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Love. Un pensiero infinito
Love. Un pensiero infinito
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E-book475 pagine6 ore

Love. Un pensiero infinito

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Info su questo ebook

Bestseller mondiale

La serie più amata dalle lettrici americane è finalmente arrivata!

Kane ha bisogno di lei. E Kane prende sempre ciò di cui ha bisogno.

Aideen Collins è uno spirito libero. È cresciuta in una casa piena di uomini, e questo le ha insegnato a essere fredda e diretta. Kane Slater è un’anima tormentata. La gente si tiene alla larga da lui, a causa delle cicatrici che gli deturpano viso e corpo. Ma Kane ha imparato a usare a suo favore la paura che suscita negli altri, perché non vale la pena circondarsi di persone che non vedono oltre le apparenze. Si accontenta del piccolo giro di amicizie dei suoi fratelli e delle loro ragazze, almeno fino a quando un’irlandese di nome Aideen Collins non compare nella sua vita. Aideen è l’unica donna che osa dirgli in faccia quello che pensa di lui, senza timore di fargli male. E Kane è l’unico uomo che riesce a vedere oltre la dura scorza di Aideen. Non riescono a sopportarsi, eppure si desiderano…

«Finalmente un libro diverso… LO AAADOOORO!!!»

«Un susseguirsi di emozioni, fratelli fighi, pugni e frasi da brividi. Mi è piaciuto un sacco!!!»

«Finalmente sono arrivati i fratelli Slater! Non potete immaginare cosa sono questi cinque fratelli arrivati a Dublino direttamente da New York City! Sarà impossibile non rimanerne rapite.»

«QUESTA SERIE È UNA DELLE PIÙ INCREDIBILI E FANTASTICHE CHE IO ABBIA LETTO: ho riso, ho sospirato, ho sofferto e persino versato lacrime in due scene. A ogni pagina era un continuo volerne sempre di più. La storia si faceva sempre più bella e scoppiettante. Ne voglio ancora, LI VOGLIO TUTTI!»

«Sono stata risucchiata nella storia e la cosa non mi è dispiaciuta affatto. Non avrei mai pensato che un libro potesse darmi tutto questo. Mi ha fatto credere in qualcosa.»

«Un romanzo davvero intenso e divertente! L’ho iniziato senza pretese ma poi la storia mi ha coinvolto talmente tanto da leggerlo tutto d’un fiato!»

«L’autrice L.A. Casey mi ha da subito conquistata. Per l’originalità della storia, per l’ambientazione, per il racconto incalzante, per l’evoluzione dei personaggi. Che altro vi devo dire ancora per convincervi a iniziare a leggere questa nuova serie? Ne vale davvero la pena. Lo consiglio a tutte le lettrici di ogni età, troppo spassoso per perderselo!»
L.A. Casey
È nata a Dublino, dove risiede tuttora. Con la serie LOVE ha scalato le classifiche di «New York Times» e «USA Today». La Newton Compton ha già pubblicato Un nuovo destino, Un incredibile incontro, Un pensiero infinito, Fidati di me e Non smettere di amarmi mai, nonché, in e-book, le novelle Anime gemelle, Amori perduti, Come cuori lontani e Non lasciarmi mai.
LinguaItaliano
Data di uscita16 mar 2016
ISBN9788854194403
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    Anteprima del libro

    Love. Un pensiero infinito - L.A. Casey

    1248

    Titolo originale: Kane

    Copyright © 2015 L.A. Casey

    All rights reserved

    Traduzione dall’inglese di Brunella Palattella

    Prima edizione ebook: luglio 2016

    © 2016 Newton Compton editori s.r.l.

    Roma, Casella postale 6214

    ISBN 978-88-541-9440-3

    www.newtoncompton.com

    Realizzazione a cura di Librofficina

    Progetto grafico: Sebastiano Barcaroli

    Foto: © Ilina Simeonova / Trevillion Images

    L.A. Casey

    Love

    Un pensiero infinito

    Alla mia piccola me, grazie

    per essere una bambina davvero speciale.

    Capitolo uno

    Avevo mal di testa, uno di quelli martellanti, avvertivo un senso di nausea ed ero stordita: insomma, mi sentivo uno schifo, perché avevo paura.

    Ero davvero terrorizzata… e tutto per colpa di un maledetto bastoncino di plastica!

    Seduta nel bagno della casa dei fratelli Slater, cercai di non guardare lo stick che avrebbe decretato la mia sorte. Mi concentrai piuttosto sul pavimento di mattonelle e sullo stucco che le teneva insieme. Contavo le piastrelle, ma riuscivo ad arrivare solo fino a dieci o undici, poi, automaticamente, volgevo lo sguardo al lavandino.

    «No», sibilai tra me e me, bloccandomi prima di poter sbirciare. Non avrei voluto, ma dovevo sapere il risultato su quello stupido bastoncino. L’attesa mi stava consumando da quasi un’ora e mezza. Guardai verso il soffitto, con gli occhi sbarrati.

