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Piccola Cenerentola
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Piccola Cenerentola
E-book391 pagine5 ore

Piccola Cenerentola

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Info su questo ebook

Cinzia, una giovane donna che conduce un'esistenza tranquilla insieme alla sua famiglia in un piccolo paesino, in seguito alla morte della madre si ritrova da un giorno all'altro a dover vivere sola e in povertà in una grande città. Tutto sembra cambiare in meglio quando incontra delle vere amicizie e Sergio, il suo grande amore. Ma un pericolo mortale l'attende in agguato... Tra passioni, drammi e forti legami familiari, numerose peripezie e colpi di scena, Cinzia saprà meritarsi il suo lieto fine.
LinguaItaliano
Data di uscita29 mag 2021
ISBN9788833468501
Piccola Cenerentola

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    Anteprima del libro

    Piccola Cenerentola - Carmela Abate

    7

    Capitolo 1

    Sono in corsia e guardo fuori dalla finestra. Non vedo nessuno uscire né entrare. C’è qualche macchina che va di corsa al pronto soccorso. Aspetto disperata, devono chiamarmi per poter vedere mia madre. Erano le due di notte quando l’abbiamo portata al pronto soccorso, è in reparto di rianimazione. C’è già stata diverse volte la necessità di rivolgersi al pronto soccorso e di ricoverarla. Ma ora, con grande dolore, temo sarà l’ultima volta, perché la situazione sembra essersi aggravata ulteriormente. Soffre da tanto tempo di cuore.

    Mia sorella e i miei due fratelli emigrati al nord sono stati avvisati delle sue condizioni, ma io sono quasi certa che non la rivedranno, un’ultima volta, in vita.

    Dopo molte ore che aspetto, finalmente mi chiamano e mi sposto dalla finestra che ormai è l’alba.

    Di corsa con il cuore in gola entro in camera… sono vicina al suo capezzale e cerco di non piangere. Gli occhi mi pungono e in realtà ho tanta voglia di piangere, ma cerco di resistere.

    Il cuore mi batte forte; le mani, fredde come il ghiaccio, tremano e controllo con fatica quel dolore atroce che sento nel petto. Mia madre ha la fronte piena di sudore, il respiro irregolare ma non sembra in grave pericolo di vita. Benché la sua pelle non sia di quel colorito roseo e luminoso che solitamente ha e i suoi occhi non siano pieni di vita come sempre, è ugualmente bella. La mamma più bella che abbia mai visto.

    Alza la mano e le cade oltre il bordo del letto, poi muove un dito. Fa scorrere lo sguardo verso di me. Mi guarda con le palpebre appena socchiuse, ma è consapevole della mia presenza.

    «Cinzia…» dice con un filo di voce, mentre mi sorride appena. «Avvicinati, piccola, che per me sei sempre quella bambina dolce e intelligente che adoro.» Papà si sposta per darmi il suo posto, vicino a lei.

    Allunga la mano e mi sfiora il braccio.

    «Va tutto bene, Cinzia» mi sussurra lui. «La mamma vuole dirti una cosa.»

    Porto una mano sugli occhi, stringendoli per non far scendere le lacrime.

    Con quel poco di forze che le restano mi tira a sé, fa un bel respiro: «Quello che sto per dirti forse è difficile, figlia, ma so che ce la puoi fare, perché adesso sei abbastanza grande. Cinzia, ho bisogno che ascolti, e cosa più importante, che te ne ricorderai…»

    Penso che sarà molto difficile dimenticare, ho sempre avuto una buona memoria, fin da quando ero piccola. Lei però si interrompe per un po’, per via del dolore.

    «Il dolore è forte, signora?» chiede l’infermiera. Mia madre annuisce. La signorina le infila l’ago e già dopo pochi istanti lei si rilassa; così fa un altro bel respiro e ritenta: «Puoi farlo per tua madre? Ti ricorderai quello che ti dirò?» Le dico nuovamente di sì; lei solleva la mano per accarezzarmi la guancia. Non è molto calda e riesco a tenerla alzata solo per qualche istante. La mia mano stringe la sua, che inizia a tremare, e gliela riappoggio dolcemente sul letto.

