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Ricominciare a vivere: Harmony Collezione
Ricominciare a vivere: Harmony Collezione
Ricominciare a vivere: Harmony Collezione
E-book155 pagine2 ore

Ricominciare a vivere: Harmony Collezione

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Info su questo ebook

Era successo tutto in fretta, forse troppo: un colpo di fulmine, un matrimonio "lampo", la nascita di un figlio e...il maledetto incidente dove hanno perso il frutto del loro unione. Tramortiti dal dolore, Sarah e Jed Dane seguono l'istinto dell'isolamento psicologico, sperando di ritrovare la serenità dei primi giorni. L'arrivo di due amici sembra un toccasana per il futuro, il problema è che, dopo di loro, arriva quella "piovra"di Deanna, l'ex fidanzata di lui. Che intenzioni ha?
LinguaItaliano
Data di uscita10 ott 2016
ISBN9788858955819
Ricominciare a vivere: Harmony Collezione
Autore

Emma Richmond

Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.

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    Anteprima del libro

    Ricominciare a vivere - Emma Richmond

    successivo.

    1

    Sforzandosi di trattenere le lacrime, Sarah guardò la figura in fondo alla rampa di scale. John Erskine Dane. Jed. Suo marito. Il suo sguardo era quanto mai determinato, una smorfia fiera, tesa a celare il dolore che gli procurava la gamba; nessun segno di debolezza. Fino a che punto sarebbe arrivato, stavolta?

    «Lo amo» pensò. «Lo amo così tanto che soffro... ma amarlo non cancella il dolore di ciò che è successo, quella tremenda angoscia.» Non lo biasimava per il modo in cui si stava comportando, certo che no. Non era stata colpa sua. L'indomani sarebbe stato un giorno migliore, si ripromise. «Domani. O dopodomani. E allora tutto sistemerà.»

    Appena lui sparì dal suo campo visivo, Sarah si mise a fissare il lago. Anzi, the loch si corresse. La pioggia punzecchiava la sua superficie e inumidiva le cortecce degli alberi spogli. Sii paziente, le aveva detto il dottore. Ma adesso erano passate sei settimane, quasi sette, e le lacrime non accennavano a scomparire.

    Nessun preavviso, nessun controllo, solo lacrime improvvise e singhiozzi incontenibili. Forse sarebbero dovuti tornare in Baviera per stare coi loro amici, ma aveva pensato che non sarebbe cambiato molto. Sarah non conosceva nessuno, in quel posto, e nessuno conosceva lei, o sapeva cosa fosse successo. Conoscevano Jed, ovviamente, dato che aveva trascorso parte della sua infanzia lì.

    «Desidera qualcos'altro, signora Dane?»

    La voce della governante scozzese la colse di sorpresa, facendola trasalire. Scosse la testa senza voltarsi. «No, grazie, signora Reeves.»

    «Io vado, allora.»

    «D'accordo.»

    Sarah udì il rumore della porta che si chiudeva, poi tornò a fissare il lago. In quello non c'era nessun mostro. Tutti i mostri erano solo dentro la sua testa. E se non li avesse scacciati al più presto...

    La signora Reeves l'aveva probabilmente trovata pallida debole; e si era dispiaciuta che Jed avesse sposato una donna così. Sarah avrebbe voluto dirle che lei non era fatta di quella pasta, ma nessuna parola sembrava adatta a descrivere il suo stato d'animo, in quel momento.

    Ci sarebbero stati altri bambini, si disse. La prossima volta sarebbe andato tutto bene... ma come sarebbe potuto esserci un altro figlio, se lei e il marito dormivano in camere separate? Come poteva esserci una seconda opportunità, se Jed si rifiutava di parlarle? Di abbracciarla? Di baciarla? Tutto il calore e il sostegno che le aveva sempre dato sembravano appartenere a un'altra vita, ormai. Ricordava bene come si sentiva, prima del fattaccio: allegra, vitale, piena di speranza. Segno d'immaturità? Se lo chiese corrugando la fronte. Forse. Si torturò una ciocca di capelli ricci con le punta delle dita. Debolezza o no, Sarah aveva sempre saputo ciò che desiderava... era Jed. Ma non in quel modo.

    Nei tre mesi successivi al diploma, aveva visitato tutti quei posti che aveva sempre desiderato vedere. Grazie alla cospicua somma messa generosamente a disposizione dalla nonna, era stata in Nord America, Estremo Oriente, Cina, Colombia, Australia, e alla fine era tornata in Europa. Con il castano dei capelli diventato quasi biondo e la pelle dorata grazie al tanto sole che aveva preso, era tornata in Baviera... e aveva trovato Jed.

