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Il mio miracolo sei tu: Harmony Bianca
Il mio miracolo sei tu: Harmony Bianca
Il mio miracolo sei tu: Harmony Bianca
E-book179 pagine2 ore

Il mio miracolo sei tu: Harmony Bianca

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Info su questo ebook

Mary: Wesley è sempre stato l'uomo dei miei sogni, il mio amore segreto, ma lui era troppo per me: troppo bello, troppo ricco, troppo in gamba. Adesso che devo aiutarlo a rimettersi in sesto attraverso un serrato programma di fisioterapia, mi rendo conto che l'attrazione che provavo per lui non è mai scemata. Wesley mi ha chiesto di insegnargli ad amare di nuovo. In cambio mi darà il bambino che ho sempre desiderato...
Wesley: Sono sempre stato abituato a ottenere ciò che volevo senza l'aiuto di nessuno. E adesso che sono finito su una sedia a rotelle, ho intenzione di dimostrare a tutti di essere ancora padrone della mia vita. Questa volta, però, avrò bisogno di una mano, e a darmela sarà l'unica donna che non sono mai riuscito a dimenticare.
LinguaItaliano
Data di uscita10 giu 2021
ISBN9788830530171
Il mio miracolo sei tu: Harmony Bianca

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    Anteprima del libro

    Il mio miracolo sei tu - Lynne Marshall

    1

    Wesley Van Allen aprì la porta di casa. Capelli neri appena più lunghi di un tempo, indossava una T-shirt bianca a maniche corte, sgualcita e macchiata di sudore, e negli occhi aveva la stessa luce orgogliosa di sempre. È ancora stupendo, pensò Mary Harris, chinandosi a baciarlo sul viso.

    «Ti ricordi di me?» gli mormorò prima che il suo sguardo cadesse sui muscoli delle braccia e delle spalle di lui ancora tesi, le vene evidenti, forse per l'allenamento appena interrotto. Sebbene fosse così affaticato e in disordine, era ancora più bello e sexy di come lo ricordava.

    Anche se adesso era su una sedia a rotelle.

    «Come dimenticarti, piccola peste?» replicò Wes passandosi l'asciugamano sul collo. Aveva l'aria un po' sorpresa e un mezzo sorriso pigro.

    Non era affatto cambiato, pensò Mary; riconosceva quella sua aria così sicura di sé, evidente in ogni gesto, perfino nella semplice andatura... che adesso non poteva più ostentare.

    I suoi occhi, di un luminoso nocciola chiaro, a cui nulla sfuggiva, e che Mary ricordava così bene, ora le sembravano più scuri, più attenti che mai. E da come la scrutavano, si chiese all'improvviso se bussare alla porta di Wes non fosse stato un errore.

    Era un uomo che aveva perduto quasi tutto, pensò; e doveva aver lottato duramente, a lungo, per recuperare il proprio equilibrio. Non piangere, non devo piangere, si impose. Nel timore che lo sguardo potesse tradirla, mutò l'espressione del volto, celando l'onda di intenso sgomento, per il tremendo destino del ragazzo di un tempo, per l'uomo di adesso.

    Mary si inventò un sorriso quasi allegro. «Eccomi qui! Forse posso dare una mano, no? Sono un'esperta, lo sapevi?» disse, disinvolta.

    Era stata Alexandra, la sorella di Wes, a comunicarle del terribile incidente di sci nautico, nove mesi prima. I dottori avevano detto che la vita di Wes era attaccata a un debole filo. La notizia aveva scosso Mary nel profondo; un vuoto immenso nel cuore, per la perdita dell'uomo che una volta aveva sognato di avvicinare, senza mai riuscirvi davvero. Purtroppo, per la fisioterapista Mary Harris, appena assunta per sei mesi in un ospedale di Bangor, nel Maine, in quel momento non c'era la possibilità di poter correre da lui, almeno per vederlo.

    Per giorni, aveva rimpianto Wes, finché Alexandra, in un'altra telefonata, non le aveva assicurato che il fratello era finalmente fuori pericolo.

    Ma non avrebbe camminato mai più.