    Lentamente mi dice: «È giusto essere triste per la mia morte e provare i sentimenti che si provano, ma ricordati di restare così come sei e di non cambiare mai». Gli occhi le si riempiono di lacrime e finalmente scendono anche le mie. Continua: «Tu, tua sorella e i tuoi fratelli… vogliatevi bene, vogliatevi bene gli uni con gli altri, anche con vostro padre. Venite spesso a trovarlo e se ha bisogno di aiuto, fate in modo di aiutarlo, d’accordo?»

    Faccio sì con la testa, mentre le lacrime mi scendono lungo le guance.

    Continuo ad ascoltare le sue parole: «Cinzia, ascolta, gioia mia, hai fatto per anni la donnina di casa, curando me e accudendo tuo padre: che Dio ti benedica figlia mia e ti benedico anch’io! Sei bella, Cinzia, sposati. Ma se non ti innamori non fare sesso, mi raccomando, me lo prometti?»

    «Sì, mamma, te lo prometto.»

    Corruga la fronte e aggiunge: «Non dimenticarti mai che ti voglio bene e te ne vorrò anche se non potrai vedermi più». Le scende una lacrima sulla guancia, fa un respiro irregolare e tossisce.

    «Okay» dice l’infermiera ficcandosi uno strano aggeggio nelle orecchie e appoggiando l’altra estremità sul petto di mia madre, «È ora di riposare.»

    «Non c’è tempo» mormora mia madre.

    L’infermiera guarda mio padre. «Ci stiamo avvicinando, signor Rosati. Probabilmente è il momento di far entrare il resto della sua famiglia per salutarla.»

    Mio padre stringe le labbra e scuote la testa. «Non sono ancora pronto…»

    «Non si è mai pronti per queste cose, signor Rosati; ma come le ho detto, le consiglio di chiamare la sua famiglia, in modo da poterla salutare per l’ultima volta.»

    Mio padre con la testa bassa esce dalla stanza con profonda tristezza. Gli altri figli non sono ancora arrivati. Io guardo la mamma che respira a fatica; anche la macchina che la tiene ancora in vita sembra volersi fermare. Entra mio padre, ancora più triste per non avere accanto a sé il resto della sua famiglia in un momento così difficile. L’infermiera vedendo la situazione di mia madre mi fa uscire dalla stanza. Sarei voluta restare ancora, ma si tratta di un ordine. L’abbraccio e la bacio piangendo.

    «Mamma, ti voglio bene, tanto, e mi mancherai tanto» dico, poi lascio la stanza piangendo. Ci sono poche parole anche per mio padre, che le è vicino, e come me, sta piangendo.

    «Gino, non piangere. Tu sai quanto ho sofferto, e anche tu hai sofferto insieme a me. Sei stato un bravo marito e compagno, quello che tutte le mogli desiderano.» La sua mano sottile è in quella di Gino, mio padre, che la guarda sofferente. «Devi farti una vita, non restare solo. I nostri figli oramai sono tutti grandi, e hanno la loro vita.» Chiude gli occhi, sorride e il cuore le si ferma.

    Papà piangendo l’abbraccia e la bacia e grida il suo nome. «Maria, Maria…»

    Sono ancora in corsia e guardo fuori dalla finestra, ora vedo più persone che entrano ed escono. Nell’ospedale, luogo di dolore e di speranza, oggi è toccato a noi il dolore. La vita è così. Ma troppo giovane è morta mia madre.

    Cammino in corsia con la testa bassa e sofferente, la mente mi dice che mia madre non è morta, smetto di piangere. È lei che mi dà conforto. Sì che è lei, lo so. Mamma adorata, come farò senza di te? Starò con mio padre? Impossibile, mio padre ha l’amante, da tanto tempo. Forse sarò io a non capire, magari sarà una cosa normale dato che è ancora giovane. Mia madre non poteva toccarla neanche con un dito per la sua malattia. Niente emozioni per il suo cuore malato.

