Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Alla corte dello zar (eLit): eLit
Alla corte dello zar (eLit): eLit
Alla corte dello zar (eLit): eLit
E-book449 pagine6 ore

Alla corte dello zar (eLit): eLit

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

INTRIGHI DI CORTE - Vol. 1. Quando scopre che qualcuno vuole uccidere il suo gemello Stefan, Duca di Huntley, Edmond Summerville lascia la Russia e si precipita in Inghilterra. Avventuriero inquieto e spia al servizio dello zar, il giovane propone al fratello uno scambio d'identità per sventare il pericolo incombente. Purtroppo un'amica di infanzia, Brianna Quinn, scopre il piano, tanto che Edmond è costretto a farla diventare una pedina del suo gioco. Un gioco che diventa sempre più pericoloso, e che rischia di sfuggirgli di mano quando si accorge di non poter resistere alla bella fanciulla dai capelli rosso fuoco. A quel punto, chi vuole rovesciare la dinastia dei Romanov coglie l'occasione per porre Edmond davanti a un bivio: continuare a servire fedelmente lo zar, o rimanere al fianco di Brianna, l'amore della sua vita?



I volumi della serie:

1)Alla corte dello zar

2)La figlia dello zar

3)Le notti di San Pietroburgo
LinguaItaliano
Data di uscita30 dic 2016
ISBN9788858964231
Alla corte dello zar (eLit): eLit
Autore

Rosemary Rogers

Nata a Ceylon, l'odierno Sri Lanka, attualmente vive nel Connecticut. Definita dai maggiori quotidiani americani "la regina dei romanzi storici", ha scritto molti bestsellers di successo, pubblicati in tutto il mondo.

Leggi altro di Rosemary Rogers

Autori correlati

Correlato a Alla corte dello zar (eLit)

Ebook correlati

Narrativa romantica storica per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Recensioni su Alla corte dello zar (eLit)

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Alla corte dello zar (eLit) - Rosemary Rogers

    successivo.

    1

    Russia, 1820

    Tzarskoye Selo

    Il viaggio da San Pietroburgo a Tzarskoye Selo non era affatto arduo durante i brevi mesi estivi, quando le strade erano buone e la brezza fresca portava un gradevole profumo di fiori selvatici e di terra fertile.

    Ed era proprio questo il motivo per cui l'imperatore aveva lasciato il palazzo estivo due giorni prima, dichiarando che con un tempo così bello era troppo allettante l'idea di trascorrere qualche giorno lontano dalle pressioni della corte.

    Alessandro Pavlovich avrebbe usato qualsiasi scusa per sottrarsi ai suoi pesanti doveri. Per quanto riguardava Lord Edmond Summerville, era solo un capriccio imperiale.

    Superando un leggero dosso della strada, Edmond voltò il cavallo nero verso il sentiero che conduceva a Ekaterinsky, il più grande dei due palazzi che si innalzavano in maestoso splendore in mezzo alla campagna russa.

    Il capolavoro di Caterina la Grande era una visione spettacolare. Lunga più di mille iarde, la costruzione di tre piani aveva una facciata azzurro cielo che contrastava gradevolmente con le cinque cupole dorate della cappella.

    Lungo la facciata principale una serie di figure femminili scolpite in bronzo e avvolte da morbidi drappeggi risplendeva alla luce del sole.

    Edmond non rallentò l'andatura mentre varcava i cancelli dorati che immettevano nel grande cortile e si fermò bruscamente proprio davanti all'ingresso.

    Il suo arrivo fece scattare in azione una dozzina di staffieri che presero in consegna la sua cavalcatura e quelle dei suoi battistrada.

    Come figlio più giovane di un duca, Edmond era abituato al lusso e alla cerimoniosità che circondava le altezze reali e notò appena il viavai dei domestici mentre saliva le scale di marmo e faceva il suo ingresso nella vasta anticamera.

    Lì venne accolto da uno dei più fidati consiglieri di Alessandro, vestito con un mantello color oro scuro e un panciotto a righe che sarebbe stato perfettamente adeguato in qualsiasi salotto londinese. La moda europea era sempre la preferita dall'aristocrazia russa.

    Herrick Gerhardt era di origine prussiana ed era arrivato a San Pietroburgo a soli diciassette anni. Di costituzione piuttosto esile, aveva una folta chioma di capelli argentei e penetranti occhi castani che rivelavano un'intelligenza fredda e implacabile.

    Era un uomo che non sopportava gli stupidi e che si era fatto numerosi nemici alla corte russa perché aveva l'abilità di vedere al di là dei suoi perfidi intrighi.

