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Una stella nel deserto (eLit): eLit
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E-book183 pagine2 ore

Una stella nel deserto (eLit): eLit

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Info su questo ebook

Gli eredi segreti 2
Due uomini potenti e determinati, due storie appassionanti e indimenticabili.

Alik Vasin è un uomo ricco, affascinante e misterioso e il suo cuore, duro come un diamante purissimo e avvolto da uno spesso strato di ghiaccio, è assolutamente incapace di amare.
O almeno così sembra.
La sua vita infatti viene ribaltata nell'istante stesso in cui scopre di avere una figlia...

Jada Patel è pronta a tutto pur di restare accanto alla piccola Leena, anche accettare un matrimonio di convenienza con l'autoritario Alik nonostante i due non possano avere un futuro insieme.
Ma, una volta catapultata nel suo lussuoso mondo, ogni sua precedente convinzione comincia a vacillare.
LinguaItaliano
Data di uscita31 mag 2018
ISBN9788858987537
Una stella nel deserto (eLit): eLit

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    Anteprima del libro

    Una stella nel deserto (eLit) - Maisey Yates

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    Heir to a Dark Inheritance

    Harlequin Mills & Boon Modern Romance

    © 2013 Maisey Yates

    Traduzione di Studio Kvd Sas

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    © 2015 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-5898-753-7

    Prologo

    Alik Vasin trangugiò in un sorso solo il contenuto del bicchiere, sperando che la vodka facesse effetto. Attese qualche secondo, ma non avvertì lo stordimento desiderato. Sospirando, capì che quella sera ci sarebbe voluta una dose massiccia di alcol per intontirsi e divertirsi senza pensare a niente.

    Oppure ci voleva un po’ di sano sesso.

    Siccome sedurre una donna era il passo successivo che aveva in programma, tanto valeva evitare di sprecare tempo, lasciare perdere i liquori e andare dritto al sodo.

    Si staccò dal bancone del bar e si fece largo tra la folla assiepata sulla pista da ballo della discoteca al centro di Bruxelles. Sarebbe stato impossibile attaccare discorso in mezzo a quella marea di corpi sudati che si agitavano, con la musica assordante che rimbombava. Non che gli dispiacesse restare muto; non stava cercando una donna per fare due chiacchiere.

    Non impiegò molto per trovarne una che non sembrava intenzionata a perdere tempo. Si diresse verso la bionda che gli sorrise invitante. Ah, bene! Per quella sera il divertimento era assicurato.

    Si avvicinò e lei stese il braccio, gli sfiorò il busto in una lieve carezza. Era intraprendente, pensò Alik. Perfetto: gli piacevano le donne dirette. Con un po’ di fortuna non avrebbe neanche dovuto aspettare finché fossero arrivati in camera da letto.

    Proprio in quel momento sentì vibrare il cellulare in tasca e lo estrasse. Forse alla sua preda avrebbe dato fastidio che lui si fosse distratto, ma se fosse bastata una telefonata a farle perdere l’interesse, poco male. Avrebbe trovato un’altra ragazza disponibile senza troppa difficoltà. Se Alik Vasin decideva di non passare la notte solo, di sicuro non sarebbe andato in bianco.

    Guardò il display e vide un numero che non riconobbe. Poteva essere davvero importante; poche persone al mondo che non fossero già in rubrica avevano il suo numero di cellulare.

    Sollevò la mano per indicare alla donna di aspettare. Forse l’avrebbe accontentato, o forse no. Non che gliene importasse molto, in fondo.

    Con lo stesso movimento rispose alla chiamata, si portò il cellulare all’orecchio e uscì in strada. Notò che era piuttosto affollata, nonostante l’ora. Un gruppetto di donne che incrociò gli rivolse delle occhiate invitanti.

    «Sì?»

