Una splendida follia: Harmony Collezione
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D'accordo che nel grave incidente di macchina, che le era appena capitato, aveva picchiato violentemente la testa, ma immaginare di impostare il futuro in quel modo era una prospettiva di vita a dir poco pericolosa.
L'unico modo per verificarlo è...
Emma Richmond
Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.
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Anteprima del libro
Una splendida follia - Emma Richmond
successivo.
Prologo
Nonostante fosse primavera inoltrata, un vento gelido obbligava i passanti ad avvolgersi nei cappotti e a stringersi le sciarpe intorno al collo. Tutti sembravano avere una gran fretta di raggiungere un luogo al riparo dalle raffiche, solo Alexa camminava con la sua andatura un po' ondeggiante sulle lunghe gambe da gazzella infilate in un vecchio paio di jeans.
Il giaccone slacciato e due enormi sacchetti del supermercato in bilico tra le braccia, sembrava non accorgersi del freddo e degli sguardi curiosi che la incrociavano.
Con il solito sorriso stampato sulle labbra e i grandi occhi colore dell'ambra scintillanti di buonumore, Alexa attraversò la piazza in direzione del suo ristorante. Guardando l'espressione serena dipinta sul suo viso, nessuno avrebbe potuto immaginare lo stato di agitazione in cui si trovava.
Quella sera doveva cucinare per un ricevimento nuziale ed era la prima volta che aveva sessanta persone tutte insieme a tavola. Un'impresa davvero rischiosa per la sua breve esperienza di proprietaria di un ristorante.
Eppure doveva riuscirci. Poteva riuscirci, pensò scuotendo il capo coperto di riccioli castani. Doveva soltanto aver fiducia nelle proprie capacità, una dote che non le era mai mancata e, che anche in questa occasione, l'avrebbe aiutata a gestire la situazione con successo.
«Ciao, Alexa!» la colse alle spalle una voce maschile vagamente familiare.
Si voltò di scatto e spalancò gli occhi piacevolmente sorpresa. L'uomo alto, dal fisico robusto e muscoloso, che stava in piedi vicino all'edicola del giornalaio era proprio Stefan! Sembrava attraente come sempre, col suo cappotto scuro dall'aria squisitamente trasandata gettato sulle spalle e gli occhi di un verde intenso e brillante.
«Che cosa fai da queste parti?» sorrise lei deliziata dalla circostanza.
«Che cosa ci fai tu, piuttosto» ribatté lui divertito, «confessa che mi stavi seguendo, signorina Gifford!»
«No» scoppiò lei in una risata, «per quale misterioso motivo dovrei seguirti?»
«Non ne ho idea. Ma... perché vai in giro con tutta questa roba?» si incuriosì lui indicando i due enormi sacchi della spesa.
«È per il ristorante» spiegò lei guardando verso l'insegna in ferro battuto sull'altro lato della piazza. «Sono la proprietaria e anche lo chef, naturalmente.»
«Incredibile» commentò lui scrutando attraverso le tre vetrine coperte dalle tendine di pizzo bianco che spiccavano sull'edificio di mattoni rossi.
«Abiti qui adesso?» domandò lei.
«Di tanto in tanto» rispose lui vago.
«Non lo sapevo, credimi» asserì lei.
«Perché non dovrei crederti?» insinuò lui in tono ironico, «sei forse una che racconta frottole, signorina Gifford?»
«Sempre pronto a prendermi in giro, non è così?»
«Affatto» negò lui con una nota di sarcasmo, «volevo solo ricordare a me stesso che a volte non è facile capire se dici la verità o meno.»
«Io non sono una bugiarda.»
«Scusami, non intendevo offenderti. È solo che a volte tu sei così incomprensibile...»
«Non c'è bisogno che ti giustifichi» lo interruppe lei un po' seccata, «nessuno ti obbliga a vedermi o a parlarmi.»
«Non lo farò, infatti» promise lui in tono scherzoso, «la tua presenza può diventare pericolosa...»
Lei rimase un istante senza parole.
«Dici così solo perché, quando ci siamo conosciuti, sono successi un paio di piccoli incidenti?» chiese poi un po' allarmata.
«Piccoli incidenti? In Romania hai quasi rischiato di ammazzarmi, e tu li chiami piccoli incidenti!»
