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L uomo nel mirino (eLit): eLit
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E-book359 pagine4 ore

L uomo nel mirino (eLit): eLit

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Info su questo ebook

Tampa, Florida. Due brutali omicidi avvengono nella stessa notte, e la detective Karen Sweeney si trova nell'occhio del ciclone. Le due vittime sono donne. Ma che nesso può esserci tra un'anziana governante di colore e un'ex spogliarellista? La risposta è il senatore Grant Lawrence, prossimo candidato alla Presidenza degli Stati Uniti...e uomo che nasconde dei segreti. Tra gli intrighi e le mezze verità del mondo della politica, l'unica persona di cui Karen sente che può fidarsi è il senatore stesso. Ma se non è stato lui a commettere i delitti, allora qualcuno sta cercando di rovinarlo...
LinguaItaliano
Data di uscita29 dic 2017
ISBN9788858979570
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    Anteprima del libro

    L uomo nel mirino (eLit) - Rachel Lee

    successivo.

    Prologo

    Abigail Reese stava sognando un amplesso appassionato. Non era lei la donna del sogno, però. La donna del suo sogno era un'altra, una che le sembrava di conoscere. La donna mugolava, gemeva, s'inarcava.

    Poi il sogno mutò, come spesso fanno i sogni, e non si trattò più d'amore sfrenato. Non era nemmeno più sesso, e la donna lottava, si dibatteva, gemeva con un'esile voce strozzata. Nel sogno Abigail era paralizzata, incapace di aiutare la donna. Le urla si facevano più frenetiche e meno controllate, urla di panico, di terrore di fronte a una morte imminente. Un respiro strangolato, poi la voce della donna urlò il suo nome.

    «Abby!»

    Abigail si svegliò di soprassalto. Lottò contro il bisogno di rimettersi subito a dormire, sapendo bene che l'incubo sarebbe tornato. La camicia da notte le aderiva alla pelle madida come un sudario. Aveva caldo. Mentre scostava le coperte, la donna tentò di chiamarla di nuovo.

    «Ab...»

    Il suono si spense in un gorgoglio.

    Non era stato un sogno.

    Se fosse stata del tutto sveglia, Abigail avrebbe fatto la cosa più saggia. Si sarebbe ricordata che le bambine erano con il papà, quel fine settimana, si sarebbe chiusa a chiave in camera e avrebbe chiamato il 911. Ma essendo una donna che si era occupata di bambini per sessanta dei suoi settantacinque anni di vita, il suo primo pensiero non fu per la propria incolumità. Una scarica d'adrenalina la fece scattare su dal letto con un'agilità inaspettata.

    Gli orribili suoni continuavano, urla non di passione ma di cieco terrore, e Abigail afferrò la prima cosa che le capitò sottomano, un pesante portacenere di cristallo, ricordo di un vizio superato da tempo, prima di aprire la porta e di dirigersi verso le grida che si facevano sempre più deboli.

    Le salì un fiotto di bile in gola quando arrivò in fondo alle scale ed entrò in salotto. I gemiti della donna avevano raggiunto una nuova, anche se quasi silenziosa, intensità. La calza di nailon, quasi invisibile contro la pelle del collo, soffocava ogni suono. Ma i suoi occhi...

    Abigail aveva visto molte cose nei suoi settantacinque anni di vita. Aveva sentito un ragazzino urlare di dolore mentre i medici cercavano di ricomporgli la brutta frattura alla gamba, mettendo termine ai suoi sogni di diventare un giocatore di football. Aveva visto lo stesso ragazzino diventare uomo e il pallore del suo viso quando le aveva chiesto se dovesse o meno dichiararsi alla donna che amava. Lo aveva visto avere un mancamento alla notizia che sua moglie era incinta e sorridere raggiante alla nascita della loro prima figlia. Lo aveva visto crollare quando aveva avuto la notizia che sua moglie era rimasta uccisa.

    Ma Abigail non aveva mai visto occhi come quelli.

    Sporgevano dalle orbite, rossi di capillari scoppiati, e stavano fissando l'eternità. Le labbra insanguinate mormorarono una parola: «Abby...».