    La sua devozione all'imperatore era fuori questione, ma il suo talento diplomatico era tristemente carente.

    «Edmond, che sorpresa inaspettata!» esclamò nel perfetto francese che parlavano tutti i nobili russi, scandagliando con lo sguardo il volto ben cesellato, i vividi occhi blu in netto contrasto con i capelli corvini e le sopracciglia arcuate, la bocca generosa che non sfoggiava il consueto sorriso seducente.

    Pur essendo figlio di un duca inglese, Edmond aveva ereditato gli alti zigomi slavi dalla madre russa, come pure la fossetta sul mento che attirava gli sguardi femminili fin da quando aveva lasciato la stanza dei bambini. Nutriva anche un amore profondo per la terra materna, che il fratello non avrebbe mai potuto comprendere.

    Salutò Gerhardt con un rispettoso cenno del capo.

    «Temo di dovervi chiedere qualche minuto con l'imperatore.»

    «Ci sono problemi?»

    «Solo di natura personale.» Il timore che l'aveva assalito dopo aver ricevuto l'ultima missiva del fratello gli stringeva il cuore in una morsa. «Devo rientrare in Inghilterra senza indugio.»

    L'uomo più anziano si irrigidì e il suo volto scarno si fece più duro. «Non è il momento migliore per lasciare Sua Altezza Imperiale» dichiarò in tono severo. «Credevo che sareste andato con lui al congresso di Troppau.»

    «Temo che si tratti di una sfortunata emergenza.»

    «Ben più che sfortunata. Sappiamo entrambi che sta crescendo la sfiducia nei confronti di Metternich e della sua influenza sull'imperatore. La vostra presenza sarebbe servita a tenere a bada il principe.»

    Edmond si strinse nelle spalle, incapace di provare disappunto al pensiero di non assistere alla riunione della Quadruplice Alleanza che si sarebbe tenuta nella capitale della Slesia, conosciuta in polacco come Opava e in tedesco come Troppau. Nonostante la passione per la politica e i suoi intrighi, disprezzava le rigide formalità di quei convegni diplomatici. Non riusciva a immaginare niente di più tedioso che guardare quei dignitari pieni di sé incedere sussiegosi e appuntarsi reciprocamente medaglie al petto.

    I negoziati seri erano quelli condotti dietro le porte chiuse, lontano dalla vista dei più.

    Il fatto era che, senza la presenza della Gran Bretagna e della Francia, il congresso poteva considerarsi fallito prima ancora di avere inizio.

    Tuttavia, Edmond non avrebbe mai dato voce ai propri dubbi di fronte a Gerhardt. L'imperatore era deciso a portare avanti quella missione e dai suoi stretti collaboratori ci si aspettava che sostenessero la sua determinazione a stroncare i moti di Napoli.

    «Temo che sopravvalutiate la mia influenza» mormorò invece.

    «No, so bene che siete uno dei pochi consiglieri che gode ancora della fiducia di Alessandro Pavlovich.» Gerhardt fissò Edmond con sguardo severo. «Vi trovate in una posizione rara per rendervi utile alla vostra patria.»

    «La vostra fiducia nelle mie misere capacità mi lusinga, ma la vostra presenza al fianco dell'imperatore smorzerà le ambizioni di Metternich molto più di quanto potrebbe fare la mia umile persona.»

    Il volto di Gerhardt tradì un'ombra di frustrazione. «Io devo restare qui.»

    Edmond inarcò un sopracciglio. Era inconsueto che l'anziano consigliere non fosse a fianco del suo imperatore in un convegno così importante.

    «Vi aspettate delle sommosse?»

    «Finché Akartcheyeff sarà responsabile della sicurezza ci sarà sempre pericolo di sommosse» mormorò Gerhardt senza curarsi di nascondere la propria avversione per l'uomo salito a così nobili ranghi nonostante la sua umile nascita. «La sua devozione nei confronti dell'imperatore è fuori questione, ma quell'uomo non imparerà mai che la lealtà non si può ottenere con la forza. C'è una polveriera pronta a esplodere sotto i nostri piedi e Akartcheyeff potrebbe essere la scintilla che innesca il disastro.»

    Edmond non poteva negare il pericolo. Nessuno capiva meglio di lui l'insoddisfazione che covava non solo tra il popolo, ma anche tra l'aristocrazia russa. Partire era l'ultima cosa che avrebbe desiderato fare in quel frangente, ma non vi era alcuna possibilità di scelta.

    «Purtroppo si è mostrato brutale nel gestire la situazione» ammise, «ma è uno dei pochi ministri che ha dato prova del fatto che la sua integrità non può essere influenzata.»

