La moglie ritrovata: Harmony Destiny
Di Modean Moon
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Anteprima del libro
La moglie ritrovata - Modean Moon
successivo.
1
Richard Jordan era in piedi, seminascosto dai pesanti tendaggi. L'uomo che era seduto alla monumentale scrivania di mogano, il dottore, pensò Richard con disprezzo, il dottor Hampton, era ben cosciente della sua presenza. Sebbene Hampton cercasse di assumere un atteggiamento di distacco professionale, a Richard non sfuggì il sudore che brillava sulla sua fronte e sul suo labbro superiore, mentre stringeva la penna e tracciava ampi cerchi sulla cartelletta che aveva davanti.
L'atmosfera della stanza, che pure era molto ampia, era chiusa e opprimente. L'arredamento di massiccio mogano riempiva quasi tutto lo spazio. La boiserie e i pesanti drappeggi delle tende la rendevano ancora più cupa. Non si sentiva odore di medicinali, solo quello dell'olio per il legno e dell'olio di limone. Tuttavia, le due essenze parlavano di decadenza e di tarli infaticabili che stavano distruggendo la struttura dietro la facciata.
All'esterno, oltre le finestre decorate, il sole di quell'ottobre ormai inoltrato cercava di farsi strada tra i rami spogli degli alberi, mentre una brezza leggera faceva alzare le foglie cadute sul prato. L'aria era frizzante e prometteva un inverno rigido. Richard lottò contro l'irrefrenabile impulso di spalancare le finestre e lasciar entrare l'aria fresca. Sarebbe riuscita a purificare quell'atmosfera stantia?
Non era però il dottore o l'arredamento che attirava la sua attenzione. Era la donna. Avvolta in un abito informe a maniche lunghe, sedeva sul bordo di una sedia, di fronte alla scrivania. La rabbia che Richard aveva provato la prima volta che l'aveva vista addormentata in una stanza dove c'era solo una stretta branda sgangherata non era ancora svanita. Sapeva che forse non sarebbe passata mai, ma aveva deciso in ogni caso che avrebbe fatto di tutto per riportare la donna sotto la propria tutela.
I capelli di lei, una volta neri come l'ebano e lunghi fino ad arrivare oltre la vita, erano raccolti in una crocchia senza alcuno stile. Era sempre stata snella, ma ora sembrava davvero scheletrica. Tuttavia, erano i suoi occhi che nutrivano la rabbia di lui e che lo tenevano nascosto dietro alla tenda. Quegli occhi non emanavano più la scintilla dell'intelligenza e il senso dell'umorismo che avevano sempre illuminato i suoi lineamenti minuti. Ormai non erano altro che due fosse grigie nel pallore del viso, senza vita, senza speranza.
Perfino la sua voce era cambiata. Era ancora bassa e dolce, ma senza la musica della risata, senza l'emozione, senza inflessioni. Rispondeva alle domande del dottor Hampton, le stesse domande e le stesse risposte che Richard aveva udito il giorno prima.
«Come si chiama?»
«Alexandra Wilbanks.»
«Quando è il suo compleanno?»
«Il ventisette ottobre.»
«Che giorno è oggi?»
«Il quindici marzo.»
«Come si chiama suo marito?»
«Io non ho marito.»
Hampton si voltò verso Richard e richiamò l'attenzione sulla sua presenza, ma la donna non si mosse.
«Come può vedere, e come le ho già detto ieri, signor Jordan, è completamente fuori della realtà.»
«Non proprio.» Richard uscì da dietro alle tende. Le risposte non erano appropriate alle domande, ma avevano un senso. Un senso che quel cosiddetto dottore avrebbe scoperto, se solo avesse voluto davvero aiutarla. Wilbanks, il nome con il quale era stata ammessa in quella clinica, era il suo nome da ragazza. Il 27 ottobre non era il suo compleanno, ma la data del suo matrimonio, e il 15 marzo era il giorno in cui l'aereo di Richard si era schiantato.
Richard si avvicinò alla sedia e si inginocchiò di fronte a lei. Non voleva pensare a nient'altro che a lei e al momento presente. Appoggiò le mani ai braccioli e parlò con dolcezza.
«Lexi?»
Lei inclinò la testa al suono della sua voce e lo guardò.
«Ti ricordi di me?»
Gli sembrò di vedere un piccolo lampo passare in quegli occhi spenti. Era soltanto la sua immaginazione? Lei lo stava osservando. Osservava le tracce sulla sua pelle dove la dermoabrasione aveva finalmente rimosso l'ultima delle cicatrici e i segni rossi ancora presenti sulla mano.
«Tu sei venuto. Prima.»
Lui sospirò. «Sì, ieri.» C'era voluto tutto il suo autocontrollo per non portarla via da lì la sera stessa e per fingere con Hampton che lei fosse proprio nel posto giusto, ma aveva capito che quelle finzioni erano necessarie per la sua salvezza, e anche lui aveva avuto bisogno di tempo per prepararsi a quella giornata.
«Vorresti venire via con me?»
Ecco. Lo vide ancora e non era certo la sua immaginazione. Una domanda nei suoi occhi. Il barlume di un sorriso le illuminò il viso e ammorbidì quella maschera impassibile.
«Non ti lasceranno portarmi via» gli rispose. «Non mi permetteranno mai di andarmene.»
