La moglie del faraone (eLit): eLit
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Sally Wentworth
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Anteprima del libro
La moglie del faraone (eLit) - Sally Wentworth
successivo.
1
Era quasi mezzanotte quando l'aereo atterrò nel piccolo aeroporto di Luxor e i passeggeri riunirono i bagagli in attesa di essere sbarcati. Catriona era seduta in fondo, ma si considerava comunque fortunata per essere riuscita a trovare un posto all'ultimo minuto.
Scese dall'aereo quasi per ultima, e sbatté le palpebre per abituarsi all'oscurità che subito l'avvolse. Era un volo charter zeppo di turisti, che subito si affrettarono verso la dogana e poi sugli autobus che dovevano portarli negli alberghi o sulle navi da crociera. Catriona, invece, riassettò le proprie cose con calma; sapendo di doversi fermare per alcuni mesi, si era portata una valigia, una sacca a mano e una borsa. Dopo che un distratto funzionario le ebbe timbrato il passaporto, andò in cerca di un carrello e vi caricò il bagaglio. Poi uscì dall'aeroporto seguendo la coda.
All'inizio si ritrovò nella confusione a causa del ritardo di due pullman poi, uno dopo l'altro, se ne andarono tutti lasciando sola Catriona sotto la fredda luce dei lampioni, in attesa di veder comparire una jeep o un camioncino che la portasse a destinazione. Quando anche il rumore dell'ultimo autobus scomparve in lontananza, scese un silenzio improvviso e Catriona cominciò a sentirsi a disagio. Quella mattina, prima di partire dall'Inghilterra, aveva telefonato al capo del Dipartimento di Egittologia dell'università, e lui le aveva promesso di avvertire il Quartiere Generale degli scavi in Egitto per trovare qualcuno che venisse a prenderla. Ma Catriona cominciò a sospettare che il messaggio non fosse giunto a destinazione.
Spingendo il carrello, tornò nell'atrio e si avvicinò a un uomo che dall'aspetto le sembrava europeo. «Mi scusi, parla inglese?» gli chiese e quando l'altro annuì continuò: «L'ha mandata il dottor Kane, dagli scavi di Mem Habu?».
Lo sconosciuto scosse la testa. «No, mi dispiace. Io lavoro all'aeroporto.»
Dopo averlo ringraziato, Catriona tornò fuori e decise di aspettare ancora mezz'ora prima di andare a telefonare.
Cominciava a essere stanca e, non essendoci posto per sedersi, si appoggiò al muro. Nel parcheggio c'erano due taxi fermi e i guidatori chiacchieravano tranquillamente. Dopo averle lanciato parecchie occhiate, uno di loro venne verso di lei.
Era giovane e aveva la pelle scura. «Ha bisogno di un taxi?» si informò squadrandola da capo a piedi con un sorriso.
Catriona scosse la testa maledicendo di non aver avuto tempo di imparare qualche parola di egiziano.
Ma l'uomo non si perse d'animo e afferrandole il carrello disse: «La porto io a Luxor».
«No, grazie» ribatté Catriona in tono deciso. «Sto aspettando che mi vengano a prendere.»
«Non viene nessuno. La porto io.»
Catriona gli strappò di mano il carrello. «No! Non ho soldi» tagliò corto sperando di farlo desistere.
Ma l'altro non le credette e stringendosi nelle spalle insistette: «La porto io».
Dopo qualche attimo di discussione per chi dovesse tenere il carrello, si avvicinò un'auto talmente silenziosa che Catriona se ne accorse solo quando si fermò e ne scese l'autista. Disse qualcosa in arabo e il tassista si voltò di scatto, vide la macchina e tornò di corsa verso il proprio taxi. Mollò la presa sul carrello così all'improvviso che Catriona rischiò di cadere e dovette appoggiarsi al muro.
Dopo aver dato un'occhiata alla macchina, lei ebbe un moto di disappunto. Era una Mercedes nera, non certo il tipo di vettura adatta a chi è in Egitto per operare degli scavi. L'autista le si avvicinò e in un inglese stentato le chiese: «Tu... signora venuta dall'Inghilterra?».
Catriona fece segno di sì.
«Venuta a lavorare qui?» si informò per maggior sicurezza.
«Sì, perché?»
Soddisfatto, le disse: «Io portare te a casa».