    Fu solo allora che lei notò che la donna era nuda. La camicia strappata le sporgeva da sotto la schiena, avvolgendosi intorno ai suoi polsi. Le sue gambe, anche se libere, scalciavano solo debolmente, ormai, ed erano facilmente trattenute dall'uomo che era chino sui suoi seni. Con l'atroce suono di un tessuto che si lacera, il viso di lui si alzò dai seni. Sputò, e un lembo di carne ricadde sul viso della donna. Poi lui si girò verso Abigail.

    La sua era la faccia di un mostro, lorda del sangue della donna. Denti e occhi scintillavano in una rossa maschera di furia.

    Abigail sarebbe dovuta fuggire, invece si scagliò contro di lui, armata di portacenere, come una leonessa che protegge i propri cuccioli. Gli fu addosso in quattro passi e gli scagliò contro il portacenere con tutta la sua ancora considerevole forza. Ma era una leonessa vecchia e i suoi riflessi non erano più quelli della donna che aveva strappato bambini alla morsa del pericolo decennio dopo decennio.

    Lui si girò e prese il colpo sulla spalla. Grugnì di dolore, poi il suo braccio si alzò. Fu solo allora, in quell'ultimo istante, che Abigail vide la lama che luccicava nella mano guantata. Un istante prima che questa le affondasse nella gola e la squarciasse.

    Per un attimo Abigail pensò che lui l'avesse mancata, perché non sentiva dolore. Poi vide una pulsante esplosione rossa schizzargli sulla faccia, e nella luce che si stava affievolendo si rese conto che quel sangue era suo.

    Vagamente udì una voce. «Ammazzerò anche lui...»

    Abigail Reese stava di nuovo sognando. Correva attraverso un tunnel, cercando di sfuggire al gorgogliante suono della propria gola. La luce del tunnel parve affievolirsi, poi esplose come un lampo e la ingoiò.

    1

    Il senatore Grant Lawrence scosse la testa, poi continuò a sfogliare gli emendamenti che avrebbero dovuto modificare il progetto di legge che lui stava per presentare ai suoi colleghi. Ogni volta che gli veniva un momento di scoraggiamento, si costringeva a pensare: Anche i molluschi hanno le labbra.

    Questo gli ricordava la prima volta che aveva messo maschera e boccaglio vicino alla barriera corallina delle Florida Keys, da bambino, e aveva visto il corallo attraverso un'acqua tanto limpida che gli pareva di poter spaziare con gli occhi all'infinito. Quel luminoso giorno d'aprile, durante le vacanze pasquali, stava nuotando quando sotto di sé aveva notato una linea rosso fuoco che si muoveva nella sabbia. Aveva allungato un dito e la linea si era separata nel mezzo. Il mollusco aveva aperto le valve in esplorazione. Poi, forse decidendo che il suo dito non era appetitoso, aveva richiuso la conchiglia lasciando fuori solo quella linea rossa.

    Anche i molluschi hanno le labbra. E, aveva deciso Grant allora, si mettevano il rossetto.

    Si costringeva a ricordare quel giorno perché era irripetibile. L'acqua dei Keys settentrionali adesso era torbida e piena di alghe che soffocavano il corallo e cacciavano i molluschi. Le alghe erano generate dalla presenza nell'acqua di azoto, residuo dei fertilizzanti usati nelle piantagioni di canna da zucchero delle Everglades. Il problema non era limitato alla Florida, ovviamente. Lungo tutta la costa orientale, l'azoto alimentava le alghe che avevano sostituito la flora subacquea locale e cacciato i pesci.

    Il suo progetto di legge era un tentativo, un debole tentativo secondo gli ambientalisti, di limitare i danni. Non era perfetto, ma si basava sui dati più aggiornati e sui più autorevoli pareri scientifici che lo staff di Grant fosse riuscito a trovare. E sarebbe stato ragionevolmente poco oneroso da applicare. Molti dei suoi colleghi lo appoggiavano, e Grant aveva negoziato o fatto pressioni su un numero sufficiente di deputati e senatori dell'opposizione per avere buone probabilità che passasse.

    Per questo, non lo sorprendeva il fatto che gli emendamenti di compromesso fossero cresciuti come incrostazioni sulla chiglia di un transatlantico. Molti erano solo vagamente correlati con la legge, ma avrebbero incanalato capitali negli stati dei loro autori. Altri erano emendamenti che lui s'era impegnato a sostenere per assicurarsi il voto di un collega. Per quanto potesse sembrare ripugnante, quello era il mondo della politica, e Grant lo accettava come un male necessario.

