La nostra favola di Natale: Harmony Collezione
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Info su questo ebook
È un'altra volta Natale, e quest'anno Deke Malone decide di accettare l'invito della sorella e torna a casa per le festività. È un vero tuffo nel passato, anche perché incontra inaspettatamente Erin Jones, la migliore amica di un tempo, ancora più bella di quanto ricordasse.
Sono entrambi cambiati, e cambiato sembra anche il modo in cui si guardano. L'attrazione che li unisce diventa ogni giorno più intensa e irresistibile. Tutto tra loro sembra muoversi nella direzione giusta, ma allora perché Deke ha tanta paura a pronunciare la parola Amore?
Anne McAllister
Autrice di grande versatilità, ha vinto il premio RITA per la letteratura romantica ed è acclamata dai fan di tutto il mondo.
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Anteprima del libro
La nostra favola di Natale - Anne McAllister
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
The Cowboy’s Christmas Miracle
Silhouette Special Edition
© 2002 Barbara Schenck
Traduzione di Maria Teresa Delladio
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Enterprises II B.V. / S.à.r.l Luxembourg.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
Harlequin Mondadori S.p.A. All Rights Reserved.
© 2003 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-5891-660-5
www.eHarmony.it
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1
«Pa» proruppe il bimbo seduto sul seggiolino del fuoristrada, aggrappandosi alla cintura di sicurezza. «Pa» ripeté con poca convinzione. «Paaaaa... Pa-pa-pa-pa...» Poi la parola giusta: «Papà...». Allora il bambino guardò trionfante l’uomo che stava guidando: suo padre.
Io, pensò Deke Malone, fissando suo figlio dallo specchietto retrovisore. Sebbene fossero passati tre mesi, ancora non si era abituato del tutto all’idea di essere padre.
Due anni e mezzo prima aveva contribuito inconsapevolmente al concepimento di un bimbo. Il piccolo che ora era in macchina con lui e del quale fino a tre mesi addietro non ne sospettava lontanamente l’esistenza. Finché, in un pomeriggio d’agosto, non era comparsa alla porta una sconosciuta.
Aveva un aspetto molto formale nella gonna blu e camicetta celeste. Era diversa dalle ragazze che lo seguivano bussandogli addirittura alla porta di casa ora che godeva di una certa notorietà.
Quella donna si era presentata come la signora Trammel dei Servizi Sociali per la Tutela dei Minori o qualcosa del genere. Senza indugi, Deke le aveva risposto di aver sbagliato indirizzo.
«Non è il signor Malone? Daniel Kevin Malone?» gli aveva domandato a quel punto, controllando il nominativo nelle carte che stringeva in mano.
«Sì» aveva confermato lui.
«Allora non ci sono errori. Le ho portato suo figlio.»
Per un momento, il mondo intero si era fermato.
Figlio?
Era una parola non contemplata nel suo vocabolario. Deke non era un uomo da metter su famiglia. Infatti non ne aveva mai preso in considerazione neppure l’ipotesi. Quando il significato di quel vocabolo aveva cominciato a penetrargli nella mente, Deke era arretrato di un passo e aveva sollevato le mani in cenno di diniego. «Mio figlio? Oh, no, signora! Non se ne parla neanche. Ha sicuramente sbagliato persona. Io non ho figli.»
Ma la donna lo aveva assicurato del contrario.
«E chi sarebbe la madre?» aveva domandato, certo che si trattava di un errore.
«Si chiamava Violet Ashton.»
«Violet?»
Quella notizia era stata ancor più sbalorditiva.
Violet Ashton aveva avuto un figlio da lui? La Violet che aveva scalato l’Everest e che aveva trascorso un’intera stagione al Polo Sud? No, non poteva essere! Non era il tipo da diventare madre.
Infatti, nella dozzina di volte che erano usciti insieme, Deke non l’aveva mai sentita dire di volere un figlio. Violet gli era sempre piaciuta. E una delle cose che più gli piaceva di lei, a parte l’entusiasmo che metteva nel sesso, era proprio quella di non essere minimamente interessata a costruirsi una famiglia. Proprio come lui.
«Si può sapere di che sta parlando? Dove diavolo sta Violet?» le aveva domandato Deke.
