Un Natale da ricordare: Harmony Bianca
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Info su questo ebook
Nella vita dei fratelli McKeag c'è posto solo per il lavoro. Ma sotto le scintillanti luci di Manhattan stanno per scoprire il vero amore.
La dottoressa Angel Conley è disposta a fare qualsiasi cosa pur di portare un po' della gioia del Natale nella vita dei suoi piccoli pazienti. Di una cosa però è certa: non può contare sulla collaborazione del dottor Wolfe McKeag: Wolfe è il chirurgo più lunatico - e sexy! - con cui le sia mai capitato di lavorare. Entrambi hanno passato la propria vita a sfuggire all'amore e ai rischi che una relazione porta inevitabilmente con sé. Ma quando l'attrazione che provano l'uno per l'altra si trasformerà in qualcosa di diverso, saranno in grado di lasciarsi andare alla magia del Natale?
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Anteprima del libro
Un Natale da ricordare - Amalie Berlin
successivo.
1
La dottoressa Angelica Conley bussò prima di entrare nella stanza dove si trovava quella che era stata la sua prima paziente al Pronto Soccorso del Sutcliffe Memorial Hospital. Una paziente che era triste vedere ricoverata di nuovo, dopo quasi un anno.
«Ciao, Jenna.» Non era il suo medico curante in quel momento, aveva solo avuto il compito di scoprire e diagnosticare un nefroblastoma che si era ripresentato dopo sei mesi di remissione. Al momento Jenna era seguita da un oncologo pediatrico e dal chirurgo scozzese che incendiava le fantasie di Angel. Sperava che lui non se ne fosse accorto, ma vedendo come tutte gli cadevano ai piedi, forse lo aveva sospettato. Era una delle poche cose che aveva in comune con le sue colleghe. Di solito se ne stava in disparte, perché si sentiva un'anomalia che non si adattava allo scenario di Manhattan.
Avrebbe dovuto saperlo fin dall'inizio, aveva avuto tre decenni per accettare ciò che era scritto nel suo DNA, ma era cascata di nuovo nella fantasia che le cose potessero andare diversamente, che non importava chi fosse e da dove venisse. Dopo soli tre giorni dall'inizio del suo primo lavoro a New York il suo passato era tornato a colpirla ed era per questo che si era ritrovata al Sutcliffe. Una fortuna probabilmente, ma ancora...
Era un essere umano, soggetto alle emozioni che ne derivavano. Se lo scozzese dal flirt seriale non aveva ancora capito cosa voleva nascondere con la sua irritata reazione verso di lui, tanto meglio. Doveva solo starsene lì fino a gennaio e poi sarebbe stata abbastanza lontana da non preoccuparsi di quello che lui o il resto dei suoi colleghi di New York pensavano della bifolca che si era avventurata a studiare alla facoltà di medicina. E a mille chilometri di distanza non avrebbe nemmeno sentito le loro risate.
Ad Atlanta nessuno conosceva lei e la sua storia. Specialmente nessun vecchio fidanzato con cui l'aveva condivisa quando era abbastanza giovane e sciocca per farlo.
Ma in quel momento era Jenna a contare, non Angel con i suoi problemi o lo scozzese.
Anche se era difficile stamparsi in faccia un sorriso di fronte a notizie così cattive, doveva fare del suo meglio per mettere a suo agio quella ragazzina di dodici anni, specialmente dopo ciò che aveva sentito al mattino.
Jenna era stesa nel suo letto d'ospedale, sommersa dalle coperte, e le sue profonde occhiaie erano chiari sintomi della malattia e della febbre che ne derivava.
Non prestò attenzione ad Angel, che pure diceva di considerare la sua dottoressa preferita. Lo sguardo vacuo che rivolgeva alla televisione ritraeva perfettamente il suo stato di prostrazione fisica e psicologica.
«Ho sentito che non ti senti bene oggi» disse Angel sperando di scuoterla un po'. Mancavano tre giorni all'intervento e la ragazzina doveva nutrirsi, ma nella sua cartella clinica c'era scritto che si rifiutava di mangiare.
«No.» La risposta, insolitamente secca, allarmò Angel. Nonostante tutto Jenna aveva sempre mostrato un'aria allegra. Invece, in quel momento non c'era nemmeno l'ombra di un sorriso sul viso.
Angel pensò che la sua visita sarebbe durata a lungo. Nessun problema. Il suo piccolo appartamento mezzo vuoto non avrebbe sentito la sua mancanza.
La porta del bagno era chiusa. «Oggi tua madre è qui?»
«No.» Un'altra risposta secca.