    Altri non erano così innocui.

    L'emendamento diciannove, per esempio, avrebbe annullato il paragrafo che autorizzava dei fondi supplementari all'EPA perché monitorasse e facesse rispettare il suo progetto. Creare una legge e non farla osservare era un vecchio trucco politico. In questo modo i legislatori potevano vantarsi in campagna elettorale d'aver dato il proprio voto a leggi popolari senza per questo rinunciare ai contributi di categorie i cui interessi andavano in direzione opposta. Agli elettori veniva detto: Ho votato a difesa dell'ambiente. Ben altro era quello che veniva annunciato ai finanziatori: Ma sapevo che questa legge non avrebbe scrollato i vostri carretti di mele.

    Grant sapeva chi stava dietro a quel particolare emendamento. Randall Youngblood, presidente dell'associazione dei coltivatori di canna da zucchero e ideatore di una coalizione tra le associazioni agrarie di tutta la nazione. Randall Youngblood, vecchio amico, ora rivale.

    I molluschi hanno le labbra. Grant usò quell'immagine per mantenere la concentrazione mentre s'addentrava in quella palude di ciniche motivazioni e linguaggi poco trasparenti. Scribacchiò un bel no sopra il testo dell'emendamento diciannove, poi respinse la cartelletta. Avrebbe finito l'indomani.

    Si concesse ancora un minuto per leggere le notizie d'agenzia diffuse ai membri del Congresso via e-mail. Un convoglio umanitario era caduto nell'imboscata di un gruppo di guerriglieri in Colombia. Era la seconda volta che accadeva in una settimana. Tra le trentun vittime, c'erano due americani.

    Grant scorse le altre e-mail. L'unica importante era l'avviso di un meeting del Sottocomitato agli Affari per il Centro e Sudamerica del Comitato Servizi Armati del Senato. Il meeting era fissato per le dieci del mattino dopo. Lui era sicuro che la situazione in Colombia sarebbe stata il primo punto all'ordine del giorno. Spense il computer. Erano le due del mattino e aveva promesso di portar fuori le bambine a colazione.

    Per quanto fosse contento di avere le figlie con sé a Washington quando non andavano a scuola, doveva ammettere che il suo carico di impegni aumentava. Ma lavorare di notte era un piccolo prezzo da pagare per il piacere di trascorrere più tempo con loro. Spense la lampada sulla scrivania e si concesse qualche istante di relax massaggiandosi le tempie brizzolate.

    I suoi consulenti d'immagine avevano decretato che gli conferivano un'aria affidabile e da statista. L'energia della giovinezza temperata dalla saggezza dell'esperienza, aveva detto qualcuno. Anche se le corse mattutine, le ore passate nella palestra del Senato e una dieta equilibrata lo mantenevano in ottima forma, Grant trovava che quei primi capelli bianchi, semplicemente, lo invecchiassero.

    Si stava alzando dalla sedia quando squillò il telefono. Era la sua linea privata. Il display evidenziava il nome del suo assistente.

    «Cosa c'è, Jerry?»

    La voce di Jerry Connally vibrava di tensione. «Grant... Accidenti, non so proprio come dirtelo. Si tratta di Abby. È morta.»

    «Oh, no.» Grant si accasciò sulla sedia. «Oh, no...»

    «È stata... assassinata.»

    Abby? Assassinata? Lo shock lo paralizzò in un interminabile istante di incredulità. Sapeva che prima o poi sarebbe arrivato il giorno in cui la sua vecchia tata sarebbe mancata, ma un omicidio era inconcepibile. «Mio Dio. Non è... non può essere.»

    La voce di Jerry si addolcì. «Mi dispiace, Grant. Mi dispiace tantissimo.»

    Abby aveva allevato Grant praticamente da sola, dato che i suoi genitori erano sempre via per lavoro. Era stata lei a insegnargli la differenza tra l'oro e ciò che luccica, e a fargli capire che non sempre i ricchi sono degni dei privilegi di cui godono. E quando sua moglie era morta, era stata Abby a occuparsi delle sue bambine. Era impossibile che fosse morta. Impossibile.