«Non sono stata io a provocare la frana!»
«Però sei riuscita ad allagare un intero piano del palazzo, compreso il mio appartamento.»
«Lo sai benissimo che stavo solo cercando di riparare un tubo bucato.»
«E hai peggiorato la situazione» incalzò lui, «per non parlare di quando mi sei piombata addosso con quel dannato furgone e mi hai praticamente distrutto la macchina.»
«Non esagerare, Stefan, ho semplicemente tamponato il paraurti.»
«Adesso mi hai seguito fino a Canterbury, sii sincera. Stai tramando qualche altro attentato contro la mia vita, per caso?»
«Io non ti ho affatto seguito!» si indispettì lei. «Se siamo qui tutti e due è solo per pura coincidenza.»
«Da quanto tempo vivi a Canterbury?» domandò lui sospettoso.
«Tre mesi. Ho preso in gestione quel ristorante. Perché non vieni ad assaggiare la mia cucina, oggi o domani?»
«Ho capito» la stuzzicò lui, «adesso vuoi provarci con il veleno. No, grazie. Questa volta non ci casco.»
«Non essere sciocco. Sono una brava cuoca.»
«D'accordo, prima o poi correrò anche questo rischio» si arrese lui scrollando le spalle. «Adesso, però, devo proprio andare» aggiunse guardando l'orologio, «domattina devo partire per gli Stati Uniti.»
Un sorriso di complicità gli illuminò il viso e, prima che lei potesse aprire bocca per salutarlo, lui le chiuse le labbra con le sue.
«Fai la brava...» le sussurrò teneramente volgendosi di spalle per andarsene.
«Aspetta, Stefan» tentò lei di fermarlo, «ci rivedremo ancora?»
«Forse» rispose lui senza fermarsi. Poi girò l'angolo e la sua figura imponente sparì tra la folla che si affrettava verso la fermata dell'autobus.
Inutile rincorrerlo. Dopo qualche passo Alexa rimase senza fiato e immobile, una sensazione di dolce tepore sulle labbra. Forse. Che cosa significava quel forse? Voleva dire di sì?
Cercando di sistemare i pesanti sacchetti in una posizione più comoda, Alexa si rese conto di quanto quell'incontro inaspettato l'avesse sconvolta. Stefan era un uomo capace di far sentire ogni donna un po' speciale. Era passato circa un anno, da quando si erano visti, un anno in cui erano accadute molte cose nella vita di Alexa, eppure lui continuava a essere per lei lo stesso affascinante mistero.
Assorta nei suoi pensieri, Alexa raggiunse il ristorante, girò su un lato dell'edificio ed entrò in cucina dalla porta di servizio.
«Hai un'aria molto soddisfatta, Alexa.»
Linda era la giovane aiutante che lei aveva assunto da qualche settimana.
«Davvero?»
«Sì, lui chi era?»
«Lui?» domandò Alexa leggermente allarmata. «Lui... chi?»
«Quel tipo alto col cappotto nero con cui stavi parlando.»
«Ah, Stefan» rispose lei abbozzando un sorriso, «un vecchio amico. È convinto che io stia cercando di ammazzarlo.»
«È vero?» chiese Linda sempre più curiosa.
«No, naturalmente» rise Alexa.
«Raccontami meglio...» incalzò la ragazza.
«Non c'è niente da raccontare» negò lei svuotando i sacchetti della spesa. «Ci siamo conosciuti in un orfanotrofio in Romania. Facevamo parte di un gruppo di volontari impegnati in un progetto per la costruzione di nuove strutture per i bambini abbandonati. Lui era simpatico, ma anche totalmente negato per qualsiasi lavoro di tipo pratico.»
Durante quelle settimane in Romania, lei aveva flirtato spudoratamente con lui perché... Stefan era l'uomo con cui ogni donna avrebbe desiderato flirta re. Era buono, generoso, molto gentile e... Ripensandoci dopo tutto quel tempo, Alexa si rese conto che non sapeva quasi nulla di lui.
Quasi tutti, nel gruppo di volontari, avevano raccontato qualcosa di se stessi o della propria famiglia. Tutti, tranne Stefan. Era l'uomo del mistero. Tuttavia, forse proprio per questo, lui l'aveva colpita più degli altri e le era rimasto in mente anche dopo la fine di quell'esperienza.