    Di colpo l’acciottolato della strada non gli parve più tanto stabile sotto i piedi; forse la vodka aveva cominciato a fare effetto? Era brillo e per questo i palazzi circostanti sembravano incombere su di lui, avvicinandosi fino a soffocarlo, mentre una mano gelata gli serrava la gola e aveva le allucinazioni. Stava solo immaginando le parole che gli stava dicendo la donna al telefono?

    Sì, era Alik Vasin, confermò. E sì, era stato in quella zona degli Stati Uniti diverso tempo prima.

    Trattenne il fiato, in attesa che il terreno sotto di lui smettesse di ondeggiare. Non ricordava più la bionda, né il motivo per cui si trovasse a Bruxelles. Ma non sarebbe rimasto paralizzato, nonostante fosse sconvolto. Lui era un uomo d’azione: preferiva i fatti alle parole.

    Perciò chiuse la comunicazione e si allontanò in fretta dal locale. Doveva raggiungere al più presto l’aeroporto; solo un test avrebbe potuto dargli la conferma che cercava.

    Cercò in rubrica il nome di Sayid. Era il suo migliore amico; avrebbe saputo cosa dire, come consigliarlo.

    Non era colpa della vodka se Alik Vasin era inebetito, ma della notizia ricevuta. Era la verità, lo sentiva nelle ossa, nel profondo del cuore.

    Aveva una figlia.

    1

    «Credeva veramente di riuscire a tenermi lontano da mia figlia?» l’apostrofò una voce imperiosa alle sue spalle.

    Jada si fermò di colpo mentre saliva la scalinata che portava al tribunale, avvertendo un formicolio alla nuca. La voce era quella che sentiva nei suoi peggiori incubi; non l’aveva mai udita dal vivo, eppure sapeva perfettamente a chi apparteneva.

    Era lui, Alik Vasin.

    Pur essendo un estraneo, aveva il potere di strapparle il cuore dal petto e distruggerle la vita se avesse voluto... perché era il padre di sua figlia.

    «Non so proprio a cosa si riferisca» replicò con sussiego, riprendendo a salire i gradini. Invece lo sapeva, e anche lui.

    «Ha fatto cambiare la data dell’udienza» l’accusò lui.

    «Ho dovuto» ribatté Jada, mentendo con sicurezza e spavalderia. Dopotutto l’aveva fatto solo per proteggere la sua bambina, e per questo non si sentiva in colpa per avere trasgredito alle regole. Si era sempre comportata bene per tutta la vita, ma quella era una situazione al di sopra del bene e del male, perché il suo unico obiettivo era tenere con sé Leena.

    «E ha pensato che con un preavviso così breve non sarei arrivato in tempo, visto che ero dall’altra parte del mondo. Peccato per lei che io abbia un aereo privato...»

    Non sembrava un uomo che possedeva un jet. Indossava jeans sdruciti e una camicia spiegazzata con le maniche arrotolate a rivelare gli avambracci muscolosi, aveva un borsone di tela a tracolla, lo sguardo nascosto da Ray-Ban a specchio e un’ancora tatuata all’interno del polso. Jada la vide quando girò la mano per guardare l’orologio. Nel complesso sembrava un tipo poco raccomandabile, e la prima impressione che ebbe di lui la rassicurò sulle possibilità che aveva di ottenere l’affidamento. Dopotutto Leena viveva con lei da un anno, e quell’uomo non aveva nessun legame con la bambina tranne quello del sangue. Era suo padre, ma era pur sempre un estraneo che non aveva mai cambiato un pannolino alla piccola.

    «Anzi, sono persino in anticipo» aggiunse lui, seguendola all’interno del tribunale. «Mi scusi, torno subito.»

    «Faccia con comodo» replicò Jada con sarcasmo, sedendosi su una panca davanti all’ingresso dell’aula. Si sarebbe sentita più rincuorata se in quel momento avesse potuto tenere in braccio Leena, che purtroppo era con l’assistente sociale. Per tenere le mani occupate e distrarsi, aprì la borsetta, prese il cellulare e si mise a fare un giochino.

    «Ah, bene, non ho perso niente» sospirò l’uomo, buttando a terra il borsone.