    Vorrei che fossi qui, ma’.

    Avevo bisogno di mia madre, avrei tanto voluto sfogarmi con qualcuno per la giornata schifosa che avevo trascorso. Deglutii e la immaginai davanti a me, ad ascoltarmi mentre le confessavo tutto nel dettaglio.

    Era stata una giornata densa di avvenimenti, per dirla con un eufemismo.

    Quel giorno, Keela e Alec avevano traslocato. Avevano lasciato il loro minuscolo appartamento per andare a vivere in una bella casa, di fronte a quella dei fratelli, a Upton. Essendo parte integrante di questo gruppo di matti, eravamo stati tutti chiamati ad aiutare a preparare i pacchi nel vecchio appartamento e a disfarli nella nuova casa.

    Ci eravamo molto divertiti a imballare, ma c’erano state anche delle discussioni… e tante altre cose di cui occuparsi, soprattutto per Keela.

    La mia amica era stressata e io lo avevo attribuito al trasloco, che è sicuramente un evento sfiancante. Poi, però, mi aveva confidato di non sentirsi bene, e non perché stava per trasferirsi in una nuova casa, ma perché aveva iniziato ad avere degli incubi a causa di un episodio di tredici mesi prima, che riguardava lei, suo zio e i fratelli. A Keela non era mai piaciuto parlarne. Ero al corrente dei fatti principali, ma non ne conoscevo i dettagli. Non avevo idea del perché Keela fosse così spaventata… a tal punto da avere gli incubi di notte a distanza di molti mesi.

    I brutti sogni non erano l’unico dei suoi problemi. La rapidità con cui Alec voleva far evolvere la loro relazione non la metteva a suo agio: lei avrebbe voluto divertirsi ancora un po’ e uscire con lui, mentre Alec voleva sposarsi e avere dei figli.

    Qual era il bello? Alec era all’oscuro di tutto: non sapeva degli incubi e ignorava i suoi dubbi su quello che desiderava dalla loro relazione. E ovviamente era venuto fuori tutto… durante la festa a sorpresa di benvenuto che aveva organizzato Alec. Keela non ne era stata affatto contenta: le era venuto una specie di crollo emotivo e, come se non bastasse, alla festa si erano presentati anche suo zio, sua cugina Micah e quel deficiente di suo marito, Jason.

    Avete presente quel suo zio delinquente, la cugina la cui foto è nel vocabolario sotto la parola stronza e suo marito che era la più grande testa di cazzo di tutti i tempi? Sì, quei bastardi. Si erano presentati e avevano scatenato discussioni e vere e proprie risse. Erano venuti a sapere della festa da quel cretino di mio fratello più piccolo, Gavin. Per qualche motivo, era diventato amico di Brandon e Jason, ma quella faccenda era nuova per me e non volevo pensarci. Avevo bisogno di tempo, prima di ragionare su cosa fare con quell’idiota che avevo aiutato a crescere.

    La situazione era già pessima di per sé, ma la ciliegina sulla torta era stata la cazzata che io, Branna, Bronagh e Alannah avevamo fatto nel bagno di Keela.

    Prima che le cose precipitassero, ci stavamo rilassando con qualche drink dopo una lunga giornata trascorsa a impacchettare e spacchettare, e avevamo pensato che sarebbe stato divertente fare un test di gravidanza. E lo era stato sul serio… finché non era arrivata Keela che aveva fatto cadere gli stick nel lavandino, mescolandoli tra loro. Normalmente non sarebbe stato un grave problema, ma indovinate com’era il risultato di uno dei test?

    Esatto.

    Una di noi era incinta e non avevamo idea di chi fosse. Grazie, Keela!

    Le cose si erano messe ancora peggio quando Alannah si era tirata fuori, giurando di non scopare da almeno sei mesi. Così, il piacere di essere incinta restava a Bronagh, Branna e me.

    Piacere, un corno!

    Avevo pregato che fossero Bronagh o Branna a essere in dolce attesa, semplicemente perché entrambe avevano una relazione stabile, e io no. La cosa più simile a una storia era il rapporto di odio-amore che avevo con Storm, che era un cane. E mi odiava.

    Stavamo per scoprire chi fosse la sfortunata, ma Keela era a corto di test di gravidanza. Tipico! Stava andando a prenderne altri, quando erano arrivati i bastardi sopraccitati e la cosa era passata in secondo piano per un’oretta o due.

    Appena la situazione si era calmata, Keela era andata al supermercato con Kane Slater – un vero e proprio coglione – per comprare altri test. Stavo aspettando con impazienza, insieme ai ragazzi, che tornassero.

    Nico, Ryder e Alec erano seduti nel soggiorno della casa di Keela e Alec, e stavano cercando – in tre – di rimettere insieme i cocci di un vaso. Una causa persa, ma ero comunque andata a casa di Ryder a prendere la colla quando me l’aveva chiesto.

