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Casta Nera
Casta Nera
Casta Nera
E-book347 pagine4 ore

Casta Nera

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Info su questo ebook

Adelaide si svegliò urlando. Era successo ancora. Aveva rivissuto i ricordi di un passato che continuava a tormentarla... Queste le prime parole di un romanzo insolito, destinato a sollecitare la curiosità dei lettori.
New Orleans, giorni nostri Una serie di delitti getta nello sgomento Nola (così viene chiamata New Orleans), riportando in vita antichi demoni che legano la bella Adelaide Dobovoir a un passato che non può essere sepolto. Soltanto lei, il miglior medico legale della città, la strana e bizzosa dottoressa dai metodi non propriamente convenzionali, grazie alle sue doti e alla sua natura può individuare lo spietato serial killer, mettendo così fine alla sanguinosa catena di macabri omicidi.
Pericolosa come una serpe e incantevole come una dea, Adelaide comincia una personale e inquietante caccia, ricca di colpi di scena e che svela un universo sinistro, occulto e antico. Accanto a lei Abby, la potentissima strega che comprende più di tutti le tante contraddizioni della dottoressa. Damien e Juan, gli inseparabili fratelli dal sorriso enigmatico e Luca DeAngelis, l’intrigante poliziotto che metterà in subbuglio il cuore, ormai spento, di Adelaide.
LinguaItaliano
Data di uscita27 ott 2020
ISBN9791280184153
Casta Nera

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    Anteprima del libro

    Casta Nera - Sebastian Da

    Sebastian Da

    CASTA NERA

    ISBN: 9791280184153

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write

    http://write.streetlib.com

    Indice dei contenuti

    @ colophon

    dedica

    I

    II

    III

    IV

    V

    VI

    VII

    VIII

    IX

    X

    XI

    XII

    XIII

    XIV

    XV

    XVI

    XVII

    XVIII

    XIX

    XX

    XXI

    XXII

    XXIII

    XXIV

    XXV

    XXVI

    XXVII

    XXVIII

    XXIX

    XXX

    XXXI

    XXXII

    XXXIII

    XXXIV

    XXXV

    XXXVI

    XXXVII

    XXXVIII

    XXXIX

    EPILOGO

    @ colophon

    @ All Around 2020

    ISBN 9791280184153

    NUOVA EDIZIONE

    dedica

    Alla mia mamma

    These wounds won't seem to heal

    This pain is just too real

    There's just too much that time cannot erase

    evanescence, my immortal

    I

    Adelaide si svegliò urlando.

    Era successo ancora. Aveva rivissuto i ricordi di un passato che continuava a tormentarla. Si stropicciò il volto e fu allora che si rese conto di essere ancora sul volo di ritorno da Gerusalemme.

    Alcuni dei passeggeri che occupavano i posti accanto al suo la guardarono con aria interrogativa. Non era facile metterla in imbarazzo ma in quel momento voleva solo sprofondare.

    Il suo compagno di viaggio la fissò preoccupato. Si tolse le cuffie dalle orecchie, ritornando nel mondo vero. Schiacciò il pulsante pausa sul suo iPod e chiese: «Tutto ok? Stai sudando, sembra tu abbia appena visto Boogeyman…». Aveva un leggero ghigno sul volto.

    Boogey... che? Non lo conosco, pensò Adelaide fra sé. Ne aveva conosciuti di esseri particolari ma quel Boogeyman non le ricordava nulla. Ok, non era importante.

    Sentì la presenza dell’hostess alle proprie spalle. Che accidenti di profumo portava? Era così dolce che uno sciame di api le si sarebbe trasferito felicemente addosso!

    «Tutto bene? Le posso portare un bicchiere d’acqua?».

    Qui ci vorrebbe un doppio MacAllen Fine & Rare, invecchiato in botti d’acero, del 1926. Quello sì che potrebbe andar bene, fu un’ottima annata…, avrebbe voluto dirle. Invece le rispose: «No, la ringrazio, sono a posto così. Potrebbe dirmi quanto manca al nostro arrivo?».

    Venticinque giorni a Gerusalemme l’avevano devastata. Non era abituata al caldo torrido. Odiava la polvere e quella sensazione di sporcizia che lasciava addosso. Tuttavia, quel lavoro per l’università lo avrebbe potuto fare solo lei. Non vedeva l’ora di tornare, immergersi nel silenzio assoluto della propria casa e riposare in pigiama fino a lunedì, sorseggiando vino e guardando il fuoco scoppiettare nel camino.

