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Un accordo per la vita: Harmony Destiny
Un accordo per la vita: Harmony Destiny
Un accordo per la vita: Harmony Destiny
E-book144 pagine2 ore

Un accordo per la vita: Harmony Destiny

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Info su questo ebook

È stata chiesta in moglie per questione di soldi, ma il suo sposo sarà il solo a pagarne il prezzo!

Il facoltoso Mitch Ramsey non ha mai dato una seconda occhiata alla sua vicina di casa, la bella Emma Davis, fino all'incontro che li ha condotti direttamente in camera da letto per una notte di travolgente passione. Nonostante entrambi non desiderino una storia seria, pensano che i loro intimi affari potrebbero risultare dei discreti diversivi, perciò decidono di continuare a vedersi. Ma inaspettatamente il padre di Emma fa un'offerta a Mitch che lui non può rifiutare: sposare sua figlia ed entrare in possesso della tenuta di famiglia. Il tutto, però, all'insaputa di Emma.
LinguaItaliano
Data di uscita10 mag 2016
ISBN9788858948361
Un accordo per la vita: Harmony Destiny
Autore

Heidi Betts

Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.

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    Anteprima del libro

    Un accordo per la vita - Heidi Betts

    successivo.

    1

    Le note di una vecchia canzone di Tammy Wynette riempivano l'aria. Emma Davis si portò una mano davanti alla bocca per nascondere uno sbadiglio. Era esausta.

    La giornata precedente aveva cucinato senza sosta per preparare il picnic del Quattro luglio e quella mattina aveva dato una mano ad addobbare la piazza della città.

    Per Gabriel's Crossing, quella festa era un evento grandioso, il più importante dell'anno, e lei era felice di rendersi utile, ma in quel momento sognava il letto a occhi aperti. Erano le undici di sera e non si reggeva in piedi. Avrebbe voluto dormire per una settimana consecutiva, o svegliarsi a mezzogiorno la mattina seguente.

    Si guardò intorno in cerca di suo padre. Seduto al tavolo da gioco con tre vecchi amici, sembrava non avere alcuna intenzione di abbandonare le carte.

    Il Quattro luglio è un giorno speciale per l'America e per i suoi cittadini, è un giorno che ogni americano è orgoglioso di celebrare, e il padre di Emma voleva goderselo fino in fondo.

    La radio portatile sistemata sui gradini del gazebo continuava a gracchiare, tenendo compagnia agli ultimi astanti.

    Rassegnata, Emma si sedette su una panchina, appoggiò i gomiti sul tavolo di legno e chiuse gli occhi.

    «Hai bisogno di un passaggio?»

    Se quella voce profonda e familiare non l'avesse destata, si sarebbe addormentata profondamente. Sollevò lo sguardo assonnato.

    Mitch Ramsey, uno dei suoi più vecchi amici, nonché vicino di casa, la stava guardando con intensità. Emma aveva avuto una cotta per lui ai tempi della scuola, ma gli anni non avevano intaccato il fascino che quel ragazzo dai capelli neri e dagli occhi grigi era ancora in grado di esercitare su di lei.

    Emma lo guardò imbambolata, incapace di aprire la bocca e articolare un suono.

    «Non mi pare che tuo padre abbia voglia di abbandonare gli amici e le carte per tornare a casa, mentre tu... sembri distrutta. Lascia che ti accompagni, così lui sarà libero di rientrare quando vuole» continuò Mitch, rivolgendole un sorriso accattivante, lo Stetson stretto in una mano.

    Emma rimase in apnea per qualche secondo. Quel ragazzo aveva sempre avuto quell'effetto su di lei. Appena lo vedeva, si impietriva per l'emozione.

    «Molto volentieri, grazie» rispose, alzandosi dalla panchina. «Avviso mio padre, poi possiamo andare. »

    Lui annuì e la osservò mentre si muoveva tra i tavoli, diretta verso il gruppo di giocatori di poker.

    «Papà!» esclamò Emma, posandogli le mani sulle spalle e baciandolo su una guancia ruvida.

    Wyatt Davis sorrise e scoprì le sue carte. «Guardate, ragazzi, e piangete!» esclamò, mostrando la sua mano vincente e afferrando il piatto. Quindi si girò verso la figlia. «Ciao, bambina mia. Come stai?»