    Lo vedo che esce della stanza distrutto, malinconico. Cosa sta pensando?

    Che adesso è libero e può sposare la sua amante. Sì, è così… Mi abbraccia forte e dice: «La mamma ci ha lasciati ma sarà sempre nei nostri cuori. Per noi non è morta, è sempre viva, finché un giorno non la raggiungeremo…» Che belle parole che ha detto mio padre.

    Anche se ha un’amante, ha amato tanto mia madre e io non lo incolpo, sono contenta così.

    Ci sediamo vicini, io lo guardo, ha gli occhi cerchiati neri forse per mancanza di sonno, non abbiamo dormito tutta la notte. Mi fa tenerezza e vorrei riabbracciarlo ancora, ma non lo faccio, non sono mai stata molto espansiva. In silenzio aspettiamo che arrivino i miei fratelli.

    Hanno portato mia madre nella camera ardente. Io ho la speranza, per tutte le ventiquattro ore di attesa, che ce la diano per riportarla a casa.

    Tutta la notte non ho dormito, così mi appoggio alla spalliera della sedia e chiudo gli occhi. Non riesco a riposare… pensieri e ricordi affollano con prepotenza la mia mente. Io sono l’ultima dei miei fratelli, dopo tre figli i miei genitori non ne volevano più e io sono arrivata dopo sei anni, ma tutta la famiglia, mi ha accolta con gioia. Quando sono nata, mia madre stava bene, lei si è ammalata quando io ho compiuto dieci anni. Prima di allora, era stata bella la mia infanzia.

    A tredici anni finivo la terza media e i miei genitori volevano che continuassi a studiare come i miei fratelli, ma la mia malattia, se così si può chiamare, era in agguato.

    Ricordo bene che una mattina mi alzai dal letto con un forte mal di pancia, andai in bagno e vidi delle macchie di sangue nelle mutandine. Io sapevo cos’era, perché mi aveva già informata mia madre su tutto, quindi non ero spaventata: ero signorina, era arrivato il ciclo mestruale.

    Dopo il ciclo, incominciò la mia battaglia. Tutti i giorni mi sentivo male, medici e specialisti mi visitavano e non riscontravano nessuna patologia. Continuavo a soffrire, e così niente scuola.

    Dopo un anno di sofferenza persi peso, ero molto magra e dopo la malattia, sembravo una larva.

    In famiglia erano tutti preoccupati e non sapevano cosa fare. Il medico di famiglia ci consigliò un medico privato, perché neanche lui aveva capito la mia malattia, ricordo che disse: «Portate vostra figlia in città dove c’è un bravo professionista che conosco, lui potrà dirvi qualcosa».

    Così una mattina all’alba i miei genitori e io siamo andati in città. La grande metropoli mio padre non la conosce, ci è andato poche volte per cui nonostante l’indirizzo che avevamo, per individuare dove si trovava lo studio, ci ha messo tre ore. Si fermava a domandare a qualche passante che incontrava sul marciapiede, fermandosi mentre le altre auto sfrecciavano a destra e sinistra.

    Poi finalmente siamo arrivati, io mi sentivo tanto male anche perché soffro di mal d’auto e girava tutto intorno a me.

    Mio padre mi ha abbracciato e piano piano siamo entrati dal portone di un grande palazzo. Abbiamo suonato il citofono e saliti al terzo piano, c’era la porta aperta e il medico che ci aspettava.

    Una volta entrati nello studio, il medico ci ha salutati e subito ha domandato: «Allora signorina non stai bene?»

    «No, dottore, non sto bene per niente.»

    «Quando è cominciato il malessere?»

    «Circa un anno fa.»

    Mi ha fatta sdraiare sul lettino e ha proseguito dicendo: «Adesso vediamo cosa c’è che non va… e mi dica come è cominciato questo malessere.»

    «Niente dottore stavo bene, è cominciato tutto dopo il flusso mestruale.»

    «Ma che malore ha?»

    «Dottore, cosa vuole che le dica, so solo che mi sento male.»

