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Una famiglia inaspettata: Harmony Bianca
Una famiglia inaspettata: Harmony Bianca
Una famiglia inaspettata: Harmony Bianca
E-book171 pagine2 ore

Una famiglia inaspettata: Harmony Bianca

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Info su questo ebook

Max: La mia unica priorità è sempre stata la carriera. Solo una volta mi è capitato di perdere il controllo, tra le braccia di Evie Parker, ed è un errore che non commetterò mai più. Quella follia mi è costata cara, la donna che credevo di amare è scomparsa nel nulla portandosi via tutto. Anche i ricordi.

Evie: Max non sospetta il motivo per cui me ne sono dovuta andare, un anno fa, e non credo che riuscirebbe a capire. Durante tutto questo tempo ho combattuto per me stessa e per nostra figlia, la piccola Imogen, con ogni forza che avevo, e adesso che ci siamo rivisti e lui ha scoperto il mio segreto forse potrà perdonarmi. Ma è giusto chiedergli di credere in una famiglia che non sapeva nemmeno di avere?

LinguaItaliano
Data di uscita20 apr 2018
ISBN9788858980200
Una famiglia inaspettata: Harmony Bianca

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    Anteprima del libro

    Una famiglia inaspettata - Charlotte Hawkes

    successivo.

    Prologo

    «Caso difficile, dottoressa Parker?»

    Trasalendo al suono della voce mascolina, Evie scostò il viso dalla vetrina della macchinetta e cercò di ignorare l'improvviso sfarfallio nello stomaco. Fino a un momento prima, il suo cervello era immerso in un caso particolarmente difficile, ma a darle una nuova carica era bastata quella semplice domanda di uno dei chirurghi plastici più insigni del Silvertrees, Maximilian Van Berg. Si sforzò di abbozzare un sorriso, rigorosamente professionale, proprio come piaceva a lui.

    «Niente che non riesca a gestire, professor Van Berg» replicò, scandendo bene il titolo.

    «Non ne dubito» mormorò lui, lasciandola di stucco, prima di rivolgere la sua attenzione alla macchinetta. «Questa trappola ha cominciato di nuovo a rubare le monete?»

    Ehi, un attimo! È una specie di complimento quello che mi ha appena rivolto? Le sue terminazioni nervose ebbero un momento di scompenso. Di solito il tono che quell'uomo usava con i colleghi era molto più sbrigativo. Peccato che non fosse un chirurgo plastico pediatrico... Qualche volta, quando era stato nel centro per ragazzi problematici dove esercitava lei, avevano discusso di casi clinici insieme, e le sarebbe piaciuto avere la sua opinione anche adesso. Ma temeva che la sua richiesta sarebbe stata considerata poco professionale. Si concesse un minuto per osservarlo. Gli abiti civili evidenziavano un fisico muscoloso e atletico, più adatto a una star del cinema che a un talentuoso chirurgo.

    Da psichiatra, Evie veniva al Silvertrees solo quando doveva trattare qualche caso speciale, ma non le c'era voluto molto per accorgersi che Max era il fiore all'occhiello dell'ospedale. E non l'aveva sorpresa nemmeno scoprire quanta parte dello staff avesse provato ad affossarlo, per poi soccombere all'esplosiva combinazione tra le sue indubitabili doti chirurgiche e l'aspetto fisico dirompente.

    Ma quello che lo rendeva ancora più irresistibile era la sua propensione alla riservatezza. Max era votato alla carriera, elusivo, inflessibile nel seguire la regola di tenere emozioni e vita privata separate. Disapprovava fortemente le frequentazioni tra colleghi, tanto da guadagnarsi il soprannome di Censore. Eppure, durante le sue rare visite al Silvertrees, non le era sembrato che tra loro ci fosse sempre qualche scintilla?

    Non che lei volesse approfittarne. Conosceva fin troppo bene la sua reputazione. Eppure, nei rari momenti in cui interagivano, era percepibile nel suo atteggiamento una insolita dolcezza.

    «Dottoressa Parker?» La voce di Max interruppe le sue elucubrazioni. «Le ho chiesto se la macchinetta ha ripreso a rubare i soldi.»

    Lo sguardo sulla merendina incastrata nel braccio di distribuzione, Evie sospirò. «Non ho più monete» annuì. «E sto morendo di fame» si lasciò scappare.

    Max infilò una mano in tasca.

    «Cosa voleva?» le chiese, gli occhi fissi nei suoi.

    Chiunque altro si fosse offerto di pagarle uno snack alla macchinetta, Evie lo avrebbe accettato senza esitazioni. Ma, chissà perché, con lui anche quel semplice gesto sembrava assumere una connotazione intima.

    «È solo una barretta ai cereali, dottoressa Parker» precisò lui, quasi divertito, come leggendole nella mente.

    Già, si stava rendendo ridicola, pensò Evie, scuotendo impercettibilmente la testa. «Veramente era un muffin con mirtilli e cioccolato bianco» lo corresse.

    «Un dolce...» Max sorrise. «Non lo avrei mai immaginato.»