    Solo a pensarci, le parve che i muscoli si stessero distendendo. Poi ebbe un altro pensiero…

    Abigaille, Juan, Damian, Luca!

    La voce stridula dell’hostess la distolse definitivamente dalle sue preoccupazioni.

    «Siamo in procinto di atterrare al Louis Armstrong. Se non ha più bisogno di me le auguro un buon rientro».

    Adelaide sorrise e si voltò verso Jason: «Ci siamo, finalmente saremo a casa e potrai riabbracciare i tuoi genitori!».

    Al pensiero di quello che era accaduto, un moto di rabbia le risalì dalla bocca dello stomaco. Come poteva una madre dimenticare il proprio figlio all’aeroporto?

    Jason aveva solo quattordici anni, anche se sembrava un piccolo uomo. Che cosa sarebbe successo se la madre del ragazzino non fosse stata lì ad aspettarlo?

    Non osava chiederselo.

    Lo guardò di nuovo. Era visibilmente preoccupato. Come dargli torto.

    «Ehi, tranquillo. Vedrai che tua madre sarà ad aspettarti. E se non ci sarà, la troveremo... te lo prometto!».

    Jason era sicuro che quella donna non lo avrebbe abbandonato. Cercando di ricacciare indietro le lacrime, guardò il proprio Ipod e prese a giocherellarci con le mani, provando a dominare le sue emozioni.

    «Promettimi che quando ti chiamerò per sapere come stai non ti farai negare. Di solito, voi adulti fate così...».

    Lei inarcò un sopracciglio, i due esplosero in una risatina. Avrebbe voluto dire qualcosa ma la voce del comandante li richiamò, stavano per atterrare.

    Adelaide avvertì una sorta di fitta interiore. Da lì a poco Jason sarebbe tornato alla sua vita mentre lei avrebbe tenuto quel breve momento di maternità stretto a sé.

    Dietro di loro, una donna sulla sessantina non riusciva a smettere di pregare. Aveva avuto paura per quasi tutto il viaggio. Adelaide avrebbe voluto voltarsi e dirle che pregare non le sarebbe servito a nulla. Non si capacitava del perché l’essere umano non si curasse di Dio, non lo santificasse, non lo rispettasse, non lo accogliesse nella propria vita ma lo invocasse solo al momento di appagare un proprio bisogno personale.

    L’egoismo!

    Il segnale luminoso delle cinture di sicurezza si spense.

    Adelaide lanciò un’occhiataccia alla donna e scosse il capo. Non si poteva certo dire che fosse una fervente credente ma, al diavolo, le dava ai nervi quel modo di fare!

    Dall’oblò guardò fuori, il sole scaldava la bella New Orleans. Aprì la cappelliera e tirò fuori le due Louis Vuitton. Il resto dei bagagli l’attendeva al nastro trasportatore. Jason era frenetico, eccitato e allo stesso tempo impaurito. Soprattutto perché, ormai lontano dalla pista, continuava a non scorgere i suoi genitori. Adelaide strinse i pugni fino a conficcarsi nella carne le unghie laccate di nero. Se fosse stata lei la madre, avrebbe allertato FBI, CIA, KGB, l’Esercito, la Guardia Nazionale e, nonostante non credesse molto nell’aiuto divino, forse anche Dio pur di ritrovare suo figlio. Ma questo era un mero dettaglio. Si avvicinò al suo giovane amico.

    «Jason, la vedi?», chiese senza guardarlo negli occhi. Il ragazzo era frustrato e disorientato. Sua madre non c’era, così come non c’erano suo padre e la sua sorellina.

    «No! Non capisco, non può essersi dimenticata di me!».

    Gli occhi iniziarono a bruciare di dolore e di rabbia. Adelaide pensò a che cosa avrebbe fatto se non si fosse presentato nessuno a denunciare la scomparsa del ragazzo. Lo avrebbe portato a casa, lo avrebbe cresciuto come il figlio che il destino le aveva negato? Avrebbe donato a quel ragazzo tutto l’amore che lei non aveva ricevuto?

    Di una cosa era sicura, sarebbe andata alla ricerca dei genitori solo per il gusto di squartarli!