    Facendosi più vicino, Gerhardt abbassò la voce in modo da non farsi sentire dai due domestici in servizio accanto alla porta.

    «Questo è il motivo per cui è così importante che voi restiate a fianco di Alessandro Pavlovich! Non solo godete della sua attenzione, ma la vostra rete di informatori verrà a conoscenza di qualsiasi pericolo molto prima che un rapporto ufficiale arrivi sulla mia scrivania.»

    Il delicato accenno di Gerhardt all'accozzaglia eterogenea di ladri, prostitute, stranieri, marinai e non pochi aristocratici che gli facevano da informatori portò un sorriso alle labbra di Edmond. Nel corso degli ultimi otto anni era riuscito a creare una rete di spie che lo teneva informato di qualsiasi problema nel momento stesso in cui cominciava a sorgere.

    Era una risorsa preziosa per Alessandro Pavlovich, che aveva imparato a contare su di essa come ci contavano coloro che consideravano un dovere proteggere la persona dell'imperatore.

    «Farò in modo che i miei collaboratori si mantengano in stretto contatto con voi» promise con espressione seria. «Ma non posso proprio rinviare il mio ritorno in Inghilterra.»

    Rendendosi conto che non sarebbe riuscito a fargli cambiare idea, Gerhardt si fece indietro e aggrottò la fronte con aria preoccupata.

    «Devo farvi le mie condoglianze?»

    «Non se posso evitarlo, amico mio.»

    «Allora che Dio vi accompagni.»

    Edmond fece un inchino e si allontanò con passo rapido verso la magnifica scalinata di marmo che saliva per i tre piani del palazzo. La maggior parte degli ospiti in visita si lasciava affascinare dall'imponente collezione di vasi e piatti di porcellana cinese esposta lungo le pareti, ma Edmond si era sempre sentito rapito dal caldo bagliore della luce del sole che si rifletteva sul marmo.

    Un vero architetto poteva infondere vita a un edificio anche senza la leziosità delle decorazioni.

    Giunto al primo piano, proseguì attraverso la galleria dei ritratti, dove il dipinto che ritraeva l'Imperatrice Caterina aveva il posto d'onore in mezzo a una serie interminabile di incisioni dorate, e percorse quindi un altro corridoio fino a raggiungere lo studio privato di Alessandro Pavlovich.

    In contrasto con le fastose sale pubbliche, Alessandro aveva scelto una camera piccola e confortevole, con una magnifica vista sul giardino. Ignorando le guardie che stavano impassibili ai lati della porta, Edmond entrò nella stanza e si esibì in un profondo inchino.

    «Sire.»

    Seduto alla scrivania perfettamente ordinata, Alessandro Pavlovich, Sua Altezza Imperiale Zar di tutte le Russie, sollevò il capo e gratificò il visitatore di quel sorriso particolarmente dolce che lo faceva assomigliare a un angelo.

    «Edmond, unitevi a me» lo invitò in francese.

    Facendo risuonare gli stivali sul pavimento in legno intarsiato, Edmond si accomodò su una delle sedie in mogano intagliato e dorato e studiò velatamente l'uomo che si era guadagnato la sua incrollabile fedeltà dopo la campagna del 1812 contro Napoleone.

    L'imperatore possedeva la struttura imponente dei suoi avi russi, leggermente appesantita con il passare degli anni, e i lineamenti fini e delicati della madre. I capelli dorati cominciavano a diradarsi, ma gli occhi azzurri erano ancora limpidi e vivaci come in gioventù.

    Tuttavia era quell'aria di crescente malinconia che preoccupava Edmond. Ogni anno che passava, l'uomo che un tempo era stato un appassionato idealista, deciso a cambiare il futuro della Russia, si trasformava sempre più in un individuo chiuso e sconfitto, amareggiato da un tale disgusto per sé e per gli altri da allontanarsi sempre più dalla corte.

    «Perdonate l'intrusione» esordì Edmond.

    «Ci sono molti che considero intrusi, ma non voi, amico mio.» Alessandro agitò una mano indicando il vassoio sempre presente sulla sua scrivania. «Tè?»

    «Grazie, no. Non vorrei distogliervi dal vostro lavoro.»

    «Lavoro, sempre lavoro e dovere.» Con un profondo sospiro l'imperatore posò la penna che teneva in mano e si allungò sulla sedia. Come suo padre, lo Zar Paolo, Alessandro prediligeva un abbigliamento semplice di stile militare e portava come unico ornamento la Croce di San Giorgio. «Ci sono notti in cui sogno di andarmene semplicemente da questo palazzo e di sparire tra la folla.»

