Un dottore per amico: Harmony Bianca
Di Sarah Morgan
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Info su questo ebook
Joel non è mai stato capace di impegnarsi, tantomeno di rendere felice una donna, e rischierebbe soltanto di farle del male. Deve restarle alla larga! L'unica soluzione è quella di offrirle solo la sua amicizia. Ogni tentazione verrà inibita, il desiderio che prova per lei soffocato. Qualsiasi cosa pur di poter continuare a starle vicino! Ma i sentimenti che Joel inizia a provare per Lucy sfociano in una notte memorabile che nessuno dei due riuscirà a dimenticare.
Sarah Morgan
USA Today bestselling author Sarah Morgan writes lively, sexy contemporary stories for Harlequin. Romantic Times has described her as 'a magician with words' and nominated her books for their Reviewer's Choice Awards and their 'Top Pick' slot. In 2012 Sarah received the prestigious RITA® Award from the Romance Writers of America. She lives near London with her family. Find out more at www.sararahmorgan.co
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Anteprima del libro
Un dottore per amico - Sarah Morgan
successivo.
1
«Per favore, signora Lambert» blandì in tono gentile Lucy, «lo provi almeno una volta. Okay?»
«Faccio già fatica a respirare, cara ragazza» ansimò la donna anziana. «Come posso soffiare dentro a quel coso? Mi ucciderebbe!»
Lucy sollevò un poco il misuratore del picco di flusso espiratorio e sorrise. «Prenda un bel respiro e poi soffi dentro con forza, così...» Le diede una piccola dimostrazione, cambiando poi il boccaglio. «Ora tocca a lei.»
«Ma perché?» La paziente prese l'apparecchio e lo fissò sospettosa. «Non capisco.»
«Questo piccolo dispositivo ci aiuta a capire come stanno i suoi polmoni» le spiegò con pazienza e in termini semplici, senza far trasparire il fatto che era la quarta volta che le dava quell'informazione.
«Davvero?! E perché non me l'hai detto prima?»
Lucy abbozzò un sorriso e prese la penna, per preparasi a trascrivere i dati. «Soffi quando si sente pronta.»
Sentì la porta aprirsi alle sue spalle e lei si volse per vedere il dottor Richard Whittaker, il socio anziano della clinica, fermo sulla soglia. Capelli grigi, espressione gentile, l'uomo guardò la paziente e fece un discreto segno di approvazione mentre l'infermiera leggeva i risultati del test pratico.
«Brava, signora Lambert» disse Lucy. «Ancora due volte, la prego. Ho bisogno di tre prove.»
«Tre? Mi farai finire al cimitero, ragazza!» La donna anziana si girò verso Richard scuotendo la testa. «È una schiavista la sua nuova infermiera, lo sa?»
«Lo so.» Il medico incrociò le braccia sul petto, appoggiandosi contro lo stipite. «Soffriamo tutti purtroppo. Ci comanda senza pietà. Se fossi in lei, mi darei per vinta. Facciamo così noi dottori, le confesso.»
La signora Lambert sospirò in modo drammatico e poi soffiò nel misuratore.
Lucy trascrisse i dati e li porse al dottor Whittaker con un sorriso soddisfatto. «Non sono male. Soprattutto se si tiene conto che non abbiamo fatto altro che parlare da che è entrata.» Fece l'occhiolino e la paziente scoppiò a ridere.
«Sei proprio una ragazzina impertinente!»
Richard esaminò i risultati del test. «Però ha ragione. Sono buoni, Annie. Ora dobbiamo monitorarli con regolarità per poter decidere la cura migliore. Comunque al momento non cambierei niente, sempre che lei non smetta di usare il puffer, l'inalatore.»
La paziente storse la bocca. «Non ne vedo la ragione. Mi sento bene.»
«Soffre di asma, signora Lambert. Si sente bene perché sta usando l'inalatore» le spiegò Lucy.
«Sono tutte sciocchezze» protestò la paziente. «Come posso avere l'asma? Ho settanta anni, per l'amor del cielo! I bambini hanno l'asma, non gli adulti.»
«Anche gli adulti, Annie.» Richard le rivolse uno sguardo preoccupato. «L'abbiamo già spiegato ma possiamo farlo di nuovo se...»
«No, no...» l'interruppe Annie Lambert con un gesto impaziente. «Continuerete a parlare di questi benedetti puff, dirmi di soffiare e un sacco di altre cose senza senso. Basta, è di una noia pazzesca.»
Lucy sorrise, scambiando un'occhiata divertita con il medico.
«Vero ma questi benedetti puff la fanno stare bene e l'aiutano a dimenticare che ha l'asma» le ricordò in tono gentile.
«Faccio il primo ogni giorno» dichiarò la paziente prendendo la borsa. «L'altro quando ho qualche problema. Però devo ammettere che qualche volta mi manca il fiato.»
