Sposa in attesa (eLit): eLit
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Judy Christenberry
Ex professoressa di francese, ha lasciato la carriera per dedicarsi al suo vero amore: raccontare storie.
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Anteprima del libro
Sposa in attesa (eLit) - Judy Christenberry
successivo.
1
«Perché non come fanno tutti, nel modo tradizionale?»
Susannah Langston si sentì avvampare, ma non abbassò lo sguardo. Era una donna intelligente, istruita. Non doveva lasciarsi imbarazzare da quella... discussione scientifica.
«Nel caso non lo sappia, dottore, bisogna essere in due per concepire un bambino nel modo tradizionale» rispose vivacemente.
L'anziano medico ridacchiò, poi tossicchiò. «Non capisco, signorina Langston, come le sia venuta questa idea assolutamente pazzesca...»
«Dottore, la fecondazione artificiale non è una pazzia né una novità.»
«Lo so. Viene usata con gli animali da anni. Ma non mi sembra giusto...»
«Scusi, ma non le sto chiedendo un parere personale» lo interruppe Susannah garbatamente, ma con fermezza. «Voglio soltanto sapere dove andare per sottopormi al trattamento.»
Lui la scrutò, grattandosi il mento. «È proprio decisa?»
«Sì. E la mia è una decisione ponderata. Ho valutato attentamente le complicazioni e credo che la ricompensa superi le difficoltà.»
«Si rende conto che una donna incinta senza un uomo suscita chiacchiere ancora oggi? Siamo pur sempre una piccola comunità.»
Susannah raddrizzò le spalle. «Se i pettegolezzi diventeranno un problema, mi trasferirò altrove, dopo la nascita del bambino, e mi spaccerò per divorziata.»
All'alba del Duemila, la maternità da single non sarebbe dovuta essere un marchio d'infamia, ma lei era consapevole che ciò che sarebbe dovuto essere non sempre combaciava con la realtà di fatto.
Con un sospiro il dottore si protese sulla scrivania. «Credo di poter provvedere io, qui, signorina Langston. Certo, non abbiamo le risorse di un grande ospedale, però, se lei ha già in mente un donatore...»
Un donatore?! «Ma io non ho un donatore!» esclamò Susannah. «Pensavo di rivolgermi a una banca del seme.»
Aveva letto molti articoli nelle pubblicazioni specializzate della biblioteca di Caliente, dove lavorava. Dove passava tutti i suoi giorni. I donatori di sperma non abbondavano in biblioteca... Gli uomini non abbondavano in biblioteca... C'erano soltanto libri. E polvere. Tanta polvere.
«Solamente che qui non abbiamo una banca del seme, signorina. E le sarebbe molto costoso rivolgersi a una struttura di Denver.»
«Ho risparmiato parecchio.»
«Ma se ci fosse qualcuno del posto...» L'espressione del medico si era fatta pensosa.
Susannah cominciava ad averne abbastanza. «Dottore, le sarei davvero grata, se sapesse indicarmi un istituto oppure un ospedale di Denver. Voglio il migliore.» Avrebbe dovuto fare delle ricerche, invece di perdere tempo con quel colloquio, ma Abby, la sua più cara amica, le aveva consigliato il dottor Grable.
«Conosco un possibile donatore» disse il medico all'improvviso.
Susannah sbarrò gli occhi. «Che cosa?»
«Conosco qualcuno del posto che sarebbe un donatore perfetto. Buon sangue. Le darebbe un bel bambino.»
«Non credo...»
«Vada a parlargli. Penso che sarà disposto. Sarà una soluzione anche per lui.»
«Che cosa intende dire?» Susannah non riusciva a capire. «Senta, non voglio qualcuno del posto. Creerebbe un sacco di problemi.»
«Proprio no, gliel'assicuro. E lei risparmierebbe un bel po' di soldi. Un fattore da non sottovalutare. Avere dei bambini, oggigiorno, costa molto.»
Susannah si morse il labbro, un'abitudine infantile che non era mai riuscita a togliersi. In effetti, il denaro era un problema, sola al mondo com'era, tuttavia...
Il dottore le allungò un foglietto sulla scrivania. Lei lo prese e lesse un nome e un indirizzo. Lucas Boyd. Non lo conosceva di persona, ma sapeva che possedeva un grande ranch nei dintorni. Non lo aveva mai visto in biblioteca. Né in chiesa.
«Perché quest'uomo vorrebbe... essere un donatore?»
«Non posso dirle il perché. Violerei la confidenza di un paziente. Posso soltanto suggerirle di discutere le sue... esigenze con Lucas. Non ha niente da perdere. Anzi. Potrebbe farle risparmiare un mucchio di soldi. E di tempo.»
«Tempo? Ho in previsione due settimane di vacanza. Pensavo che sarebbe...»
«Mia cara, il successo non è sempre immediato. A volte ci vogliono mesi.»
«Sì, ma...»
«Parli con Lucas. Lo avvertirò della sua visita. Può andarci subito?»
«Sì, ma... No, io... D'accordo. Comunque, sarebbe meglio che gli parlasse lei, prima, per dargli tempo di riflettere...» Susannah non si era mai sentita più confusa in tutta la sua vita.
«No. Subito. Gli telefonerò che lei è per strada.» Il dottore si alzò e attese un suo cenno d'assenso, prima di proseguire. «Se Lucas non le sarà d'aiuto, le darò i nomi dei migliori specialisti di Denver.» Girò attorno alla scrivania, mentre anche lei si alzava. «Sono lieto che sia venuta da me, signorina Langston. In un modo o nell'altro, risolveremo il suo problema, stia sicura.»