    Poi, si sentì stringere il braccio.

    «Adelaide, eccola! Quella con il cappotto rosso e la borsa stretta nelle mani, la vedi? Lì, con il poliziotto!», esclamò Jason entusiasta, indicando con il dito la madre. Adelaide mise a fuoco la donna e un brivido gelido le scese lungo la schiena. La pelle color cioccolato, i capelli lunghi erano stati raccolti in uno chignon. Visualizzò nella sua mente una scena...

    I suoi clienti amavano fare con lei giochi particolari... lei che, per pochi spiccioli in più da spendere per del cognac scadente, avrebbe accettato di tutto!

    No, quella era una storia che apparteneva al suo passato. E poi si sentì in colpa per aver riversato tutto quell’odio sulla donna che stava per incontrare. L’aveva giudicata senza neppure conoscerla. Si sentiva malvagia per aver avuto quei pensieri. Lei non aveva abbandonato il figlio, si capiva dal suo volto sconvolto dalla paura.

    Quando i loro occhi si incrociarono, Adelaide provò nuovamente quella strana sensazione e si sentì bruciare dentro. Qualcosa in quello sguardo la fece rabbrividire.

    « Mamita, mamita , sono qui!», urlò Jason.

    Il ragazzino affrettò il passo senza smettere di chiamare la madre a gran voce, così forte che la gente si voltò a guardarlo. Qualcuno sghignazzava, qualcuno era sorpreso e altri guardavano con aria truce Adelaide, come se fosse lei la criminale.

    Con gli occhi pieni di gioia, Jason corse incontro alla donna che ricambiò aprendo le braccia per accoglierlo. I due si strinsero forte.

    « Mamita , questa è la dottoressa Dobovoir. Grazie a lei sono riuscito a tornare a casa. Io continuavo a dire che tu e papà eravate su quell’aereo ma l’hostess ripeteva che mi stavo sbagliando, che ero un clandestino e che mi avrebbe segnalato alle autorità... Oh, mamita …», disse tutto d’un fiato, fortemente emozionato.

    La donna lo guardò con amore, dispiaciuta per quello che aveva passato. Poi fissò Adelaide. Gli occhi dimostravano gratitudine per quella sconosciuta che le aveva riportato il figlio a casa.

    Era accaduto tutto in pochi istanti…

    A Francoforte…

    Jason si era distratto, ma per un attimo, almeno così pensava. Uno skate rosso rubino, con teschi neri e lampi color verde smeraldo, aveva catturato la sua attenzione dalla vetrina di un negozio sportivo. Era splendido. Tirò fuori lo smartphone senza distogliere lo sguardo dall’oggetto dei suoi desideri, aprì l’applicazione fotocamera e lo immortalò. Una volta a casa, lo avrebbe cercato in rete. Sarebbe stato suo. Era uno studente modello, tutti ottimi voti. Era sempre molto responsabile con la piccola Kristen, sua sorella. Durante il weekend faceva anche dei lavoretti come tagliare l’erba, accudire i gattini di una colonia, servire cibo alla mensa dei poveri. Nel giro di poco, con la sua paghetta e l’aiuto dei genitori, ce l’avrebbe fatta a mettere insieme la somma necessaria per comprarlo.

    Guardò l’orologio, doveva avvicinarsi al gate.

    Tirò fuori dallo zaino la carta d’imbarco. Alzò il capo e guardò lungo la fila. Circa una quarantina di persone lo distaccava dalla sua famiglia. La madre si voltò e gli sorrise. Lui le rispose con un pollice in alto. Santo cielo, quanto erano lenti! La vacanza a Gerusalemme gli era piaciuta ma non vedeva l’ora di tornare a casa, dai suoi compagni, nella sua scuola, alle proprie abitudini e persino ai propri doveri. Per un solo minuto, l’agente di viaggi non era riuscito a bloccare quattro posti vicini. Così la madre, il padre e Kristen si sarebbero seduti quasi vicino alla cabina di pilotaggio, fila F. Lui, invece, si sarebbe dovuto sedere di fianco a qualche puzzolente grassone con la tosse da ipocondriaco, sudato e, quasi sicuro, terrorizzato dall’idea di morire sorvolando l’Oceano. Che bellissimo viaggio di ritorno!