    Grant si piegò in avanti e mise la testa tra le gi-nocchia, le dita contratte sul ricevitore. Il mondo gli turbinava attorno e c'era un lieve ronzio nelle sue orecchie. «Dove? Come?»

    «Era qui a casa, Grant. È stata pugnalata.»

    No. Non era vero. La sua mente si ribellava, ma le parole uscivano col pilota automatico. «Un ladro?»

    «Non lo so» disse Jerry. «C'è di peggio.»

    «Peggio?» chiese Grant. Stringeva la cornetta così forte che gli facevano male le dita, ma quel dolore era una sensazione distante che riusciva appena a scalfire la superficie del suo orrore.

    Il suo assistente ebbe un attimo di esitazione. «Hanno ucciso anche Stacy. E in un modo... in un modo orrendo.»

    La stanza si mise a girare vorticosamente nel buio. Sagome d'ombra si chiusero attorno a lui. Grant allungò una mano e accese la lampada per tenerle lontane. Dovette alzare la testa per farlo, e la stanza ondeggiò un po'. La luce parve forargli gli occhi. «Cosa ci faceva lì Stacy?»

    «Sta' tranquillo. Ci ho... pensato io.»

    «Cosa? Come?» Non avrebbe mai creduto che il suo orrore potesse farsi più profondo, ma fu così.

    La voce di Jerry Connally si fece gelida. «Senatore, è meglio che tu non lo sappia.»

    Karen Sweeney lanciò un'altra occhiata al cadavere nel vicolo, poi distolse lo sguardo. «Che brutta morte.»

    L'agente Terry Ewing annuì. Aveva il viso terreo. «Qualcuno ce l'aveva proprio con questa donna.»

    «Già.» Karen distolse la mente dal corpo mutilato e iniziò la routine delle procedure. «Okay, mettiamoci al lavoro. Identifichi chiunque sia stato in questo vicolo, iniziando da chi ha trovato il corpo. Faccia cordonare la scena. Che non entri nessuno, se non il medico legale.»

    «Chiamo l'addetto stampa?»

    Lei si strinse nelle spalle. «Può provarci, ma sarà pieno di lavoro fino alle orecchie a College Hill.»

    Sarebbe stato meglio se fosse stato un addetto stampa a dare la comunicazione del delitto ai media. Ma non sarebbe successo quella notte, non con una donna di colore e i suoi due figli morti in una sparatoria per le strade. Il progetto di risanamento di College Hill stava vacillando sotto la crescente ondata di violenza delle bande rivali, conseguenza insieme tragica e ironica di una grossa retata di spacciatori che aveva lasciato la famigerata gang dei Dark Angels decimata e senza capi. Le altre bande avevano approfittato del vuoto di potere, lottando per assumere il controllo di quel redditizio quartiere in cui le speranze erano limitate e la vita valeva poco. L'addetto stampa sarebbe stato là, a cercare di apparire controllato e autorevole in una situazione che stava sfuggendo di mano. Karen Sweeney, detective della polizia di Tampa, era sola.

    Sospirò e guardò l'agente. «Chi è il suo compagno di pattuglia e dove si trova?»

    L'uomo indicò con un cenno della testa il fondo del vicolo. «Agente Stan Barnes. Fresco d'accademia e gli capita una cosa del genere. È in macchina.» Mostrò una piccola pozza gialla contro un muro. «Ha rigettato l'anima.»

    Karen guardò la macchia sul polsino di Ewing e capì che era rimasto accanto al collega, offrendogli il suo supporto, mentre il giovane aveva perduto sia la cena sia l'orgoglio. «Gli dica di non avvilirsi. Capita a tutti, le prime volte.»

    «L'ho fatto» ribatté Ewing semplicemente.

    Lei annuì. «Okay. Dica a... Barnes, vero? Dica a Barnes che useremo la sua auto di pattuglia come posto di comando finché la centrale non ci avrà mandato un furgone attrezzato. Io verrò a parlare con la stampa non appena ne saprò di più. Nel frattempo, se gli chiedono qualcosa, lui sa solo che abbiamo trovato il corpo di una giovane donna bianca e che l'indagine è in corso.»