Susannah si ritrovò improvvisamente al di là della porta chiusa. Fissò il pezzo di carta. Che cosa le era preso? Perché aveva acconsentito a discutere una questione così personale con uno sconosciuto? Poteva mai chiedere a questo sconosciuto di essere il padre del suo bambino? Il tremito che la scosse la costrinse ad appoggiarsi alla parete.
«Sta bene, signorina Langston?» domandò la grassoccia infermiera, abituale frequentatrice della biblioteca, che lavorava per il dottor Grable da trent'anni.
«Sì, sto bene» si affrettò a rispondere Susannah. «Signorina Cone, lei conosce... Lucas Boyd?»
«Certamente. E bene, anche. È sempre vissuto qui. È un brav'uomo.»
Susannah annuì con un sorriso forzato. «Be', a presto.»
«Verrò alla biblioteca sabato, come al solito. Gli ultimi libri che mi ha consigliato erano meravigliosi.» L'infermiera la salutò e si allontanò lungo il corridoio, verso la stanza di un altro paziente.
Susannah se ne andò in fretta e furia, prima che qualcun altro notasse il suo tremito. Quando fu in macchina, guardò il pezzo di carta che il dottore le aveva dato. Un nome e un indirizzo che si preannunciavano come fonte di sicuro imbarazzo.
Si fece coraggio. Si era ripromessa di andare fino in fondo, per quanto imbarazzante potesse essere. E sarebbe stato imbarazzante. Ma non più dell'essere la vergine più attempata di tutto il Colorado.
Con un sospiro mise in moto l'auto. Sì, se l'era ripromesso. Non voleva più confinare la propria vita tra file e file di libri. Amati libri, ma pur sempre soltanto libri.
Voleva di più dalla vita. Voleva un bambino da amare con tutta se stessa. Con cui costruire una famiglia. Anche se significava imbarazzo.
Il domestico di Lucas Boyd, Frankie, un mandriano messo a riposo dall'incornata di un toro alcuni anni prima, per il quale era ormai più penoso montare a cavallo che spazzare i pavimenti, cercò Lucas in una delle grandi scuderie, dietro la casa.
«Sei qui, Luke?»
«Sì, Frankie. Cosa c'è?»
«Il dottore vuole che gli telefoni. Immediatamente. Ha detto che è importante.»
Lucas accarezzò la groppa della cavalla, i battiti del cuore improvvisamente celeri.
«Ha detto perché?»
«No.»
«Grazie. Vengo immediatamente.»
Aspettò di sentire la porta chiudersi alle spalle di Frankie. Con un respiro profondo per calmare l'agitazione e la paura che lo pervadevano, Lucas si diresse lentamente verso la casa.
Non c'era motivo di agitarsi. Probabilmente quella telefonata non aveva niente a che fare con la richiesta che aveva fatto al dottore, la settimana prima. Non era possibile che Doc avesse trovato qualcuno in così breve tempo.
Il dottore era sembrato così poco entusiasta che Luke aveva pensato di non avere più notizie da lui. Ma Lucas era giunto alla propria decisione razionalmente. Erano sufficienti tre anni di dolore e di lutto per la moglie defunta, la sua bella e adorata Beth, e per il piccolo nato morto.
Non voleva rischiare di soffrire ancora. Ma voleva un figlio per continuare la tradizione del ranch di famiglia. E per dare un senso al futuro.
L'anziano dottor Grable non era stato d'accordo con la sua decisione di trovare una madre in affitto, credendosi in diritto d'interferire nei piani di Lucas perché era stato lui a metterlo al mondo. Ma forse aveva cambiato idea.
Invece di usare il telefono della cucina, dove poteva esserci Frankie, Lucas chiamò dallo studio.
«Doc? Sono Lucas Boyd. Volevi parlarmi?»
«Sì. Ti ho mandato una persona. Adesso, tocca a te. Sono sempre del parere che sia un'idea pazzesca, ma ho fatto ciò che ho potuto per te.»
Lucas si rifiutò di discuterne ancora. «Grazie, Doc. Quando verrà?»
«Dovrebbe essere già per strada, a meno che non ci abbia ripensato. Si chiama Langston.» Prima che Lucas potesse chiedere altre informazioni, il dottore disse: «Ti saluto. Ho dei pazienti». E riattaccò.
La mano di Lucas tremava mentre abbassava la cornetta. Non poteva più fare marcia indietro. Alzandosi, si rese conto di non essere pronto per una visita. Puzzava di stalla.
«Frankie!» gridò, correndo verso le scale. «Salgo a farmi una doccia. Se viene qualcuno, fallo aspettare.»
Perché il suo futuro era dietro l'angolo. E non voleva lasciarselo sfuggire.
«Luke, c'è una signora per te» gridò Frankie dal fondo delle scale.
Una signora.
Lucas si diede un'ultima occhiata nello specchio, sentendosi un idiota. Era raro che si specchiasse, ma era importante fare una buona impressione alla signora al piano di sotto. Dopotutto, sarebbe stata la madre di suo figlio.
Inspirò profondamente e, prima che il coraggio venisse meno, si precipitò giù per le scale. Soffermandosi sulla soglia del soggiorno, dove Frankie l'aveva fatta attendere, osservò la sconosciuta.
Lei sollevò lo sguardo quando lui comparve, poi si alzò. Non era una bellezza, come era stata Beth. Era piuttosto insulsa, forse troppo alta e troppo magra. In un certo senso, però, quelle differenze, e il fatto di non averla mai vista prima, rendevano più facile ciò che Lucas aveva in mente.
«Signor Boyd?»
«Sì. Lei è la signora Langston?»
«Signorina Langston» lo