    Un rumore alle proprie spalle lo fece trasalire. Si voltò.

    Una ragazza dai lunghi capelli era china a terra, intenta a raccogliere fogli e matite sparsi sul pavimento. La gente le passava di fianco guardandola ma nessuno si fermava a darle una mano. Si scostò dalla fila, le andò incontro.

    «Tutto ok?», chiese chinandosi di fronte a lei. La ragazza sollevò il viso, imbarazzata per l’accaduto. I lunghi dread colorati le cadevano davanti al volto. Jason la guardò e fu come se il mondo attorno a lui non esistesse più.

    Cazzo che spettacolo! , pensò fra sé.

    In un perfetto accento del Sud, lei gli rispose: «Sì, grazie, è tutto ok!».

    «È che sono imbranata come un’oca bionda…», aggiunse ridendo.

    Jason sorrise a sua volta. Quindi l’aiutò a raccogliere al meglio i fogli color ocra, pieni di disegni fatti a matita. Oltre a essere bella, era anche molto brava. Un disegno, in particolare, attirò la sua attenzione.

    «Sei stata a Gerusalemme?».

    La ragazza guardò il foglio, con aria un po’ triste e la voce emozionata: «Sì, mio padre e mia madre sono separati… lui serve il nostro paese lì, con il resto delle Forze Speciali… e io ho deciso di andare a trovarlo».

    Jason si dispiacque per quella domanda che, quasi sicuramente, l’aveva messa a disagio. Poi si riprese: «Complimenti, sei fenomenale… il Santo Sepolcro è proprio come quello vero…». Lei lo guardò e gli sorrise.

    «Ti va un succo?» le chiese. Un succo, sul serio? Quella ragazza era poco più grande di lui… ma che gli diceva la testa? Come minimo, beveva caffè… Si vergognò della sua stessa domanda.

    La ragazza accettò l’invito.

    Jason guardò la fila, non si era mossa. Sua madre e il resto della sua famiglia erano ancora lì. Il punto di ristoro poco più avanti. Pensò che si poteva permettere di fare quella pausa. Era tutto sotto controllo.

    Al tavolino tondo del bar si scambiarono emozioni e ricordi sulla città di Gerusalemme. La voce elettronica dello speaker li riportò alla realtà: entrambi avevano un volo da prendere. La ragazza si alzò in fretta, prese la scatola di latta colorata che Jason le stava porgendo. Si aggiustò lo zaino sulle spalle, strinse la sciarpa al collo e si incamminò a passo veloce. Jason rimase inerme, solo, nel vuoto totale. Aveva appena conosciuto un angelo e stava già andando via. Inaspettatamente, lei si girò: «Grazie per avermi aiutata, comunque il mio nome è Linette… vivo a Lafayette…» e sparì nella folla.

    E io sono Jason, vivo a LaPlace e tu… tu sei un incanto.

    Deluso per non essere riuscito ad avere ulteriori informazioni, si voltò verso il gate.

    Il vuoto intorno a lui. In un attimo, la paura prese il sopravvento. Sua madre? La gente della fila interminabile? Dove diavolo erano finiti tutti?

    Con il cuore in gola si rese conto che era passato più tempo del previsto. Si avvicinò alla hostess; la carta d’imbarco stretta tra le mani che tremavano. Qualcuno lo stava osservando, era una donna dai lunghi capelli neri e ricci, seduta in una delle poltroncine della sala vip.

    Adelaide alzò lo sguardo; una sorta di energia le vibrò sulla pelle. Qualcosa non andava. Allertò i sensi. Qualcuno stava provando paura. Si guardò intorno fino a incrociare lo sguardo di Jason. Quel ragazzino era spaventato, stava cercando qualcuno che non era lì in quel momento. Lo vide stropicciarsi gli occhi, disperato. Capì che proveniva da lui, la strana sensazione!

    Il ragazzo tirò fuori dallo zaino un telefono cellulare, lo accese e attese che qualcuno lo chiamasse. Quando capì che nessuno lo stava cercando provò lui, invano.

    Le lacrime scesero senza che se ne accorgesse.

    Adelaide gli si avvicinò: «Prendi... aiutano tutti in momenti tristi», gli disse porgendogli una barretta di cioccolato e una lattina di Coca Cola.

