a bada i ricordi.

    Paul fissava il soffitto, esausto. Da tre mesi, tenere a bada i ricordi era l'unico compito di Lacey Allison. L'aveva salvata da una serie di lavori temporanei come segretaria e sistemata in un lussuoso appartamento. Lo aspettava ogni sera, nonostante lui non sempre riuscisse a passare. E anche durante il giorno aveva con sé il cellulare, perché potesse raggiungerla in qualunque momento. Era stata una sua idea. Voleva trascorrere con Paul il maggior tempo possibile.

    Da quando aveva iniziato quella relazione, Paul non ne aveva mai abbastanza di lei. Voleva assorbirla completamente, renderla una parte di sé.

    Si allungò per toccarla, un istante di eternità di cui più tardi si sarebbe dimenticato. Si trovava in una dimensione parallela dove niente aveva importanza, nemmeno il sesso. Era stata Lacey a condurcelo. Era Lacey a creare quella lavagna vuota dove, anche se per brevi momenti, nulla esisteva, neppure lei.

    Geena Bradley aprì la porta d'ingresso e si soffermò in ascolto di eventuali rumori dall'interno. Spostò le borse della spesa da un braccio all'altro, scosse la testa e sospirò. Chi si aspettava di trovare in casa?

    Di sicuro non Paul. Erano solo le cinque e ultimamente rincasava sempre più tardi. All'inizio preparava la cena anche per lui, per riscaldarla nel forno alle sette, alle otto, alle nove. Poi aveva smesso di preoccuparsene; mangiava un panino in camera da letto e guardava la televisione o leggeva finché lui non rientrava. Spesso era mezzanotte passata quando l'auto svoltava nel vialetto. I fanali illuminavano rapidi la stanza, una presenza fuggevole come quella di Paul, che dopo un po' entrava in camera in punta di piedi borbottando una scusa.

    Era sempre la stessa: aveva lavorato fino a tardi, e Geena non aveva motivo per non credergli. Ogni anno, con l'approssimarsi del Natale, Paul diventava lunatico e distante. La perdita di Angela lo aveva cambiato.

    Non che Geena non sentisse la mancanza della bambina. Ma aveva cercato di andare avanti, di costruire una carriera in cui rifugiarsi, come un mollusco nel proprio guscio. Da principio lei e Paul avevano creduto che non sarebbero sopravvissuti al dolore. Poi erano riusciti a farsi forza l'uno con l'altra, avevano rimosso ogni ricordo e si erano salvati, per quanto quel termine fosse inadeguato. Un taglio netto e deciso: avevano dato via i vestiti e i giocattoli, bruciato le fotografie, allontanato tutto ciò che poteva ricordare loro Angela.

    Tutto, tranne sua sorella Rachel.

    All'inizio, avrebbero preferito due gemelle identiche, due bambine da vestire con abiti uguali; la gente per strada si sarebbe fermata a guardare il passeggino a due posti e avrebbe detto: «Oh, che carine». Poi avevano ringraziato il cielo che fossero diverse. Dopo la partenza di Angela, la differenza fisica li aveva aiutati. Crescendo, Rachel aveva finito con l'assomigliare sempre meno alla gemella, sfumando così anche l'ultimo ricordo di lei.

    Non a Natale, però. Anche se fossero vissuti mille anni, non avrebbero dimenticato Angela nel vestito bianco con la fascia rossa, in piedi sopra la sorella con il coltello in mano e il volto trasfigurato. Il salotto illuminato dalle luci dell'albero. I canti natalizi in sottofondo.

    Come aveva detto Paul, quella sera non era arrivato il Signore, ma il diavolo. Il diavolo con le sembianze di una bambina di cinque anni.

    Geena finì di sistemare la spesa. L'ultima immagine della bambina, quando l'avevano riportata all'orfanotrofio, le si era impressa per sempre nella memoria.

    Angela sapeva essere dolce e affettuosa, nessuno l'avrebbe mai ritenuta capace di un gesto simile.

