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Perfettamente incompreso
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E-book310 pagine4 ore

Perfettamente incompreso

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Info su questo ebook

Jayden Valdez è una brillante e determinata studentessa. Mike McGinnes è il più stupido atleta della Franklin High School. I due si conoscono a malapena e non si tollerano affatto.
Immaginate la sorpresa quando il loro insegnante di lingua spagnola li accoppia per studiare: entrambi ritengono che la cosa sia una totale perdita di tempo, senza contare il fatto che farsi vedere insieme potrebbe minare la loro reputazione agli occhi dei compagni.
Ben presto, però, Jayden scopre che Mike non è la persona che sembra essere a scuola, e questa versione inattesa del ragazzo è molto attraente. Mike, a sua volta, apprezza le battute spiritose e argute di Jayden, molto diversa dalla ragazza altezzosa che pensava fosse. Pian piano, i due cominciano a provare qualcosa di più profondo e romantico, ma agire di conseguenza sembra essere una pessima ide
LinguaItaliano
Data di uscita28 mag 2021
ISBN9788855312998
Perfettamente incompreso

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    Anteprima del libro

    Perfettamente incompreso - Robin Daniels

    Capitolo 1

    Jayden

    Non passerò Spagnolo. Okay, forse sto un po’ esagerando.

    Però, ho una media dell’8-, quindi potrei anche non passarlo. Un altro compito andato male, e la media scenderà ad un 7+, e questo è del tutto inaccettabile. Io non posso prendere un 7. Non dovrei neanche prendere un 8.

    «Ho corretto i vostri compiti di ieri» disse il professor Thompson, alzandosi dalla cattedra con i fogli in mano.

    «Perfetto» dissi sottovoce, preparandomi al peggio.

    Il professor Thompson cominciò a camminare tra i banchi, dando buone e cattive notizie. Osservavo le facce dei miei compagni di classe, cercando di capire cosa avessero preso, mentre reagivano al loro voto. Noah tirò un sospiro di sollievo. È un fannullone nato, quindi suppongo che abbia preso un 6. La mia amica Becca strillò e batté le mani per la gioia. 8+. Il sorrisetto compiaciuto di mia cugina Angelica non fece altro che confermarmi quello che già sapevo: aveva preso un 9. Perché non avrebbe dovuto? Parlava fluentemente lo spagnolo, quindi non era affatto giusto. Avrebbero dovuto farle fare Tedesco. Mike guardò il suo compito, poi, veloce, lo ficcò nel suo zaino. Non aveva neanche un neurone. 5 sicuro.

    Il professore si avvicinò al mio banco e mi rivolse un sorriso triste. Forse era peggio di quanto pensassi. Mise il compito a faccia in giù, davanti a me, e passò alla prossima anima in pena. Rimasi a fissare il foglio; sperando che il voto fosse abbastanza alto. Ti prego, fa che sia almeno 8, ripetevo come una cantilena in testa. Alla fine, presi un grosso respiro e girai il compito. Un 7. Molti ragazzi sarebbero stati contentissimi di aver preso un 7; erano nella media. Ma io non facevo parte della media.

    Tirai fuori la calcolatrice e cominciai a fare la media dei voti del trimestre. Il test rappresentava il 77% del voto finale, il che non era abbastanza alto per mantenere la mia media dell’8-. Correzione: ora in Spagnolo avevo una media dell’8+, e per me significava che non lo avrei passato.

    Mio padre sarebbe andato fuori di testa, se non avessi alzato la mia media prima della fine del semestre. Molto ipocrita da parte sua, dato che lui avrebbe potuto aiutarmi con i compiti di Spagnolo. Lui conosceva lo spagnolo, ma si rifiutava di parlarlo. Comunque, si aspettava che avessi padronanza di una lingua che non avevo mai imparato. Non era giusto, ma farlo notare a mio padre sarebbe stata una perdita di tempo. Avevo un 9 in Matematica e Fisica. Perché non potevo avere un cavolo di 9 anche in Spagnolo?

    «Com’è andata?» mi chiese mia cugina Angelica, deridendomi con finta dolcezza, dalla fila di banchi vicina alla mia. Sapeva che ero in difficoltà e provava piacere nel rinfacciarmelo.