«E adesso che cosa ci fa qui a Canterbury?» insinuò Linda maliziosa. «David non sarebbe contento di sapere che lui ti gira intorno.»
«Non è necessario che David lo sappia» ribatté Alexa energicamente. «E poi lui non mi sta affatto girando intorno.»
«Perché allora sorridevi in quel modo quando sei entrata?» continuò Linda diabolica. «Se davvero tu fossi innamorata di David...»
«Non dire sciocchezze» la interruppe lei spazientita, «amare qualcuno non significa non notare qualche uomo attraente, e guardare un altro non significa desiderarlo. Mi piace e basta.»
«Comunque David non sarebbe d'accordo» insistette Linda, «specialmente sul bacio.»
«Un bacio tra vecchi amici» replicò Alexa. «Non c'è stato niente di più, non significava niente di particolare.» Turbata dall'insistenza di Linda, Alexa studiò la sua espressione fissandola intensamente finché l'altra non arrossì.
«Scusami, forse non sono affari miei.»
«Comunque, non credo che lo rivedrò di nuovo» concluse Alexa. Invece sperava esattamente il contrario. Lo sperava con tutto il cuore.
Con sua grande sorpresa, invece, il desiderio si realizzò. Sei settimane dopo, Stefan entrò nel ristorante e si sedette a un tavolo.
Lei si precipitò a salutarlo, il viso illuminato dalla gioia di rivederlo.
«Non avvelenarmi, per favore» la pregò lui con un caldo sorriso.
«Stai tranquillo, uscirai da qui con le tue gambe» promise lei solennemente.
«Ho una nipote che mi aspetta qui a Canterbury ogni sei settimane... per farsi coccolare un po'.»
«Be', sono contenta» commentò lei sincera, «così avrai spesso occasione per venire a trovarmi.»
Lei lo servì molto premurosamente, senza preoccuparsi dello sguardo contrariato di Linda. Era felice di rivedere un amico, e nel suo ristorante gli amici meritavano un trattamento speciale.
«Nessun mal di pancia?» scherzò quando lui finì di mangiare.
«No, anzi, devo riconoscere che sei davvero un'ottima cuoca.»
«Allora torna ancora a cenare qui.»
Lui accolse l'invito. Ogni sei settimane, puntuale come un orologio, Stefan cenava al ristorante di Alexa. Dopo aver lasciato l'aeroporto, passava all'hotel dove alloggiava per depositare i bagagli e poi correva subito da lei.
Poi, in settembre, di colpo, tutto cambiò.
Quella sera il ristorante era molto affollato e lei non aveva avuto occasione di parlare con lui. Finalmente, dopo aver servito gli ultimi clienti, Alexa riuscì ad avvicinarsi al tavolo dove Stefan stava aspettando, lo sguardo fisso nel vuoto, la tazzina del caffè tra le dita.
«Ti andrebbe di prenderne un altro?» domandò lei sottovoce.
Lui la guardò con aria assente, come se si fosse appena svegliato da un sogno, sorpreso di non vedere più nessuno intorno. «Scusami, Alexa, non mi ero accorto che fosse così tardi.»
«Non importa, domani è giorno di chiusura» lo rassicurò lei. «Allora, ti porto il caffè?»
«Solo se mi fai compagnia» rispose lui pensieroso.
«C'è qualcosa che non va, Stefan?»
«Più o meno» esitò lui. «Dimmi una cosa, Alexa, non ti servirebbe un marito?» chiese poi tutto d'un fiato.
«Un marito?» Lei lo fissò sorpresa. «No, io ho già... be', lo sai che sto con David.»
«Sì, lo so» mormorò lui abbassando lo sguardo.
«Qual è il problema, Stefan?»
Lui esitava ad andare avanti.
«Coraggio» lo esortò lei ponendo istintivamente una mano sulle sue, «spiegami perché mi hai fatto una simile domanda.»
«Ti ho già detto che mia sorella e mio cognato sono morti in un incidente aereo all'inizio di quest'anno, vero?»
«Sì.»
«E ti ho parlato anche di Jessica, la mia nipotina.»
«Sì, mi hai raccontato che ora vive con i nonni paterni