    Eppure c'erano state alcune avvisaglie. Più di una volta si erano spaventati per Rachel: quando era caduta dalle scale o quando il veleno per topi, custodito nel capanno in giardino, era misteriosamente finito nel suo latte. Non vi erano prove che la causa di quegli incidenti fosse Angela, e Rachel aveva ammesso di essere inciampata sui peluche abbandonati sulle scale. Ma il problema rimaneva: chi li aveva messi lì, in un angolo buio dove era difficile vederli? E, benché fosse incredibile immaginare una bambina di cinque anni che si arrampicava su uno scaffale per prendere il veleno e metterlo nel latte della sorella, chi aveva sistemato lo sgabello lì sotto e si era scordato di rimetterlo a posto? Chi, se non una bambina, troppo bassa per arrivarci da sola?

    Quella vigilia di Natale, però, Paul e Geena avevano dovuto ammettere di avere un'assassina sotto il proprio tetto. Era un miracolo che Rachel non fosse morta. Paul era arrivato in tempo e lei se l'era cavata con una ferita superficiale. Sufficiente, comunque, a convincerli che non avrebbero più potuto fidarsi a lasciare Angela da sola con la sorella.

    Furono costretti a prendere una decisione, la più difficile di tutta la loro vita. Su consiglio di Victoria Lessing, la psichiatra che li seguiva da mesi, avevano riportato Angela all'orfanotrofio.

    Sembrava un gesto spietato, ma il St. Nicholas forniva un'ottima assistenza psichiatrica ai bambini. Era uno degli orfanotrofi migliori della zona, per questo era stato raccomandato a Geena e Paul.

    Angela era la preferita di Paul, Geena lo aveva capito subito. Tra loro si era creato un legame speciale. Angela era estroversa e riusciva a farlo ridere; Rachel invece era timida e riservata, restava sempre un passo indietro, a guardare la sorella che ballava come un orso e faceva le smorfie, rubandole la scena.

    Geena quindi aveva dedicato più attenzioni a Rachel, perché non si sentisse esclusa. Quando Angela era cresciuta abbastanza da accorgersene, aveva mostrato segni di risentimento verso la madre. All'inizio dava in escandescenze, pestava i piedi o prendeva a calci gli oggetti. Poi aveva cominciato a picchiare la gemella. Il giorno che Rachel si era presentata con un occhio pesto, Geena e Paul si erano rivolti a Victoria Lessing. La psichiatra disse che, certo, era stato un gesto un po' eccessivo, ma le zuffe fra sorelle erano una cosa normale. Forse Angela non aveva previsto le conseguenze delle sue azioni. Adesso però aveva imparato e in futuro l'affetto per la sorella l'avrebbe trattenuta da gesti simili.

    Il problema era che Angela non sembrava provare alcun affetto per Rachel. A volte, anzi, Geena era sicura che la odiasse.

    Aveva cercato di parlarne con Paul, ma lui era accecato dall'amore per la figlia, non era in grado di capire come stavano le cose. Angela era brava a nascondere il suo lato oscuro con il padre e Paul la difendeva, sosteneva che sapeva farsi valere e che aveva una personalità più forte di Rachel. In futuro le sarebbe stato utile.

    Nemmeno Geena poteva immaginare quanto terrificante si sarebbe rivelato quel futuro.

    Il telefono squillò e Geena tornò al presente con un sussulto. Immaginava di chi potesse trattarsi, così sospirò e alzò gli occhi al cielo.

    «Ciao, mamma» disse, dopo aver sollevato la cornetta del telefono in cucina.

    «Come sapevi che ero io?» chiese all'istante Roberta Evans. «Ah, hai per caso installato l'identificatore di chiamata, giusto?»

    «Giusto, mamma» mentì Geena. Era più semplice che spiegarle che aveva sviluppato un sesto senso per i guai e le scocciature. «Che c'è?»

    «Rachel torna domani pomeriggio, vero? Non mi ricordo a che ora arriva.»

    «Alle cinque e cinque. Vuoi venire con noi?»

    «All'aeroporto, a quell'ora, la settimana prima di Natale? No, grazie. Preferirei combattere contro un orso polare.»

    Geena sentì che sua madre stava fumando e riuscì quasi a immaginarsela, i capelli tinti di rosso, il rossetto scuro, la sigaretta tra le dita. La adorava, nonostante le sue stravaganze. Anzi, amava anche quelle, più di quanto non lasciasse intendere.

    Sospirò, prese una scatola di cereali dal sacchetto e la ripose nell'armadio. «Ceneremo al ristorante, è probabile che rientreremo tardi.»

    «Continui a usare il plurale. Significa che viene anche Paul?»

    «Certo. Siamo sempre andati insieme a prendere

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