Di sua proprietà
Di Sky Corgan e Roxy Sinclaire
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Info su questo ebook
Amory Mikhailov proviene dal quartiere più degradato e pericoloso della città, dove i suoi genitori possiedono un piccolo minimarket dal quale a malapena, negli ultimi anni, riescono a ricavare quel poco denaro per riuscire a pagare le bollette. Quando Giovanni Bianchi manda i propri scagnozzi per estorcere alla povera famigliola del denaro, non hanno altra scelta che pagare al boss il pizzo per la sua ‘protezione’. Ma quando il prezzo da pagare diventa troppo alto, e la sicurezza di suo padre viene messa in gioco, Amory decide di fare un’offerta diversa.
Ryder Bianchi vive una vita da sogno. Ha trascorso gli ultimi anni della propria vita cercando di rimanere fuori dallo squallido giro d’affari di suo padre, fin quando suo padre stesso non si presenta alla sua porta con un regalo da consegnargli: Amory, aggiungendo che può farle quello che vuole. Ed è proprio questo che Ryder ha intenzione di fare.
Una storia scottante. Se ti piacciono gli uomini autoritari dalle menti perverse questo libro fa per te. Scopri cosa significa essere Di sua proprietà.
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Anteprima del libro
Di sua proprietà - Sky Corgan
PRIMO CAPITOLO
AMORY
––––––––
Ero stata in quella stanza un milione di volte, ma è la prima volta che mi sento come se stessi in una prigione. Forse perché sono seduta su una sedia in mezzo alla stanza, ed è uno strano posto per mettere una sedia, ma effettivamente sembra il luogo adatto per uno scambio di persona.
Rivolgo lo sguardo alle scatole accatastate attorno a me, cercando conforto in ciò che mi è familiare. Le giacenze in magazzino si alternano settimanalmente, ma è normale che siano ancora qui. Patatine, caramelle e bibite gassate, le tipiche cose per cui le persone vengono nel piccolo negozio di alimentari dei miei genitori.
Oggi tutto mi sembra estraneo. In questo momento sono l’unica persona in questa stanza, e l’atmosfera è così tesa che sento quasi di soffocare. L’aria fredda penetra nei miei polmoni quasi bloccandomi il respiro. Una morsa mi stringe il petto. Non sono mai stata tanto nervosa in vita mia prima d’ora.
Con le mani spiano sulle ginocchia la parte anteriore della gonna a fiori, cercando di coprirmi fino alle caviglie.
Oggi avrei potuto indossare una dozzina di abiti diversi rispetto a quello che porto, ma voglio emanare un’aria dimessa. Una gonna lunga a vita alta. Una camicia rossa a maniche lunghe che si abbina alle rose rosse della gonna. Indosso addirittura dei collant bianchi perché non si possa vedere nulla sotto la gonna. Porto dei grandi occhiali da sole dalla montatura rotonda, anche se sono al chiuso. Riesco a malapena a vedere ad un palmo da me, ma mi servono per coprire le borse sotto gli occhi che mi sono venute per non aver dormito tutta la notte. E anche per nascondere le sbavature del make-up sciolto dal silenzioso pianto a cui mi sono lasciata andare. Solo il correttore avrebbe potuto nascondere tale miseria, e giuro che un vero mascara waterproof non è stato ancora inventato.
Adesso che ci penso, forse sarebbe stato meglio se non mi fossi proprio truccata. Ma in realtà non fa alcuna differenza. Non avrebbe fatto magicamente cambiare idea a Giovanni Bianchi dal portarmi via con sé. Mi aveva visto un’infinità di volta con e senza trucco, e in mille look diversi. La dovrei considerare una benedizione questa situazione, altrimenti chissà cosa sarebbe successo ai miei genitori e al loro negozio. Non avrei mai voluto che lo perdessero. Era il lavoro della loro vita.
Ricordo la storia che mio padre era solito raccontarmi quando ero piccola, su quanto avessero lavorato duramente, lui e mia madre, per raggiungere il loro obiettivo di aprire quel minimarket. Ed era una storia piena di romanticismo ed entusiasmo. Una volta cresciuta, volli anche io far parte di quella storia, e lavorai di mia sponte al negozio ogni volta che potevo. Il negozio divenne parte di me quanto lo era diventato per loro. Da semplice edificio di mattoni, mattonelle e finestre era diventato parte della nostra famiglia. Se lo avessimo perso, ne saremo usciti tutti e tre devastati.