    «Benissimo» le risposi con un pizzico di sarcasmo, sorridendo in maniera forzata. Feci scivolare il compito nella mia cartellina, prima che qualcuno potesse vederlo.

    Il professore si posizionò vicino alla cattedra e batté le mani con veemenza. «Atención, por favor. Attenzione, per favore.» La classe si zittì. «Saquen sus cuadernos.» Prendete i vostri quaderni, disse. Cuadernos significava quaderni; almeno quello lo sapevo. Presi il mio quaderno di Spagnolo e passai il resto della lezione a prendere appunti in maniera frenetica. Mi piaceva tutto del professor Thompson. Aveva solo due piccoli difetti, per quanto ne sapessi. Il primo era che era felice quando c’era un compito, e il secondo era che insisteva nel voler parlare per lo più in spagnolo. Quel giorno capii circa la metà di quello che aveva detto, il che era molto meglio rispetto ad alcune settimane prima.

    La campanella suonò e Becca balzò dalla sua sedia. «Com’è andata?» mi chiese animatamente.

    «Sette» le risposi, mettendo il broncio.

    Becca sporse il labbro inferiore, poi cercò di sorridere.

    «Be’, poteva andare peggio, no?»

    «Be’, sì.» Sospirai e cominciai a stipare le mie cose nello zaino.

    «Vuoi un passaggio a casa oggi? O torni con Summer e Levi?»

    «Sì, per favore!» le risposi con un po’ troppo entusiasmo. Becca sorrise e io alzai gli occhi al cielo. «Non che il pulmino non sia figo, ma stare con loro mi fa sentire una perdente. Sono così perfetti insieme. Mi fanno venire il diabete. E in più, gli enormi livelli di testosterone sono sufficienti a soffocare una ragazza. I ragazzi già sono insopportabili quando sono uno o due alla volta. Rinchiudili tutti in una macchina per quindici minuti, e all’istante cominciano le discussioni. Chi è il migliore in questo, chi in quello e chi può prendere a calci in culo chi.»

    Becca ridacchiò. La tipica reazione di tutte le ragazze, quando si parlava di Hunter e dei fratelli London. Hunter, il fratello maggiore di Summer, era già noto tra le ragazze della Franklin High School. Ma quell’anno era arrivato con al seguito i fratelli London, appena trasferiti in città. Tutte le ragazze avevano cominciato a sbavare e a balbettare. Era davvero patetico. «Sei sicura di non essere un tantino dura con Logan?» mi chiese Becca.

    «Non è niente di che. Non è che mi abbia lasciata. Siamo usciti insieme e ci siamo baciati un paio di volte, ma non era niente di serio. A malapena ci stavamo frequentando. E l’ho lasciato io, ricordi?»

    «Ricordami di nuovo perché l’hai fatto?» Becca sospirò. Lei credeva che Logan fosse un bonazzo.

    «Perché non mi piace contendermi l’attenzione con una console per videogiochi» dissi, senza nessuna esitazione. Logan aveva una leggera dipendenza dai videogiochi. Era un ragazzo spiritoso, quindi ci si divertiva sempre con lui, se riuscivi a staccarlo dalla televisione. «Se devo passare tutto il mio tempo con un ragazzo, non voglio esserne solo attratta a livello fisico. Voglio anche che mi stimoli a livello intellettuale.»

    «Tu sei strana.» Becca rise.

    «Così dicono.» Le sorrisi. Io e Becca, insieme alla nostra amica Summer, eravamo un trio davvero interessante. Eravamo l’una diversa dall’altra. Summer era una persona tranquilla e alla mano, un po’ dolce e ingenua, ma divertente e coraggiosa. Era piccoletta, formosa e più carina di così non si poteva. Becca, fisicamente, era l’opposto di Summer. Era alta e slanciata, un metro e ottanta per sessantotto chili. Era insolitamente atletica. Quella poveretta non riusciva a fare canestro neanche per sbaglio, ma era davvero brava con lo skateboard. Becca era carina, ma in sostanza aveva rinunciato ad uscire con qualcuno, perché si sentiva una spilungona. Però, non lo avresti mai detto, parlando con lei. Era la persona più vivace, più estroversa e pazza per i ragazzi che io abbia mai conosciuto. La sua personalità era così fuori luogo, rispetto al look da ragazza acqua e sapone, con la coda di cavallo e la tuta da ginnastica che sfoggiava di solito.

