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Cowboy per caso: Harmony Collezione
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Cowboy per caso: Harmony Collezione
E-book179 pagine2 ore

Cowboy per caso: Harmony Collezione

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Info su questo ebook

Un corso per imparare... il lavoro di gruppo attraverso le mansioni di cowboy? Austin Bennet è a dir poco esterrefatto per "l'invito" che ha appena ricevuto dal padre, l'unica persona sulla terra cui non osa mai dire di no. Sicuro di poter spadroneggiare anche al ranch Tre J, dove è previsto il training, in realtà si scontra con la sensuale testardaggine di Kacy Judd, la sua insegnante. Era previsto anche uno scambio di baci appassionati? Dopo il primo giro a cavallo...

LinguaItaliano
Data di uscita10 nov 2015
ISBN9788858941294
Cowboy per caso: Harmony Collezione

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    Anteprima del libro

    Cowboy per caso - Pamela Bauer

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    Corporate Cowboy

    Harlequin American Romance

    © 2000 Pamela Muelhbauer

    Traduzione di Carla Ferrario

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    Harmony è un marchio registrato di proprietà

    Harlequin Mondadori S.p.A. All Rights Reserved.

    © 2003 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-5894-129-4

    www.harlequinmondadori.it

    Questo ebook contiene materiale protetto da copyright e non può essere copiato, riprodotto, trasferito, distribuito, noleggiato, licenziato o trasmesso in pubblico, o utilizzato in alcun altro modo ad eccezione di quanto è stato specificamente autorizzato dall’editore, ai termini e alle condizioni alle quali è stato acquistato o da quanto esplicitamente previsto dalla legge applicabile. Qualsiasi distribuzione o fruizione non autorizzata di questo testo così come l’alterazione delle informazioni elettroniche sul regime dei diritti costituisce una violazione dei diritti dell’editore e dell’autore e sarà sanzionata civilmente e penalmente secondo quanto previsto dalla Legge 633/1941 e successive modifiche.

    Questo ebook non potrà in alcun modo essere oggetto di scambio, commercio, prestito, rivendita, acquisto rateale o altrimenti diffuso senza il preventivo consenso scritto dell’editore. In caso di consenso, tale ebook non potrà avere alcuna forma diversa da quella in cui l’opera è stata pubblicata e le condizioni incluse alla presente dovranno essere imposte anche al fruitore successivo.

    1

    «Non sei riuscito a convincerli, vero?»

    Austin Bennett passò oltre la sua segretaria, ignorando i documenti che lei gli tendeva. «Sette a uno a favore del corso al ranch» riferì, cupo.

    «Santo cielo!» Jean lo seguì, la fronte corrugata. «Pensavo che almeno Henry...»

    Austin sbuffò, lasciandosi cadere nella poltrona di pelle. Neanche suo padre si era schierato dalla sua parte. Non che Austin aspettasse il supporto paterno su questa, come su qualunque altra, questione. Aveva imparato già da tempo che non si sarebbe fatto strada negli affari di famiglia grazie a suo padre, anzi, piuttosto il contrario. Persino dopo aver lavorato per dieci anni alla Bennett Industries, Austin sapeva di dover ancora provare a suo padre il proprio valore.

    Ultimamente Austin si sentiva come un salmone che nuota controcorrente. Anche gli impiegati che lui stesso aveva assunto, all’improvviso si erano rivelati sostenitori di suo padre e suoi avversari.

    Inutile aspettarsi qualcosa di diverso. Socializzare non era mai stato il suo forte: la prima volta che all’asilo nido si era avventurato gattonando in un gruppo di bambini aveva suscitato un pandemonio. Le conseguenze del gesto con cui aveva strappato di mano a un pacifista di dieci mesi un martello di gomma con fischietto gli erano bastate per rendersi conto che il mondo non considera benevolmente coloro che cercano di ottenere quello che vogliono dalla vita.

    E Austin era il tipo che cercava sempre di ottenere quello che voleva, proprio come il padre.

    Henry Bennett aveva creato dal nulla il mobilificio di famiglia e Austin, benché laureato, aveva dovuto fare la gavetta. Con un despota come suo padre al timone, era stata una camminata in salita.

    Però ce l’aveva fatta. I profitti per la compagnia e per i suoi dipendenti erano ottimi, perché la scarsa capacità di Austin di gestire la componente umana era compensata dal suo acume negli affari.

    La sua idea di diversificare le attività dell’azienda di famiglia aveva accresciuto i profitti, consentendo una notevole espansione. Invece di un’unica fabbrica alla periferia di Chicago, ora ce n’erano ormai cinque sparse nel Midwest e la Bennett Industries si stava rapidamente trasformando in una delle industrie di maggior successo del paese.