    Dopo avermi visitata si è rivolto ai miei genitori e ha detto: «Vostra figlia ha una cosa da niente che si può risolvere: gli ormoni dopo il flusso mestruale sono come impazziti. In parole povere vostra figlia avrebbe bisogno di un uomo, ma non si può è ancora una bambina. Una pastiglietta di quelle che sto per prescrivervi, la sera prima di andare a letto. Vedrete che si risolverà tutto, non preoccupatevi, starà bene.»

    Dopo il responso del medico eravamo contenti. Ha stretto la mano ai miei genitori e ha fatto una carezza a me, rassicurandomi: «Bella signorina vedrà che andrà tutto bene».

    Il viaggio di ritorno è stato più facile e senza intoppi. Strada facendo pensavo al medico e alla diagnosi che mi ha fatto… dice che ho bisogno di un uomo? Io poco ci credo.

    Speriamo bene e che Dio me la mandi buona.

    Mio padre va in farmacia a prendere le pasticche e la sera prima di andare a letto subito ne prendo una, la notte dormo tranquilla e la mattina quando mi sveglio mi sento già meglio. Il medico aveva ragione. Passano i giorni e ringrazio Dio, perché mi sento veramente bene.

    Per questo mia madre in punto di morte mi ha fatto promettere, che se non sono innamorata di qualcuno, non devo fare sesso soltanto per non prendere la pastiglietta. Questo è poco ma sicuro mamma.

    Mi sono persa nei miei pensieri e ricordi e non mi sono accorta che mio padre non è più al mio fianco, finché non mi sono girata e l’ho visto ritornare. Una volta vicino mi ha detto: «Sono andato a telefonare ai nostri parenti per dirgli che la mamma è morta, e di andare a casa nostra a prendere gli indumenti per vestirla, ho detto a loro che sono tutti dentro l’armadio… li ha preparati la mamma un mese fa… se lo sentiva che sarebbe morta». Le parole che ha detto mi hanno fatta piangere. Così lui mi ha accarezzato e mi ha stretto la mano, tenendosela dentro la sua. In silenzio guardavo il pavimento, finché non ho alzato lo sguardo, e ho visto i miei fratelli avanzare con passo svelto verso di noi, afflitti. Immaginavano che la mamma era morta, infatti una volta vicini ci siamo abbracciati tutti e cinque.

    «Dobbiamo farci coraggio! La mamma non ce l’ha fatta ad aspettarvi… mi ha detto di volerci bene gli uni con gli altri, e di non dimenticarci di papà.»

    Siamo andati nella camera ardente, vicino a mia madre c’erano tutte le nostre zie che la stavano vestendo. Ci abbracciavamo e ci baciavamo, piangendo disperati. Mio padre stava in un angolo triste… La mamma vestita elegante era bella più che mai, sembrava che dormisse e sorridesse, come per darci coraggio. Durante tutta la giornata ci fu un via vai di tante persone che volevano vederla. Mentre noi l’abbiamo vegliata tutto il giorno fino a sera, tranne la notte perché non è permesso restare. L’indomani si sarebbe svolto il funerale.

    Siamo tornati a casa stanchi e affamati, la tavola era apparecchiata come si usa da noi e hanno cucinato i parenti. Mangiavamo in silenzio, tristi, finché mia sorella Rosa non ha rotto quel silenzio di tomba, rivolgendosi a papà: «Papà, fatti coraggio che non rimarrai neppure solo. So che la mamma ti manca e non è la stessa cosa, ma rimarrà Cinzia con te, per farti compagnia, per accudirti e quando si sposerà avrai anche dei nipotini». Mio padre non rispondeva, sapeva cosa aveva nel cuore… al settimo giorno dalla morte di mia madre, ci fece una sorpresa… e che sorpresa.

    Dopo il funerale i miei fratelli restarono fino alla messa del settimo giorno, poi andarono via, al nord avevano lasciato il lavoro, le mogli e i figli.

