Un bacio sotto il sole (eLit): eLit
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Rebecca Winters
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Un bacio sotto il sole (eLit) - Rebecca Winters
successivo.
1
«Ancora due giri e la gara è tua, Cesar.»
In realtà Cesar sapeva perfettamente che non si poteva dare nulla per scontato durante una gara. Solo nel momento in cui avrebbe tagliato il traguardo con il tempo migliore avrebbe vinto. Per non distrarsi, però, non rispose al suo caposquadra che gli stava parlando attraverso l'auricolare fissato all'interno del casco.
«Ti stai avvicinando alla curva quattro. Fai attenzione a Prinz, che sta rimontando.»
«Lo vedo.»
«Rykert si è schiantato contro il muro di cemento. Attento ai rottami che sono finiti sulla pista.»
Cesar sterzò leggermente. Superata la curva, schivò con abilità ciò che era rimasto dell'auto di Rykert. Un'accozzaglia di metallo, da cui usciva una strisciolina di fumo nero.
Poi, dal nulla, si vide piombare addosso il telaio di Prinz e sentì il cuore bloccarsi.
Non c'era modo di evitare l'impatto.
Era finita.
«Sono un uomo morto.»
Un istante dopo aver pronunciato queste parole, un terribile scontro lo fece schizzare fuori dalla pista. Scintille, odore di bruciato, una nuvola grigia e poi più nulla.
«Cesar? Cesar!»
Cesar de Falcon, più comunemente conosciuto come Cesar Villon, campione mondiale di Formula Uno, si svegliò respirando in maniera affannosa.
«Si calmi, Cesar» lo rassicurò il medico. «Ha sognato di nuovo l'incidente? Ricorda qualcosa?»
«No.»
L'ultimo ricordo che aveva era di un cambio velocissimo di gomme al pit stop e poi il risveglio in ospedale. Il resto era un enorme buco nero.
«Chiamo subito un'infermiera che l'aiuti a lavarsi, poi le faccio portare la colazione.»
«Non si scomodi. Non la voglio» reagì Cesar contrariato.
Aveva bisogno solo di una pillola che gli impedisse di dormire e di rivivere quell'incubo.
Non che rimanere sveglio fosse molto più piacevole, per la verità. Era immobilizzato su quel maledetto letto, paralizzato dalla vita in giù e ogni volta che si guardava le gambe si sentiva morire.
Era un uomo finito ormai.
«Deve cominciare la fisioterapia, lo sa vero?»
«E perché?»
«Mi sembra inutile spiegarle che ha bisogno di fare esercizio per recuperare la mobilità delle gambe. Più si indebolirà e più fatica farà a ricominciare a camminare» gli spiegò il medico, tastandogli il polso.
«Risparmi il fiato, dottore. Non sono uno stupido e sono consapevole di non avere alcuna speranza di ricominciare a camminare. Mi guardi. Ho perso l'uso del mio corpo. Sono un relitto umano!»
«Non si scoraggi. Mi ascolti, per cortesia. Lei è vivo. Le ho già ripetuto più volte che è ancora troppo presto per stabilire se ci saranno dei danni permanenti alla spina dorsale. Dopo l'incidente che ha avuto, è un miracolo che sia qui e...»
«Se ne vada, dottore!»
La rabbia con cui Cesar pronunciò quelle parole fece rabbrividire Sarah Priestley.
Cesar era disperato ed era comprensibile, considerando che tutto il suo mondo si era sgretolato in un istante.
Quando uscì dalla stanza, il dottore la guardò con espressione scettica. «Cesar ha avuto una pessima nottata. Credo che abbia sognato l'incidente ma non ricorda nulla. Ed è proprio questo il problema più grosso. Ha un fisico forte e sano e sono ottimista sul fatto che possa recuperare l'uso delle gambe. Ciò che davvero mi preoccupa è la sua mente. È necessario che ricordi perché possa guarire totalmente. Ma è necessario soprattutto che trovi la forza di reagire. Se continuerà a rifiutarsi di mangiare e di cominciare la fisioterapia, il corpo si indebolirà e ovviamente diminuiranno le possibilità di un recupero. È come una specie di animale ferito che non permette a nessuno di avvicinarsi.»