    Mille volte Mary aveva pensato di prendere il telefono, di chiamarlo, o scrivergli un biglietto, per offrirgli solidarietà, comprensione... ma poi, riflettendo, vi aveva rinunciato. In sostanza, non era convinta di averne il diritto. Mary Harris, per Wes, non era altro che una ragazza incontrata molto tempo prima. Niente di più.

    In ogni caso, da allora aveva spesso sentito Alexandra, ricevendo notizie sulla lenta ripresa del fratello.

    Senonché, da pochi giorni, nel corso della telefonata più recente, Alexandra, quasi disperata, aveva chiesto aiuto all'amica di sempre.

    «Wes ha licenziato il terzo fisioterapista per l'allenamento domiciliare» aveva detto, la voce incrinata dal panico. «Non fa altro, li manda via dopo un mese... ormai ha acquisito una certa autosufficienza, e non sopporta il fato di vedersi gente attorno!»

    Sebbene sul punto di accettare un nuovo contratto, stavolta nel Nuovo Messico, Mary aveva cambiato programma. Libera professionista, viaggiava volentieri, chiamata dovunque, in sostituzione di colleghi, o per periodi limitati. Dopo la telefonata di Alexandra, niente poteva impedirle di correre ad aiutare l'uomo di cui era innamorata da quando aveva quindici anni.

    «Sul serio, vuoi dirmi cosa fai qui?»

    Il tono glaciale di Wes ferì Mary; era un dolore inaspettato, bruciante, come se le dita avessero sfiorato il bordo di un foglio tagliente. Tuttavia lui indietreggiò, per lasciarla entrare in casa.

    Era già qualcosa.

    «Te l'ho detto, perché. Sono qui per dare una mano.» Non è felice di vedermi, pensò delusa.

    «Non ho bisogno di aiuto, non mi serve niente.» Il suo sguardo sospettoso sembrava scrutarla negli occhi alla ricerca di qualche traccia di pietà, che non avrebbe di certo gradito. Per esperienza, Mary sapeva bene che dimostrarla apertamente scatenava di solito nei pazienti ridotti all'immobilità una reazione sgradevole.

    Mary assunse un'espressione scettica. «Davvero? Uno che licenzia tre fisioterapisti in tre mesi, non ha bisogno di aiuto? Mi permetto di dissentire!»

    Gli era apparsa all'improvviso, credeva forse di essere accolta nel migliore dei modi?, pensò Wes. Tuttavia si limitò a tossicchiare, disapprovando; poi girò la sedia a rotelle e si diresse verso un'altra porta, oltre il grande soggiorno arredato con gusto. Dalle vetrate a tutta altezza, l'immenso Oceano Pacifico appariva turchese e azzurro, scintillante al sole con tremuli riflessi d'argento. Vista stupenda; eppure quella casa, magnifica, sembrava avere un'aria dimessa, grigia e malinconica. Mary esitò, incerta se seguire Wes. Infine, superò dopo di lui l'altra porta, che si apriva nell'atrio, molto ampio. Una bella, armoniosa scala a chiocciola sembrava accogliere gli ospiti a braccia aperte.

    Ma dal giorno dell'incidente, quella scala era proibita a Wes per sempre. Doveva essere molto triste ricordarlo ogni giorno.

    «Dico davvero, Wes; anche licenziando tutti i fisioterapisti del mondo, niente ti restituirà le gambe» dichiarò Mary, con la sua abituale franchezza. Non era da lei ignorare i problemi o fingere di non vederli per evitare di parlarne.

    Quanto a Wes, capiva molto bene perché ormai non riponesse fiducia negli altri: cercava di ritrovare la propria indipendenza con le proprie forze, senza aiuti esterni. Affrontava la disabilità con tutta la tenacia e l'energia di cui era capace, con il rischio reale di distruggere se stesso, e forse anche chiunque gli fosse accanto.

    Secondo Alexandra, nessuno infatti sembrava in grado di sostenere il ritmo dei suoi allenamenti.

    «Non ho bisogno di te!»