    Dovevo andare in bagno e così ero finita, seduta sul gabinetto, a fissare un test di gravidanza. Avevo visto l’ultima confezione intatta sul lavandino e, anche se ero certa che avrebbe voluto utilizzarla Branna, l’avevo adoperata, perché dovevo sapere assolutamente se ero io quella incinta.

    Dovevo saperlo.

    Trovare il coraggio di guardare il risultato risultò più difficile di quanto immaginassi. Stavo per sbirciare quando il telefono vibrò probabilmente per la decima volta negli ultimi cinque minuti. Non avevo badato subito a chi fosse perché pensavo si trattasse di Gavin. Alla fine, lo tirai fuori dai pantaloni, guardai il numero sullo schermo e vidi che era Keela.

    «Aideen! Finalmente!», urlò.

    Rimasi impietrita. «Keela? Che c’è? Stai bene?»

    «No», rispose, piagnucolando. «Kane, è svenuto».

    Il cuore smise di battere, mi si contorse lo stomaco, mi venne un nodo in gola e iniziò a girarmi la testa. Ero ben consapevole di come mi sentissi in quel momento: ero terrificata.

    «Che diavolo vuol dire che Kane è svenuto?», gridai nel microfono del telefono.

    «Esattamente quello che ho detto. Eravamo al supermercato e si è accasciato. Senza avvertire, è caduto e basta. L’ambulanza è già arrivata e i paramedici lo hanno messo sulla barella. Vado all’ospedale insieme a lui. Puoi dire ai fratelli cos’è successo e di alzare il culo per venire subito in ospedale? Nessuno risponde a quei maledetti cellulari».

    «E le ragazze? Hai provato a chiamare loro?», chiesi, con voce rauca.

    «I telefoni squillano a vuoto. Le ammazzo. Sto morendo di paura e nessuno risponde a quei cavolo di telefoni», sibilò Keela.

    Sgranai gli occhi, sorpresa, quando sentii una lacrima rigarmi la guancia.

    Che diavolo sto facendo?.

    Mi asciugai rapidamente gli occhi e feci dei respiri profondi per calmarmi. Non sarei stata d’aiuto a nessuno se avessi dato di matto. Riuscii a rimanere concentrata, finché la mia migliore amica non mostrò cenni di cedimento. Chiusi gli occhi e sentii Keela tirare su con il naso dall’altra parte del telefono.

    «Andrà tutto bene, Kay», dissi, sperando di riuscire a consolarla, anche perché con me non stava funzionando.

    «Avvisa i fratelli e venite all’ospedale, per favore».

    Riattaccò e per un lungo istante rimasi immobile, cercando di elaborare ciò che mi aveva detto, ma non ci riuscivo. Era impossibile. Forse in fondo fu un bene, perché mi alzai subito in piedi e corsi fuori dal bagno e dalla casa degli Slater senza ripensamenti. Mi fiondai dall’altra parte della strada e mi lanciai sulla porta di casa di Alec e Keela, spalancandola per aprirla.

    «Ragazzi, oh, mio Dio, ragazzi!», urlai, mentre correvo nel salotto.

    «Aideen!», esclamò Ryder, afferrandomi per la spalla quando entrai nella stanza incespicando. «Calmati, dicci che sta succedendo».

    Inspirai ed espirai un paio di volte cercando di riprendere fiato. Quando lo feci, guardai Ryder e poi i suoi fratelli.

    «Keela ha chiamato dal supermercato».

    Alec si avvicinò. «Sta bene?».

    Io feci cenno di sì con il capo. «Lei sì».

    Anche Nico venne accanto a me. «E Kane?».

    Gli occhi si riempirono di lacrime. Di nuovo.

    Scossi la testa. «Dice che è accaduto tutto in fretta. Era accanto a lei e un secondo dopo era sul pavimento».

    I fratelli spalancarono gli occhi e Branna e Alannah alle loro spalle trattennero il fiato.

    «Ha provato a chiamarvi, ma non ha risposto nessuno. Sta andando all’ospedale insieme a lui, dobbiamo andarci anche noi, adesso», continuai.

    I pochi minuti che seguirono furono confusi: i ragazzi urlavano e le ragazze piangevano. Uscimmo in fretta da casa di Alec e Keela e ci mettemmo in macchina. Io andai con Ryder e Alec, Nico accompagnò le ragazze a prendere Bronagh.

    «Starà bene, vero?», domandai mentre Ryder correva sulla tangenziale, seguito da Nico, prima che svoltasse per andare a prendere la sua ragazza.

    Sentii una mano confortante sulla spalla. «Starà bene».

    Non parlavo con Dio da molto tempo, dal giorno in cui mia madre era morta quando ero bambina, ma nel tragitto verso l’ospedale, pregai che scoprissimo cosa avesse Kane e che stesse bene. Pregai più intensamente che mai e implorai il Signore che lo facesse riprendere.