    Lei alzò lo sguardo e il sangue le affluì improvvisamente al volto. Tanto fascino avrebbe dovuto essere dichiarato illegale. Si era cambiato: ora indossava un completo nero dal taglio impeccabile, sicuramente fatto su misura. La giacca gli fasciava alla perfezione le spalle ampie e i fianchi stretti, e la camicia era anch’essa nera, con il colletto sbottonato a rivelare uno spicchio di pelle abbronzata, con appena un accenno di peluria. Così vestito era decisamente affascinante: aveva l’aria di un uomo a cui bastava schioccare le dita per avere tutto ciò che volesse, comprese decine di donne ai suoi piedi.

    Si era anche tolto gli occhiali da sole e Jada poté vedere i suoi occhi penetranti, dalle iridi cangianti tra il grigio e l’azzurro, come un mare in tempesta.

    In meno di cinque minuti era passato da globetrotter sgualcito a una copia di James Bond dallo sguardo assassino.

    «Vedo che si è vestito in modo elegante per l’occasione» commentò, gelida, mettendo via il cellulare.

    «Mi è parso che la situazione richiedesse una certa formalità» replicò lui, con un abbozzo di sorriso distaccato. Aveva un’aria imperturbabile, come se il risultato dell’udienza non fosse di alcuna importanza, mentre per lei era tutto.

    Quella bambina era la sua vita, non le era rimasto altro e non poteva perderla!

    «È questo che è Leena per lei? Una situazione?» sbottò, indignata e inviperita. «Non capisco veramente perché si sia disturbato a presentarsi.»

    «Perché è mia figlia e devo assumerne la responsabilità.»

    «Mmh, quanto slancio paterno!» esclamò Jada, ironica. «Trasuda affetto da tutti i pori...»

    Lo sguardo di Vasin divenne tagliente come una lama d’acciaio. «Devo ricordarle che ha il mio stesso sangue e non il suo?»

    Jada arricciò il naso e incrociò le braccia. «E io devo ricordarle che Leena è con me sin dalla nascita?» obiettò con piglio combattivo. Non sapeva da dove le venisse il coraggio di tenere testa a quell’uomo minaccioso e inquietante, ma doveva resistere perché non aveva nessuno al suo fianco a spalleggiarla. Poteva contare solo sulle proprie forze.

    «Non ero a conoscenza della sua esistenza» si difese Vasin.

    «Perché la madre biologica di Leena pensava che lei fosse morto!» sbottò Jada. «Magari le aveva detto che era in missione segreta? È il genere di fandonia che uno come lei direbbe per fare colpo su una donna e portarsela a letto» borbottò con disprezzo.

    «Se gliel’ho detto, evidentemente era vero. Di solito non mento su cose del genere.»

    «Se?» ripeté, interdetta. «Non ricorda le circostanze del vostro incontro?»

    Alik si strinse nelle spalle. «Non esattamente, no.»

    Jada ebbe un’improvvisa illuminazione. «Quindi lei era veramente in missione?» esclamò, allibita.

    «Quanto ha la bambina?»

    La donna lo fissò perplessa. «Non lo sa?»

    «Non so nulla di tutta questa faccenda, veramente. Ero a Bruxelles quando ho ricevuto una telefonata. Mi è stato detto che se non fossi venuto a rivendicare la paternità di una bambina entro una certa data avrei perso qualsiasi diritto su di lei. Ho fatto eseguire un test del DNA per confermare che in effetti sono suo padre, ed è risultato positivo. Però giusto ieri ho ricevuto una lettera in cui venivo avvertito che mia figlia sarebbe stata adottata e i miei diritti in quanto padre non avrebbero più avuto alcun valore se non mi fossi presentato all’udienza che era stata anticipata a oggi» le spiegò.

    «Comunque Leena ha appena compiuto un anno» lo informò Jada. «Dov’era lei un anno e nove mesi fa?»

    «Da queste parti. Ero a Portland per lavoro.»