Felice di quell'aiuto ormai insperato, Catriona fece il gesto di prendere le valige ma l'uomo si affrettò ad aprirle la portiera, la invitò a salire e poi si occupò di caricare i bagagli. La macchina aveva i vetri scuri e l'aria condizionata accesa, inoltre era tappezzata di morbida pelle che profumava di nuovo. Comodamente adagiata sui sedili posteriori, Catriona fece un sospiro di sollievo. Aveva temuto di doversi mettere a gridare per far intervenire la polizia dell'aeroporto, e non sarebbe stato un inizio incoraggiante. Soprattutto con le voci che correvano sul direttore degli scavi. In Inghilterra si diceva che il dottor Kane fosse un uomo dedito solo al lavoro e che non amasse contrattempi di alcun genere.
L'autista mise in moto e lasciarono l'aeroporto. «È lontano?» si informò Catriona.
Lui si strinse nelle spalle e fece dei gesti per spiegarle che non aveva capito.
Spingendosi verso di lui, Catriona ripeté parlando adagio: «Quanto dista la casa? Quanti chilometri? ».
L'uomo sollevò la mano e la aprì e la richiuse cinque volte.
Venticinque, rifletté Catriona senza sapere se si trattasse di miglia, chilometri o minuti. A quel punto, non le restò che rilassarsi allungando le gambe. Fuori non si vedeva niente tanto era buio, o forse era la stanchezza che cominciava a farsi sentire. Senza quasi rendersene conto chiuse gli occhi e nel giro di pochi minuti si addormentò.
«Signora, signora!»
A quel grido, Catriona aprì gli occhi e vide che l'autista le teneva la portiera aperta e stava cercando di svegliarla. Si riscosse all'istante e, pensando che fossero arrivati alla casa dove alloggiavano i membri della spedizione, si affrettò a scendere. Dando un'occhiata all'orologio, si accorse che erano le due di notte e si guardò intorno aspettando di trovarsi in un villaggio deserto. Restò di stucco quando si vide davanti una grande casa circondata da un enorme giardino. La porta di casa era aperta e c'era una donna sulla soglia.
La donna sembrava di origine egiziana, anche se era vestita in stile occidentale e indossava un vestito nero a collo alto, lungo fino alle caviglie. Troppo anziana per essere la moglie di un uomo della spedizione, doveva essere una specie di governante, rifletté Catriona.
Con un gesto della mano, la invitò a entrare ma Catriona si fermò nell'atrio per dare un'occhiata in giro. La casa era sfarzosa, aveva i soffitti alti e decorati da cui pendeva un lampadario in vetro di Murano ed era arredata con preziosi mobili antichi di gusto europeo.
«Vieni, signora.»
Con un altro cenno, la governante la condusse su per una scalinata in marmo e svoltò a destra in un lungo corridoio poco illuminato che si affacciava su un patio interno, dove zampillava una fontana in pietra. Sempre seguite dall'autista che portava i bagagli, la donna indicò una porta e la aprì facendole cenno di entrare.
Catriona trattenne il fiato per la sorpresa: la stanza era completamente diversa da come se l'era aspettata. In mezzo troneggiava un enorme letto con una testata d'oro e alle pareti si aprivano ampi armadi che avrebbero potuto contenere il guardaroba di un intero esercito. Senza parlare la donna aprì un'altra porta e le mostrò il bagno, in marmo rosa e dotato di una vasca con idromassaggio. Era talmente grande e ricco che lei non poté trattenere una risata.
La donna aggrottò le sopracciglia senza capire, ma Catriona si limitò a rivolgerle un sorriso senza darle spiegazioni.
«La colazione?» le chiese facendo il gesto di mangiare. «A che ora?» e indicò l'orologio.
Senza parlare, la donna le mostrò un campanello accanto al letto e cercò di farle capire che bastava che lo suonasse perché arrivasse la cameriera con la colazione in camera. Quando fu uscita, Catriona si sedette sul bordo del letto e rimuginò su quello che le era successo. La macchina e la casa erano al di là di ogni aspettativa, rifletté, soprattutto per una come lei convinta di trovare delle baracche dove vivere ai limiti della sopravvivenza. Era chiaro che chi sponsorizzava quella spedizione doveva essere stato molto generoso, dedusse togliendosi le scarpe.