    Nonostante il riscontro finanziario, il tasso di turnover era alto, così alto che il consiglio d’amministrazione aveva studiato una soluzione: un seminario di management, strutturato in modo da insegnare ai dipendenti tecniche per appianare gli ostacoli nel lavoro di gruppo.

    Austin si era opposto fin dall’inizio a quella proposta. Alla riunione del consiglio di amministrazione aveva annunciato che non avrebbe partecipato, ma suo padre gli aveva subito chiarito, e senza incertezze, che in quell’ambito non stava a lui decidere.

    Austin fece ruotare la sedia fino a trovarsi di fronte alla finestra che dava sull’orizzonte di Chicago. Non contava che lui fosse l’amministratore delegato, finché suo padre era ancora presidente.

    «È un’idea assurda» borbottò Austin.

    «Be’, forse potrebbe essere meglio di quanto credi» lo consolò Jean con fare materno. La segretaria era ormai abituata alle battaglie familiari.

    «Condivido la scelta di mandare i dipendenti in viaggio e allontanarli dall’ufficio, ma perché rifiutare la possibilità di gustare cocktail nelle isole Cayman per giocare ai cowboy nelle praterie del Nord Dakota?» ponderò Austin, tenendo lo sguardo fisso sulla città. «Nella prateria!» ripeté incredulo. Fece ruotare di nuovo la sedia, fino a trovarsi a faccia a faccia con Jean. «Sei mai stata nel Nord Dakota, Jean?»

    «No, ma ho sentito dire che è bello.»

    Lui sbuffò. «Se ti piace un mondo piatto, sì. Da bambino ci sono passato con i miei zii per andare da un cugino in Montana. Eravamo in sei sulla Chevrolet.» Abbozzò una risata sarcastica. «Viaggiavamo per ore senza vedere altro che silos per cereali!»

    «Sono sicura che le cose sono cambiate. Ho letto che le praterie sono quasi scomparse.»

    «Sarà sparita l’erba, ma il terreno resta piatto.»

    «Però la struttura sembra di prima qualità» concluse la donna con ottimismo. «Il ranch Tripla J ha un’ottima reputazione. Hai visto il servizio in tivù?»

    «Sì, e purtroppo lo ha visto anche George Harbison. Sostiene che è quello che fa per noi. Costruire lo spirito di gruppo!» sottolineò lui disgustato. «Non capisco come possa esserci utile giocare ai cowboy.»

    «Dicono che lavorare con gli altri in situazioni rischiose aiuti a conoscersi meglio.»

    Austin scosse la testa, per niente convinto. «Quello di cui abbiamo bisogno sono strategie manageriali, non queste stupidaggini. Perché nessuno riesce a vedere questa storia per quello che è?»

    «Non hai letto di quella garanzia? Sono talmente sicuri di ottenere il risultato voluto che sono pronti a rimborsare il cliente non soddisfatto.»

    «Già, ma possono rimborsarti il tempo perduto? È assurdo permettere a quindici manager di assentarsi dal lavoro nello stesso periodo» obiettò Austin. Allentò il nodo della cravatta e slacciò il primo bottone della camicia. «Per fortuna esistono i computer portatili e i fax, così potrò tenermi aggiornato.»

    «Computer? Il programma ne proibisce l’uso e tutto gira attorno all’idea di staccare con il lavoro.»

    «Dovresti sapere che non vado da nessuna parte senza il mio portatile!» dichiarò lui deciso.

    «Non avrai tempo di lavorare, perché tutte le attività sono severamente programmate.»

    Austin sbuffò. «Se tutto si esaurirà nel fare una cavalcata per dimostrare che faccio parte della squadra, d’accordo. Ma mentre gli altri rincorreranno i vitelli, me ne starò in camera a lavorare sul computer.»

    Jean inarcò un sopracciglio. «Lo scopo sarebbe quello di evitare lo stress da lavoro...»

    «Per me il lavoro non è fonte di stress. Quello che mi stressa davvero sono le persone» insistette lui. «E loro saranno con me.»

    «Spero tu possa tornare a casa con una migliore comprensione dei tuoi collaboratori» concluse Jean. «Se non altro, ti riposerai.»

    «Mi piace lavorare.»

    «Ma non si può lavorare ventiquattr’ore al giorno per sette giorni alla settimana! Tutti abbiamo bisogno di staccare, di tanto in tanto» lo rimproverò lei con dolcezza. «Non ti prendi una pausa da quattro anni e non dirmi che il viaggio a Hong Kong con quella modella è stata una vacanza. Non saresti andato se non avessi dovuto concludere l’affare con i fornitori di stoffa.»

    «Il mese scorso sono stato in Jamaica.»

    «Per affari» puntualizzò lei.

    «In aprile a Londra.»

    «Sempre per affari. Austin, devi riposare» lo esortò Jean. «Sai una cosa? Terminata la settimana al ranch, prenditi qualche giorno per andare a trovare i tuoi cugini nel Montana. Dimentica il lavoro, gli altri! Sii libero, una volta tanto.»