    Sussultai quando squillò il telefono e risposi immediatamente.

    «Pronto?»

    «Dove siete?», gridò Keela.

    Stava piangendo, lo sentivo dalla voce.

    «Siamo quasi arrivati… sta bene?», domandai, preoccupata.

    I fratelli rimasero in attesa quando posi la domanda che tutti avevamo in mente.

    «Sto cercando di scoprirlo, ma non sono una sua parente, quindi devono esserci per forza i suoi fratelli», strillò Keela.

    «Perché?», chiesi, aspettando la sua risposta con il terrore nel cuore.

    «Perché non mi dicono se è vivo o morto».

    Capitolo due

    Dopo aver accostato davanti all’entrata del pronto soccorso, i due fratelli uscirono di corsa dall’auto e varcarono in tutta fretta le porte automatiche per raggiungere Keela… e Kane.

    Io rimasi seduta, paralizzata, non riuscivo a muovermi. Keela aveva detto al telefono che non sapeva se Kane fosse vivo o morto. Non significava che era morto, ma che sarebbe potuto esserlo e quella possibilità bastava a spaventarmi. Non potevo sentirmi dire che non c’era più. Se fosse morto, non avrei capito più nulla e non avrei neanche saputo spiegare il perché, dato che Kane… be’, lui mi faceva sempre incazzare.

    In fondo, fu un bene che fossi rimasta in macchina, perché Ryder non aveva tirato il freno a mano della jeep e non aveva tolto le chiavi dall’accensione. Non si preoccupava mai neanche di chiudere lo sportello. Lui e Alec erano scappati via, ed era comprensibile: uno dei loro fratelli era disteso su un letto da qualche parte all’interno di quell’ospedale.

    Osservai l’edificio, poi voltai rapidamente la testa. Odiavo quel posto, detestavo gli ospedali in genere. Era lì che era morta mia madre, e anche se ero piccola quando era accaduto, avevo sempre pensato che gli ospedali fossero posti orribili che strappano le persone ai propri cari. Ero consapevole che non fosse esattamente così, ma l’iniziale paura degli ospedali mi era rimasta. Sperai soltanto che, una volta entrata, non sarei uscita assieme a persone intente a organizzare un funerale. Non avrei retto.

    Presi le mie cose e mi spostai sul sedile del guidatore della jeep di Ryder, poi afferrai la maniglia. La strinsi forte, chiusi lo sportello e misi in moto. Sentii un paio di colpi di clacson dietro di me, ma non guardai nello specchietto retrovisore. Non stavo prestando molta attenzione, a dir la verità. Mi sentivo inebetita e inconsapevole di tutto… tranne di quella mano che batteva contro il finestrino.

    Strillai e mi aggrappai al volante.

    «Si deve spostare!». Un ausiliario del traffico mi scrutava accigliato attraverso il vetro. «Questo è solo un punto di discesa. Si sposti, signorina».

    Vaffanculo.

    Feci un cenno con il capo all’uomo e mi allontanai dalla zona di divieto di sosta, seguendo lentamente i cartelli che conducevano a un parcheggio pubblico con diversi piani, per scoprire che i primi tre erano già tutti pieni.

    A quanto pareva, erano tutti malati quel giorno nella zona di Tallaght.

    Ero incavolata nera quando giunsi al quarto livello, ma per fortuna trovai un posto vicino all’ascensore e alle scale, e riuscii finalmente a calmarmi. Al nostro arrivo, ero stata più che felice di lasciar andare avanti i fratelli, ma erano passati più o meno dieci minuti da quando avevamo ricevuto le ultime notizie e mi sentivo… nervosa. Volevo accertarmi che Kane stesse bene.

    Doveva stare bene, doveva essere vivo.

    Dopo aver parcheggiato, chiusi l’auto e presi un tagliando dalla macchinetta, poi uscii dal parcheggio e andai dritta al pronto soccorso. Il mio sguardo cadde sull’insegna mentre entravo e deglutii, tentando di tranquillizzarmi.

    Mi guardai attorno in cerca dei ragazzi e di Keela, ma non li vidi. «Merda», mormorai ad alta voce.

    Che diavolo dovevo fare?

    «Posso aiutarla, signorina?», mi domandò una guardia alla mia sinistra.

    Risposi con un cenno del capo, avvicinandomi all’uomo. «Sì, grazie. Un mio amico è stato portato al pronto soccorso non molto tempo fa, è arrivato in ambulanza. Si chiama Kane Slater ed è venuto qui con un’amica, Keela Daley, una rossa minuta. Ha avuto un collasso. Due dei suoi fratelli sono entrati qui circa dieci minuti fa, non può non averci fatto caso. Sono molto alti, più di un metro e ottanta, uno ha un taglio rasato sui lati, con capelli castani più lunghi sulla testa, un tatuaggio a forma di drago sul braccio destro, molto piacente, come suo fratello…».

