Vento d'estate: Harmony Collezione
Di Kate Walker
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Kate Walker
Autrice inglese originaria della regione di Nottingham, ha anche diretto una libreria per bambini.
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Anteprima del libro
Vento d'estate - Kate Walker
successivo.
1
Sarah si allontanò dalla porta socchiusa più silenziosamente che poté.
Non fu facile. Il pensiero di far capire ai due che occupavano la camera da letto che lei era lì e li aveva visti le fece battere forte il cuore e le diede un senso di vertigine.
Sotto la splendida massa di capelli rosso oro, il suo viso era diventato pallidissimo, facendo spiccare ancora di più gli occhi verde smeraldo. Si sentì assalire dalla nausea per la rabbia e provò il bisogno di aspettare qualche minuto per riprendersi prima di affrontare la situazione.
Le era bastato aprire la porta, e la relativa serenità che solo da poco pensava di avere riconquistato era stata spazzata via in un secondo.
Serenità. C'era proprio da ridere! Non era serena da molto tempo. Non riusciva più a provare la meravigliosa tranquillità che deriva dalla consapevolezza di essere felici nel profondo del cuore e in pace con il mondo. Un tempo si era sentita così, ma sembrava che da allora fosse trascorso un secolo.
Ma questo non era il momento di pensare al passato. Doveva concentrarsi sul presente, altrimenti avrebbe distrutto quel po' di coraggio che le era necessario per affrontare la situazione.
«Sarah?»
La voce di Jason suonò strozzata per lo stupore.
Si sentì il rumore di un letto che cigolava e passi di piedi nudi sul pavimento. Lui doveva averla sentita e stava venendo a cercarla.
Anche l'uomo che stava nascosto nell'ombra del corridoio sentì i rumori. La voce maschile gli diede un colpo al cuore e gli fece provare un penoso senso di disgusto.
Lei aveva un amante. Qui, nella casa dove un tempo avevano vissuto insieme. Evidentemente, non credeva che sarebbe tornato così presto.
Non abbastanza presto, però, da evitare che lo tradisse. La sua dolce Sarah si era data da fare durante la sua assenza. Aveva trovato un altro uomo e lo aveva già perso, a giudicare dalla fretta con cui aveva sceso le scale.
Era così turbata che non si era accorta della sua presenza. E questo la diceva lunga su quello che doveva aver scoperto nella camera da letto.
La loro camera da letto.
Il pensiero gli fece provare una furia così selvaggia che gli annebbiò la vista, e gli fece perdere la capacità di pensare in modo razionale.
«Sarah?» chiamò ancora Jason, a voce più alta. «Sei tu?»
Adesso sembrava contrariato e, prima che lei potesse trovare la forza di rispondere o segnalare in qualche modo la sua presenza, era uscito sul pianerottolo e si stava sporgendo dalla ringhiera.
Era a piedi nudi, con i capelli biondi ancora arruffati, ma almeno aveva trovato il tempo di indossare un paio di jeans.
«Allora sei tu? Non mi hai sentito chiamare? Perché non mi hai risposto? E che ci fai qui così presto?»
Era un tecnica che lei riconobbe subito. Bombardare l'interlocutore di domande in rapida successione per disorientarlo. Si capiva che era agitato perché non sapeva da quanto fosse lì e che cosa avesse visto.
«Posso andare e venire quando mi pare e piace. Questa è casa mia!»
Veramente è casa mia, pensò l'uomo nell'ombra. La grande casa di Londra era da sempre proprietà della famiglia Nicolaiades. Lui aveva lasciato che Sarah continuasse a viverci, ma non le apparteneva, anche se era ancora sua moglie.
Un momento prima era stato tentato di uscire allo scoperto e affrontare i due, ma quando aveva visto lo sconosciuto sul pianerottolo, aveva cambiato idea. Era meglio aspettare. Perché sulla faccia colpevole di quel bastardo c'erano tutti i segni di una tresca illecita interrotta sul più bello e c'era da scommettere che l'altra dona fosse ancora in camera da letto.