La signora Trammel aveva risposto alla prima domanda, spiegandogli che stava parlando di un bimbo di circa diciassette mesi che si chiamava Isaac Daniel Ashton.
Suo figlio. E di Violet.
«Nel certificato di nascita del bambino è stato indicato lei come il padre» aveva dichiarato, mostrandogli il documento. E mentre lui lo consultava, la donna aveva proseguito rispondendo alla seconda domanda annunciandogli, non senza imbarazzo e dispiacere, che Violet era morta.
«Mo... morta?» aveva balbettato lui, esterrefatto.
«È annegata un paio di settimane fa in Cile. Si era recata laggiù per conto di una rivista. È ritornato soltanto Zack.»
«E chi è Zack?»
«Isaac» gli aveva spiegato la signora Trammel con pazienza. «Suo figlio. Isaac Daniel. Violet lo chiamava Zack.»
Deke non riusciva a capacitarsi, ma siccome la signora Trammel non se ne andava, alla fine si era dovuto arrendere. L’aveva fatta accomodare in casa e la donna gli aveva mostrato tutti i certificati, compreso quello di morte di Violet e la dichiarazione giurata di una sua amica nella quale si affermava che Violet le aveva confidato che Daniel Malone era il padre del bambino.
A furia di fissare il certificato di nascita del piccolo, Deke era riuscito a memorizzarne i dati. Isaac Daniel Ashton era nato a Sant’Antonio, nel Texas, il 24 aprile dello scorso anno. Pesava tre chili e settecento grammi e misurava cinquantun centimetri. Sua madre si chiamava Violet Mary Ashton e suo padre era... Daniel Kevin Malone.
«Papà!» ripeté Zack, felice, gettando in aria un giocattolo. «Papà, papà, papà.»
Deke lanciò di nuovo un’occhiata al figlio attraverso lo specchietto retrovisore e lo vide dimenarsi nel seggiolino. Dovevano fermarsi, e presto. Erano in viaggio dalla mattina e Zack non amava i viaggi lunghi. Due ore inchiodato nel seggiolino era molto più di quanto potesse sopportare il bambino. Aveva bisogno di muoversi, di scaricare le energie che accumulava, di giocare con il padre.
Per fortuna, non andavano di fretta.
Erano nello Wyoming, vicino al confine col Montana, e avevano appena superato l’uscita autostradale che conduceva al ranch di sua sorella Dori e di suo cognato Riley. Ma non sarebbero andati a trovarli perché si sarebbero incontrati a Livingston alla cena del Ringraziamento organizzata dai genitori.
A quel pensiero, fu preso dall’angoscia.
«Papà, fame...»
«D’accordo. Ora ci fermiamo» gli rispose, consapevole di posporre l’inevitabile.
Deke uscì dall’autostrada e si fermò alla prima cittadina, dove cercò il parco locale. Lì mangiarono e giocarono un po’ prima di riprendere il viaggio. Ma, non appena si rimise alla guida, Deke fu colto di nuovo dall’angoscia.
Naturalmente nessuno lo costringeva ad andare. Nessuno gli aveva puntato una pistola alla tempia. I genitori non lo aspettavano neppure. Perché avrebbero dovuto? Mancava da casa da ben quindici anni.
Ma Milly, la sorella più giovane e la pacificatrice della famiglia, gli aveva telefonato un mese prima, invitandolo.
«Vengono anche Dori e Riley con i bambini» aveva insistito. «Pensa, potresti vedere tutti i tuoi nipotini e conoscere Cash e Riley» aveva aggiunto. Già, perché Deke, per non essere fonte di tensioni, aveva preferito, sebbene a malincuore, non partecipare al matrimonio delle sorelle e pertanto non conosceva neppure i cognati. «E noi potremmo conoscere Zack una buona volta.»
Milly e Dori sapevano di Zack. Forse, adesso, lo sapeva pure suo padre. Ma Deke non lo aveva reso noto subito. Aveva avuto bisogno di tempo per abituarsi lui stesso all’idea di avere un figlio. Non aveva mai cambiato un pannolino in vita sua, né preparato una pappa. Non sapeva che cosa significasse camminare avanti e indietro con un bambino in braccio per farlo addormentare, né conosceva la preoccupazione che poteva assalire un genitore nel vedere il figlio ferito o con quaranta di febbre.