«Allora bisogna trovare il modo di farlo uscire dalla tana buia in cui si è rifugiato» mormorò Sarah.
Il dottore le fece cenno di entrare, rivolgendole tuttavia un'espressione poco incoraggiante. Un po' come per farle capire che non era affatto ottimista sull'esito del loro incontro. Lei, però, non si lasciò avvilire. Doveva correre il rischio.
Era arrivata a Roma da San Francisco con suo figlio Johnny per vedere Cesar e ora non poteva certo tirarsi indietro. Lui aveva bisogno di lei e di Johnny. Non contava nient'altro.
Il giorno prima, quando era arrivata in ospedale con il bambino poche ore dopo essere atterrata in Italia, il medico le aveva spiegato che, da quando era stato portato lì dal Brasile una settimana prima, Cesar non aveva voluto vedere nessuno, nemmeno i genitori e suo fratello. E si era completamente chiuso in se stesso.
«È vero che ha tentato il suicidio?» gli aveva domandato Sarah sconvolta. «L'ho sentito alla televisione ma non ci ho creduto. Cesar è una persona così combattiva.»
«Ha una forte depressione. E, in tutta onestà, non mi stupirei se tentasse davvero una sciocchezza del genere.»
«Mi parli della sua ferita.»
«In poche parole, al momento il cervello ha perso la capacità di muovere i muscoli delle gambe. Dopo avere studiato con attenzione tutti gli esami, ho ragione di credere che non si tratti di un danno irreversibile. È molto importante, però, che cominci quanto prima la fisioterapia per rieducare i muscoli e per tenere in esercizio il fisico.»
«Quindi c'è qualche speranza che possa guarire.»
«Sì.»
«E lui lo sa?»
«Sì, il problema è non vuole crederci.»
«Quando lo potrò vedere, dottore?»
«La sua visita, in effetti, potrebbe dare a Cesar quella scossa di cui ha bisogno per reagire. Per me va bene anche adesso.»
«Perfetto. Grazie mille, dottore.»
«Conto su di lei, signorina Priestley.»
E lei, invece, ora puntava tutto su Johnny...
Dopo avere preso un profondo respiro, entrò nella camera di Cesar. Appena lo vide, sdraiato sul letto e coperto da un lenzuolo, sentì il cuore spezzarsi.
Cesar, amore mio...
Pareva impossibile che proprio lui, che per cinque volte era stato campione mondiale di Formula Uno, ora fosse disteso lì, incapace di muoversi.
Tutti i giornali lo davano ormai per spacciato, ma lei non voleva credere che sarebbe rimasto in quelle condizioni per sempre.
In quel momento stava riposando. Una leggera barba scura gli copriva il volto, che aveva i tipici tratti aristocratici della famiglia di suo padre, il duca de Falcon di Monaco. I riccioli neri e la carnagione ambrata, invece, li aveva ereditati dalla madre, una discendente della nobile famiglia italiana dei Verano.
A trentatré anni, Cesar de Falcon era il tipico esempio di scapolo che amava godersi la vita, tra sport e splendide ragazze. O, quantomeno, lo era stato prima che la sua leggendaria auto da corsa, progettata dal fratello ingegnere Luca, si schiantasse durante quella gara in Brasile.
Sarah e suo figlio Johnny avevano seguito con trepidazione ogni sua corsa ed erano i suoi più grandi ammiratori. Johnny adorava la Formula Uno e il suo giocattolo preferito era un modellino della Faucon, l'auto di Cesar.
Fermandosi accanto al letto, Sarah si fece coraggio e gli parlò. «Ciao, Cesar.»
Subito lui spalancò i suoi grandi occhi grigi, ma non aprì bocca.
«Io... sono contenta di rivederti dopo tanto tempo.»
Nonostante quello che gli era accaduto, lui non aveva di certo perso il suo fascino. Il suo sguardo magnetico, infatti, aveva ancora il potere di toglierle il respiro.
Peccato che lui non si fosse dimostrato altrettanto felice di vederla. Come risposta al suo saluto, infatti, emise una specie un grugnito, per farle intendere che non gradiva affatto la sua visita.