    «Le responsabilità richiedono sempre un alto prezzo» osservò Edmond. Anche lui aveva sognato più di una volta di perdersi tra la folla. Un'esistenza semplice e priva di complicazioni era un dono raro, che pochi sapevano apprezzare.

    «È un peccato che non sia come voi, Edmond. Credo che mi sarebbe piaciuto non essere il primogenito e poter scegliere il mio destino. C'è stato un tempo in cui ho preso perfino in considerazione l'idea di abdicare e vivere una vita tranquilla lungo il Reno.» Alessandro fece un mesto sorriso e riprese: «Era impossibile, naturalmente, uno stupido sogno di gioventù. A differenza di Costantino, non ho avuto altra scelta che accettare il mio dovere».

    «Essere un figlio cadetto ha la sua dose di problemi, sire. Non augurerei a nessuno la mia vita.»

    «Sì, sapete nascondere bene i vostri problemi, Edmond, ma io ho sempre sentito che il vostro cuore non è in pace.» Alessandro Pavlovich lo sorprese dicendo: «Forse un giorno vorrete rivelarmi quali demoni vi tormentano».

    Edmond si sforzò di mantenere un'espressione impassibile. Aveva giurato di non parlare mai con nessuno della ferita che nascondeva nel profondo del cuore.

    «Forse» disse in tono evasivo. «Ma non oggi, temo. Sono venuto a chiedere il vostro perdono.»

    «Per quale motivo?»

    «Devo rientrare in Inghilterra.»

    «È successo qualcosa?»

    Edmond scelse accuratamente le parole. «È da un po' di tempo che sono preoccupato» gli confessò. «Le lettere che ho ricevuto da mio fratello nel corso degli ultimi mesi accennavano a un certo numero di... incidenti che mi hanno fatto sospettare che qualcuno cerchi di fargli del male.»

    Alessandro si sporse verso di lui, improvvisamente attento. «Parlatemi di questi incidenti.»

    «Ci sono stati dei colpi di fucile nelle foreste intorno a Meadowland che mio fratello ha imputato ai bracconieri. Un ponte è crollato proprio mentre vi passava la sua carrozza e di recente è scoppiato un incendio di notte nell'ala del palazzo in cui si trova la sua camera da letto.» Edmond strinse i braccioli della sedia fino ad avere le nocche bianche mentre ricordava l'ultima lettera del fratello. Aveva intenzione di uccidere chiunque fosse così stupido da minacciare la sua vita. L'avrebbe ucciso lentamente, con dolore, senza pietà. «È stato solo grazie all'allarme lanciato da un domestico che ci sono state poche mura affumicate anziché una tragedia.»

    L'imperatore non si mostrò stupito che un uomo potente come il Duca di Huntley potesse essere in pericolo. Il suo predecessore era stato assassinato ed era corsa voce che lo stesso Alessandro fosse implicato nella sua morte. Inoltre non passava mese senza qualche minaccia al trono.

    «È comprensibile che siate preoccupato, ma vostro fratello avrà preso certamente dei provvedimenti per proteggersi.»

    Edmond piegò le labbra in una smorfia. Nonostante fossero nati a soli pochi minuti di distanza, i due fratelli non avrebbero potuto essere più diversi.

    «Stefan è un duca brillante.» Era né più né meno la verità. «Accudisce le sue terre con l'amore di una madre per il figlio; i suoi investimenti hanno triplicato il patrimonio di famiglia e si prende cura di tutti coloro che dipendono da lui, sia che si tratti del suo inquieto fratello sia dell'ultimo dei domestici.» Edmond fece un mesto sorriso. Per quanto diversi, i due fratelli erano molto legati uno all'altro, ancor più dopo la tragica morte per affogamento dei genitori, diversi anni prima. «Come uomo di mondo, tuttavia, è troppo ingenuo e fiducioso nei confronti degli altri ed è totalmente incapace di inganni.»

    Alessandro fece un lento cenno d'assenso. «Incomincio a capire.»

    «Voglio solo che Stefan sia al sicuro» disse Edmond con voce bassa e minacciosa. «Voglio avere tra le mani il responsabile dei suoi attentati per strangolarlo io stesso.»

    «Sapete chi sia?»

    Edmond si sentiva in preda a una furia che riuscì a stento a contenere. Insieme al resoconto di quegli strani incidenti, Stefan aveva accennato nelle sue lettere al fatto che il cugino, Howard Summerville, era venuto in visita dalla madre, che viveva a poche miglia dalla dimora degli Huntley.

    Howard era il terzo nella linea di successione per l'eredità del ducato e, se fosse accaduto qualcosa a Stefan e a Edmond, sarebbe subentrato a loro nel possesso del titolo. Era anche un uomo patetico che non perdeva occasione d'informare chiunque che la sua famiglia era stata maltrattata dai Duchi di Huntley.