Jason scese le scale ravviandosi i capelli con mano nervosa e allacciandosi i jeans.
«Non ti scaldare per niente!»
«Niente?»
Il tono gelido di Sarah strappò un sorriso amaro all'osservatore nascosto. Conosceva molto bene quel tono di indignata disapprovazione e non si era ancora ripreso dall'ultima volta che lo aveva usato con lui.
«Okay, stavo facendo un pisolino nel tuo letto.»
Era chiaro che il biondo pensava di riuscire a cavarsela a buon mercato.
«Che c'è di male? Del resto d'ora in poi ci dormiremo insieme.»
«Io non ho mai detto che ti saresti trasferito qui.»
«Non l'hai detto, ma sappiamo entrambi che è solo questione di tempo.»
Sembrava così sicuro di sé, pensò Sarah, mentre la rabbia e l'amarezza per il tradimento subito producevano nella sua mente una miscela esplosiva. Evidentemente era convinto che lei non fosse salita e non avesse visto quello che stava succedendo.
Pensava di potersela ancora cavare. Riteneva che lei fosse così sciocca e credulona da accettare qualsiasi stupidaggine le avesse raccontato. E quello che la faceva infuriare di più era il pensiero che, sola e infelice come si sentiva, doveva avergli dato questa impressione.
«Prima o poi sarebbe successo» insistette lui.
Prima ancora che Sarah avesse il tempo di replicare, una voce femminile, acuta e petulante, la interruppe.
«Jace? Jacey, tesoro...»
Jason impallidì e si girò imprecando. La porta della camera si aprì e ne uscì una ragazza tutta curve, avvolta in una camicia da notte di seta rossa che Sarah riconobbe come propria.
«Che stai combinando?» continuò facendo il broncio, mentre l'uomo la guardava impietrito.
«Andrea, ti avevo detto di aspettarmi!» sibilò lui, infuriato.
«Mi stavo annoiando. Ero stanca di aspettare che tu tornassi.»
«Mi domando come debba sentirsi la tua amica costretta ad aspettare!»
A quelle parole, Andrea si sporse dalla balaustra per vedere chi avesse parlato. «E tu chi sei?» le chiese.
Sarah riuscì a controllare il tremito della voce, anche se, chiunque la conosceva, avrebbe indovinato lo sforzo che stava facendo per mantenere la calma.
«Io? Io sono soltanto la proprietaria di questa casa, del letto da cui sei appena uscita e della camicia che hai addosso.»
L'uomo che stava ascoltando nell'ombra vide il pallore del suo viso e provò un improvviso senso di compassione per lei.
Ma la compassione era uno sbaglio, perché lo avrebbe reso vulnerabile. Un tempo aveva dato a quella donna tutto il suo cuore e lei lo aveva fatto in mille pezzi come una cosa di nessun valore. Non doveva rischiare di ripetere quell'errore.
«Ti suggerisco di metterti addosso i tuoi vestiti e di andartene insieme a questo imbroglione da quattro soldi» aggiunse Sarah.
Se fossero andati via subito, forse sarebbe riuscita a riprendersi, avrebbe potuto dimenticare quanto era stata sciocca nelle ultime settimane a lasciarsi intrappolare, ancora una volta, in una relazione sbagliata. Aveva cercato solo un po' di conforto e si era ritrovata in quel pasticcio.
«Sarah, per favore. Lei non significa niente! È stato solo un passatempo.»
«Un passatempo? E tu hai tradito la mia fiducia e hai rischiato di rompere il nostro rapporto per qualcosa che non aveva nessuna importanza!»
Almeno Damon l'aveva tradita per la donna che veramente voleva, e lei era stata solo la moglie di convenienza.
Jason aveva assunto un'espressione contrita e le si stava avvicinando.
«Dai! Cerca di capire!»
Ancora un passo e l'avrebbe toccata.