«Questo dipende anche dallo stato del suo cuore» le spiegò Richard, restituendo la cartella all'infermiera. «Aumenteremo la dose delle pillole e dovremmo risolvere il problema.»
«Lo spero.» Annie fece un sorriso tirato. «Altrimenti l'anno prossimo non potrò correre la maratona.»
«Sarà la prima a tagliare il traguardo» scherzò Lucy con dolcezza mentre accompagnava la signora nella sala di attesa. «Ci rivediamo il mese prossimo, a meno che non abbia bisogno di noi prima.»
Tornò in ambulatorio, sorpresa di trovare ancora Richard. «Sta meglio, vero?» Tolse il boccaglio dal misuratore del picco di flusso espiratorio e lo gettò nel cestino apposito, rimettendo l'apparecchio sul carrello e coprendolo con la custodia.
Il medico si aggiustò gli occhiali sul naso. «Incredibile ma vero. Sei un portento. Non sono mai riuscito a farla soffiare in quella macchina infernale, come la chiama lei. Il tuo ambulatorio per l'asma va alla grande.»
«Solo perché ho più tempo a disposizione.»
«Sciocchezze! A volte penso che tu sia la persona più occupata qua dentro. Hai il tocco, una dote naturale» aggiunse piano, guardandola a un tratto con espressione indagatrice. «Ma non voglio parlare di Annie Lambert. Voglio parlare di te. È ormai un mese che stai con noi. Come ti trovi?»
Lucy gli sorrise con gratitudine. «Bene» rispose, commossa dall'interessamento.
«Bene?» Richard si spostò verso la finestra, uno strano sorriso sul volto. «Sai, ho deciso ormai da anni che odio questa parola. Non dice assolutamente niente di come si sente una persona.»
Lei non sapeva che dire. Certo non poteva confessargli la verità. Che dentro di sé soffriva tanto da far fatica a respirare. Che a volte si sentiva disperatamente sola e triste e che la paura del futuro era così tremenda da rischiare di soffocarla.
Era da un anno che era in quello stato, da quando...
Con un sospiro s'impose di scacciare i ricordi. Da tempo si era imposta la regola di non pensare ai propri problemi sul posto di lavoro, ma se il medico e proprietario della clinica le domandava come stava, allora non c'era da meravigliarsi se la sua decisione vacillava.
A meno che... «C'è qualcosa che non va?» chiese, assalita dall'ansia. «Mi rendo conto che sia un problema per lei che io finisca il turno alla tre ma...»
«Lucy» la interruppe Richard, la fronte corrugata mentre si avvicinava. «Parliamo chiaro, okay? Il tuo contributo in questa clinica è incommensurabile. A nessuno di noi interessa che tu smetta di lavorare alle tre. Non ti sto chiedendo come stai perché sono preoccupato professionalmente. Il mio interesse è personale. Elisabeth è preoccupata per te e lo sono anche io.» La scrutò con attenzione. «Sembri molto stanca. Hai qualche difficoltà a dormire?»
Lei aprì la bocca per negare ma l'uomo che aveva davanti era un medico molto bravo. «A volte» ammise. «Ma sto bene. Mi piace lavorare qui.»
Ed era la pura verità.
Trasferirsi in quella piccola cittadina della Cornovaglia era stata la cosa migliore che le era successa dopo lungo tempo.
«Posso darti qualcosa per aiutarti a prendere sonno.»
Lucy scosse la testa quasi terrorizzata dal suggerimento. «No, grazie. Preferisco di no.»
Tanto, a che sarebbe servito? Al risveglio la tristezza sarebbe stata sempre lì.
Sperando che lui cambiasse argomento, prese un pacchetto intatto di garze e lo rimise nell'armadio. «Comunque queste nuove garze sono molto buone. Migliori delle vecchie. Molto più resistenti.»
«Lucy, non m'interessano le garze!» L'uomo si passò entrambe le mani tra i capelli in un gesto di pura frustrazione. «Be', m'importa certo ma non ora» si corresse in fretta. «Siediti un attimo, okay? Non posso parlarti se ti sposti di continuo.»
Non le restò che ubbidire.
«Ti piace l'appartamento?»
«È fantastico. Non ho mai abitato in un posto così bello.»
Era vero. Dopo aver vissuto in una sorta di buco umido nei grigi sobborghi di Londra, quella casa così spaziosa e ridente con la vista sul porto era più di quanto potesse sognare.
«Però non incontri mai nessuno.»
«Vedo tante persone per via del lavoro» puntualizzò in fretta.
«Non è quello che intendevo.»