    Un brivido percorse la schiena di Evie. Per quanto casuale, quel commento la solleticò.

    «Una piccola debolezza» si giustificò, mordicchiandosi un labbro.

    Lo sguardo di Max seguì il movimento, facendola pentire di non essere riuscita a dominarsi. Non le restava che cercare di calmarsi e fare l'innocente, sfuggendo i suoi occhi indagatori.

    «La mia è il cioccolato fondente» disse lui con noncuranza, riportando l'attenzione sulla macchinetta.

    «Mi scusi?»

    «La mia debolezza. Fondente almeno al settanta per cento, anche se il top è l'ottantacinque.»

    Un brivido di emozione si impadronì di Evie. Da quando si conoscevano, quella era la prima volta che Max indulgeva a una conversazione non professionale.

    «Credevo che lo stimato professor Van Berg non avesse nessuna debolezza» osò prenderlo in giro.

    «Ne ho eccome.» Max la fissò di nuovo. «Ma faccio in modo di non mostrarle.»

    Deglutendo, Evie prese il muffin che le stava porgendo e lo addentò, famelica. Era stata una giornata lunga e impegnativa.

    «Non riesco a credere che sia ancora qui a leggere le cartelle cliniche dei pazienti. Non dovrebbe essere a casa a dormire, o è un'altra delle sue debolezze?»

    Nelle intenzioni di Evie avrebbe dovuto essere una battuta, ma era talmente nervosa che il tono era quasi aspro.

    «No, stavo chiudendo gli ultimi scatoloni. Settimana prossima parto» rispose lui, come se non se ne fosse neanche accorto.

    «Ah, è vero! Andrà a lavorare per Medici senza frontiere, vero?»

    «Sì, un progetto di otto mesi nella striscia di Gaza.» Max si rabbuiò. «Per lo più vittime d'arma da fuoco ed esplosioni... chirurgia ricostruttiva, amputazioni... La maggior parte dei miei pazienti avranno meno di cinque anni. La gente per cucinare e scaldarsi usa delle vecchie cucina a gas. Ma sono di qualità così bassa che esplodono e le vittime sono soprattutto bambini.»

    «Sembra un lavoro che dà soddisfazione» commentò Evie, impressionata dalla sua espressione seria e determinata.

    «Lo è» asserì lui.

    Ecco l'essenza di Max Van Berg. Un professionista eccellente, che come Evie aveva potuto rendersi conto in varie occasioni in cui era stata al Silvertrees, in caso d'emergenza era il primo a essere cercato.

    «Vorrei che tutti i medici fossero animati dal medesimo desiderio di aiutare» si lasciò sfuggire.

    «Problemi?»

    Perché esitava? Cosa aveva da perdere?

    «È per questo che poco fa l'ho trovata con la fronte appoggiata alla vetrina della macchinetta?» indagò lui.

    «Stavo pensando a un paziente» ammise.

    «Vada avanti.»

    Il suo immediato interesse strappò un sorriso a Evie. Sarebbe stata pronta a scommetterci. Bastava parlare di pazienti per attirare subito l'attenzione di Max.

    «Niente che non riesca a gestire, come dicevo.»

    «Lo immagino» concordò lui. «Abbiamo lavorato insieme in un paio di occasioni, dottoressa Parker. È scrupolosa e molto attenta, ma non prende decisioni affrettate. Rispetto la sua opinione da psichiatra.»

    Evie lo guardò, in estasi, finché il suo sguardo intenso non la surriscaldò.

    «La rispetto molto» ribadì Max, la voce arrochita. «Nel campo plastico, in particolare, è molto importante riuscire a capire chi ha davvero bisogno di un intervento per cambiare vita. A volte è facile, altre decisamente più complicato.»

    Evie sentì che l'atmosfera tra loro stava cambiando. Arrossì leggermente, mentre uno strano calore cominciò a diffondersi dal collo alla schiena e al petto, concentrandosi tra le sue gambe. Ecco l'effetto che Max aveva sempre su di lei. A volte, da come la guardava, le sembrava che anche lui fosse vittima della medesima attrazione. Che sciocchezza... Eppure, in quel momento, avrebbe dato qualsiasi cosa pur di sapere a cosa stava pensando.

    «Grazie, io...»

    «Quindi, come sta?»

    «Scusi?»

    «La sua paziente con quella significativa asimmetria al seno.»

    Evie sussultò. Max l'aveva spiata?

    Si riscosse. Era il caso clinico a interessare Max, non lei. Il fatto che conoscesse la paziente non avrebbe dovuto sorprenderla.

    «È per questo che poco fa stava fissando con aria distratta la macchinetta, vero? Ho sentito anche che stava rimproverando aspramente un collega. Si affeziona sempre così ai suoi pazienti, dottoressa?»

    Evie sbatté le palpebre, colpita. Max aveva colto perfettamente nel segno. Quello al centro era sempre stato più di un semplice lavoro. Una vocazione. E il caso in questione la coinvolgeva personalmente. Doveva vincere quella battaglia e aiutare quella ragazzina a cambiare vita. Perché quella settimana lei stessa aveva ricevuto la peggiore delle notizie. Il suo fisico la stava abbandonando e presto non sarebbe stata più in grado di aiutare nemmeno se stessa.