    Chi più di lui aveva motivo di tramare ai danni di Stefan?

    «Ho i miei sospetti.»

    «Capisco. In questo caso, è certamente vostro dovere proteggere vostro fratello» dichiarò Alessandro con un cenno del capo.

    «Mi rendo conto che non è il momento migliore per partire, ma...» Edmond si interruppe perché l'imperatore si era alzato improvvisamente dalla sedia.

    «Andate dalla vostra famiglia, Edmond» ordinò. «Quando tutto sarà sistemato, tornerete da me.»

    Edmond si alzò e fece un profondo inchino.

    «Grazie, sire.»

    «Edmond?»

    «Sì?»

    «Fate in modo di tornare. Vostro fratello ha giurato fedeltà alla Gran Bretagna, ma la vostra famiglia deve alla Russia uno dei suoi figli.»

    Celando un sorriso al pensiero di quello che avrebbe detto Re Giorgio IV davanti a un tale comando imperiale, Edmond si limitò a chinare il capo.

    «Certamente.»

    2

    Lasciando il seguito di domestici e la carrozza, Edmond lanciò la sua cavalcatura al galoppo lungo la strada che da Londra portava alla sua casa d'infanzia nel Surrey.

    Stefan era stato meticoloso nelle sue lettere, ma poiché aveva la tendenza a concentrare la sua attenzione sulla rotazione delle colture e sulle innovazioni riguardanti gli strumenti agricoli, Edmond conosceva nei minimi dettagli le coltivazioni nei campi ma sapeva ben poco di come stesse veramente il fratello. Tuttavia, nonostante l'urgenza, non poté trattenere il desiderio di rallentare l'andatura mentre entrava nel familiare paesaggio boschivo che circondava la tenuta.

    Tutto era in perfetto ordine, naturalmente, dalle siepi divisorie accuratamente potate ai campi dopo il raccolto recente. Anche le capanne erano state imbiancate a calce da poco ed era stata rinnovata la paglia sui tetti. Stefan non si accontentava di niente di meno della perfezione ed era per questo che era considerato uno dei migliori proprietari terrieri dell'intero reame.

    Edmond fu sorpreso di ricordare vividamente ogni curva della strada, ogni rigagnolo che attraversava i pascoli e ogni quercia che costeggiava il lungo viale d'accesso alla tenuta. Ricordava di aver giocato ai pirati con Stefan sul lago che luccicava in lontananza, di aver fatto merende all'aperto con gli adorati genitori nei pressi della grotta e persino di essersi nascosto dai tutori nella grande serra.

    Il cuore gli si strinse di un dolore agrodolce che si intensificò mentre varcava i cancelli ricoperti di edera e lo sguardo si posava sulla grande costruzione in pietra dalla struttura articolata che da duecentocinquant'anni era la gloria di quella campagna.

    Situata all'estremità di un viale alberato, il suo corpo principale era costituito dall'originale edificio normanno, testimonianza dell'eccezionale perizia dei costruttori dell'epoca. Dodici imponenti campate facevano sfoggio di grandi finestre e balaustre di pietra. Il duca precedente aveva aggiunto una galleria dei ritratti e il parco era stato ampliato per ospitare diverse fontane create per la madre di Edmond da artisti russi, ma nel complesso l'immagine che si aveva era quella di una solida ed elegante dimora inglese destinata a sfidare il tempo.

    Dietro la costruzione principale c'erano le scuderie, una struttura che conservava intatta la sua rustica bellezza, con numerosi stalli di legno divisi da pilastri di pietra. In passato avevano ospitato i villici dei dintorni, offrendo un provvidenziale rifugio contro la peste che si era diffusa nella regione. Ormai l'edificio era tornato alla sua funzione originale e accoglieva una nutrita schiera di purosangue apprezzati in tutta Inghilterra dagli amanti dell'ippica e delle cacce alla volpe.

    Da ragazzo, Edmond aveva amato l'odore delle stalle e si era spesso nascosto nel fienile per evitare le noiose lezioni del suo tutore o, crescendo, per godere di qualche momento di intimità con una giovane cameriera consenziente.

    Inspirando a fondo, Edmond allontanò i ricordi che minacciavano di sommergerlo. Non aveva fatto ritorno in Inghilterra per rivangare il passato o per sprecare il tempo a rimuginare su quello che avrebbe potuto essere.

    Era venuto per Stefan.

    Nient'altro.