Andò in bagno, si fece una doccia e si avvolse in uno dei morbidi asciugamano impilati accanto alla vasca, sorridendo di quel lusso sfrenato cui non era abituata. Negli ultimi mesi era stata talmente disperata per la mancanza di lavoro che aveva accettato la prima offerta che le era capitata, pronta ad adattarsi a qualsiasi tipo di condizione pur di cominciare a fare esperienza e guadagnare qualche soldo. Se solo avesse saputo che andava a finire in un posto simile, non avrebbe esitato neppure un momento, si disse ritornando in camera.
Quella notte dormì profondamente e la mattina dopo, memore delle istruzioni della governante, premette il campanello: nel giro di dieci minuti comparve una cameriera con in mano il vassoio della colazione, colmo di ogni leccornia. C'erano due tipi di cereali, cornetti caldi, pane, burro e marmellate di tutti i gusti; e inoltre, su un piattino a parte, uova strapazzate, caffè e frutta. A Catriona non restò che divorare golosamente quelle delizie.
Pronta ad andare nella zona degli scavi, si infilò un paio di pantaloni di cotone color kaki e una camicia con le maniche corte. Mentre si pettinava i lunghi capelli biondi, ripensò alle voci che circolavano sul conto del dottor Lucas Kane e decise che la fama di uomo rude e tiranno doveva essere falsa, a giudicare dal trattamento principesco che le era stato riservato.
Mentre si guardava allo specchio con occhio critico, si domandò se dovesse truccarsi un po'. Il suo viso era decisamente pallido, dopo il lungo inverno inglese e le molte ore passate a lavorare per la compagnia tessile che l'aveva licenziata senza pagarle un mese di stipendio. In contrasto con il colore dei capelli, le ciglia erano scure e ombreggiavano due grandi occhi nocciola. La bocca delicata le conferiva un aspetto di delicata eleganza.
Dietro quell'apparenza di fragilità, però, si nascondeva un carattere di ferro: la vita era stata dura con lei, e tutto quello che ora possedeva aveva dovuto conquistarlo con fatica sin dai tempi del college. Adesso, dopo tre mesi di inattività forzata, finalmente tornava a splendere il sereno insieme con la speranza di un avvenire migliore.
A quel pensiero, Catriona decise di mettersi un po' di fard e di rossetto e mentre stava finendo di prepararsi udì bussare alla porta. Convinta che fosse la governante, gridò: «Avanti,» senza voltarsi.
La porta si aprì lentamente e con sua grande sorpresa vide spuntare la testa di una bambina che scomparve subito. Dopo un breve bisbiglio, si affacciarono due teste, la seconda di un'altra bambina, più piccola della prima, e due paia di occhi scuri la fissarono con curiosità.
Catriona si voltò a guardarle e sorrise con simpatia. «Ciao» disse invitandole a entrare con un gesto del braccio.
Tenendosi per mano le due bambine entrarono nella stanza. La più grande doveva avere nove anni, la più piccola cinque. Sul fatto che fossero sorelle, non c'erano dubbi. Si somigliavano nei capelli neri e lisci, inoltre indossavano lo stesso abitino blu con il colletto e i polsini bianchi. Doveva essere la loro divisa scolastica, dedusse Catriona considerando che erano fin troppo severi per bimbe così piccole.
«Ciao» ripeté.
«Ciao, signora» rispose la più grande con voce incerta.
«Come vi chiamate?» chiese Catriona sforzandosi di parlare piano.
«Io Nadia.»
«E tu?» domandò poi rivolta alla piccola.
Ma la bambina non rispose e arrossendo si nascose dietro la sorella.
«Lei Dorreya» rispose a maggiore in vece sua.
«Io mi chiamo Catriona» disse e quando vide che si scambiavano sguardi stupiti ripeté il nome sillabandolo lentamente, Ca-tri-on-a.
A turno, le bambine lo pronunciarono parecchie volte finché riuscirono a impararlo e la guardarono con un sorriso soddisfatto. Convinta che fossero le figlie di uno dei partecipanti egiziani della spedizione, Catriona udì bussare alla porta e, senza attendere la risposta, entrò la governante. Appena vide le bambine, cominciò a sgridarle e le spinse verso l'uscita.
«Oh, no» protestò Catriona. «Le lasci