    «Ah, sì. Gli americani, giusto?», mi interruppe la guardia. «Credo proprio che il tizio che ha appena descritto abbia minacciato di rompermi il naso se non li avessi lasciati passare per andare a trovare il loro fratello minore».

    «Alec di solito è molto gentile, lo giuro», risposi imbarazzata.

    La guardia fece una risatina. «Ne sono certo, ma purtroppo non posso aiutarla. Solo un familiare o un paziente può oltrepassare la porta alle mie spalle».

    Maledizione.

    «Be’, è interessante che abbia parlato di familiari perché…».

    «Aideen!».

    Trasalii quando sentii una voce urlare il mio nome. Mi girai di scatto e per poco non scoppiavo di emozione vedendo Nico entrare di corsa nel pronto soccorso, seguito da Bronagh, Branna e Alannah, tutte molto preoccupate.

    «Lui è un familiare!», dissi alla guardia. «È il fratello più piccolo di Kane, voglio dire, del paziente».

    La guardia osservò Nico quando venne al mio fianco e mi posò una mano sulla spalla.

    «Ci sono notizie?», mi chiese.

    Io scossi il capo. «Stavo parcheggiando e ora sto cercando di capire cos’è successo, ma devo essere un familiare».

    Nico freddò la guardia con un’occhiata. «Lei è un membro della famiglia, lo sono tutte», disse, indicando le ragazze accanto a lui.

    «E lei vuol farmi credere che tutte e quattro sono…», bofonchiò la guardia, ma Nico l’interruppe.

    «Sono le mie mogli».

    Io e le ragazze guardammo Nico con gli occhi sbarrati.

    «Cosa?», esclamò la guardia dopo una lunga pausa.

    Nico, imperturbabile, additò me e le ragazze, poi spiegò: «Sono le mie mogli. Legittime… Non siamo cattolici».

    Oh, mio Dio.

    La guardia spalancò gli occhi, poi si voltò a osservare me e le altre ragazze. Ero sicura che non avesse creduto alla bugia di Nico, finché non aprì la bocca e disse: «Che bastardo fortunato».

    Ehm, cosa?.

    Nico annuì con quella sua testaccia e sospirò. «Lo so, è difficile scegliere quella con cui andare a letto la sera, ma ho ideato un programma equo per tutte. Non voglio che litighino tra di loro per avere la mia attenzione, capisce? Cioè, è già difficile stargli dietro. Fare sesso ogni giorno è terribilmente faticoso, ma qualcuno deve pur farlo, no?».

    Rimasi ad assistere, sconvolta, alla scena di Nico che mentiva spudoratamente all’uomo che lo guardava con ammirazione, bevendosi ogni parola che gli diceva, come se stesse parlando con Gesù Cristo in persona.

    «Porca miseria», mormorò la guardia.

    Mi voltai verso le ragazze che ascoltavano Nico, scuotendo il capo, infastidite dalla reazione di quella guardia ingenua.

    «Eh sì», disse Nico. «Può farci passare per andare a trovare mio fratello? Non posso lasciarle qui da sole. Già sopportare la scenata di una donna è una tortura, figuriamoci quattro. Mi condannerebbe a morte, amico. A morte».

    Oh, uno dei fratelli Slater sarebbe morto quel giorno e avrei scommesso che non sarebbe stato Kane.

    «Certo», rispose la guardia, dandogli una pacca sulla spalla, come se fosse una specie di eroe. «Andate pure. I suoi due fratelli sono in fondo al corridoio, nell’ultima sala d’aspetto a destra».

    Nico ricambiò il gesto. «Grazie, amico. Grazie».

    Oh, santo cielo.

    Grugnii afferrando la mano tesa di Nico, e mi venne da ridere quando lo sentii sospirare, proprio mentre Bronagh gli stringeva l’altra.

    «Andrà tutto bene, marito», ringhiò lei. «Ci comporteremo bene con te oggi».

    «Sì», intervenni, mentre la guardia faceva strisciare la tessera per farci passare. «Ci prenderemo noi cura di te, tesoro».

    «Che figlio di puttana fortunato», commentò la guardia alle nostre spalle.

    Entrammo tutti insieme e, non appena le porte si chiusero, noi ragazze iniziammo a colpire Nico con schiaffi e pugni.

    «Ahi, ahi, ahi, cazzo!», disse lui, allontanandosi.

    Si voltò a guardarci e si mise a camminare all’indietro con le mani sollevate davanti al petto. «Non mi è venuto nient’altro da dire per farci entrare».

    Alannah lo fulminò. «Non ti è venuto niente di meglio da dire a parte che siamo le tue quattro mogli?».

    Nico si morse il labbro inferiore. «No».

    Bugiardo.