    Al settimo giorno dal funerale di mamma, ci alziamo, facciamo colazione, parliamo un po’, sono venuti tutti i nostri parenti e andiamo a messa. Il parroco che ci conosce bene, fa una interessante funzione come al funerale. Torniamo a casa, si pranza e più tardi andiamo al cimitero per salutare mia madre. Per me non ci sono problemi, perché al cimitero posso andarci tutti i giorni, diversamente dai miei fratelli, che vanno via l’indomani.

    Finalmente la sera a cena siamo tutti e cinque a tavola, mio padre stasera non è soltanto triste, è anche nervoso. Si parla, l’argomento sono io.

    «Cinzia perché adesso non ti sposi?» chiede mia sorella.

    «Ma se ancora non ho nemmeno il ragazzo.»

    «E perché questo? Perché tu non ti innamori! Cosa aspetti, il principe azzurro? Ci sono stati e ci sono tanti ragazzi che ti fanno la corte, nonostante tu non ti valorizzi e vai in giro sempre con pantaloni e magliette larghe, i capelli raccolti in crocchia vicino al collo come una vecchietta.»

    «Prima cosa, cara sorella, a me piace vestire così. E secondo, io non mi sposo se non sono innamorata di nessuno. Papà non mi governa, io lavoro. Prima quando c’era nostra madre lavoravo cinque ore, ora che la mamma è morta ne faccio otto. Poi mi piace ricamare, leggere un buon libro, quindi a papà non do fastidio, stai tranquilla che stiamo bene insieme…»

    Una volta finito di cenare mi alzo dalla sedia per sparecchiare la tavola e poi lavare i piatti, quando a un certo punto mio padre mi dice: «Siediti Cinzia, debbo parlarvi».

    Nel frattempo mia sorella riprende a parlare: «Cinzia, ma non sei stanca di prendere la pastiglietta?» e io le rispondo testardamente: «No Rosa, non sono stanca, anzi! Sto troppo bene così».

    Papà ribadisce: «Allora ti siedi Cinzia?»

    «Sì papà subito.»

    Stasera il volto che vedo a mio padre, sa di tempesta e chissà cosa vorrà dirci. Sto incominciando a tremare.

    Seduti in silenzio parla mio padre, serio e nello stesso tempo agitato: «Forse non dovrei dirvi niente, ma è necessario che voi sappiate. Comincerò dal principio: quando è nata Cinzia voi eravate ancora piccoli… Rosa aveva sei anni, tu Gianni ne avevi cinque e Antonio quattro. Siete nati uno dietro l’altro, è stato difficile crescervi tutti e tre piccoli, ma con amore insieme a vostra madre vi abbiamo svezzati. Poi è nata Cinzia, la gioia di tutti. Quando è nata Cinzia vostra madre ha sofferto tanto con il cuore, ma inizialmente noi non sapevamo niente, perché vostra madre non accusava nessun dolore e stava bene. All’ospedale l’avevano visitata dalla testa ai piedi. Ricordo che mi chiamò il medico e mi disse: Signor Rosati, sua moglie per adesso sta bene, ma niente più figli.

    «E io gli risposi: No dottore questa figlia non la volevamo ed è capitata, ma naturalmente l’abbiamo tenuta e siamo contenti.

    «Lui aggiunse: Niente lavori pesanti. Deve fare una vita tranquilla, senza scosse di nessun genere, e vedrà che starà non bene, ma benino.

    «Dopo sei mesi dalla nascita di Cinzia, una notte abbiamo provato a fare l’amore, ma lei si è sentita tanto male e non abbiamo fatto più niente. Il giorno dopo andammo dal medico, io gli raccontai l’accaduto e lui non solo si arrabbiò, mi fece anche una ramanzina.

    «Disse: Lei non ha capito che sua moglie non può più avere rapporti sessuali con il cuore malato, niente emozioni forti di nessun genere! Così le prescrisse dei farmaci e disse di prenderli quando ne aveva bisogno e disse anche di tornare a fare la visita almeno ogni due mesi, sarebbe stato meglio controllarla spesso. Da quel giorno io feci astinenza senza lamentarmi, fino a quando voi, ormai grandi, avete lasciato la nostra casa. Avete studiato e vi siete diplomati tutti e tre. Rosa si è sposata e se n’è andata al nord. Dopo un anno sei andato tu Gianni, e un anno dopo ancora, ti ha seguito Antonio.