Richard strinse i braccioli della poltrona, ma compiendo uno sforzo su se stesso riuscì a tenere la voce tranquilla e controllata. «Te lo permetteranno.»
Si alzò e si voltò verso l'uomo alla scrivania. «Mandi a prendere le sue cose.»
Anche Hampton si alzò. Richard lo guardò con aria di sfida. Il medico ostentava una freddezza che di sicuro non aveva, le sue mani erano convulsamente strette a pugno. «Forse sarebbe meglio rimandare la signora in camera sua, mentre discutiamo» ribatté.
«No.» Richard fece un passo verso la scrivania. «Non andrà da nessuna parte senza di me.» Afferrò la cartella clinica. «E anche questa me la porto via io.»
«No.»
«È la sua cartella clinica, non è vero?» Richard conosceva già la risposta. Probabilmente non era la sola documentazione.
«Sì, naturale.»
«E, secondo la prassi, sarà mandata al prossimo medico che l'avrà in cura.»
Hampton strinse i pugni. «Sì.»
«Allora non vedo alcun problema. Se però lei non vuole che la porti via io, credo non avrà nulla in contrario se farò sottoporre la sua clinica a una accurata ispezione.»
Hampton cercò di reggere lo sguardo di Richard, ma non ci riuscì. Si avvicinò all'interfono. «Alexandra ci lascia» comunicò alla segretaria. «Porti i suoi effetti personali nel mio ufficio.»
Quando bussarono alla porta, Richard stesso andò ad aprire e prese il pacco che una donna dall'espressione ottusa aveva consegnato. Lo aprì. Conteneva un paio di pantaloni blu, un golfino in mohair azzurro, un reggiseno, delle mutandine grigio perla e un paio di sandali italiani.
«Dove sono i suoi anelli?» chiese. «I suoi documenti e il resto dei suoi vestiti?»
«Questo è tutto ciò che aveva. Solo gli abiti che indossava.»
Richard imprecò e sbatté gli indumenti nel pacco, ma quando si avvicinò alla donna i suoi movimenti e la sua voce erano tornati gentili. Le toccò un braccio e lei lo guardò con espressione vuota.
«Andiamo, Lexi.»
Lei si alzò obbediente e si lasciò guidare attraverso la stanza fino all'ufficio esterno. Hampton li seguì.
L'ufficio era pieno di uomini, tutti in silenzio. Richard si voltò a guardare Hampton, che si era fermato sulla porta e appariva visibilmente sconvolto. Aveva riconosciuto il capo della polizia in piedi vicino alla scrivania della sua segretaria.
«Il dottor Wilford Hampton?» chiese il poliziotto. Era una domanda che non richiedeva risposta.
«Ho un mandato per compiere indagini complete sul suo ospedale, e l'ordine che i suoi pazienti siano esaminati da un gruppo di medici indipendenti.»
«Jordan!» esclamò il dottore. «Le ho consegnato la cartella clinica. Lei mi aveva assicurato che...»
Richard gli rivolse un breve sorriso gelido. «Ho mentito. Volevo ucciderti, Hampton, ma nel mondo civile non si fa più. Così ho deciso di rovinarti, e se questi uomini troveranno quello che penso, sarò molto lieto di vederti marcire dietro le sbarre, dove non potrai più controllare il tuo impero nefando.»
Uno degli agenti scortò Richard e Lexi fino al portico e lì la donna si fermò, compiendo la sua prima azione volontaria di tutta la giornata. Sollevò il viso verso il sole e riempì i polmoni dell'aria fresca di ottobre. Poi attese, obbediente, che Richard la guidasse.
L'autista della limousine aspettò che Richard facesse salire Lexi sulla macchina, quindi prese un plaid e glielo porse. Richard lo sistemò sulle spalle di Lexi. Subito dopo la macchina partì.
Lexi non mostrava alcun interesse per l'interno della limousine e nemmeno per il paesaggio autunnale lungo la strada che portava al centro di Boston. Rimase seduta tranquilla e non si riscosse neppure quando l'autista si fermò davanti all'entrata di servizio di un albergo.
Richard la aiutò a scendere dall'auto e, vedendo che indossava solo un leggero paio di pantofole, la prese in braccio. La donna lo lasciò fare, subendo passivamente tutto quanto accadeva intorno a lei, così come aveva fatto nei mesi di prigionia nella cosiddetta clinica del dottor Hampton.
Era leggerissima e lui la tenne in braccio fino a quando furono arrivati nella suite dell'ultimo piano. La depose in modo delicato sul divano. La ragazza aveva lo sguardo perso in qualche punto al di là della finestra.
Lui si voltò imprecando verso un vassoio pieno di bottiglie di liquore e si versò un bicchiere di scotch.
Un rumore leggerissimo lo indusse a voltare la testa. Lexi si era alzata in piedi e si era scrollata la coperta di dosso. Si diresse lentamente verso la finestra. C'era un tavolo proprio lì davanti, con un vaso pieno di fiori di campo. Era stato difficilissimo trovarli in quel periodo dell'anno, ma Richard aveva insistito. Lexi si chinò e ne annusò il profumo. Lui la osservava, incapace di distogliere lo sguardo da quella scena. Lei allungò un dito e toccò il petalo azzurro di un nontiscordardimé che era quasi sommerso dagli iris e dai rami di forsizia.
«Richard.»
Il suo nome