    Jason si asciugò le lacrime, era la donna seduta nell'area vip. Da vicino era ancora più bella. Un sorriso dolce le incorniciò il viso.

    «Che succede?» gli chiese e, senza attendere la risposta, continuò «Dove sono i tuoi genitori?».

    Il ragazzo si guardò ancora una volta intorno e, balbettando, disse: «Io... non capisco... pochi minuti fa erano davanti a me e poi...».

    L’hostess, con voce severa, intervenne: «Dice di averli persi, di averli visti in fila con la sorellina mentre lui si era distratto per aiutare una ragazza… e che nel giro di poco tempo questi sono spariti».

    Adelaide ascoltò ogni parola. Inarcò un sopracciglio. Si fidava delle parole del ragazzo e non le piaceva il tono accusatorio della donna. Vide un poliziotto avvicinarsi. Poi si voltò verso il ragazzo e gli chiese ancora: «Perdonami, continuo a non capire, ti sei perso?».

    Jason ripeté il suo racconto, senza cambiare una virgola.

    Gli prese il biglietto dalle mani e lo studiò. L’hostess da sopra la spalla cercò di leggere qualcosa che, forse, le era sfuggito. Era alterata. Aveva finito il turno e quel ragazzino le stava facendo perdere tempo. Aveva un appuntamento importante. Sì, davvero importante; invece di correre a casa da suo marito e dai suoi figli, doveva andare a scopare con il vecchio comandante!

    Adelaide si alzò, le porse la mano: «Piacere, sono la dottoressa Adelaide Dobovoir, viaggio in prima classe business. E credo proprio che abbiamo un problema».

    Lo stupore sul volto della donna la lasciò senza parole. La rabbia era sparita, almeno per il momento. L’hostess guardò il ragazzino.

    Adelaide continuò: «Ha perso i genitori, ha una carta dʼimbarco regolare però non vi è traccia della sua famiglia». L’hostess chiese scusa e si allontanò.

    Alla sua postazione prese il telefono e parlò con qualcuno poi, con il poliziotto al suo fianco, entrambi si avvicinarono a Jason e Adelaide.

    L’hostess, Wilma riportava il nome sulla targhetta, aveva una trentina d’anni, i capelli biondo cenere, la carnagione abbronzata artificialmente. Quando finì la telefonata, si diresse verso di loro.

    «Hanno controllato le telecamere di sicurezza, Jason sta dicendo il vero però, purtroppo, il volo è già partito. E il comandante non può certo cambiare rotta e tornare indietro!».

    Il poliziotto sorrise, anche se quella non era una battuta. Adelaide lo fulminò.

    «Lui viene con me! È un cittadino americano, non posso lasciarlo qui», aprì la Louis Vuitton e tirò fuori il tesserino dellʼFBI.

    «Mi permetta di fare una telefonata», disse Wilma. Un’altra, pensò Adelaide.

    Ritornò poco dopo: «Il nostro supervisore sta per arrivare...».

    Adelaide pregò per lui. Aveva esattamente dieci minuti di tempo per sistemare la faccenda.

    Il supervisore non ne voleva sapere. Jason sarebbe rimasto lì sino all’arrivo della madre o del padre. Era un minore, non poteva essere imbarcato. Adelaide pensò di chiamare Luca, di farlo intervenire, ma non c’era tempo. Avrebbe risolto lei.

    II

    Era in ritardo. Un maledetto, fottuto, ritardo. In cuor suo sperava solo che la sua mamita fosse pronta. Adorava sua madre ma quando doveva prepararsi per un evento, persino se si trattava di una semplice cena fra amici, era costretto ad attenderla a lungo. Troppo per la sua pazienza.

    Chiuso nel proprio ufficio, aveva perso la cognizione del tempo. Ora rischiava lui di far attendere la sua donna! Ritirò da Jack, il suo fioraio di fiducia, il mazzo di rose bianche. Arrivò davanti alla porta di casa e vide che era aperta. Era davvero strano. Qualcosa, dentro di lui, lo mise in allarme. Con cautela, posò la mano sul pesante portone in legno. Mike rimpianse di non avere un’arma. Tuttavia, entrò.

    Nell’atrio, vide la sua immagine riflessa nel grande specchio antico che aveva sempre conferito all’ambiente un aspetto solenne. Salì gli scalini, sembravano non finire mai. Il cuore batteva sempre più forte.