    Non era stata una notizia del tutto inaspettata. Quindici anni prima le era stata diagnosticata la malattia renale policistica, ma non aveva mai avuto nessun sintomo. Invece, con suo grande shock, l'ultimo controllo di routine aveva evidenziato una consistente diminuzione dell'attività renale. Il nefrologo l'aveva avvertita che, mentre per ora avrebbe potuto continuare la sua vita normalmente, da sei a dodici mesi più avanti avrebbe cominciato a sentirsi troppo stanca per esercitare come dottore ed entro un paio di anni avrebbe avuto bisogno di un trapianto. Senza un rene nuovo non avrebbe più potuto aiutare nessuno, né avere figli suoi. E nel peggiore dei casi avrebbe persino potuto non farcela.

    Non lo aveva raccontato ad anima viva. Eppure, una parte di lei provava l'inspiegabile desiderio di confidarsi proprio con quell'uomo. Un'altra, però, era restia a farlo. Meglio lasciar perdere i propri problemi personali e concentrarsi su qualcuno che poteva aiutare davvero. La sua paziente.

    Inspirò profondamente, cercando di calmarsi. «È solo che la mia paziente avrebbe davvero bisogno di questo intervento, non solo per gli ovvi benefici fisici, ma anche per la sua salute mentale. È sull'orlo della depressione, a scuola sta diventando sempre più problematica e si sta chiudendo in se stessa.»

    «La questione, da quello che ho potuto vedere, è che un seno è una prima scarsa e l'altro quasi una quarta, quindi l'operazione è inevitabile» sintetizzò Max.

    «Esatto.» Dunque, Max aveva davvero letto la cartella clinica... «Non trova un reggiseno che le vada bene, non può andare in piscina con le amiche e nemmeno dormire fuori casa o spogliarsi insieme alle compagne prima della lezione di educazione fisica a scuola, se no la prendono in giro. Le sue condizioni la stanno isolando socialmente, e per lo stress sta sviluppando la sindrome del colon irritabile.»

    «Ho letto la cartella clinica, dottoressa Parker» rispose lui, estraendo dalla macchinetta un bicchiere di carta fumante e mettendosi a berlo senza il minimo problema.

    Ha la bocca di amianto? Evie scosse la testa e cercò di concentrarsi.

    «Il chirurgo pediatrico con cui abbiamo parlato non vuole operarla, perché è troppo giovane e in fase di sviluppo. Inoltre non sa come potrebbe reagire mentalmente all'intervento e alle eventuali complicanze.»

    «Non ha tutti i torti.»

    «Lo so, ma è da quasi un anno che lavoro con questa ragazza, e le assicuro che non è un problema estetico.»

    «E la sua paziente ha realizzato quale potrebbe essere l'impatto dell'intervento? Sa che il suo corpo non sarà mai perfetto e che dovrà fare i conti con le cicatrici dell'operazione?»

    «Ne è assolutamente consapevole, ma, come mi ha ribadito più volte, con le cicatrici si può convivere, perché non le impediranno di indossare un reggiseno o un costume d bagno o un abito scollato.»

    Max le indirizzò uno sguardo che c'entrava più con la strana tensione che c'era tra loro che con la conversazione in atto. «E il suo parere è che l'intervento sia necessario per un benessere generale della persona?» insistette.

    «Lo ritengo fondamentale per la sua autostima e per lo sviluppo delle competenze sociali in questa fase cruciale della sua vita, professor Van Berg» ribadì Evie con fermezza, gli occhi fissi nei suoi.

    «Allora me ne farò carico io, prima di partire.»

    «Davvero?»

    «Gliel'ho detto prima, rispetto la sua opinione professionale» asserì Max. «Come sta il suo fidanzato?»

    Evie si irrigidì. Il suo ultimo tentativo di storia era miseramente naufragato quando la madre di lui l'aveva classificata come non abbastanza buona per suo figlio. Per quanto non fosse particolarmente innamorata, era stato comunque doloroso.

    Ma di certo Max non può conoscere i dettagli della mia patetica vita sentimentale, no?

    I pettegolezzi ospedalieri erano una macchina sempre in moto, lo sapevano tutti, ma, non lavorando sempre al Silvertrees, Evie si era convinta di esserne immune. Eppure, nell'ipotesi che qualche voce fosse girata, non poteva mentire a Max.

    «Andato» mormorò, sforzandosi di sembrare indifferente.

    «Meglio. Non la meritava» commentò Max, sollevando una mano verso il suo viso.

    «Ma se non lo conosceva nemmeno» protestò debolmente lei.

    «Intendo se la lascia scappare, è un perdente.»

    Incapace di distogliere gli occhi dai suoi, Evie deglutì.

    «Andrò a visitare la sua paziente. Quello che le chiedo in cambio è di unirsi a me per un drink nel bar qui davanti, non appena riuscirò a scappare dalla festa di saluto alla quale dovrei presenziare proprio ora.»

    «E la sua regola di non mischiare

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