    «Cos'ho vinto?»

    «Un giro in mongolfiera.»

    «Un giro in mongolfiera?»

    «Già.» Il giovanotto le sorrise, i suoi occhi blu avevano un'aria divertita. «Pronta?»

    «Pronta?» gli fece eco lei, sempre più perplessa. «Adesso?»

    «Certo. Adesso.»

    «Ma sono appena arrivata!»

    «Lo so.» Lui prese il suo zaino e s'incamminò verso la Land Rover blu che aveva disegnata su entrambi i lati una grossa mongolfiera rossa. Sarah lo seguì ridacchiando eccitata: era una follia!

    «Sei nervosa?» le domandò lui mentre l'aiutava a salire in macchina.

    «No, spaventata no. Sconcertata, stupita, confusa... E poi come diavolo faccio a sapere che sei davvero chi dici di essere?»

    «Perché tra pochi minuti tu vedrai un grande prato erboso con una mongolfiera al centro e molta gente intorno.» Avviò il motore e inserì la prima.

    Cinque minuti più tardi, erano giunti a destinazione.

    «Puoi lasciare tutto qui» le disse gettando un'occhiata alla sua roba.

    Segno che lui l'avrebbe accompagnata in quel giro, pensò Sarah. Prese dallo zaino solo la macchina fotografica e si accertò di avere nel marsupio il portafogli e il passaporto. Poi fece un profondo respiro e aprì la portiera. «Io non ho comprato nessun biglietto della lotteria, o qualcosa del genere...»

    «Niente lotterie. Avevamo ancora un posto libero, e ci è sembrata una cosa carina offrirlo a qualcuno. Ti abbiamo visto scendere dall'autobus e abbiamo pensato che potevi essere il tipo di persona che gradisce un regalo così particolare.»

    «Infatti, è così. Ma...» Niente ma, perché il ragazzo si era già allontanato da lei e si era messo a controllare le operazioni di gonfiaggio del pallone. Visto così da vicino, era molto più grosso di quanto avesse pensato.

    Fu presentata agli altri passeggeri, al pilota e alla navigatrice. Per fortuna, parlavano tutti un buon inglese, perché il suo tedesco era di un pessimo. Venne impartita a tutti i passeggeri una veloce lezione sulle posizioni da assumere durante il volo e in caso di situazioni di emergenza. Poche parole, e subito dopo, molto prima che lei si sentisse minimamente pronta, l'aerostato si alzò da terra.

    La prima cosa che la stupì fu l'enorme calore che sprigionava ogni fiammata che serviva a scaldare l'aria all'interno del pallone. Ecco perché il pilota e la navigatrice indossavano entrambi il cappello, si disse: il rischio di bruciarsi i capelli, infatti, sembrava assai alto.

    La mongolfiera si alzava lentamente e in modo graduale, senza alcun sussulto. Ai passeggeri venne chiesto di sedersi e di mantenere la posizione per tutta la durata del viaggio.

    Cominciando a rilassarsi, Sarah ammirò il paesaggio che diventava di minuto in minuto più ampio ed esaltante. Aveva sempre desiderato ammirare la Baviera in tutta la sua bellezza, ma non avrebbe mai immaginato che sarebbe riuscita a farlo in un modo così originale.

    Si guardò intorno nella navicella e sorrise. Tutti i passeggeri erano eccitati come bambini, e continuavano a scambiarsi impressioni.

    Fu una delle sensazioni più forti e intense di tutta la sua vita: lì in cielo, sospesa a un pallone, nel silenzio più totale, regnava una sensazione di pace e di tranquillità indescrivibile. Nessuno più parlava, ora, e l'unico rumore che di tanto in tanto rompeva quel silenzio soprannaturale proveniva dalla fiammata che serviva a tenere costante la temperatura all'interno della navicella.

    Il pilota iniziò a spiegare, prima in inglese e poi in tedesco, dove si trovavano, quale fossero la loro velocità e la loro direzione, ed elencò i paesini che avrebbero sorvolato nei prossimi minuti. Nel frattempo, le macchine fotografiche dei passeggeri lavoravano a pieno ritmo. Sarah, invece, preferiva fissare quei panorami mozzafiato imprimendoli nella sua memoria.

    L'ora a loro disposizione volò via in un attimo, e Sarah provò una certa delusione quando la mongolfiera iniziò la fase discendente.

    «Questo arnese può atterrare ovunque?» domandò al pilota.