Lei si guardò le mani, domandandosi perché tutti pensassero che la cura per la rottura di una relazione fosse imbarcarsi in un'altra. «So cosa intende, e mi creda quando dico che incontrare uomini non è al momento in cima alla lista delle mie priorità.»
E non penso lo sarà mai.
Lui annuì. «Posso comprendere perché ma devi darti tempo. Vedrai, a un certo punto cambierai idea. Prima o poi dovrai costruirti una nuova vita.»
Sul serio?
E come?
Non aveva la minima esperienza in merito. Aveva conosciuto Tim all'età di sei anni e aveva sempre dato per scontato che un giorno si sarebbero sposati. Non aveva mai pensato che non potesse durare per sempre.
Incontrare uomini o uscire con loro erano per lei concetti alieni.
«Vorrei che un giorno venissi da noi a pranzo o a cena. Elisabeth e io ne saremmo felicissimi.»
Lucy sorrise. «Dottor Whittaker, lei è stato di una gentilezza squisita da quando ci siamo conosciuti. Io ero una totale sconosciuta eppure mi ha dato un lavoro part-time quando invece ha bisogno di un'infermiera a tempo pieno, mi lascia abitare gratis in un appartamento e...»
«Ci stai facendo tu un favore a viverci durante l'inverno. In questo periodo dell'anno non ci sono turisti e resterebbe vuoto.»
Lei giocherellò con l'orlo dell'uniforme. «Quello che voglio dire è che siete stati incredibilmente generosi. Non c'è proprio bisogno che mi diate anche da mangiare.»
«Ma ti cucini qualcosa la sera?»
«Sì, certo» mentì sapendo di mentire. Cereali e toast non significava cucinare ma non aveva importanza. Doveva tanto ai Whittaker e non voleva approfittare oltre della loro gentilezza.
Richard le rivolse uno sguardo dispiaciuto. «Be', se cambiassi idea, devi solo chiedere. Comunque volevo anche ricordarti che oggi arriva mio figlio minore. Ti avevo accennato che verrà a lavorare qui in clinica?»
«Diverse volte.» Sollevata che avesse cambiato argomento, si mise una ciocca di capelli dietro l'orecchio nascondendo un sorriso. L'orgoglio dell'uomo per il figlio più giovane era evidente. «Non riesco a credere che tutti e tre i suoi figli siano medici!»
«E tutti hanno deciso di entrare nella mia clinica!» Richard fece una smorfia di esasperazione ma lei sapeva che era solo un trucco per nascondere gioia e compiacimento. I Whittaker erano una famiglia molto unita e sembrava non ci fossero attriti anche in ambito lavorativo. Michael e Nick, gli altri due figli, erano medici molto bravi e si rispettavano l'un l'altro. Non c'era nessun tipo di rivalità o di meschinità che spesso caratterizzavano altre strutture simili.
«Quando incomincerà ufficialmente?»
«Non appena mette piede dentro la porta» rispose il dottore. «Siamo subissati di lavoro, lo sai. Per fortuna arriva in tempo per lo scoppio dell'influenza. Te lo presenterò non appena farà la sua comparsa perché dovrete collaborare per alcuni ambulatori. Sei da queste parti per la pausa pranzo?»
Lucy esitò. «Veramente andrò a trovare Ivy Williams» confessò alla fine. «Sono preoccupata. L'ho vista la settimana scorsa per la gamba ed è stata molto silenziosa. I vicini dicono che da quando è morto Bert un mese fa, non esce quasi mai di casa.»
«Ivy?» L'espressione di Richard si addolcì. «Sei unica, cara ragazza, ma non lasciarti coinvolgere troppo. Non puoi risolvere i problemi di tutti.»
I grandi occhi verdi dell'infermiera si riempirono di tristezza. «Ha perso il suo compagno e si sentirà così persa e sola...»
E tu sai bene che significa.
«Okay, fammi sapere come sta» disse l'uomo avviandosi verso la porta. «Siamo molto fortunati ad averti con noi.»
Mai quanto lo sono io ad avervi conosciuti.
Una volta rimasta sola, prese borsa e cappotto e uscì per andare al parcheggio. Per fortuna avevano sparso sale sul terreno altrimenti con quel gelo sarebbe stato pericoloso camminare. Erano i primi di gennaio e faceva davvero molto freddo.
Entrò in macchina chiedendosi come poter aiutare Ivy così sola in quella casa enorme. Stava ancora pensando alla povera donna quando udì uno stridore di freni seguito dal rumore inequivocabile di uno scontro.
Istintivamente rallentò la velocità riducendola al minimo in prossimità di una curva. Doveva esserci stato un incidente. Le si strinse il cuore, le mani strette intorno al volante, quando vide la macchina con il frontale praticamente accartocciato contro un albero e poco distante una motocicletta rovesciata.
«Oh, no...»
Fermò l'auto sul ciglio