Era già qualcosa, comunque, che l'avesse riconosciuta.
L'ultima volta in cui si erano incontrati, Sarah aveva vent'anni e i capelli lunghi fino alla vita. Ora, invece, sei anni dopo, i capelli le sfioravano le spalle, in un taglio raffinato che metteva in risalto l'ovale del viso e i grandi occhi scuri. Il suo fisico sottile, inoltre, si era leggermente arrotondato, aggiungendo maturità al suo aspetto da ragazzina.
Notando che Cesar la stava radiografando con sguardo severo, lei si sentì le guance in ebollizione. Sembrava quasi disgustato.
«Una volta mi avevi chiesto di raggiungerti in Italia» borbottò lei impacciata. «Finora avevo un buon motivo per non accettare.»
«Hai sbagliato il momento per cambiare idea» reagì lui gelido. E chiuse gli occhi, come per farle capire che, per quanto lo riguardava, quella conversazione era chiusa.
«Non sono d'accordo» continuò lei imperterrita. «La prossima stagione automobilistica comincia a marzo. Ciò significa che hai sette mesi per rimetterti in forma e, considerando che in questo periodo avrai molto tempo libero a disposizione, credo che non avrei potuto scegliere un momento migliore per venire a trovarti.»
«Vattene, Sarah!»
«Mi fa piacere vedere che ricordi il mio nome.»
Lui imprecò.
«Di sicuro non vorrai ritirare l'invito che mi avevi fatto l'ultima volta in cui ci siamo sentiti.»
«Va' all'inferno!»
Ma lei non si arrese. «Non credere di riuscire a impietosirmi, Cesar. Il dottore mi ha detto che camminerai di nuovo. Non sono venuta per compatirti, ma per dirti qualcosa di molto importante.»
Qualsiasi altra persona con un briciolo di senno gli sarebbe rimasta alla larga. Lei, però, non era una persona qualsiasi. Era la madre di suo figlio. E sapeva che era arrivato il momento di raccontargli tutta la verità.
«Probabilmente hai dimenticato ciò mi dicesti quella mattina, dopo che avevamo fatto l'amore. Io, invece, lo ricordo alla perfezione. Sarah, con le ultime due gare e il periodo di allenamento per testare la nuova macchina, purtroppo non potremo vederci per i prossimi due mesi. Appena sarò libero, però, trascorreremo due settimane insieme a Positano, come ti ho promesso
.» Lei si mosse nervosa. «Sarei venuta a Positano con te, ma quando mi telefonasti per avvertirmi che avevi già comprato i biglietti per l'aereo, avevo appena scoperto qualcosa che avrebbe cambiato per sempre le nostre vite.»
Di nuovo lui imprecò.
«Avevo scoperto che... be', che aspettavo un bambino.»
Cesar spalancò gli occhi. «E di chi era il bambino?» la aggredì.
«Tuo.»
«Figuriamoci! Vai a raccontarlo a qualcun altro. Ricordo bene che avevamo preso tutte le precauzioni del caso. Eravamo giovani, ma non così incoscienti.»
«Lo so, ma la mia dottoressa mi ha spiegato che nessuna precauzione è sicura al cento per cento. Se non mi credi, comunque, puoi leggere i risultati del test del DNA del bambino. Li ho portati con me.»
«Hai detto... bambino?»
«Sì, è un maschio. Ti somiglia così tanto che persino gli infermieri hanno capito subito che è tuo figlio.»
«E così io avrei un figlio?»
Nonostante la sua espressione seria, Sarah percepì un guizzo di gioia nella sua voce e questo le bastò per capire che aveva fatto bene a decidere di venire in Italia.
«Sì. Adesso è nella nursery che aspetta con impazienza di conoscere suo padre. Ti considera una specie di eroe, sai?»
Cesar impallidì. «Se questo è uno scherzo, io...»
«No, non lo è. Te lo giuro. Se mi dai un momento vado a prenderlo e lo porto qui.»
Visto che Cesar non rispose, Sarah corse da Johnny. «Ciao piccolo.» Lo strinse