    L'aveva detto a voce alta, aggressivo, quasi a negare la realtà indicata da Mary. Modi e parole non certo abituali in quel Wes che conosceva, giovane neurochirurgo di successo, fiero dei suoi obiettivi sognati fin dall'adolescenza. Ma chi mai poteva immaginare cosa sarebbe accaduto poi?

    «Alex non è d'accordo, mi ha chiesto lei di dare un aiuto per qualche tempo» scandì Mary, e alzò subito una mano per impedire a Wes di replicare. «Perché è tua sorella e ti vuole molto bene» aggiunse, dolcemente.

    «Alex deve pensare agli affari suoi. Ha un marito e tre figli di cui preoccuparsi. Dille pure che la sollevo da ogni responsabilità nei miei confronti, prevista per i parenti consanguinei. E adesso puoi anche andartene.»

    Per quanto colpita, Mary rise di cuore, stupita per la propria reazione. Era cambiato, pensò, e in peggio. Dieci anni, erano passati, da quando aveva visto Wes l'ultima volta, al matrimonio di Alex.

    In quel giorno, memorabile, c'era stato anche il loro secondo, incredibile, sconvolgente bacio, e non solo... Senza dubbio, la causa di tutto era il troppo champagne bevuto durante la festa! «Calma, Wes. Non è così facile. Guarda che per arrivare fin qui, ho sospeso la mia attività per due mesi e ho guidato dal Nuovo Messico alla California.»

    «E perché mai tutto questo, senza avvertirmi?»

    «I veri amici fanno così, no? Arrivano all'improvviso, per dare il loro aiuto.»

    «Invece i miei di solito me lo chiedono prima, se voglio vederli.»

    Licenziata. Un altro taglio sottile, ma più doloroso. Altro che amici. Non li avrebbe mai voluti accanto, ammesso che ne avesse ancora qualcuno.

    Forse Wes vedeva in lei ancora quella ragazzina sparuta, compagna di scuola di Alexandra, pensava Mary; un caso pietoso, il gattino arruffato raccolto per la strada, e portato a casa. Ma lei era andata oltre le difficili condizioni economiche dei suoi, oltre le molte situazioni sfavorevoli, non meritava di essere trattata in quel modo.

    «Dicevi che ero la tua sorellina più piccola, Wes. Vivevo praticamente con voi, eravate la mia seconda famiglia» riprese, cercando di cogliere il suo sguardo sfuggente. «I tuoi genitori mi hanno difeso, protetto, e tu... tu mi hai sempre detto che avrei avuto molto successo!»

    Glielo aveva ripetuto anche la sera in cui si era offerto di accompagnarla al ballo del Liceo, ricordò Mary, avvicinandolo, con la segreta speranza di infrangere il suo muro di indifferenza. «E sai una cosa, Wes? Avevi ragione, l'ho avuto, il mio successo. Sono una fantastica laureata in ricerche, e sono qui per te. Sono un dottore in aiuto a un altro dottore...» Nella vita, a volte, accadeva anche quello.

    «Quindi adesso vorresti guadagnarci sopra?» Wes la fissò, sprezzante. La frecciata maligna, l'insulto dovevano indurla a rinunciare e a lasciarlo in pace. «Non ho bisogno del tuo aiuto. Comunque grazie lo stesso.»

    Wes si avviò alla porta dell'ascensore, sicuro che Mary fosse rimasta a bocca aperta, senza parole. Si sbagliava. A lei, furibonda e offesa per il pesante affronto, bastò un attimo per ritrovarle, e reagire.

    «Me l'avevano detto che stavi diventando... sì, diciamolo pure... molto strano, ecco.»

    E me ne hai dato la prova proprio adesso!

    In realtà, Mary, prima di mettersi in viaggio, aveva telefonato anche ai genitori di Wes. Ormai in pensione, erano tornati in Florida, dopo aver assistito il figlio nei primi sei mesi di convalescenza.

    «Qualcuno doveva scuoterti da quello stato!»

    Wes la guardò, ironico. «Hai parlato con i miei, vero? Caro, vecchio papà, che ancora mi rimprovera per l'incidente... non voglio intorno gente sempre pronta ad avvelenarmi le giornate!»