    «Più o meno» rispose lui. «Ma per sicurezza, è sempre bene che lo spazio a disposizione sia tanto: in caso di vento, controllare un aerostato diventa al quanto problematico. Se si ha un bel campo ampio, senza cavi d'alta tensione o alberi tra i piedi, l'atterraggio è un'operazione che non presenta la minima difficoltà. Molto spesso usiamo terreni che privati ci mettono a disposizione; e noi, in cambio, offriamo loro qualche giro gratis per...»

    S'interruppe di colpo. Diede una veloce occhiata agli strumenti, poi avvisò i passeggeri di assumere la posizione d'emergenza che aveva spiegato prima che il volo avesse inizio. La navigatrice stava parlando tramite un walkie-talkie con un collega a terra e Sarah riuscì a sentire qualcosa riguardo a un forte vento che si era levato improvvisamente. Infatti, solo pochi secondi più tardi, la grossa cesta subì uno scossone che le fece acquistare una certa velocità in senso orizzontale. Poiché la mongolfiera aveva preso una direzione opposta al suo campo visivo, Sarah non poté far altro che cercare di restare calma e attendere che accadesse qualcosa. Un lieve impatto, sperò.

    L'impatto contro i rami di un albero, invece, fu tutt'altro che lieve, e si ritrovò in braccio al signore che era seduto accanto a lei. Udì delle grida.

    Rimase qualche secondo immobile, come inebetita, finché non sentì delle mani che l'afferravano con decisione per le braccia, aiutandola a scendere. Si voltò di scatto e si ritrovò davanti un paio di occhi d'un verde tanto intenso da risultare quasi ipnotici.

    «Sei ferita?» le domandò lo sconosciuto.

    «Tu... sei inglese?» le chiese Sarah dopo un attimo di esitazione.

    «Sì. Tu?»

    «Anch'io.»

    «Ferita?»

    «No, credo. Posso scendere, adesso?»

    «Penso proprio di sì.»

    Così solenne, così serio, con quello sguardo devastante; cinico e sicuro di sé. Quello sconosciuto aveva l'aria di chi nella vita ne ha viste di tutti i colori. E forse era vero. Oltre a essere molto attraente, aveva anche un'espressione vagamente familiare, pensò lei, come se si fossero già incontrati? Non le parve probabile, però, perché un tipo simile se lo sarebbe ricordato di sicuro.

    Lui l'aiutò ad alzarsi. Sarah era più scossa per quell'inaspettato incontro che per l'incidente: mai, in ventiquattro anni di vita, una persona l'aveva colpita tanto e tanto istantaneamente.

    Lui annuì con un'indifferenza che la ferì, poi si allontanò. L'aveva guardata come se non gli fosse piaciuta. Intontita sia per la propria reazione, sia per quella di quell'uomo, lei continuò a fissarlo.

    Poi ebbe un'intuizione: afferrò la sua macchina fotografica e gli fece una foto. Si guardò attorno con aria furtiva per accertarsi che nessuno la stesse guardando, e azionò il pulsante.

    «Ti piace?» le domandò una vocina alle sue spalle.

    Sarah trasalì, poi si voltò di scatto per vedere chi aveva parlato: era una ragazza dai capelli castani molto lunghi.

    «Mi chiamo Gita» si presentò timidamente. «Sono del paese qui vicino.»

    Sarah le sorrise e le strinse la mano. «Sarah Beverley, dall'Inghilterra. E... sì, mi piace» si decise a dirle.

    «Anche a noi» le rispose. «Si chiama Jed. Anzi, il suo vero nome è John Erskine Dane. È la persona più conosciuta, da queste parti. Fa lo scrittore, adesso. Ci piace molto.»

    John Dane. Sarah si sforzò di ricordarsi dove avesse già sentito quel nome, ma non ci riuscì. Adesso capiva perché la sua fisionomia le fosse in qualche modo nota. L'aveva visto in televisione, inviato nei posto più strani e remoti a raccontare di guerre, sommosse o cataclismi di vario genere. Chissà quante volte aveva guardato con l'angoscia nel cuore i suoi servizi al telegiornale, senza far caso al nome dell'inviato. Già, lei non era portata per i nomi, faticava molto a memorizzarli.

    «Fa lo scrittore, adesso?»

    «Sì» confermò Gita, continuando a seguire con gli occhi, insieme al suo gruppo di amiche, quel ragazzo dai capelli neri. Lei lo stava contemplando con devozione, Sarah con interesse.

    «E vive da queste parti?»

    «Sì, da circa un anno. Stava facendo una passeggiata da solo quando ha visto il pallone andare a schiantarsi contro l'albero.» Gita fece una breve pausa. «Magari, un giorno gli dedicheremo una targa da esporre nella piazza principale del paese, per ricordare

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