    Bronagh sbuffò, ma lui si rifiutò di guardarla, il che fu la cosa più intelligente che aveva fatto negli ultimi cinque minuti.

    «Siamo riusciti a entrare, no? Andiamo a cercare i miei fratelli e scopriamo cos’è successo a Kane», sospirò Nico, girandosi. «In che stanza ha detto la guardia che avremmo trovato Ryder e Alec?»

    «L’ultima a destra», mormorai.

    Ci affrettammo verso la sala d’aspetto. Nico entrò subito nella stanza, seguito dalle ragazze. Io rimasi indietro per qualche secondo, ma non avevo idea del perché. L’unica cosa a cui riuscivo a pensare era che avevo paura.

    Avevo terribilmente paura e questo mi preoccupava.

    Non sapevo cosa volesse dire: mi importava di Kane, dato che ero così in pensiero per lui? Mi piaceva? O volevo soltanto che non fosse morto per il bene di tutti? Scelsi l’ultima opzione, perché era l’unica che non mi avrebbe fatto esplodere la testa con altre stupide domande.

    Sobbalzai quando Bronagh fece capolino dalla porta. «Ehi, stai bene?»

    «Sto bene», risposi, con gli occhi sgranati.

    «Dài, vieni», mi invitò lei, prendendomi per mano.

    Mi feci guidare da Bronagh nella sala d’aspetto, dove tutti si voltarono a guardarmi. Mi fissai i piedi in attesa di sapere come stesse Kane. Bronagh mi posò una mano sulla schiena e disse: «Non si sa nulla ancora».

    Ne fui infastidita: dovevo – dovevamo – avere sue notizie.

    Serrai i pugni e farfugliai: «Datemi un minuto».

    Mi voltai e aprii la porta per tornare nel corridoio. Mi guardai attorno e vidi un’infermiera che leggeva una cartellina mentre camminava verso l’ingresso del pronto soccorso.

    «Mi scusi», urlai, andando spedita verso di lei. La donna si bloccò e si guardò alle spalle.

    «Posso aiutarla?», mi domandò, quando mi fermai davanti a lei.

    «Sì, grazie», risposi. «Sono qui con la famiglia di Kane Slater, e non abbiamo ancora ricevuto nessun tipo di informazione sulle sue condizioni. È arrivato qui circa venticinque minuti fa e i suoi fratelli sono nella sala d’aspetto in fondo al corridoio e stanno perdendo la pazienza. Sono alti più di un metro e ottanta e, messi insieme, pesano più di un toro. Per favore, venga a darci degli aggiornamenti, prima che si arrabbino sul serio».

    L’infermiera deglutì e fece cenno di sì con il capo.

    «Grazie», sussurrai, sollevata che avesse davvero creduto che i fratelli potessero essere pericolosi.

    In realtà, potevano perdere la testa facilmente, ma sapevo che non lo avrebbero fatto in quella circostanza. La mia piccola bugia ci avrebbe consentito di ottenere le informazioni di cui avevamo bisogno, quindi non mi importava cosa passasse per la testa dell’infermiera.

    Tornai nella sala d’aspetto e di nuovo si voltarono tutti a guardarmi. Poco dopo, si alzarono in piedi e i loro sguardi si spostarono sull’infermiera alle mie spalle.

    «Lei», le ringhiò contro Keela.

    Io corrucciai la fronte.

    Era accaduto qualcosa che non sapevo?

    «Oh, maledizione», bisbigliò la donna.

    «Le ho detto che volevamo un’altra infermiera!», scattò Keela.

    La donna si strinse nelle spalle. «Abbiamo poco personale oggi, o vi accontentate di me o niente».

    «Meglio niente, brutta strega!», urlò Keela.

    Oh, accidenti.

    Keela era infuriata.

    Mi avvicinai alla mia amica e le chiesi a bassa voce: «Cos’è successo?»

    «Quella stronza si è rifiutata di darmi informazioni su Kane. Ha chiesto alla guardia là fuori di tenermi alla reception quando lo hanno trasportato dentro. Se non fossero arrivati Alec e Ryder, sarei rimasta lì».

    «È il protocollo!», rispose l’infermiera. «Gliel’ho detto, sono le regole dell’ospedale, non decido io».

    «Glielo faccio vedere io il protocollo», replicò Keela con stizza.

    Io rimasi davanti alla mia amica.

    «Calmati», borbottai, poi sottovoce le dissi: «Aspetta che ci aggiorni su Kane».

    Keela si calmò subito, ma era evidente che non fosse contenta.

    Annuii e mi voltai verso l’infermiera. «Allora, come sta?», chiesi, con il fiato sospeso.

    L’infermiera sfogliò alcune pagine della cartellina e lesse alcune righe, poi si guardò attorno nella stanza. «Il signor Slater è stabile. Gli stiamo dando dell’ossigeno e gli abbiamo fatto una flebo per somministrargli dei fluidi. Inoltre lo stiamo sottoponendo a degli esami del sangue per comprendere la causa del collasso».