    Tuo padre sarà severo ed esigente, pensò Mary, ma so che tua madre è sempre stata dalla tua parte. «Io non ho intenzione di avvelenarti, Wes» mormorò, rassicurante. D'accordo, il signor Van Allen voleva il meglio per entrambi i figli, specialmente per Wes. Mary ricordava le sue furibonde scenate, quando Wes, agli inizi degli studi in medicina, voleva specializzarsi in dietologia. Guai, se non avesse seguito la strada suggerita dal padre. In sostanza, ai ragazzi Van Allen non era permesso commettere errori.

    Ma quale padre arrivava a biasimare un figlio per un incidente di quelli che gli avrebbe cambiato la vita?

    «Ma non lo vedi che sto benissimo?» replicò Wes, deciso a difendere il proprio isolamento.

    È vero, stai bene, almeno in apparenza, pensò Mary. Ma Wes non immaginava neanche lontanamente di quanto bisogno avesse di un allenamento quotidiano, di ginnastica passiva per muscoli e articolazioni che non poteva più muovere volontariamente. Qualcosa da apprendere, da eseguire da sé.

    Dall'aspetto tonico di spalle, braccia e torace, Wes doveva aver lavorato con rigore, ma in ogni caso, durante gli esercizi, un controllo costante era comunque indispensabile; le cadute, o qualche errore, potevano aggravare le condizioni della colonna vertebrale.

    No, non posso andare via, pensò Mary, non oggi. «Hai mai eseguito interventi di neurochirurgia, senza prima chiedere il parere di un altro collega?»

    Domanda originale. «E cosa c'entra questo con la mia condizione?»

    «C'entra e come» replicò lei. «Forse tu credi di sapere cosa fai, però, che lo voglia o no, hai sempre bisogno di una seconda opinione.»

    Mary e Wes si fissarono in silenzio, per qualche secondo. Lui distolse lo sguardo per primo.

    «Rassegnati, Van Allen, non me ne vado» scandì Mary. «Resto qui, almeno per due mesi» aggiunse, appena Wes si girò a guardarla. «Forse non sarai d'accordo, ma credimi: oggi, alla tua porta, non poteva bussare una persona migliore di me» azzardò, spavalda e convincente; una spacconata incredibile, giusto per nascondere l'insicurezza che le procurava rapide pulsazioni.

    Tese una mano, gliela posò sulla spalla. Wes sussultò, ma non la respinse. «Senza dubbio, stai reagendo bene» continuò, «ma hai bisogno di una supervisione per la tua attività ginnica. Posso fermarmi per poco tempo, ma adesso è necessario. Sei in gamba, Wes, e lo sai. Lascia che ti aiuti...» mormorò, il cuore stretto per l'ansia che potesse respingerla di nuovo. Non pensava a se stessa, all'orgoglio ferito, alla delusione. Niente era più importante del benessere di Wes. Se ancora una volta le avesse detto di andarsene, non aveva più ragione di restare.

    Wes scosse il capo, irritato. So cosa sta per dirmi, pensò Mary, e subito riprese il suo progetto, stavolta ampliandolo con particolari più convincenti.

    «Sai perché sono io la persona più giusta per aiutarti? Semplicemente perché si tratta di te» continuò, cercando di mantenere il contatto tra gli sguardi, anche se l'aria cupa e risoluta di Wes la spaventava. «Tu mi hai detto che potevo farcela ad avere successo. Chi mi ha dato il coraggio di lottare, oltre le mie difficili condizioni di famiglia? Sempre tu, Wes. Bene, eccomi qui, fisioterapista laureata, al tuo servizio. Forse ne sarai sorpreso, ma dovrei sapere ancora qualcosa, sul tuo stato generale, a questo punto della guarigione. E non intendo partire prima di averti rimesso di nuovo in piedi!»

    Oh, no... non poteva dire niente di più sbagliato!

    Wes contrasse il volto. L'ho ferito io, stavolta, pensò Mary, senza volerlo. «Dicevo in senso metaforico, ovviamente» cercò di rimediare, anche se era tardi per cancellare quella frase senza senso.

    «Per un attimo ho pensato che ti ritenessi capace di fare miracoli»

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