Il tono colpì Angel e la spinse a piegarsi in avanti. Doveva essere successo qualcosa. Solo un avvenimento grave poteva impedire alla signora Lindsey di essere al capezzale della sua bambina.
Angel osservò l'atteggiamento della ragazza, il modo in cui teneva le braccia incrociate sul petto e cercava di evitare qualunque contatto con gli occhi. Non era la debolezza della malattia, era arrabbiata.
Angel sospirò e si sedette accanto a lei. A volte era contenta perché il suo passato le aveva almeno insegnato l'arte di sopravvivere. Poteva essere nata molto lontano da qualunque città e aver incontrato poche persone nella sua vita, ma riusciva a capire gli altri abbastanza da cogliere il primo accenno di pericolo e sapeva quando allontanarsi prima che le situazioni si aggravassero. Ed era anche brava a parlare con piccoli pazienti che rifiutavano di essere curati.
«Lei dov'è?»
«Con Mattie.» Jenna si mise a fissare le folate di neve fuori dalla finestra in quella fredda giornata di fine novembre.
«E dove sono andati?»
«È il suo compleanno» mormorò Jenna. «Quest'anno coincide con l'accensione dell'albero.»
L'albero di Natale del Rockefeller Center veniva accesso tutti gli anni il mercoledì successivo al Giorno del Ringraziamento. Ossia, proprio quel giorno.
«Era quello che aveva chiesto per il giorno del suo compleanno?» chiese stupita.
Difficile crederlo. Il bambino aveva quattro anni. Sarebbe stato più logico pensare che desiderasse essere portato a vedere l'albero del centro commerciale vicino a casa.
«Ci andiamo sempre. Tutti gli anni» spiegò Jenna con voce tremante.
Tutti gli anni, eccetto questo in cui lei non poteva andare. Un brutto anno in cui l'ultima settimana era cominciata con la perdita di un rene mentre il tumore aveva colpito la sua spina dorsale con così tanta violenza da pregiudicare il suo equilibrio e il controllo delle gambe. L'anno del suo secondo intervento chirurgico e della prospettiva di un altro ciclo di chemioterapia dopo Natale.
I suoi capelli erano appena ricresciuti abbastanza da poter essere pettinati di nuovo. Era dura per una ragazzina. Lo sarebbe stato anche per un adulto.
«Ci andrai l'anno prossimo» si lasciò sfuggire Angel e si rese conto immediatamente di avere detto la frase sbagliata, seguendo l'istinto e non un ragionamento razionale.
«No, non voglio.» Le parole sussurrate risuonarono come pietre nel silenzio della stanza. «Niente più vacanze dopo quest'anno. Forse il giorno di San Valentino, ma quale ragazzo vorrebbe una Valentina pelata?»
«Adesso stai dicendo delle sciocchezze.» Angel strinse la mano ossuta di Jenna. «Lo sai che domani ritroverai il tuo ottimismo. Ma cosa posso fare per te oggi?»
«Portarmi a vedere l'albero?»
Le avevano già detto di no tante volte, ma Angel dovette farlo di nuovo. «Tesoro, lo sai che lo farei se potessi. Senti, stasera alla TV daranno tutta la cerimonia con i cantanti e l'esibizione delle Rockettes. Potremmo guardarla insieme. Procuro qualcosa da mangiare e ce ne staremo sedute qui a goderci lo spirito del Natale.»
«Non è la stessa cosa» protestò Jenna. «Le riprese sono fatte da lontano. Invece io una volta ho scavalcato la protezione e sono arrivata sotto l'albero prima che mi ricacciassero indietro.»
Angel pensò che l'albero avrebbe potuto essere la leva per spingerla a mangiare.
«Cosa ne diresti se prendessi il mio smartphone e andassi al Rockefeller Center e riprendessi dal vivo quello che tu desideri vedere?»
Jenna finalmente la guardò.
«Lo faresti?» le chiese con la voce piena di speranza. «E mi prenderesti una cioccolata calda alla menta e i biscotti alla cannella dalla pasticceria?»
«Per te lo farò di certo. E tu? Vuoi fare qualcosa per me?»
«Cosa?»
«Mangiare» disse Angel. «Dirò di portarti qualcosa di buono. Tu lo mangi e io vado a riprendere la cerimonia di accensione dell'albero e poi ti porto quello che desideri.»
Per un attimo Jenna sembrò combattuta fra il riso e il pianto, poi il suo viso si aprì in un sorriso così luminoso da far sciogliere il cuore di Angel. «Lo farò!»
Angel si girò per prendere il suo portatile e insieme a Jenna controllò l'orario della cerimonia.
«Salve, ragazze.» Una voce gradevolmente profonda proveniente dalla porta della stanza annunciò l'arrivo dello scozzese.