    Nel dire che io non ero nella media, mi riferivo alla mia intelligenza. Fisicamente, ero di sicuro nella media. Altezza media, peso medio, bellezza media. Mia madre aveva origini europee e mio padre era Ispanico, quindi avevo una bella carnagione e lunghi e spessi capelli neri. I miei occhi erano l’unica caratteristica che mi piaceva di me. Di un color marroncino con ciglia lunghe. Ma non importava quanto fossero incredibili i miei occhi, perché a me non importava avere un aspetto fantastico. Io volevo essere fantastica. Avevo grandi progetti per la mia vita, che escludevano i ragazzi idioti delle superiori. Si poteva dire che, nel gruppo, ero quella seria e motivata.

    «Assicurati di fare in fretta per vederci dopo la sesta ora» mi disse Becca. «Mio padre mi ha promesso che verrà al parco di skateboard con me, se finisco subito i compiti.»

    «Cosa è successo a tutti i miei figli giocheranno a basket?» chiesi con una voce bassa da cavernicolo, imitando la voce del padre di Becca.

    Becca alzò le spalle. «Non lo so. Ma se smette di parlare del basket quanto basta per vedermi andare sullo skate, per me va benissimo.»

    Feci un cenno di assenso. Suo padre era il professore di ginnastica della nostra scuola, e l’allenatore di basket dei ragazzi. Di solito pensava solo a quello.

    «Jayden, posso parlarti un minuto?» mi chiese il professor Thompson dalla cattedra.

    «Certo.» Gli sorrisi, poi mi rivolsi a Becca. «Forse vuole dirmi che l’ho deluso.»

    «Nah, è troppo buono per dirti una cosa simile.» Becca scosse la testa. «Forse ti vuole offrire dei crediti extra o qualcosa del genere.»

    Il mio morale si risollevò di poco. «Dici?»

    Becca si strinse nelle spalle. «Ti aspetto fuori.» Prese il suo zaino e uscì. C’erano ancora un paio di studenti che gironzolavano per la classe. Volevo aspettare che se ne andassero, prima di parlare apertamente del mio voto. Ma non volevo fare tardi per la sesta ora.

    «Cosa succede, professor Thompson?» chiesi, avvicinandomi alla cattedra.

    «Come posso aiutarti?» chiese, serio.

    «Crediti extra?» suggerii e lui rise.

    «Sì, forse potremmo inserire anche quelli» disse, di nuovo serio in volto. «So che sei una studentessa modello, quindi spero che quello che sto per dirti non ti offenda, ma spero che tu mi permetta di affiancarti ad un tutor.»

    Mi strozzai con la mia stessa saliva, mentre deglutivo. Cosa stava succedendo? Come avevo fatto a diventare così disperata? In tutta la mia vita, non avevo mai avuto bisogno di un tutor. Ma in quell’istante, pensavo davvero di dire di sì. «Un tutor, eh?» Contrassi le labbra.

    «So che può sembrare un po’...» Il professor Thompson si affievolì, cercando di trovare la parola giusta.

    «Umiliante?» gli consigliai. «Degradante? Oltraggioso?»

    «Stavo per dire imbarazzante» mi fermò, e io aggrottai la fronte. «Ma credo davvero che con un po’ d’aiuto, tu possa ottenere il voto che desideri in un paio di settimane.»

    Ci pensai un secondo, prima di abbassare le spalle, sconfitta. «Okay. Credo di poter lavorare con un tutor, per un po’» concordai, esitante. Il mio orgoglio era stato messo sotto i piedi, anche solo per aver detto la parola con la T. Poi aggiunsi, senza pensare: «Per pochissimo tempo.»

    «Bene.» Il professor Thompson si morse il labbro. «Perché ho già chiesto a qualcuno, se era disponibile a lavorare con te.»

    Analizzai la sua espressione diffidente, prima di chiedere: «Perché sembra impaurito? Se ha chiesto ad Angelica di aiutarmi, l’accordo salta. Tutti, ma non Angelica» dissi con una smorfia.

    Il professor Thompson sorrise, tirando un sospiro di sollievo, mentre l’ultimo studente si dirigeva verso la porta. «Non è Angelica» mi rassicurò, prima di chiamare qualcuno. «Michael, potresti venire un attimo?»