«No!» esclamò. Alzò le mani per respingerlo, mentre i nervi le cedevano e non riusciva a pensare ad altro che ad andarsene. Non riusciva neppure a sopportare di trovarsi nella stessa stanza con lui un minuto di più. Voleva solo sentirsi libera di dimenticare Jason e tutto quello che aveva rappresentato. Libera di pensare all'uomo che una volta era stato tutto per lei. «Ooh!»
Il grido di sorpresa le sfuggì quando andò a scontrarsi con qualcosa di solido e imponente che non si aspettava, e che le sbarrava il passo.
Si trattava di un corpo maschile muscoloso e possente che poteva appartenere solo a un uomo a lei ben noto. Lui istintivamente la prese tra le braccia.
Con il viso premuto contro il suo petto, Sarah poteva sentire il battito regolare del suo cuore e il sensuale profumo di colonia speziata mescolato al suo aroma unico e personale.
Conosceva quel profumo bene come quello della propria pelle e non aveva bisogno di vedere il viso dell'uomo, né di sentire la sua voce per sapere chi fosse. Se mai avesse avuto bisogno di una prova, la reazione istintiva, che subito la pervase bruciando tutti gli altri pensieri, le diede la conferma.
Con la voce ridotta a un sussurro, non riuscì neanche a pronunciare il nome di lui.
Solo un uomo la faceva sentire così, amplificando le sue emozioni e i suoi sensi in modo istantaneo e selvaggio.
«Damon...» bisbigliò. «Damon!» Intuì, più che vederlo, il sorriso di soddisfazione che gli increspò le labbra. Sapeva, senza ombra di dubbio, che stava gongolando nel constatare di avere su di lei un impatto così forte da non potere essere nascosto.
La consapevolezza di avergli fornito l'arma da usare contro di lei la fece ammutolire mortificata e dovette stringere i denti per frenare la rabbia. Damon Nicolaiades non aveva bisogno di incoraggiamenti per sentirsi superiore a qualsiasi altro essere umano. Era già abbastanza arrogante.
«Damon...» ripeté con un tono diverso. «Lasciami subito!»
Lui sorrise di nuovo. «Sai che non è questo quello che vuoi, tesoro.»
Era la prima volta che udiva di nuovo la sua voce dopo sei mesi, e le sensazioni dolci e amare che le fece provare, i ricordi che le fece rivivere nello spazio di un battito di cuore, quasi la sopraffecero.
«Invece è proprio quello che voglio.»
Chiamando a raccolta quel po' di energia che le rimaneva, cercò di sciogliersi dall'abbraccio e alzò lo sguardo verso il viso abbronzato che la sovrastava.
Se ne pentì immediatamente.
Perché non appena vide quel volto bello e tenebroso, gli occhi neri e scintillanti e la bocca calda e sensuale, fu come se non si fosse mai allontanata da lui.
I centottanta giorni in cui lui era stato assente dalla sua vita svanirono in pochi secondi, e lei si sentì trascinata indietro fino al devastante momento in cui aveva scoperto la verità. E cioè quando il padre di Damon l'aveva costretta a capire che il suo matrimonio non era basato sui solidi sentimenti che lei credeva, ma su qualcosa di inconsistente come la sabbia che, scivolando via, l'aveva lasciata vacillante e senza alcun sostegno.
«Lo voglio e basta» cercò di ribadire con il tono più deciso che poté, ma le sue parole risuonarono vuote e poco convincenti.
Damon non se ne curò affatto, come se una mosca si fosse posata sul suo braccio abbronzato e lui l'avesse scacciata con un gesto distratto della mano.
Il suo sorriso diventò ancora più arrogante.
«Ciao, tesoro, è bello rivederti» le disse. Poi, prima che lei potesse rendersene conto, chinò il capo e la baciò con passione.
Il contatto tra le loro labbra spazzò via ogni pretesa di resistenza, come un torrente in piena che travolge tutto nella sua pazza corsa. In preda al più devastante flusso di sensazioni, Sarah chiuse gli occhi e si arrese alle sue