    Arrivato sul pianerottolo, si soffermò a guardare. Era tutto come sempre, in perfetto ordine. Le porte delle camere da letto, chiuse.

    Mike si avvicinò alla porta della madre e udì lo scroscio dell’acqua della doccia.

    Che coglione, disse fra sé sorridendo. La paura non esisteva più.

    No, lui non sarebbe mai più potuto ritornare. Ma i ricordi del suo passato lo accompagnavano tutti i giorni, quell’ombra non lo lasciava mai.

    Si grattò il viso, la barba ruvida quasi gli graffiò il palmo della mano. Era stanco, avrebbe voluto buttarsi sul letto, bere e addormentarsi fino al giorno dopo. Entrò in camera sua, sul letto erano stati sistemati con cura i suoi abiti. La sua mamita , efficiente come sempre, ci teneva che quella serata fosse perfetta.

    Mike si fece la barba, la doccia calda lo rilassò e gli fece scacciare via l’ombra di suo padre. Si guardò allo specchio. Era tutto perfetto. Come voleva mamita . Due gocce del suo profumo preferito e uscì dalla stanza.

    Notò che la porta della camera da letto della madre era ancora chiusa. L’acqua continuava a scendere copiosa nella doccia.

    Bussò… nessuna risposta. Bussò ancora. E ancora. Aprì la porta con il cuore in gola…

    « Mamita !», urlò.

    La stanza era avvolta nella penombra, inondata dal profumo delle camelie. Mike si gettò a terra sconvolto. Il corpo della donna, seminudo, riverso a terra in una pozza di sangue. Il respiro affannato, la gola squarciata, come se un animale l’avesse azzannata.

    Si guardò intorno. Erano soli. Sconvolto, passò in rassegna la stanza e si rese conto che non mancava nulla. Prese il capo della madre e lo pose sulle ginocchia. Si rese conto di piangere come quando era piccolo, quando suo padre picchiava sia lui che la madre. Per darle forza, la rassicurò mentre tentava di tamponare la ferita. Il sangue imbrattava la sua camicia bianca, schizzi cremisi sul volto e sul pavimento.

    La paura lo aveva immobilizzato, si sentiva ancora quel bambino impotente, in balia del mostro.

    Doveva alzarsi, chiamare aiuto, ma il suo cervello non reagiva. Sarebbe morta e lui, come sempre, non avrebbe fatto nulla. Tentò di parlare, con un filo di voce riuscì a dire solo poche parole: « Mamita chi è stato? Ti prego, dimmi chi ti ha fatto questo!».

    La donna era ormai allo stremo delle forze. Gli occhi fissi sul figlio. Il Tristo Mietitore la stava chiamando a sé. Mike incalzò, aveva bisogno di sapere, doveva sapere chi aveva fatto quello a sua madre.

    « Mamita , ti prego… dimmi chi ti ha fatto questo!».

    La donna chiamò a sé tutte le forze residue e accarezzò la guancia del figlio. Gli asciugò le lacrime. Alzò un dito indicando il comò ma lui non capì. Sulla sua superficie vi erano numerose cornici in argento. Alcuni dei ritratti erano vecchi, raffiguravano i suoi bisnonni. Vi era anche una foto di lei abbracciata a suo padre. Non si era mai capacitato del perché continuasse a tenerla. Non meritava di stare lì.

    Con un filo di voce, gli disse: «El Diablo!» e fece ricadere la fredda mano sul ventre. Era morta.

    Mike iniziò a intonare la filastrocca che Carmen gli aveva insegnato e che lo aveva rassicurato ogni notte da quando era solo un bambino.

    Quella stessa nenia avrebbe accompagnato la donna nel lungo sonno senza risveglio.

    Duermase pequeño de mi campo en flor, su mama le canta una dulce cancion. Callen las campanas, callen el tambor, mi pequeño duerme, mi pimpollo en flor…

    III

    «Jason, mi hijo , che bello rivederti! Gracias , dottoressa Dobovoir, non so proprio come ringraziarla, sarò in debito con lei para toda mia existencia ».

    La voce della madre di Jason riportò Adelaide al presente.