Non sapeva nulla di tutto ciò. Ma aveva imparato. E in fretta.
Dopo aver fatto la figura dell’idiota per aver portato al pronto soccorso Zack che piangeva disperato per sentirsi dire che stava mettendo i denti, Deke aveva cercato un pediatra con il quale era costantemente in contatto. Gli piaceva essere padre. Amava il bambino che lo stringeva forte con le sue braccine, che rideva ai versi degli animali o che gli bagnava la camicia con i suoi lacrimoni.
Chissà se suo padre aveva mai provato quelle emozioni. John e Deke Malone, entrambi ostinati e sicuri di sé, avevano combattuto dure battaglie al tempo della sua adolescenza. Da piccolo, era stato la luce dei suoi occhi, ma, quando Deke aveva mostrato di possedere una sua volontà, le cose erano cambiate drasticamente.
Deke amava gli spazi aperti, i cavalli, il bestiame e la piccola macchina fotografica che gli aveva regalato il nonno materno. Quell’oggetto gli aveva permesso di vedere il mondo in un modo nuovo e da allora aveva capito che non voleva trascorrere il resto della vita nel negozio di alimentari di famiglia.
Suo padre, naturalmente, non era stato d’accordo.
I dissapori erano cresciuti durante gli anni del liceo e si erano aggravati all’epoca dell’università. L’ultima lite era scoppiata quindici anni prima, poco dopo il conseguimento della laurea. Deke aveva annunciato a suo padre l’idea di volersi recare a Parigi per perfezionare gli studi di fotografia. Ricordava ancora quel giorno: John lo aveva fissato da sopra il quarto di bue che stava macellando, aveva scosso la testa e gli aveva detto di finirla con tutte quelle stupidaggini e di pulire i cavolini di Bruxelles.
Quella era stata la classica goccia che aveva fatto traboccare il vaso. Deke si era sfilato il grembiule da macellaio ed era uscito dal negozio.
Non ci era più tornato. Era andato via di casa quella notte stessa. Aveva lavorato dove capitava, ma scattava fotografie a ogni occasione.
Deke e suo padre non si erano più parlati da quel giorno. Né Deke aveva mai pensato a lui fino a quando non aveva tenuto Zack tra le braccia.
Soltanto allora aveva cominciato a domandarsi che sentimenti suo padre avesse provato per lui. John Malone aveva appena ventun anni quando lui era nato e lavorava già nel negozio accanto a suo padre. Che cosa aveva sperato per lui quando lo teneva tra le braccia? Deke non avrebbe saputo rispondere.
I ricordi gli affiorarono alla mente. Non solo quelli degli ultimi tempi pieni di continui litigi, ma anche quelli precedenti, dei momenti felici.
Ricordi che aveva rimosso, ma che ora stavano riemergendo e che lo facevano riflettere. Chissà com’era suo padre, adesso?
Si sarebbero capiti? Avrebbero finalmente fatto pace? E lui lo voleva sul serio?
Deke aveva accettato l’invito di Milly con sua stessa grande sorpresa. «Ma non dire a nessuno che veniamo» l’aveva ammonita.
«In tal caso che fai, fratellone? Batti in ritirata?»
«No, te lo prometto» aveva risposto lui, ma solo Dio sapeva quanto forte era stata la tentazione di tirarsi indietro all’ultimo momento.
Deke guardò nello specchietto retrovisore e vide che Zack si era addormentato. Non sarebbe stato necessario fermarsi ancora e verso l’imbrunire sarebbero arrivati a Livingston. E, dopo ben quindici anni, lui avrebbe rivisto suo padre. Il figliol prodigo era tornato a casa...
Peccato, però, che non sarebbe stato ucciso il vitello più grasso in suo onore.
La casa era sempre la stessa. Un cottage di legno dipinto di bianco disposto su due piani con degli abbaini, intorno al quale correva un lungo patio.
«Siamo arrivati, tesoro» disse Deke, prendendo Zack dal seggiolino. Il bimbo guardò meravigliato la neve che non aveva ancora mai visto. «Dopo faremo un bel pupazzo»