    «Sì, Coach» disse in automatico. Mike salutò Noah, poi si avvicinò a noi. I suoi pantaloni erano cadenti e il suo cappellino da baseball era girato di lato. Non capii perché Mike avesse chiamato il nostro professore Coach, fino a quando non mi ricordai che il professor Thompson era anche il coach della squadra di corsa campestre.

    Non avrei detto di conoscere Mike, perché, in realtà, non avevamo mai parlato. Ma l’avevo sentito parlare con altre persone, e avevo sentito Angelica che ne parlava, quindi conoscevo bene la sua reputazione. Lui era un aspirante specializzando della Franklin High School. Parlava come un deficiente, si vestiva come un idiota e ci provava con ogni ragazza con cui parlava. Ed era il playmaker della squadra di basket della scuola. Lo sapevo solo perché ero andata ad ogni partita con Becca. Ma Mike non mi dava l’impressione di essere una persona con un livello d’attenzione sufficiente per correre in una corsa campestre. Sembrava il tipo di ragazzo la cui capacità d’attenzione durava solo per pochi momenti. Tipo da un lato all’altro del campo di basket.

    «Michael, conosci Jayden?» chiese il professor Thompson.

    Mike alzò il mento verso di me. «L’ho vista in giro. Come butta, amica?»

    Il professor Thompson gli sorrise. «Jayden è la ragazza a cui vorrei che tu facessi da tutor.»

    Gli occhi di Mike si spalancarono per un secondo, poi si spiattellò in faccia uno sguardo passivo. «Fico» rispose con indifferenza.

    Anche io spalancai gli occhi, ma rimasi così per un po’. «Come?» chiesi al professor Thompson, confusa. «È uno scherzo?»

    Il mio insegnante rise. «No, nessuno scherzo. Michael ha preso il voto migliore della classe. Anche migliore di quello di Angelica.» Il professor Thompson sorrise con orgoglio.

    Fissai Mike, incredula. «Sicuro?» Sapevo di essere scortese, ma credevo ancora che mi stessero prendendo in giro.

    Mike strinse le labbra infastidito e fece schioccare la lingua. «Oh, donna, perché mi giudichi? Tu non mi conosci. Non hai il diritto di prendertela per ’sta scemenza.» Mike socchiuse gli occhi, poi cominciò a parlare con il professor Thompson... solo in spagnolo. Non avevo la minima idea di cosa si dissero, ma capii che Mike era irritato e che il professore lo stava implorando.

    Dopo trenta secondi, Mike si arrese. «Va bene» disse al professor Thompson. «Ma solo perché me l’ha chiesto lei.» Poi aggiunse, sicuro: «E perché sono molto altruista.»

    «Grazie, Michael.»

    Michael mi guardò con disapprovazione e mi disse: «Possiamo vederci dopo la scuola, domani, Reina Mocosa.»

    Il professor Thompson sbuffò per il commento di Mike, il che significava che forse non era una cosa bella.

    «Domani va bene. Ci vediamo in biblioteca un quarto d’ora dopo l’ultima lezione. Non fare tardi.» Girai sui tacchi e me ne andai, con la testa ben alta e il naso all’insù. Becca mi stava aspettando dietro la porta; mi guardò curiosa, aspettando una spiegazione. Non gliela diedi.

    «Quindi?» chiese.

    «Quindi, cosa?» risposi.

    «Quindi, cosa voleva?»

    «Non fingere di non aver sentito tutto» replicai. Becca mi guardò con finta innocenza. «Il professor Thompson è impazzito, ecco cosa è successo» dissi con una risata sdegnosa. «Ha chiesto a Mike McGinnes di farmi da tutor per lo spagnolo. Mike! Ti rendi conto? È un idiota patentato.»

    «Ehm, veramente, io ho sentito che è, tipo, forte in spagnolo.»

    «Ah, sì?» la sfidai. Becca non era una svampita, ma era solita usare qualunque stupido gergo fosse popolare, e quella cosa mi faceva impazzire. Infastidita, le chiesi: «Cioè, tipo, tu dici che sta nascondendo un super cervello da qualche parte dentro i suoi pantaloni larghi?»

    Becca mi lanciò un’occhiataccia. «Okay, siamo incazzate oggi? Non te la prendere con me, solo perché ti senti minacciata da lui.»