    «Noi siamo rimasti soli e devo riconoscere che Cinzia è sempre stata una brava figlia, a vostra madre non faceva fare niente, faceva tutto lei. Ha sempre lavato, stirato, fatto da mangiare… le pulizie di tutta la casa; è andata persino a lavorare, facendo le pulizie alle signore benestanti.

    «A casa si viveva sereni ma io, dopo tanta astinenza, mi son trovato una donna. Andavo da lei tre volte a settimana, mentre vostra madre dormiva tranquilla. Con lei ero sempre lo stesso, non le facevo mancare niente, e lei non ha mai saputo che io avevo un’amante. Poi gli ultimi anni si è aggravata, tanti pronti soccorsi e altrettanti ricoveri… fino a che non è morta. Voi vi starete domandando perché vi racconto tutto questo? Perché spero che mi capiate. Io non ho vissuto la vita che ho fatto. Io ho amato tanto vostra madre, non ho rimpianti, ho fatto tutto quello che era umanamente possibile, ma ora che è morta, devo dirvi che io mi sposo fra un mese.»

    Siamo rimasti tutti e quattro allibiti.

    Gianni con calma dice: «Un’amante forse l’accettiamo, ma il matrimonio fra un mese no, almeno un anno, non è comunque molto tempo, ma è già più ragionevole!»

    «Un mese, cari figli, e non un giorno di più.»

    Gianni si alza arrabbiato, dà un pugno sul tavolo, si sposta e rovescia la sedia, i suoi occhi buttano fuoco e risponde: «Ma non ti vergogni? Se la chiami ti risponde. E poi non pensi alla tua famiglia, e a quella di nostra madre? Cosa diranno? Che sei un mascalzone».

    «Non penso a nessuno, io sono padrone della mia vita.»

    «Allora ti sposi davvero, non ti ho convinto?»

    «Mi sposo davvero e non mi convince nessuno.»

    A questo punto Gianni non si ferma, alza la voce e offende papà, proseguendo: «In tutti questi anni hai fatto il bravo genitore e ora all’improvviso sei diventato un bastardo, un vigliacco, uno stronzo e un parassita, che non ha rispetto per nessuno!»

    Mio padre suda freddo e dalla rabbia gli trema tutto il corpo, e io anche tremo e piango.

    Sta giungendo una bufera eclatante, penso.

    «Ripeti quello che hai detto se hai coraggio.»

    Mio fratello Gianni: «Sì che ho coraggio» e così ripete parola per parola quello che ha detto.

    Mio padre lo schiaffeggia.

    Gianni è in piedi, si alza anche Antonio e tutti e due cominciano a picchiarlo, prendendolo a calci e pugni. Due contro uno. E quel che è più drammatico, è che si tratta dei miei fratelli che aggrediscono nostro padre. Lo uccidono così! Non passa molto tempo che io e Rosa cerchiamo di dividerli, prendendo anche noi qualche schiaffo, finché mia sorella con forza ottiene la meglio su loro due.

    «Vergognatevi stronzi violenti, è vostro padre, non credevo che sareste arrivati a questo!»

    Si calmano trionfanti i balordi, e senza pentirsi.

    Mio padre si accascia sul pavimento, perdendo sangue della bocca e del naso. Si alza e va al bagno per sciacquarsi.