    «Il solito ritornello» annuì Ewing. «Lo terrà impegnato. Buona idea, detective.»

    «Grazie.»

    L'uomo annuì, annotò il nome di lei e il suo numero di matricola su un blocco e sparì lungo il vicolo.

    Karen si tolse la borsa di spalla e la appoggiò sopra il coperchio di un bidone incrostato, a pochi metri dal corpo. Tirò fuori una dozzina di cartellini e li numerò con un pennarello. Poi si chinò, mise il cartellino col numero uno sulla macchia giallognola e parlò in un registratore.

    «Reperto uno, macchia gialla e marrone alla base del muro nord, opposto alla vittima, vomito dell'agente di pattuglia Stan Barnes.»

    Proseguì in modo lento, metodico, risalendo verso l'imboccatura del vicolo sul lato nord. Evidenziò una chiazza d'olio, due vecchi mozziconi di sigaretta e una mezza dozzina di rifiuti, probabilmente senza importanza. Una volta arrivata in cima, prese un grosso pezzo di gesso giallo, tracciò una freccia che puntava verso il vicolo e tornò indietro verso la borsa, china in avanti, trascinando il gesso sull'asfalto in una linea un po' ondulata, a volte interrotta, ma chiaramente visibile. Questa linea demarcava il percorso che il medico legale e gli altri ufficiali potevano fare per arrivare al corpo senza inquinare le prove.

    Quel primo compito essenziale l'aveva aiutata a controllare l'orrore, almeno temporaneamente. Era in grado di rivolgere la sua attenzione al corpo con distacco professionale. Si portò il registratore alle labbra mentre percorreva la scena con gli occhi.

    «La vittima è una donna bianca, dall'età apparente di venticinque anni. Lividi ed evidenti segni di legature sui polsi provano che le mani a un certo punto sono state immobilizzate, anche se il materiale usato non è visibile nelle immediate vicinanze. Una calza di nailon legata attorno al collo indica lo strangolamento come probabile causa di morte. Lembi di pelle mancanti dai seni, dall'addome e dall'interno delle cosce, con margini irregolari. Probabilmente staccati a morsi. Vaste macchie di sangue e parziale coagulazione indicano che il fatto è probabilmente avvenuto pre-mortem

    La vittima non era una prostituta, decise. Troppo curata nell'aspetto e per nulla volgare. Questo poteva essere d'aiuto, perché sarebbe stata denunciata la sua scomparsa entro breve tempo. Tirò un respiro lento e profondo e si costrinse a continuare l'esame.

    Guardò meglio la donna, con occhio clinico. C'era qualcosa che non quadrava. «La lividezza è visibilmente irregolare, maggiore a sinistra, su spalla, braccio, fianco, esterno coscia e polpaccio, anche se la vittima è stata trovata sdraiata di schiena. Può essere stata quindi...» Spegnendo il registratore, alzò la voce. «Ewing. Venga qui un attimo.»

    L'agente si avvicinò lungo il corridoio che lei aveva delimitato. «Cosa c'è, detective?»

    «Credo che il corpo sia stato spostato. Dica a Barnes di sgombrare la strada all'incrocio con il vicolo e di fotografare ogni traccia di pneumatici. Si assicuri che fotografi la mia macchina e la vostra per comparazione negativa.» Alzò gli occhi al cielo nuvoloso. L'aria era greve d'umidità. «E gli dica di sbrigarsi. Può mettersi a piovere da un momento all'altro.»

    Ewing annuì. «Sì, detective.»

    Karen tornò alla propria borsa, strappò una lunga striscia di carta oleata e la posò sul lato sinistro del corpo, tenendo ferme le estremità con alcune scatoline di pellicole fotografiche. Scostò delicatamente la carta e studiò la pelle rubizza del fianco sinistro e della spalla. Sulle cosce della donna, Karen vide delle lievi impronte di sangue che corrispondevano a quelle del suo addome. Riaccese il registratore.

    «Ricordare al medico legale di cercare fibre di moquette. La vittima può essere stata trasportata sul luogo del ritrovamento in posizione fetale, sul fianco sinistro. Probabilmente nel baule di un'auto.»