    «Scusami.» Sospirai, sentendomi in colpa per averla aggredita. «È che è imbarazzante. Se qualcuno lo viene a sapere, la mia reputazione sarà rovinata.»

    «Scommetto che anche lui pensa la stessa cosa» mormorò Becca, sottovoce.

    «Cos’hai detto?» le chiesi, sapendo perfettamente quello che aveva detto.

    «Ho detto che sono sicura che lui non la pensi allo stesso modo.» Becca mi rivolse un grande sorriso e sbatté le ciglia.

    «Ah, ecco» le risposi, indignata.

    Mi mise il braccio sulla spalla e mi strinse piano. «Sono sicura che non sarà poi così male.»

    Borbottai. Di solito, ero contraria all’uso delle parolacce. Fanno sembrare le persone incolte. Ma, in quel momento, furono le uniche parole che mi vennero in mente. «Forse, se mi do come obiettivo il ricambiargli il favore, lui può insegnarmi lo spagnolo e io gli insegnerò l’inglese corretto.»

    Becca rise. «Brava, così si fa!»

    «Se, in qualsiasi momento nelle prossime settimane, noti che comincio a usare la parola oh nel mio vocabolario, ti do il permesso di darmi un cazzotto.»

    Becca mi fece l’occhiolino. «Contaci, amica.»

    Capitolo 2

    Mike

    Guardai fuori dal finestrino della macchina del mio migliore amico, pensando a quello che mi aspettava a casa e desiderando che l’allenamento di corsa campestre fosse durato di più. Eravamo tornati alla routine del lunedì. Non che odiassi tornare a casa; solo che lì era il caos.

    Dal momento in cui sarei entrato dalla porta, i gemelli mi sarebbero saltati addosso, mia madre se ne sarebbe andata, e io non avrei avuto neanche un attimo di pace, almeno fino alla sera. Ogni giorno era la stessa storia: aiutare con i compiti, mettere a posto i giocattoli, preparare la cena, pulire la cucina, leggere un milione di libri per bambini, ed infine, la routine della sera. Amavo mio fratello e mia sorella, ma essere il loro genitore, mi aveva fatto capire che in pratica non avevo bisogno di avere una vita sentimentale. Mai.

    «Oggi sei molto silenzioso. Hai fatto schifo con i tempi durante gli allenamenti o cosa?» mi chiese Brady.

    «No, macché. Ho battuto tutti, come al solito» gli risposi. Un sorrisetto si fece largo sul mio volto. «Speravo tanto di non dover tornare già a casa.»

    «Vuoi venire a cena a casa mia? Papà sta preparando degli hamburger alla piastra.»

    «Sembra fantastico, ma per questa volta passo. Dei maccheroni al formaggio in scatola mi aspettano.»

    «Quando finirà tua madre a scuola?»

    «Questo è il suo ultimo anno. Per fortuna. Se continuo a fare io da mamma, potrei diventare uno smidollato come te» lo presi in giro. Brady era senza alcun dubbio al guinzaglio. Era fidanzato da così tanto tempo, che ci vedevamo a malapena. Però faceva parte della squadra di nuoto, e il suo allenamento terminava alla stessa ora di quello della corsa campestre, quindi potevamo stare insieme tornando a casa. Il resto del tempo lo passava con la sua fidanzata, Beth.

    Lo ammetto, era bella con la B maiuscola, quindi non lo biasimavo.

    Ma per me era terribile.

    Brady ignorò la mia presa in giro. «Non stai vedendo la situazione dalla giusta prospettiva. Pensa al fare da babysitter come un’esperienza lavorativa. Quando ti diplomi, forse potrai usarla per trovarti un lavoro come tato. Ho saputo che guadagnano molto.» Brady sorrise.

    Sbuffai. «Un tato? L’ultima volta che ho controllato, non ero gay.»

    «Forse allora ti sbagli» mi prese in giro, e io gli diedi un pugno forte sulla spalla. «Ehi, sto solo dicendo le cose come stanno. Tutte le volte che ti consiglio di uscire con qualcuna, per fare un’uscita a quattro con me e Beth, dici che sei troppo impegnato.»