    Diresse il cavallo verso l'ingresso laterale, sperando di evitare la confusione che si scatenava sempre nelle rare occasioni in cui faceva la sua comparsa nella dimora dei suoi avi. Più tardi si sarebbe premurato di salutare lo stuolo di domestici che considerava più una famiglia che dei dipendenti, ma per il momento voleva assicurarsi innanzitutto che Stefan stesse bene. Poi avrebbe dovuto trovare un fedele alleato che gli dicesse la verità su quello che era successo recentemente a Meadowland.

    Riuscì a varcare inosservato la doppia porta e si diresse verso il piccolo studio che il fratello aveva requisito per farne il suo laboratorio artistico. I mobili in legno laccato provenienti dall'India erano stati accantonati in un angolo per lasciare spazio a una pila di tele e a un cavalletto di legno posati sul tappeto persiano. Perfino le tende a righe verde e avorio in tono con la tappezzeria erano state piegate e riposte sullo scrittoio di sua madre. Edmond curvò le labbra in un sorriso. Era un ridicolo spreco di spazio, considerando che Stefan non era riuscito a produrre che una decina di orribili dipinti raffiguranti paesaggi, negli ultimi vent'anni.

    Scuotendo il capo attraversò il locale ed entrò nell'adiacente sala da musica prima di essere fermato dal segaligno maggiordomo dai capelli argentei che si era appostato accanto alla scalinata di marmo come se avesse avvertito un'intrusione nel suo dominio.

    Per un brevissimo istante il volto marcato del domestico venne attraversato da un'ombra di confusione, quasi si chiedesse perché mai il Duca di Huntley si fosse introdotto in casa sua come un ladro. Poi si illuminò di comprensione.

    Perfino le persone che conoscevano Stefan ed Edmond da una vita faticavano a riconoscerli a un primo sguardo.

    «Mio signore» mormorò stupito, mentre si affrettava ad andare incontro a Edmond con un sorriso. «Che magnifica sorpresa!»

    Edmond ricambiò prontamente il sorriso. Goodson era un vero tesoro; sempre efficiente e ben organizzato, conservava un perfetto controllo su tutta la servitù. Il suo vero talento, tuttavia, era la capacità di mantenere quell'atmosfera di placida calma che piaceva tanto a Stefan.

    Non c'era mai nulla che interrompesse la serenità di Meadowland. Nessun alterco tra la servitù, nessuna agitazione per ospiti inattesi che venivano allontanati con fermezza e diplomazia, nessun momento imbarazzante durante i rari eventi sociali che si tenevano nella grande casa.

    Goodson era in tutto e per tutto il perfetto maggiordomo.

    «Grazie, Goodson» rispose Edmond. «Sono felice di essere qui.»

    «È sempre bello tornare a casa» replicò il maggiordomo senza il minimo cenno di rimprovero per la lunga assenza di Edmond.

    I domestici non si sarebbero mai rassegnati al fatto che preferisse vivere in Russia. Per loro era un gentiluomo inglese, indipendentemente dal sangue della madre, e il figlio di un duca. Il suo posto era lì a Meadowland, non in una terra straniera.

    «Sì, immagino che lo sia. Il duca è in casa?»

    «Sì, è nel suo studio. Volete che vi annunci?»

    Naturale che Stefan fosse nel suo studio. Se il suo diligente fratello non era a supervisionare il lavoro nei campi, era sempre nel suo studio.

    «No, nonostante gli anni che avanzano, credo di ricordare ancora la strada.»

    Goodson fece un cenno dignitoso del capo. «Dirò a Mrs. Slater di portarvi un vassoio.»

    Edmond sentì l'acquolina in bocca al solo pensiero. Aveva assaggiato i piatti dei cuochi più celebri al mondo, ma nessuno era all'altezza della semplice cucina inglese di Mrs. Slater.

    «Potreste chiederle di metterci anche qualcuno dei suoi famosi dolci ai semi di carvi? Sono anni che non ne mangio uno decente.»

    «Non c'è bisogno di chiedere» gli assicurò Goodson. «Sarà così deliziata di sapere che siete tornato a Meadowland che non sarà contenta finché non avrà cucinato fino all'ultimo piatto che avete dimostrato di apprezzare da quando portavate ancora i pantaloni corti.»

    «In questo momento credo che riuscirei a mangiarli tutti.» Edmond si voltò verso le scale per poi girarsi di scatto un attimo dopo. «Goodson?»

    «Sì, signore?»

    «Mio fratello ha accennato in una sua lettera che Mr. Howard è venuto in visita alla madre.»

    «Credo che la sua famiglia si sia fermata diverse settimane da Mrs. Summerville, signore.»