    Due ore dopo, Karen guardò i tecnici chiudere la cerniera del sacco di vinile nero e caricare il corpo su una barella. Non c'era più molto da fare, lì, perciò tornò al suo fuoristrada, bevve un sorso d'acqua da una bottiglietta e cominciò a scorrere i rapporti preliminari di Ewing e Barnes per assicurarsi che non contenessero nulla che le fosse sfuggito.

    Stava ancora leggendo quando squillò il suo cellulare. Era la voce familiare del sergente Laura Aranchez, la centralinista notturna della Omicidi.

    «Non maledirmi, Karen.»

    «Sputa il rospo, Aranchez.»

    Karen sentì il sospiro e capì prima che la donna parlasse.

    «Donna di colore, Tampa Palms.» La Aranchez lesse l'indirizzo.

    Lei represse un moto di irritazione. Sì, College Hill era importante, ma lo era anche la donna bianca, sui venticinque anni, il cui corpo mutilato era stato trovato in un vicolo. «Sto ancora lavorando a questo caso, Aranchez. Non possono distaccare qualcuno dalla sparatoria tra bande rivali?»

    «Il tenente dice che ci devi andare tu» rispose il sergente. «E ti vuole là al più presto.» Ci fu una pausa. «L'indirizzo che ti ho dato è quello della casa del senatore Lawrence.»

    Cavoli, pensò Karen. Questo spiega molte cose. «Vado subito.» Sarebbe stata una notte molto lunga.

    Karen notò l'attività che ferveva attorno alla casa e scosse la testa, vagamente disgustata. Le ci erano voluti solo dieci minuti per raggiungere l'indirizzo di Tampa Palms, eppure i tecnici stavano già scaricando il loro furgone. C'erano morti e morti, pensò.

    Un uomo di mezz'età, vestito con un paio di pantaloni blu e una camicia bianca, la intercettò prima che arrivasse alla porta e tese la mano. «Jerry Connally» disse, come se il nome dovesse significare qualcosa.

    Lei gli strinse la mano brevemente e fece un passo di lato. «Detective Sweeney, dipartimento di polizia di Tampa. Se vuole scusarmi...»

    Lui non le bloccò la strada, anzi, non si mosse nemmeno, eppure il suo atteggiamento faceva capire che non aveva ancora finito con lei. Karen incrociò i suoi occhi.

    «Cosa posso fare per lei, signor Connally?»

    «Sono l'assistente del senatore Lawrence.» Fece un cenno con la testa. «Lei è al corrente che questa è casa sua, vero?»

    Oddio, pensò lei. Cominciamo già.

    «Sì. Ma è anche la scena di un crimine, e io sono il detective incaricato del caso. E sono stata appena strappata dalla scena di un altro crimine perché mi volevano qui in fretta. Quindi, le ripeto, se vuole scusarmi...»

    Lui si scostò, come per lasciarla entrare, ma il suo atteggiamento era tale che lei si fermò ancora un attimo. Per qualche strano motivo le ricordava una chioccia che proteggeva il suo pulcino. Lo liquidò con un'occhiata ed entrò.

    Dall'atrio pavimentato di marmo verde partiva uno scalone curvo. L'attività che interessava Karen, comunque, era in una stanza sulla destra. La vittima giaceva a terra, coperta da un lenzuolo. Spruzzi di sangue arterioso su un muro e sul divano, insieme all'enorme chiazza intorno al corpo, facevano capire molte cose.

    Il salone sarebbe potuto appartenere a un nobile inglese del diciottesimo o diciannovesimo secolo, se non fosse stato perché era giocato sul color panna. Panna ovunque. E sangue. Rosso su panna. Un contrasto stridente.

    Con i tecnici della Scientifica dappertutto, c'era ben poco che Karen potesse fare, a parte farsi mostrare il corpo e chiedere cos'avessero scoperto fino ad allora. Alzò un sopracciglio in direzione di Millie Freidman, la responsabile. Millie annuì, disse qualche parola a uno della sua squadra e le si avvicinò, stando ben attenta a restare all'interno dei corridoi segnati.

    «Cos'abbiamo?» chiese Karen.

    «Una brutta storia. Hanno tagliato la gola alla tata settantacinquenne del senatore.»

    Lei abbozzò una smorfia. La violenza nei confronti degli anziani le era sempre sembrata imperdonabile.