    Austin si massaggiò il mento, pensieroso. «Non so se sarei capace di non lavorare, Jean.»

    «Allora è arrivato il momento di imparare.»

    «E non so neppure se i miei cugini stiano ancora nel Montana.»

    Come tante altre volte da quando la madre di Austin era morta, Jean si sedette di fronte a lui, assumendo un tono materno. «Lavori troppo, un giorno o l’altro finirai per crollare. Se vuoi, posso fare una ricerca sui tuoi cugini per scoprire dove vivono, così potrai passare a trovarli.»

    Austin si sporse sulla scrivania e le strinse la mano. «D’accordo.» Sorrise, e subito dopo aprì la sua agenda. «Per la prenotazione del volo...»

    «La partenza è fissata per domenica alle tredici e trenta in punto.»

    «Troppo presto.»

    «Ma devi viaggiare con gli altri» cercò di obiettare lei. «La chiave di tutto è muoversi in gruppo.»

    «Poche ore non cambieranno niente» replicò Austin con un sorriso malizioso. «Prenota un posto sull’ultimo volo del giorno.»

    Prima che Jean potesse obiettare, la porta si spalancò.

    Una sola persona entrava senza bussare.

    Daphne Delattre fece il suo ingresso drammatico. Nessuno poteva dubitare che fosse una modella: non un capello fuori posto, non una sbavatura nel trucco sul viso perfetto. Ignorando Jean, la donna avanzò decisa verso Austin e gli sfiorò la guancia con un bacio.

    Con un saluto asciutto, Jean si allontanò irritata, lasciandoli soli. Austin le aveva spiegato che Daphne era la donna scelta da suo padre, non da lui, ma lei non sembrava placata.

    Daphne si appollaiò sull’angolo della scrivania, esponendo una coscia snella. «Perché quella faccia? Non sei felice di vedermi?»

    «Ho sempre questa faccia, quando lavoro.»

    «Allora smetti e andiamo a pranzo.»

    Austin la ignorò. «Non posso» rispose a denti stretti, mentre con una mano massaggiava il collo indolenzito.

    Daphne si affrettò a sostituire la sua mano con la propria. «Lascia fare a me.»

    Austin non protestò. Se c’era qualcosa che apprezzava in Daphne era il suo tocco magico.

    «Hai sbagliato lavoro, avresti dovuto fare la massaggiatrice» commentò.

    Lei sbuffò contrariata. «Hai bisogno di staccare, di uscire di qui.»

    «Sarai felice di sapere che è proprio quello che sto per fare.»

    Daphne si arrestò, spostandosi per guardarlo in faccia. «Vai in vacanza?»

    Austin ridacchiò. «No, parto per lavoro.»

    «E quando? Sono libera, potrei venire con te.»

    Austin però preferiva non mischiare lavoro e piacere. «Meglio di no.»

    «Preferisci non avermi tra i piedi?»

    Le tremava la voce, ma Austin sapeva che Daphne non lesinava sull’uso di qualunque trucco femminile per ottenere ciò che voleva.

    All’inizio lo aveva trovato divertente, ma ormai non lo sopportava più.

    L’aspetto positivo del corso nel Nord Dakota era che gli avrebbe permesso di mettere una certa distanza tra sé e Daphne...

    Negli ultimi tempi lei aveva fatto credere a tutti che il loro rapporto fosse serio e impegnativo, e purtroppo il padre di Austin la incoraggiava su quella strada.

    Nessuno dei due voleva accettare il fatto che Austin non aveva nessuna voglia di legarsi a una donna.

    Austin sospirò. Dopotutto, allontanarsi da Chicago per una settimana non era una cattiva idea...

    Kathleen Charlotte Judd non era una persona ostinata, anche se l’ostinazione era una caratteristica peculiare dei Judd. Kacy però aveva preso da sua madre e aveva un carattere pacifico e solare. Era difficile farle perdere le staffe, reggeva le pressioni e si trovava a suo agio in mezzo alla gente, per questo al ranch Tripla J le erano state affidate le pubbliche relazioni.

    Ma nell’ultima settimana aveva piovuto sei giorni su sette e lei era di malumore, e non perché fosse un tipo meteoropatico. Il terreno era fangoso e quindici persone si aspettavano di trascorrere i giorni seguenti all’aperto, a cavallo. Ce n’era abbastanza per renderla piuttosto irritabile!

    Kacy, nata e cresciuta al ranch, era abituata a lavorare non solo sotto la pioggia, ma con la neve e il ghiaccio. Gli ospiti del ranch, però, non possedevano la sua esperienza: erano cittadini che volevano provare il brivido della vita western, perciò, se non avesse smesso di piovere, sarebbe stato un vero disastro.

    A causa della

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