    Non c'era alcun sottinteso nel tono piatto del domestico, tuttavia Edmond non aveva dubbi che Goodson conoscesse il giorno preciso in cui Howard era arrivato nel Surrey, come pure il momento esatto della sua partenza. Dopotutto, spettava a lui lo sgradevole compito di assicurarsi che quel parassita non riuscisse a superare la sua guardia per infastidire il duca con petulanti richieste di denaro.

    «Quante settimane?»

    «È arrivato sei giorni prima di Natale e non è ripartito che il dodici di settembre.»

    «Piuttosto strano per un gentiluomo così devoto ai piaceri della città lasciare Londra per un periodo tanto lungo di tempo. Non trovate, Goodson?»

    «Molto strano, a meno di non dar credito alle voci che girano in paese.»

    «E che cosa dicono queste voci?»

    «Che Mr. Summerville è stato costretto a chiudere la casa di città e a tagliare le spese.» La voce di Goodson tradiva un certo sdegno. «Dicono anche che il gentiluomo in questione non poteva mettere piede fuori di casa senza essere assalito dai creditori.»

    «Sembra che mio cugino sia riuscito a diventare ancora più stupido di quanto mi aspettassi.»

    «Proprio così, signore.»

    Edmond fece un profondo respiro. «Dopo che avrò parlato con mio fratello, mi piacerebbe scambiare due parole con il suo cameriere.»

    Il lampo di sorpresa sul volto del maggiordomo fu rapido. «Dirò a James di aspettarvi in biblioteca.»

    «Veramente, preferirei l'intimità del mio salotto privato, sempre che non sia stato trasformato in una nursery o riempito fino al soffitto di manuali di agricoltura.»

    «I vostri appartamenti sono esattamente come li avete lasciati» gli assicurò Goodson in tono grave. «Sua Grazia insiste perché siano sempre pronti per il vostro ritorno.»

    Edmond sorrise. Era tipico di suo fratello e gli dava uno strano senso di conforto sapere che c'era un posto sempre pronto ad accoglierlo.

    «Allora dite a James di venire nel mio salotto fra un'ora, per favore.»

    «Come desiderate, signore.»

    Sapendo che Goodson non solo avrebbe avvisato James, ma che l'avrebbe fatto con la discrezione necessaria a evitare chiacchiere superflue tra la servitù, Edmond si voltò e salì al primo piano.

    Evitando deliberatamente la galleria dei ritratti, scelse il meno usato corridoio dei menestrelli per raggiungere le stanze private del fratello.

    Un tenue sorriso gli si dipinse sulle labbra notando che i pannelli di damasco azzurro chiaro che coprivano le pareti erano esattamente gli stessi di quando era bambino. Come le tende di seta azzurra e avorio che incorniciavano le alte finestre ad arco che si aprivano lungo il corridoio.

    Sorrise ancor più apertamente scostando la pesante porta che immetteva nel grande studio, strapieno di volumi, libri mastri e manuali di agricoltura impilati su ogni superficie disponibile. Solo il pesante tavolo in rovere era relativamente sgombro, con un unico registro contabile aperto.

    Stefan era seduto su una sedia di pelle dietro la scrivania e teneva una penna in mano.

    «Sai, Stefan, non c'è niente meno degno di nota dei cambiamenti avvenuti a Meadowland, te incluso» mormorò Edmond. «Mi pare che sedessi a quello stesso tavolo a compilare gli stessi rapporti trimestrali, vestito con quella vecchia giacca blu, anche il giorno in cui sono partito.»

    Rialzando il capo di scatto, Stefan lo fissò incredulo per un lungo istante.

    «Edmond?»

    «In persona.»

    Con un suono strozzato a metà tra il riso e un singhiozzo, Stefan si alzò in piedi e si affrettò a stringere il fratello in un caloroso abbraccio.

    «Santo cielo, sono felice di rivederti!»

    Edmond ricambiò prontamente l'abbraccio. I suoi sentimenti nei confronti del fratello non erano mai stati complicati. Stefan era l'unica persona al mondo che amasse profondamente.

    «E io di rivedere te, Stefan.»

    Tirandosi indietro, il duca lasciò che un tenue sorriso illuminasse il viso che era un'esatta replica di quello di Edmond.

    Oh, un occhio attento avrebbe notato che la carnagione olivastra di Stefan era un tono o due più scuro per le ora passate nei campi e che i vividi occhi azzurri avevano un'espressione dolce e fiduciosa che non compariva mai in quelli di Edmond. Ma i folti capelli corvini si piegavano nelle stesse onde, i lineamenti cesellati avevano la stessa bellezza slava e la corporatura alta e snella era la medesima.