    «Sono molto stanca e preferisco andare a casa. Ma non preoccuparti. Mitch si è offerto di accompagnarmi» aggiunse in fretta. «Così potrai trattenerti quanto vuoi.»

    Wyatt lanciò uno sguardo verso Mitch, il viso seminascosto dal cappello. «È molto gentile da parte sua. Non ti dispiace se resto, vero?»

    Emma sorrise. «Assolutamente. Però non bere più, altrimenti bisognerà trovare qualcuno che ti riporti a casa.»

    «Non ce ne sarà bisogno. Non stare in pensiero per me, piccola.»

    «D'accordo» mormorò Emma, baciandolo sulla fronte. «Ci vediamo domani mattina, e cerca di vincere. Arrivederci a tutti» aggiunse, salutando con la mano il gruppo di amici.

    «Sei pronta?» le domandò Mitch, quando lei fu a portata di voce.

    Emma annuì, prese la borsa e insieme si avviarono verso il suo furgoncino blu notte.

    Da perfetto gentiluomo texano, lui le aprì lo sportello, aspettò che lei si allacciasse la cintura, poi salì in macchina, avviò il motore e accese la radio.

    «Grazie ancora» mormorò Emma. «Credevo di dover trascorrere il resto della serata sdraiata sul tavolo da picnic. Se avessi immaginato le intenzioni di mio padre, sarei venuta con la mia macchina.»

    «Non devi ringraziarmi» replicò lui con un sorriso. «Devo passare davanti a casa tua per raggiungere la mia.»

    «Già. Se ci avessi pensato prima, ti avrei chiesto un passaggio ore fa.»

    Il ranch di Mitch, il Circle R, confinava con la proprietà di suo padre e, nonostante gli acri che separavano le rispettive dimore, potevano considerarsi vicini di casa.

    «Come mai eri ancora alla festa? Credevo che avresti tagliato la corda alla prima occasione» continuò Emma.

    Mitch era sempre stato disponibile a dare una mano alla sua città, soprattutto in occasioni come quella. Il Quattro luglio l'America intera si ferma, ma, da quando aveva divorziato da Suzanne quattro anni prima, lui era diventato più schivo. Trascorreva la maggior parte del tempo nel suo ranch e si recava in città solo per necessità, o in occasione di eventi speciali, ma solo per un'apparizione fugace.

    «Al termine dello spettacolo pirotecnico, Chase mi ha chiesto di dare un'occhiata allo stereo mentre accompagnava la mamma a casa e poi di aiutarlo a smontare le casse e l'impianto.» Indicò con il pollice l'apparecchiatura sistemata nel retro del furgone.

    «Perché non l'hai accompagnata tu?» domandò Emma, sapendo che, se lui avesse potuto scegliere, lo avrebbe fatto.

    «Perché la mia famiglia mi considera un eremita e sostiene che ho bisogno di uscire un po' e svagarmi, vedere gente, divertirmi. La loro idea era che, se mi fossi trattenuto alla festa, avrei potuto incontrare una ragazza carina e chissà... trovare moglie.»

    Emma si schiarì la voce prima di parlare. «E l'hai incontrata? Intendo dire... la ragazza carina?» domandò con il fiato sospeso.

    «No» dichiarò lui. «Ma, d'altronde, non l'ho cercata.»

    Non c'era da stupirsi. I tradimenti di Suzanne e il divorzio erano stati un duro colpo per Mitch. Non era mai stato un tipo estroverso e la fine del suo matrimonio aveva contribuito a renderlo ancora più sfuggente e ombroso. Sembrava che niente e nessuno riuscisse a fargli cambiare umore, a instillargli un pizzico di fiducia e ottimismo.

    Emma aveva sempre provato una forte attrazione per lui, ma non aveva mai fatto nulla per dimostrargliela e Mitch, dal canto suo, l'aveva sempre trattata come un'amica e una buona vicina di casa.

    Che codarda era stata. Se gli avesse rivelato i propri sentimenti, forse lui non avrebbe sposato Suzanne e non avrebbe sofferto in quel modo.

    Passandosi le mani umide sui jeans, Emma sospirò di sollievo notando che si stavano avvicinando alla sua proprietà. Presto quel silenzio opprimente sarebbe stato solo un ricordo.

    Mitch fermò il furgone davanti al casale del ranch giallo pallido. «Vuoi che ti accompagni alla porta?»