    «Che genere di lavoro?»

    «Non posso darle altri particolari. Si è trattato di una questione riservata e delicata.»

    Jada lo guardò con disgusto. Era stata fortunata a non avere mai avuto a che fare con uomini del genere, perché si era sposata giovanissima con un brav’uomo. Per lei i rubacuori senza scrupoli erano solo personaggi di romanzi o film.

    «Immagino la natura della cosa, visto che da un anno mi occupo del risultato della sua trasferta di lavoro

    Alik sollevò un sopracciglio, irritato dal suo tono allusivo. «Non sono un turista sessuale, si è trattato di una piacevole parentesi in un viaggio di affari, gliel’assicuro. Di solito prendo tutto sul serio.»

    «Vedo...» mormorò lei, sdegnosa.

    «Non sia prevenuta nei miei confronti.»

    «Come vuole che la tratti? Si è presentato qui per portarmi via la mia bambina!» lo accusò. «E comunque, visto che viaggia in tutto il mondo a fare Dio solo sa cosa, cosa se ne fa di una bambina? È sposato?»

    «No.»

    «Ha altri figli?»

    «Che io sappia, no» sorrise lui, malizioso.

    Jada lo guardò in cagnesco, indispettita dal suo atteggiamento sfrontato. Sembrava fiero di essere un donnaiolo e sfoggiava con disinvoltura la sua abilità nel fare conquiste.

    «Allora perché vuole Leena, signor Vasin?»

    Bella domanda, pensò Alik. Peccato che non avesse una risposta. Sapeva solo che non si sarebbe mai perdonato se si fosse voltato e fosse andato via, se non avesse mai visto sua figlia e non si fosse assicurato che fosse curata, invece di lasciarla a cavarsela da sola e ad arrangiarsi com’era toccato a lui da bambino.

    Aveva avuto la tentazione di dimenticare la telefonata, e anche di non presentarsi all’udienza, ma ogni volta che ci pensava avvertiva una stretta al cuore, una fitta provocata da una coscienza che non credeva neanche di possedere.

    Non voleva avere una figlia, ma non poteva neanche ignorarla, perciò le diede l’unica risposta possibile: «Perché è mia».

    «Non è un motivo valido.»

    «E lei perché la vuole così tanto, signora Patel?» replicò, rivolgendosi a lei con lo stesso sussiego formale. «Dopotutto non è sua.»

    «Per lei il legame di sangue con un estraneo è più importante di quello affettivo?» gli chiese Jada di rimando.

    Alik scrutò la donna seduta davanti a lui, così piena di fuoco e passione. Con i capelli neri lucenti, gli occhi ambrati, la carnagione dorata e un fisico snello e minuto, molto femminile, era indiscutibilmente bella, e in altre circostanze avrebbe tentato di sedurla. In quel momento, invece, sembrava più pronta a saltargli alla gola per strangolarlo che a gettarsi tra le sue braccia.

    «L’affetto non c’entra niente, parlano i fatti» dichiarò lui, categorico. «E il fatto è che io sono suo padre mentre lei non è sua madre.»

    Jada si ritrasse leggermente come un cobra pronto a colpire. Alik avrebbe potuto giurare di averla sentita sibilare.

    «Signor Vasin? Signora Patel?» li chiamò una donna affacciatasi alla porta dell’aula. «Prego, potete accomodarvi. È ora.»

    Il signor Vasin è dotato della piena capacità d’intendere e di volere e ha dimostrato in maniera inconfutabile di essere il padre della minore, avendo presentato i risultati del test di paternità, perciò non sussiste alcun motivo per cui la suddetta minore non gli possa essere affidata.

    Jada non faceva altro che ripetersi la sentenza del Tribunale dei Minori. Il giudice era dispiaciuto, ma non c’era veramente alcuna ragione per cui Leena non dovesse andare dal padre, che oltretutto aveva dimostrato di essere ricchissimo. Sapeva perfettamente che il patrimonio

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