    «Già» fece Millie, in risposta all'espressione di Karen.

    «Un furto?»

    «Sembra che non sia stato toccato nulla. Ho messo alcune persone a controllare il resto della casa, però.»

    «Altre ferite sul corpo?»

    «Nessuna apparente.»

    Lei annuì. «Chi ha rinvenuto il corpo?»

    Millie mostrò i denti in un sorriso feroce. «Il cane da guardia del senatore.»

    «Connally?»

    «Hai già capito tutto.»

    Karen guardò l'orologio. «A quest'ora di notte?» L'idea non l'attirava per niente, eppure pareva proprio che dovesse tornare a parlare con Jerry Connally.

    E quello era uno dei tanti motivi per cui non ne poteva più di quel dannato lavoro.

    Jerry Connally stava attento a non mostrarlo, ma non era mai stato più nervoso in vita sua.

    Alla facoltà di legge, un professore gli aveva detto una cosa che non aveva mai dimenticato: I criminali vengono catturati non perché i poliziotti sono furbi. I criminali vengono catturati perché sono stupidi. Per ogni dettaglio a cui pensano, ne trascurano cinque, aveva sentenziato il professore. E sono quei cinque che li sotterrano.

    Jerry aveva cercato di pensare a tutto quando aveva spostato il corpo di Stacy. E si riteneva un tipo sveglio. Ma questo significava semplicemente che per ogni dettaglio a cui aveva pensato, ne aveva dimenticati solo due o tre.

    Ma Grant Lawrence valeva quel rischio. E se Jerry fosse finito col cappio al collo per salvare il suo capo... Ebbene, che fosse.

    Si guardò nel grande specchio barocco accanto alla porta per assicurarsi di avere un aspetto normale e non l'aria di un criminale che ha qualcosa da nascondere.

    Il suo schietto viso da irlandese era innaturalmente cupo, ma una certa tensione era comprensibile date le circostanze. Dopotutto, aveva scoperto un brutale omicidio. Perciò non aveva importanza che la sua cravatta fosse allentata e i pochi capelli che gli restavano spettinati. S'addicevano al momento.

    Ficcandosi le mani in tasca per nasconderne il tremito, uscì. Non voleva sentire quello che i tecnici della Scientifica dicevano a quella detective. Come si chiamava? Swanson, Swenson, qualcosa del genere. Sweeney, ecco. Per qualche motivo, aveva la sensazione che non sarebbe riuscito a controllarla facilmente.

    Fu allora che lei si materializzò al suo fianco. Accidenti, s'era distratto. Le sorrise.

    «Cosa posso fare per lei, detective?»

    Lei lo guardò con due occhi che sembravano privi di ogni colore, a parte qualche minuscola pagliuzza verde intorno alle pupille. Occhi da predatore.

    «Mi hanno detto che è stato lei a trovare il corpo.»

    Lui annuì.

    «Sono... Vediamo, le tre del mattino. Cosa ci faceva qui a quest'ora?»

    Quella parte era facile. Era la verità. «Il senatore mi aveva lasciato un messaggio ieri sera. Io ero fuori con mia moglie. Aveva bisogno che gli mandassi dei documenti via fax a Washington. Siamo rientrati all'una. Io ho ricevuto il messaggio e sono venuto subito qui.»

    «Era una cosa che non poteva aspettare fino a domani mattina?» chiese lei.

    «Sì, avrebbe potuto. Ma io avevo promesso ai miei figli di portarli a pescare. Se avessi inviato subito quei documenti, avrei avuto la giornata libera.» Sospirò. «Sempre meglio non fare programmi.»

    La donna parve guardargli nell'anima. «Sono sicura che neanche Abigail Reese aveva programmato di farsi ammazzare.»

    Era stata un'osservazione sarcastica, e lui avrebbe potuto risentirsi. Ma, per il momento almeno, il coltello dalla parte del manico lo aveva lei. Meglio lasciar correre, aspettare che lei si rendesse conto di aver esagerato e sfruttare il vantaggio nel momento in cui si fosse scusata.

    «Touché, detective.»

    Ma lei non si scusò. Non diede nemmeno l'impressione di essersi accorta di aver esagerato. Una donna pericolosa. Continuò a fissarlo e chiese: «Non temeva di svegliare la

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