    Tirai un lento sospiro di sollievo, mentre elaboravo le parole dell’infermiera.

    Kane era stabile, era vivo!

    Grazie al cielo.

    «E non me lo poteva dire?», urlò all’improvviso Keela. Alec si era lanciato in avanti per fermarla e impedirle di aggredire l’infermiera. «Perché non mi ha detto che era vivo? Come ha osato non darmi quell’informazione? Mi ha fatto temere che fosse morto! Mi ha fatto dire ai suoi fratelli che poteva essere morto! Come ha potuto!».

    L’infermiera stava per mettersi a piangere e non capivo se fosse perché Keela le stava urlando contro, o perché si sentiva in colpa per aver omesso un’informazione così importante alla famiglia del paziente. Non m’importava però, volevo che quella stronza piangesse. Ci aveva tenuti sulle spine finché non eravamo arrivati e i fratelli non avevano dimostrato di avere un legame di sangue con Kane.

    «M… mi dispiace», balbettò la donna.

    Keela cercò di afferrarla con le braccia tese. «Le dispiace? Ah, ci credo!», sbraitò.

    L’infermiera fece saggiamente un passo indietro. «Signorina, si calmi o dovrò chiamare…».

    «Non ci provi neanche. Non minacci di chiamare la sicurezza e di farla uscire quando parte della nostra famiglia è su un letto di questo ospedale. Se lo fa, ci metto lei accanto a lui», affermai.

    «Merda», esclamò Nico, attraversando rapidamente la stanza per fermarsi davanti a me. Mi mise le mani sulle spalle e mi fece arretrare di qualche passo. Si voltò a guardare dietro di sé e disse: «Farebbe meglio ad andare, la sua presenza sta innervosendo le ragazze».

    L’infermiera mormorò qualcosa e poi uscì dalla stanza, chiudendo la porta.

    «Avresti dovuto permettermi di picchiarla!», urlò Keela ad Alec, quando si girò tra le sue braccia. Alec non disse nulla, ma la strinse finché lei non si calmò e lo abbracciò.

    Restammo tutti in silenzio per un momento finché non dissi: «Sta bene».

    Nico mi strinse appena scoppiai a piangere. Quando Bronagh si avvicinò a noi, la tirò a sé e io cinsi entrambi con un braccio, lasciando scorrere le lacrime.

    Sentii le altre ragazze piangere per il sollievo e i ragazzi che si davano pacche sulle spalle. Aprii gli occhi e vidi Ryder poggiare la testa contro quella di Nico, dandogli un colpetto affettuoso sulla schiena. Piansi ancora più intensamente quando notai che delle lacrime rigavano il viso di quest’ultimo.

    Non l’avevo mai visto piangere prima d’ora. Mai.

    Lasciai che lui e Bronagh si confortassero a vicenda. Sapevo che Nico aveva bisogno di lei in quel momento ed ero felice che potessero contare l’uno sull’altra. Stava per iniziare la parte più difficile e avremmo dovuto starci vicini per affrontarla. Sapevamo che Kane stava bene, ma non avevamo idea di cosa gli fosse successo e perché.

    Mi sedetti su una delle tante sedie di plastica nella sala d’aspetto, piegandomi in avanti. Posai i gomiti sulle ginocchia e nascosi il viso tra le mani. Chiusi gli occhi e mi concentrai sulla respirazione. All’improvviso temetti di poter vomitare. Non ero sicura se fosse per l’immenso sollievo che provavo per aver scoperto che Kane stava bene o per qualcos’altro.

    «Aideen?».

    Alzai lo sguardo, quando Keela pronunciò il mio nome.

    «Sì?», domandai.

    Keela si sedette accanto a me e mi posò una mano sulla schiena. «Non hai un bell’aspetto».

    Io feci una risatina e mi tirai su.

    «Sento che sto per vomitare, credo sia per l’agitazione. Ero così… spaventata».

    Keela si avvicinò e poggiò la testa sulla mia spalla. «Lo so, anch’io. Quando è caduto… e il rumore che ha fatto per terra… Non sapevo cosa fare».

    «L’hai portato qui, è quello che conta», la tranquillizzai.

    Keela annuì e tirò su con il naso.

    Mi accigliai e mi voltai per poterla stringere.

    Tra tutti noi, era l’ultima persona che aveva bisogno di sentire addosso il peso della malattia di Kane. Aveva già abbastanza pensieri per la testa. La abbracciai e le sussurrai parole di conforto all’orecchio.

    Alec prese il mio posto dopo un po’, così mi alzai, abbracciai tutti gli altri nella stanza e mi andai a sedere su una sedia accanto alla porta della sala d’aspetto. Passò qualche ora e mi ritrovai a fissare fuori dalla finestra la luna che si faceva spazio nel cielo notturno.