    Da bambini si erano divertiti a scambiarsi le parti e a confondere tutti coloro che erano incapaci di distinguerli.

    Tutti, tranne i loro genitori e la giovane Brianna Quinn, la ragazzina con la chioma selvaggia dai colori autunnali che non si lasciava mai ingannare.

    «Sappi che questa giacca non ha più di due o tre anni» gli fece notare Stefan, lisciando le maniche di lana blu.

    Edmond fece una risata sommessa. «Scommetto che il tuo cameriere mi direbbe un'altra cosa.»

    Stefan arricciò il naso ed esaminò la giacca rosso scuro del fratello e il panciotto grigio argento.

    «Be', non sono mai stato vanitoso come te.»

    «Grazie al cielo non sei un irresponsabile come me e hai cose più importanti per occupare le tue giornate che badare al taglio della tua giacca o lucidare i tuoi stivali. Il che mi consente di vivere agiatamente.»

    «Non direi che essere l'angelo custode di Sua Altezza Imperiale si possa considerare un compito da irresponsabili» replicò subito Stefan. «Semmai il contrario.»

    «Angelo custode?» Edmond accolse le parole del fratello con una risata incredula. «Ti sbagli, caro Stefan. Sono un peccatore incallito, uno scapestrato e un avventuriero troppo indulgente con se stesso, che ha evitato il cappio solo grazie alla fortuna di essere fratello di un duca.»

    Stefan aggrottò la fronte. «Puoi ingannare gli altri, Edmond, ma non me.»

    «Perché tu sei sempre determinato a vedere solo il meglio negli altri, perfino nel tuo inetto fratello.» Edmond si lasciò cadere su una poltrona accanto alla scrivania, pronto a chiudere l'argomento. «Probabilmente Mrs. Slater si sta già dando da fare a preparare un banchetto, ma in questo momento ho più bisogno di un goccio di quel whisky irlandese che tieni nascosto nel cassetto.»

    «Ma certo.» Con un sorriso d'intesa Stefan tornò dietro la scrivania e tirò fuori la bottiglia di whisky e due bicchieri. Dopo aver versato una dose generosa del liquore ambrato in entrambi i bicchieri, ne tese uno al fratello e sedette al suo posto. «Salute.»

    Edmond ingoiò il whisky in una sola sorsata e assaporò il delizioso bruciore alla gola.

    «Ah... perfetto.» Posando il bicchiere vuoto su un tavolino vicino, si appoggiò allo schienale della poltrona e fece un profondo respiro, quindi sorrise al fratello. «Questa stanza odora di Inghilterra.»

    «E com'è l'odore di Inghilterra?»

    «Legno lucidato a cera, cuoio invecchiato, aria chiusa. Non cambia mai.»

    Stefan bevve il suo whisky e posò il bicchiere. «Forse no, non cambia mai, ma io trovo confortevole quest'aria familiare. Non sono come te, Edmond, sempre in cerca di nuove avventure. Preferisco una vita più piatta e monotona.»

    «C'è del buono nell'aria di famiglia. Sono felice che tu non abbia apportato cambiamenti alla casa. Mi piace sapere che, quando torno qui, tutto sarà ancora come lo ricordavo.» Edmond studiò il fratello con un luccichio nello sguardo. «Naturalmente, quando prenderai moglie sarai costretto a fare continui rimodernamenti. A noi può piacere questa vecchia casa con i suoi camini neri di fumo, le finestre piene di spifferi e i mobili datati, ma dubito che una donna di buona estrazione sarebbe felice di vivere in mezzo a queste anticaglie.»

    Come al solito, Stefan si rifiutò di abboccare a quella provocazione.

    «È uno dei motivi per cui non ho ancora preso moglie» mormorò con tranquilla indifferenza per la sua condizione di scapolo. Poteva ben permetterselo: tutti sapevano che non c'era donna nubile in tutta l'Inghilterra che non avrebbe fatto salti di gioia alla prospettiva di diventare la prossima Duchessa di Huntley. «Non sopporto l'idea di trasformare la mia amatissima casa.»

    «Più probabilmente sei così ingenuo da aspettare il colpo di fulmine e, quando succederà, sono pronto a scommettere che ti innamorerai della donna sbagliata, che farà di te quello che vorrà.»

    Stefan inarcò un sopracciglio scuro.

    «Veramente ho sempre pensato che saresti stato tu a perdere la testa per una donna piena di spirito e capace di farti ballare al suono della sua musica. Sarebbe solo un atto di giustizia, dopo le stragi di cuori femminili che hai fatto.»

    Edmond non dovette fingere un brivido. Aveva una passione istintiva

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1