    Mentre io piango di dolore per la mamma, e per mio padre, arrabbiata e spaventata fino all’inverosimile, mia sorella fa una ramanzina ai miei fratelli: «Io non mi ricordo nemmeno uno schiaffo di nostro padre, né a me, né a voi. Lui ci ha fatti studiare, ci ha fatto fare tutto quello che volevamo, senza intromettersi nelle nostre cose private. Non ha mai alzato la voce e, se ci dava un consiglio, è sempre stato parlando da uomo a uomo. Mi ricordo che se sbagliavamo diceva con calma, sbagliando s’impara. Con il padre buono che abbiamo, vi siete permessi di insultarlo e non contenti, di picchiarlo. Se non intervenivamo noi tempestive, l’avreste ucciso. Siete come delle bestie! Ora sappiate che se vi denunciamo, potreste finire in carcere. Avete picchiato vostro padre senza aspettare un attimo, senza pensare e con una violenza inaudita. Chiudete gli occhi e pensate: se un giorno lo faranno i vostri figli? Perché cari fratelli, quello che fate adesso, un giorno lo faranno a voi, pensateci».

    In quel momento entra mio padre con degli ematomi al viso, anche se ora sembra tranquillo. Si mette davanti a noi e parla piano.

    «Io non avrei creduto che sareste mai arrivati a quello che avete appena fatto. Vi potrei denunciare, ma non lo faccio, perché non voglio avere più a che fare con voi. Stasera restate qui, domani ve ne andrete. Quando torno non voglio trovarvi qui. Per me siete morti e sepolti, non voglio vedervi, neanche alla mia morte.» Poi si rivolge a me: «Tu, Cinzia, fai la valigia e te ne vai con tua sorella».

    «Ma papà io cosa ti ho fatto? Io accetto che ti sposi, anzi vengo anch’io al tuo matrimonio, ti prego papà.»

    «Tu non mi hai fatto niente, anzi sei stata e sarai sempre un gioiello. Solo una cosa ti dirò: sei troppo buona, impara a essere più furba.»

    Gira le spalle, sbatte la porta e va via.

    Siamo rimasti in silenzio come quattro idioti. I miei fratelli invece non parlano, si guardano tra loro con una faccia da criminali. Mi alzo per sparecchiare la tavola e mi aiuta anche Rosa, comincio a lavare i piatti piangendo.

    «Cinzia» mi dice Rosa «non piangere, a casa mia starai bene, io sono contenta che starai con me, vedrai che ce la spassiamo, vuoi mettere in una città? Si sta bene».

    «Lo so che starò bene, Rosa, ma non voglio disturbare, nella famiglia si deve stare da soli, senza il terzo incomodo. E poi a me piace il paese dove sono nata. Il nord non mi piace, è un paese freddo, come le persone che ci vivono.»

    «No non pensarlo nemmeno! Vedrai che ti abituerai come ho fatto io. Lavori e ti innamori senza fretta, ti sposi e stai tranquilla a casa tua.»

    «Sarà come dici tu, ma io non ci credo Rosa… si vedrà quando sarò al nord.»

    Rosa mi fa una carezza e dice: «Vedrai Cinzia starai bene a casa mia, considerala anche casa tua, noi ci vogliamo bene e tu lo sai».

    Sì, lo so cara Rosa che ci vogliamo bene, ma la casa è tua e io non la sento mia e c’è tuo marito che non mi piace per niente, mi guarda troppo e io non lo tollero. Ma questo a Rosa non lo dico, lo tengo per me.

    «Senti Cinzia» parla Gianni, parla con la stessa presunzione di un’ora fa: «Non è successo niente. Tu lo sapevi che papà aveva un’amante?»

    Una donna Gianni, ha una donna! Penso io.

    «Sì, lo sapevo, ma non me l’ha detto lui, l’ho solo immaginato.»

    «E tu approvi?»

    «Certo che approvo, non ho niente in contrario. A noi non ha fatto mancare niente, e la mamma non l’ha mai saputo.»

    «Ma lo immaginava?»

    «No, non l’ha saputo e basta. Finiscila con le domande e con tutto, so soltanto che per colpa vostra ho perso un padre.»

    La cucina è in ordine, la guardo e penso che non la vedrò più. Chissà che destino avrò in città, me lo sento dentro il cuore che non sarà niente di buono.

    Vado in camera per preparare le mie cose, prendo la valigia e anche un borsone, altrimenti tutti gli indumenti non entrano: mi porto tutto, tanto a casa mia non ci torno più. Quando mio padre dice una cosa è quella per sempre, non c’è perdono per nessuno.