I miei genitori si erano trasferiti qui molto prima che io nascessi. Secondo il loro racconto, i genitori di mia madre odiavano mio padre, e difatti finora non li ho mai incontrati. Si opposero in tutti i modi al loro matrimonio, così mio padre diede fondo ai propri risparmi, messi da parte grazie al suo lavoro da bidello, per partire alla volta degli Stati Uniti. Mia madre aveva sempre sognato di vivere a New York, così mirarono di trasferirsi lì, ma finirono con l’andare a vivere nel Bronx. Al loro arrivo nessuno dei due parlava una singola parola d’inglese, quindi all’inizio ebbero difficoltà a trovare un alloggio. Inizialmente vissero dei pochi soldi di mio padre che ancora rimanevano, poi passarono a lavori occasionali. Mia madre è una bravissima sarta, quindi cercò di far fruttare questa sua abilità. Mio padre faceva lavori manuali ogni volta che ne aveva la possibilità. Dopo alcuni anni di lotte per sbarcare quotidianamente il lunario, divenne una battuta ricorrente per lui dire che prima o poi avrebbe aperto un negozio di alimentari, così non ci saremo più dovuti preoccupare per il cibo. Alla fine mio padre trovò un lavoro fisso in una stazione di servizio, e mia madre in una sartoria. Vivevano una vita misera in un monolocale di cinquanta metri quadrati e risparmiando ogni singolo penny. Fu solo dopo due anni dalla mia nascita, dopo aver risparmiato abbastanza soldi, che riuscirono a trasformar quella battuta in realtà. Con l’obiettivo di migliorare le nostre vite, decisero quindi di mettersi in proprio, comprando un piccolo negozio all’angolo tra l’Arlington Avenue e la 254esima, investendo tutto il loro tempo nel trasformarlo nel migliore minimarket del quartiere.
Il negozio andò abbastanza bene per un certo periodo di tempo. Dopo soli due anni dall’apertura, i miei genitori avevano messo abbastanza soldi da parte da potersi trasferire dal vecchio monolocale ad un più adatto bilocale. Tuttavia passavamo più tempo in negozio che a casa nostra, ed io crebbi praticamente lì. In uno dei miei primi ricordi ci sono io che aiuto mia madre ad ordinare la merce sugli scaffali e in un altro gioco con un tubo dell’acqua rotto, sul retro dell’edificio.
I miei genitori non guadagnavano abbastanza soldi perché potessimo essere considerati dei benestanti, ma avevamo tutto quello di cui avevamo bisogno. Le cose andarono bene per tutto il periodo della mia infanzia ma, più o meno quando raggiunsi l’adolescenza, il quartiere in cui era ubicato il negozio iniziò a degradarsi. Molti dei nostri clienti abituali si trasferirono in altre zone della città e il loro posto venne occupato dai criminali. Dovevamo non solo far fronte al crollo degli affari ma anche alla possibilità di venire derubati. Mio padre decise di investire nella sicurezza del negozio dopo una tentata rapina a mano armata che visse mia madre. Fu un evento così traumatico che mio padre arrivò al punto di pensare di cessare l’attività. Col senno di poi probabilmente avrebbe dovuto farlo. Se lo avesse fatto, ora non ci saremo trovati nei guai. Ma mia madre, con il suo gran cuore, lo aveva convinto a tenere il negozio aperto, dicendo che le situazioni cambiano continuamente e che dovevano solamene resistere al declino economico della zona. Proseguì dicendo che gli affari sarebbero migliorati, così alla fine mio padre si convinse a tenere duro.
Alla fine gli affari si rinsaldarono, quel poco almeno da tenere, noi e il negozio, ancora a galla. Per un po’ di tempo pensammo che sarebbe andato tutto bene, ma poi si fece largo in città una nuova minaccia. Iniziò con la presenza di alcuni teppisti alla porta, che ci minacciavano e danneggiavano la merce. I miei genitori chiamarono la polizia più volte, ma vennero ignorati. E alla fine giunse la fonte dei nostri guai: Giovanni Bianchi, un boss della mafia. Un pervertito. Uno stronzo. I delinquenti erano suoi scagnozzi, mandati da lui per instillare paura nei miei genitori. Offrì la sua protezione per un non modico prezzo. E per protezione intendeva dire che non avrebbe più mandato i suoi uomini a danneggiarci la merce. E se non avessimo accettato ci avrebbe distrutto il negozio.
Ovviamente i miei genitori raccontarono tutto alla polizia, ma capirono solo alla fine che Giovanni aveva dei scagnozzi anche lì. Al dipartimento di Polizia non importava a nessuno quello che stavamo vivendo, finché non fosse scappato un morto o venissero coinvolte delle società o negozi più grandi del nostro. Quindi, fondamentalmente, Giovanni poteva continuare a fare quello che voleva.
I miei genitori non avevano altra scelta se non pagare, o andarsene. Stanco di tutte le disgrazie che aveva incontrato negli ultimi anni, mio padre decise di mettere in vendita il negozio. Ma a nessuno interessava comprare un esercizio commerciale in difficoltà in una zona malfamata. Eravamo in trappola. Eravamo con le spalle al muro. Mentre salivano gradualmente gli onorari di Giovanni, i nostri profitti si riducevano a zero, cadendo così nei primi debiti.
Torniamo quindi agli accadimenti di due settimane fa. Gli scagnozzi di Giovanni si sono fermati da noi per la loro visita mensile. Mio padre si è rifiutato di pagarli, perché non ha i soldi per farlo. Dopo qualche giorno Giovanni in persona viene a farci visita in pompa magna, minacciando mio padre di saccheggiare il negozio e di spezzargli tutte le ossa che ha in corpo. Fa poi una poco convinta battuta sul prendere me al posto dei soldi. Io sono rimasta per tutta la durata della scena dietro al bancone del negozio. Vedere un uomo, grande il doppio di mio padre, minacciarlo con un pugno, mentre gli stringe il bavero della camicia, mi aveva trafitto il cuore con una tale paura che non avevo mai provato finora. Così in quel momento tutto quello che