Gli piaceva esercitare il suo fascino e lei era una delle tante deboli creature che non sapevano resistere, anche se ci provava. Purtroppo, di solito falliva. Nonostante tutti i tentativi di mostrarsi rilassata e indifferente, arrossì fino alla punta dei capelli.
«Jenna, tesoro mio, mi è giunta voce che non vuoi mangiare» disse il dottor Wolfe McKeag arrotando talmente le erre che sembravano risuonare ancora nella stanza dopo che ebbe finito la frase. Era una caratteristica di famiglia? In realtà suo fratello, il dottor Lyons McKeag che lavorava in Pronto Soccorso con Angel, sembrava più pratico del suono delle vocali inglesi. E della pronuncia delle erre.
Non erano affari suoi come il dottor Wolfe McKeag aveva deciso di vivere la sua vita o di parlare, ma lei trovava strano essere così orgogliosi del posto da cui si viene da cogliere ogni occasione per mostrarlo.
Lui di certo non viveva nel continuo timore di essere scoperto se qualcuno ti si avvicina. Lei si era rivelata con una persona e aveva perso il suo primo lavoro. La possibilità che potesse farlo con qualche altro ed essere licenziata di nuovo era un allarme sempre presente nella sua testa.
Angel non poteva immaginare la sua vita senza quel muro protettivo. Non riuscire ad essere mai a proprio agio con se stessa, con il suo passato. Anche un decennio dopo avere completamente abbandonato il posto e la gente dove aveva vissuto la sua vecchia vita, tutto quello che le veniva in mente, quando si sforzava di non pensare al passato, era solo il paio di pantaloni che aveva dovuto indossare per un anno intero. Quello che li aveva realizzati con quel velluto con un disegno mimetico doveva essere uno fuori di testa! Certamente non uno che aveva usato davvero una mimetica. E mimetizzarsi non era servito nemmeno a lei quando aveva cercato di abbattere di frodo un cervo per aiutare suo padre a riempire la loro dispensa desolatamente vuota.
Ormai niente di tutto questo aveva importanza. McKeag poteva fare l'affascinante con Jenna fin che voleva, lei non ci sarebbe cascata.
Lanciò un sorriso d'intesa alla bambina. «Dottor McKeag» disse come saluto dirigendosi verso la porta.
«Dottoressa Conley» le rispose lui lanciandole un'occhiata abbastanza intensa da farle provare un brivido lungo la schiena. Era una sensazione così rara che aveva creduto di non essere più in grado di avvertirla. Eccetto che con McKeag.
«Dottor Wolfe, mangerò. La dottoressa Angel mi porterà cioccolata calda alla menta e biscotti alla cannella.»
«La dottoressa Angel?» ripeté lui.
Sentendo pronunciare il suo nome da quella voce calda lei provò un altro, lungo brivido. Sperava che lui non lo pronunciasse più. Mai più.
«Lei è il mio angelo» aggiunse Jenna e bastò questo per spegnere il sorriso di Angel mentre lasciava la stanza per rifugiarsi nello spazio asettico e sicuro costituito dal corridoio vuoto.
Non aveva dimenticato certi segnali del corpo da quando era a New York al Sutcliffe, ma preferiva sentirsi come un cadavere dal collo in giù. Era la sua salvezza. Era meglio dedicare tutta se stessa a pensare quello che doveva fare, come trovare una nutrizionista per decidere il pasto di Jenna.
La porta della stanza si richiuse alle spalle della dottoressa Conley e lo spostamento d'aria portò alle narici di Wolfe il suo profumo. Come di frutta e qualcosa d'altro difficile da definire. Non pensava che lei fosse il tipo da usare del profumo. Oppure sì? C'era come una nota dolce che gli faceva pensare alle prime brezze di primavera dopo un lungo inverno. Un profumiere avrebbe potuto ricavarci una fragranza da milioni di dollari.
Probabilmente la sua pelle nuda profumava ancora di più, ma era qualcosa che poteva solo immaginare. Wolfe si era imposto solo poche regole e non frequentare una collega era la prima. Dopo un'infanzia rovinata dallo scandalo dei suoi genitori, non aveva seguito il fratello oltre Atlantico solo per aggiungere altri problemi a quelli che aveva già affrontato. Conley andava lasciata perdere in partenza, per quanto fosse profumata la sua pelle.
«Dottor Wolfe?»
La voce di Jenna lo distolse dai suoi pensieri richiamandolo al dovere. Aveva una paziente che doveva convincere a mangiare. Doveva essere divertente.
«Penso di avere l'alito cattivo.»
«Perché lo pensi?» ridacchiò Jenna.
«Per come se n'è andata di corsa