    Ma se mi succede qualcosa al nord io tornerò da te, e rispetterò anche tua moglie, dico tra me e me, come se lui potesse ascoltare le mie parole.

    Mentre prendo le mie cose piango a dirotto, e prego mia madre di aiutarmi: un po’ grazie a lei, un po’ mi aiuterò io e andrò avanti. Sarà difficile ma ce la debbo fare, e con l’aiuto di Dio ce la farò. Mi metto a letto e arriva il mio gatto che si mette a dormire su una copertina vicino i miei piedi. Quante fusa che mi ha fatto, e quante coccole gli ho fatto io. Lo prendo in braccio, lo accarezzo con le lacrime, dicendogli: «Tu sei più fortunato di me che resti con papà e con la nuova padrona di casa».

    L’indomani mi sveglio presto con il fresco della mattina; poi con il caldo afoso del giorno ci mettiamo in cammino. Mentre la macchina si allontana, mi giro a guardare per l’ultima volta: addio casa mia! Forse non ti vedrò più, e non tornerò più dove ho avuto per venti anni una vita serena. Durante il viaggio mi sento male, perché come ho già citato precedentemente soffro di mal d’auto. Ci fermiamo per fare una pausa dal viaggio, Rosa e i miei fratelli prendono un caffè, io prendo solo una bottiglietta d’acqua e la bevo a canna.

    Riprendiamo il viaggio. Io sono seduta dietro, di fianco a Rosa e spesso guardo i miei fratelli: uno guida, l’altro sta vicino in silenzio. Chissà se si sono pentiti dell’errore che hanno fatto? Io li odio, li detesto per quello che hanno fatto a nostro padre e anche a me, che sono distrutta dal dispiacere. Stiamo per arrivare in città e più mi avvicino e più sto male; non mi piace la città, è troppo caotica. Mi piaceva il mio paese silenzioso, con tanti parenti vicini.

    Ho il batticuore al pensiero di andare ad abitare a casa di mia sorella… quanti guai mi hanno fatto i miei fratelli! Avrei voluto stare a casa mia con mio padre, che invece adesso non vedrò più.

    Siamo arrivati a casa; mio fratello si ferma ma non scende, noi prendiamo le valige e loro ripartono di corsa e senza salutare; meglio così, tanto non avrei risposto al loro saluto.

    Siamo al terzo piano in un palazzo di gente comune, mio cognato ci aspetta con la porta aperta e subito dice: «Ben arrivate! Vi aspettavo più tardi, ma meglio così, almeno non sono stato in pensiero». Poi marito e moglie si abbracciano, si baciano e dopo lui abbraccia e bacia anche me, io faccio un passo indietro e lo guardo adirata: non so se capisce che deve stare lontano da me.

    Ecco che vedo i miei nipotini che subito mi accolgono.

    «Oh ciao, zia Cinzia, come stai?» mi domandano.

    «Bene, e voi?»

    «Stiamo bene.»

    Li abbraccio, gli do tanti bacetti e continuiamo a chiacchierare.

    «Che bei giovanotti! Lo sapete che è un anno che non vi vedo? Siete diventati più grandi! Andate a scuola?»

    «Io vado a settembre e Silvio va all’asilo» mi risponde il più grande.

    «Bravi i miei giovanotti, sono contenta.»

    Mia sorella mi dice: «Cinzia vuoi dormire in camera con i bambini, oppure nel salotto? C’è il divano letto».

    «Se i giovanotti mi vogliono, dormo nella loro stanza» rispondo e sorrido ai bambini.

    «Sì che ti vogliamo, zia, vieni, portiamo le valige nella nostra stanza.»

    È una bella stanza, spaziosa e ben arredata.

    Ennio e Silvio mi fanno vedere i loro letti contenti. Il loro letto è a castello e c’è un lettino per me. Appoggio le valige sul letto, poi tutti e tre andiamo in cucina. Rosa e Pietro sono seduti.

    «Venite a bere un tè fresco. Cinzia, tu hai fame oggi? Non hai mangiato niente» dice

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