    Non sarebbe stato necessario. Pochi passi e dieci scalini erano la distanza che la separava da casa.

    «No, grazie. Devo controllare il bestiame un'ultima volta, prima di andare a letto.» Emma sganciò la cintura, gli voltò le spalle e aprì lo sportello, sorpresa di trovarselo davanti. «Non mi ero accorta che fossi sceso dalla macchina. Perché?» domandò, stupita.

    «Vorrei aiutarti.»

    «Non ce n'è bisogno. Mi arrangio da sola, sono abituata.» Non era il suo passatempo preferito, ma era cresciuta rastrellando il fieno, pulendo le stalle e strigliando i cavalli, e anche adesso, nonostante i numerosi stallieri, aiutava il padre nella gestione del ranch. Controllare i secchi d'acqua e spargere il grano era un gioco da ragazzi, per lei.

    «So che sei in grado di cavartela da sola» replicò lui, circondandole le spalle con un braccio. «Ma in due faremo più in fretta e così potrai andare a letto prima.»

    Emma si limitò ad annuire e non disse niente mentre si dirigevano verso il fienile. La porta era semiaperta e l'interno buio pesto. Accese subito la luce e, anche se l'illuminazione era fioca, era sufficiente per vedere dove mettere le mani e non inciampare.

    Da bambino, Mitch aveva trascorso molto tempo al suo ranch, il Double D, e sapeva che cosa fare.

    I cavalli nitrirono al loro ingresso e lui li accarezzò per tranquillizzarli. Mentre Emma riempiva di fieno la mangiatoia e controllava che l'acqua fosse pulita, Mitch trascinò una balla di fieno all'esterno, sparpagliandola per gli animali che dormivano fuori.

    «Hai fatto?» le domandò, rientrando nel fienile.

    «Quasi. Voglio controllare la lettiera dei gattini, prima di andare, e poi ho finito» rispose lei, salendo su una scala a pioli che portava a un soppalco di legno. Le assi cigolarono sotto il suo peso. «Aspettami giù. Farò in fretta» gli gridò.

    La luce era molto fioca lassù, ma Emma sperava comunque di riuscire a scorgere i micetti.

    All'improvviso, uno scricchiolio alle sue spalle richiamò la sua attenzione. In cima alla scala, Mitch la stava osservando.

    «Non c'era bisogno che salissi.»

    «Lo so» rispose lui, che faceva sempre quello che gli passava per la testa.

    Emma proseguì la sua ricerca finché trovò i gattini addormentati, raggomitolati in un angolo tra la paglia. Erano talmente piccoli che avrebbe potuto tenerli tutti e cinque nei palmi delle mani. Due soriani, uno tigrato, uno bianco e uno nero con il musetto striato di bianco, erano uno più bello dell'altro. Avevano aperto gli occhi da poco, ma erano ancora instabili sulle zampe. Non li accarezzò per non disturbarli, però, mentre stava per andarsene, arrivò la loro mamma che, dopo essersi strusciata contro le sue gambe, si sdraiò accanto alla sua prole. Percependo l'odore del latte, i mici si svegliarono di colpo, litigando in cerca delle mammelle, per nulla spaventati dalla presenza umana.

    «Sono deliziosi» le sussurrò Mitch all'orecchio.

    Era talmente intenta a osservarli che Emma si era dimenticata di lui. Si chiese come fosse stato possibile, dal momento che Mitch non passava inosservato. Alto e imponente, riempiva quello spazio angusto.

    «Sì, sono adorabili. Adesso possiamo andare. Volevo solo accertarmi che stessero bene» mormorò a disagio.

    Guardandosi intorno come se non avesse udito le sue parole, Mitch individuò una comoda balla di fieno in fondo alla parete e decise di sedersi. «Perché tanta fretta?» le domandò. «Quando i gattini si saranno riempiti la pancia, potrai prenderli in braccio e coccolarli.»

    Emma affondò le mani nelle tasche dei jeans e si voltò verso di lui. Probabilmente era soltanto una scusa per stare in sua compagnia. Mitch sapeva bene che lei poteva andare dai gatti quando voleva, però, dal momento che avevano poche occasioni per stare insieme, accettò il suo invito e si accomodò accanto a lui.

    Il sonno, ormai, era svanito.

    Cercò qualcosa

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