    «Forse perché lo sono, stronzetto» brontolai, stravaccandomi sul sedile. Ero in un periodo di magra con le donne... un periodo lungo tre anni. La maggior parte delle volte, era stato per scelta. Ma, negli ultimi tempi, non avevo il tempo di frequentare nessuna. Anche se avessi trovato la ragazza perfetta. Avere un bambino di sei anni attaccato su entrambi i fianchi, non era proprio una bella figura.

    «Se trovi un lavoro come tato, forse il tuo datore di lavoro sarà una mamma giovane, sexy, ricca e single» disse Brady, sollevando le sopracciglia in maniera allusiva.

    «Cavolo, a questo punto mi andrebbe bene anche una mamma vecchia, sexy, ricca e single.»

    Brady ridacchiò. «Non sei ancora così disperato. Almeno stai cercando una ragazza da portare al ballo di fine anno, vero? Mancano due settimane. Se non lo chiedi subito a qualcuna, non ci sarà più nessuno a cui chiedere. Sto pensando che potresti venire con me, Cam e le ragazze.»

    «Sì, sì. Ci penserò. Appena trovo qualcuna per cui valga la pena chiedere.» Gli diedi la mia solita scusa, e lui alzò gli occhi al cielo. Ci provavo con ogni ragazza con cui parlavo, ma solo per mantenere le apparenze. Non sarei mai uscito con la maggior parte di loro. Ero la persona più esigente che conoscessi.

    Forse, non ero abbastanza popolare da giustificare il mio essere esigente, ma non potevo farci niente. Le ragazze delle superiori erano irritanti. Tutte risatine e sussurri. Mi facevano impazzire. Brady era stato fortunato a trovare una ragazza decente. Beth era sexy e intelligente. Togliendo la tendenza a rompermi le palle, la sorella di Beth, Bianca, era praticamente perfetta. Ma purtroppo, anche lei non era single. Stava con il ragazzo più bello della scuola. Nessuno poteva competere con Cam. Neanche Brady. E lui era una calamita per le ragazze.

    «Angelica è single» mi suggerì Brady. «Beth mi ha detto che non ha ancora un ragazzo.»

    «No, grazie. Non mi interessano i tuoi avanzi. E poi, quella ragazza è del tutto fuori di testa.»

    Brady rise e mi fece un cenno di assenso. «Perché credi che l’abbia lasciata?»

    Sentire il nome di Angelica mi ricordò il mio incarico di Spagnolo. Sapevo che era la cugina di Jayden, il che significava che anche Jayden era una pazza. «A proposito di Angelica, conosci sua cugina Jayden?»

    «Frequenta l’ultimo anno?»

    «No, credo frequenti il terzo.»

    «Non sono sicuro. Dovrei vedere com’è fatta. Perché, vuoi chiederle di uscire?»

    Quasi mi strozzai. «Uhm... no. Il coach mi ha chiesto di farle da tutor di Spagnolo.»

    «È carina?»

    «Fra’, ma pensi solo a quello? Ti sei già stancato di Beth o cosa? Perché se fosse così, per lei farei un’eccezione alla mia regola degli avanzi.» Brady mi guardò male, sia per aver evitato la sua domanda, sia per l’eccessivo interesse mostrato nei riguardi della sua ragazza. Avevo davvero talento per certe cose. Continuò a guardarmi di traverso, attendendo una mia risposta. Sospirai. «Sì, credo sia carina, ma non le chiederò di uscire. È una stronza con la S maiuscola ed è piena di sé. Credevo fosse scioccata, quando il Coach T mi ha presentato come il suo tutor. Poi, ho capito che il suo non era shock; è solo che ha un gigantesco palo nel culo. Non so se sia pazza come Angelica, ma di sicuro è la regina della presunzione.»

    «Fantastico» disse Brady, ridendo.

    «Sì, uno spasso guarda» risposi sarcastico, mentre accostavamo.

    «Forse, non sarà poi così male» ponderò Brady. «Forse, alla fine scoprirai che invece è in gamba e puoi chiedere a lei di venire al ballo di fine anno con te.»

    «Forse, il tuo ottimismo è irritante.» Uscii dalla macchina, sbattendo lo sportello.

    Brady abbassò il finestrino. «Sto solo cercando di aiutarti.»

    «Allora trovami una sexy del secondo anno o del primo» gli dissi di spalle, mentre camminavo verso il portico anteriore.

    Brady rise. «Allora terrò gli occhi aperti. Ci

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