    Spalancai gli occhi quando si aprì la porta. Entrò l’infermiera che qualche ora prima aveva rischiato di diventare il sacco da pugilato di Keela. Ero l’unica ragazza sveglia in quel momento: Bronagh dormiva su Nico, Keela su Alec e Alannah e Branna avevano poggiato la testa sulle gambe di Ryder. I ragazzi stavano guardando una partita di football americano sulla

    TV

    silenziosa, ma quando la porta si aprì, tutti si voltarono a guardare.

    L’infermiera deglutì nervosamente. «Ho finito il turno e dovrei avvertirvi che l’orario delle visite è terminato, ma so che non avete ancora visto il vostro caro. Quindi ho chiesto qualche favore al personale del turno di notte e consentiranno ad alcuni di voi di restare con il signor Slater nella sua stanza. Gli altri possono aspettare qui, e poi potrete darvi il cambio. È il mio modo per chiedervi scusa. Mi dispiace di aver fatto arrabbiare così tanto la vostra amica, stavo solo adempiendo al mio dovere».

    Afferrai la mano dell’infermiera ed esclamai: «Grazie mille, e mi dispiace. Parlo anche a nome di Keela. Ci siamo comportate male, ma eravamo…».

    «Spaventate?», terminò l’infermiera al posto mio, abbozzando un sorriso.

    Io annuii.

    «Lo capisco», replicò, dandomi un foglio di carta. «Questi sono il nome del reparto in cui è stato portato il signor Slater e il numero della sua camera. Dovrete lasciare questa stanza al mattino, perché servirà ai familiari degli altri pazienti del pronto soccorso. C’è una sala d’aspetto simile in reparto, potrete stare lì se ne avrete bisogno».

    «Grazie», dissi, poi mi schiarii la voce e aggiunsi: «Lo apprezziamo molto».

    L’infermiera inclinò il capo e ci rivolse un sorriso tirato, poi uscì dalla stanza. Restammo in silenzio finché Alec non disse: «Dobbiamo far minacciare più spesso la gente da Keela, se questi sono i risultati».

    Io ridacchiai e scossi il capo, poi lessi il foglio che mi aveva dato l’infermiera.

    «È nell’ala St Peter, camera 9», dissi, e guardai i fratelli, poi le ragazze. «Andate voi. Loro quattro resteranno a dormire finché non ci daremo il cambio».

    «Sei sicura?», domandò Ryder.

    Ero sicura?

    «Certo», risposi, mordendomi il labbro. «È vostro fratello».

    I ragazzi non dissero nulla, poi fecero un cenno con il capo e spostarono attentamente le ragazze per potersi alzare. Nico ebbe qualche problema a togliersi Bronagh di dosso, così Alec andò ad aiutarlo. Mi venne da ridere mentre li osservavo. Mi coprii la bocca con una mano e sghignazzai in silenzio, mentre Nico si liberava dalla morsa della sua bella addormentata.

    Le baciò la testa, si tolse il maglione e lo posò su di lei per tenerla al caldo. Poi venne verso di me e mi diede giocosamente un calcio alla gamba quando vide che stavo ridendo. «Ha la presa di un anaconda, non farti ingannare dalle dimensioni. È piccina, ma fidati, è forte, molto forte».

    «Non ne dubito, marito», gli dissi, facendogli l’occhiolino.

    Nico sorrise, poi scoppiò a ridere quando Ryder e Alec gli chiesero cosa intendessi. Anch’io feci un sorrisino.

    Ora ti tocca spiegarglielo, buona fortuna, amico.

    «Ve lo spiego per strada, andiamo», replicò Nico, sorridendo, mentre prendeva il biglietto che mi aveva dato l’infermiera.

    Quando passarono davanti a me, Ryder mi fece l’occhiolino e Alec mi salutò battendo il pugno sul mio. Chiusero delicatamente la porta e non appena uscirono, il silenzio piombò nella stanza. Sentivo il respiro delle ragazze, ogni tanto Bronagh russava un po’, ma a parte quello, era tutto molto tranquillo.

    Poggiai la testa contro il muro della sala d’aspetto e sospirai. Incrociai le braccia al petto e le gambe sotto il sedere, e chiusi gli occhi per rilassarmi un po’. Ero in una posizione scomoda, ma non era per quello che mi sentivo a disagio: era per via di Kane che si trovava in ospedale. La situazione non era così terribile, perché era vivo e stabile. Non stava bene perché era pur sempre in ospedale, ma era vivo e quella era la cosa importante.

    Avrei preferito mille volte che fosse malato, ma vivo, piuttosto che morto e sepolto.

    Capitolo tre

    «Aideen?».

    Emisi un gemito, cingendomi il corpo con le braccia, cercando di dormire ancora un po’.

    «Aideen? Ehi, svegliati».

    Qualcuno mi diede un colpetto sulle gambe facendomi svegliare di soprassalto. Feci una smorfia e battei lentamente

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