    La signora dal cappotto rosso aveva un forte accento messicano. Adelaide vide la mano della donna allungarsi fiera verso di lei e ricambiò il gesto. Improvvisamente, come se avesse toccato qualcosa di molto sgradevole, la donna strinse forte a sé il figlio e si allontanò di qualche passo. I piccoli occhi color nocciola si chiusero come una fessura e scrutarono Adelaide con estremo disprezzo.

    « Adelante, vamos Jason. Papà ci sta aspettando a casa con la piccola Kirsten».

    Di nuovo, Adelaide avvertì qualcosa di ostile in quella donna, che continuava a fissarla con disprezzo. Jason per un attimo parve perso. Non riusciva a capire che cosa stesse succedendo; sua madre era sempre stata una donna gentile e cordiale con tutti.

    «Ma, mamita , Adelaide è mia amica! Che ti succede, perché ti comporti in questa maniera?», chiese.

    La madre continuò a stringerlo a sé, non rispose. Jason sentiva che aveva paura di Adelaide ma non capì il perché.

    «Jason, ascolta tua madre, prendete un taxi e andate a casa. Ci sentiremo uno di questi giorni» e gli fece l’occhiolino.

    Fu come se avesse gettato benzina su una fiamma già bene accesa; la donna dal cappotto rosso alzò la voce di un tono, puntandole un dito contro: «Lei non vedrà e non sentirà mai più mio figlio. Stia lontana da noi. Le nostre strade si dividono qui... per sempre».

    Se solo non fossimo in mezzo a tutta questa gente, saprei cosa farci con quel tuo cazzo di dito, stronza! , pensò con rabbia Adelaide.

    Jason chinò il capo davanti all’ordine perentorio della madre. Si fece trascinare via con prepotenza. La donna non salutò e non si degnò di ringraziare.

    Mentre le girava le spalle, la madre di Jason disse in tono quasi impercettibile: « Misericordia de mí, oh Dios, porque el hombre me pisotea un agresor siempre me oprime. Mis enemigos siempre me pisotean, muchos son los que pelean conmigo. En la hora del miedo, confío en ti En Dios, cuya palabra alabo, en Dios confío, no tendré miedo » . ²

    Adelaide la lasciò andare... che altro avrebbe potuto fare? Era stanca, voleva solo tornare a casa e dimenticare tutto.

    Arrivata ai parcheggi, consegnò al custode il foglio per il ritiro dell’auto. Ritrovò subito la sua Chevy Impala del 67, nera fiammante, il gioiello di tutti i collezionisti. Caricò i bagagli. Salì in auto ma un moto di rancore la avvolse. Strinse il volante con rabbia.

    La voglia impellente di andare a cercare la madre di Jason e spaccarle la faccia stava facendosi strada nella sua mente.

    Altro che andare a casa e dimenticare!

    IV

    «Mike, tesoro, sei arrivato…».

    Doveva ucciderlo, avrebbe fatto la fine della sua stupida madre. Lei, sicuramente, era riuscita a dirgli la verità, non poteva permettersi di lasciare testimoni scomodi in giro.

    Mike non riusciva a vederla

    «Dove sei? Non riesco a vederti. Ti prego, non ho voglia di giocare, sono molto stanco».

    «Oh, piccolo Mike! Sei proprio un ingenuo. Ti arrovelli il cervello con tutte quelle domande inutili e poi, neanche una risposta concreta! Rifletti…».

    No, non riusciva a capire. Si sentiva controllato da occhi invisibili. Lei era nascosta da qualche parte, nel buio, in giardino.

    «Pensi sul serio che la tua mamita sia stata uccisa da un semplice killer?», l’ombra malefica rise sardonica. «Non ci arrivi? Davvero, Mike, come puoi essere diventato l’uomo di Detroit? Ti credevo più intelligente».

    La donna spuntò finalmente fuori dal buio e alla sua vista anche la luna parve spegnersi. Era bella, i lunghi capelli neri sembravano filamenti di seta che coprivano metà della sua schiena bianca; un lungo vestito rosso le fasciava il corpo perfetto come una seconda pelle. Si scorgevano i grandi seni sodi. La vita stretta, i fianchi arrotondati. Mike la guardò.

    «Ti prego, dimmi di che cosa stai parlando…» la implorò.

    Ancora sperava in uno scherzo di cattivo gusto. Avrebbe voluto che la sua amata iniziasse a ridere, confessando che era ubriaca e non sapeva quello che diceva.

    Era splendida nel

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